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Legislazione  giurisprudenza                                                      Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso


 

 Massime della sentenza

  

 

Consiglio di Stato, Sezione IV del 19 marzo 2003, Sentenza n. 1456.

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente
 

D E C I S I O N E


sul ricorso in appello N.R.G. 3084 (N. Sez. 1065) del 1991, proposto dalla società Cemensud s.p.a., ora Italcementi s.p.a, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avv.ti Nicolò Paoletti e Bruno Lucchini, elettivamente domiciliata presso il primo in Roma, via B. Tortolini, n.34,
CONTRO
- la Regione Puglia, in persona del presidente in carica della giunta regionale, non costituita,
- il Comune di Monopoli, in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avv.ti Massimo Severo Giannini e Domenico Giannuli, elettivamente domiciliato presso il primo in Roma, via del Pellegrino n. 58/A,
per la riforma
della sentenza del T.A.R. della Puglia, Bari, II Sezione, 13 marzo 1990, n.22.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Monopoli;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Alla pubblica udienza del 3 dicembre 2002, relatore il consigliere Marcello Borioni, udito, altresì, l'avv. Nicolo' Paoletti;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
 

FATTO


Il T.A.R. della Puglia, Bari, II Sezione, con sentenza 13 marzo 1990, n.22, ha rigettato il ricorso proposto dalla Cemensud s.p.a. avverso il P.R.G. del Comune di Monopoli approvato con D.P.G.R. 1 febbraio 1977, n. 248 e la variante generale al P.R.G. approvata con D.P.G.R. 24 marzo 1977, n.722.
Nell’appello la società Cemensud, incorporata nelle more del giudizio dalla Italcementi s.p.a., riferisce le ragioni in base alle quali il T.A.R. ha ritenuto infondate le censure proposte con il ricorso di primo grado, che “devono intendersi come integralmente riportate e trascritte”.
Il Comune di Monopoli si è costituito in giudizio per resistere all’appello, del quale ha chiesto il rigetto.
Con decisione 9 ottobre 1997, n.1105, questa Sezione ha disposto incombenti istruttori.
Successivamente le parti hanno depositato brevi memorie difensive.
Alla pubblica udienza del 3 dicembre 2002, il ricorso veniva trattenuto per la decisione.
 

DIRITTO


La controversia ha per oggetto: a) il P.R.G. del Comune di Monopoli adottato con deliberazioni consiliari n. 182, n. 183 e n. 184 rispettivamente del 14, 16 e 17 aprile 1970, approvato con D.P.G.R. 1 febbraio 1977, n. 248; b) la variante generale al P.R.G. adottata con delibera consiliare 29 aprile 1975, n.119, e approvata con D.P.G.R. 24 marzo 1977, n. 722.


La società appellante ripropone, anzitutto, le censure mosse con il primo e l’ottavo motivo del ricorso originario, con le quali sosteneva rispettivamente l’illegittimità del P.R.G. del Comune di Monopoli, perché approvato dopo l’adozione della variante generale, e l'approvazione della variante generale, perché approvata soli due mesi dopo l’annullamento e la riapprovazione del piano regolatore.


In realtà il P.R.G. era stato approvato una prima volta con decreto del Presidente della giunta regionale 25 febbraio 1974, n.534, ma l’approvazione era stata annullata dalla stessa autorità con decreto 28 gennaio 1977, n.188, in quanto non preceduta dalla deliberazione della giunta regionale; il piano è stato riapprovato con decreto n.248 in data 1 febbraio 1977, emanato dopo che la giunta si era espressa nello stesso senso con deliberazione 15 novembre 1976, n.7115.


Nella consecuzione logica e temporale degli atti citati non è ravvisabile alcuna incoerenza né contraddittorietà, perché la riapprovazione si è esaurita nella rimozione di un vizio di carattere formale, intervenuto nella fase di approvazione del P.R.G.; inoltre, la variante consiste sostanzialmente nella pianificazione delle zone stralciate in sede di approvazione del P.R.G.; in ogni caso, è stata approvata dopo che il piano regolatore era stato riapprovato e nessuna norma o principio esclude che nelle more del procedimento di approvazione del piano regolatore venga attivato dall’amministrazione comunale il procedimento di approvazione di una variante, tanto più quando, come nella specie, siano trascorsi circa cinque anni dall’adozione del P.R.G..


Per un più agevole esame delle questioni successive è opportuno procedere seguendo l’ordine dei motivi proposti con il ricorso originario, che riguardano dal secondo al settimo motivo il piano regolatore generale, dall’ottavo al tredicesimo la variante.


Il secondo motivo del ricorso di primo grado, con il quale veniva contestato l’omesso esame da parte del Comune delle osservazioni presentate a suo tempo al piano regolatore generale, è stato disatteso dal T.A.R. in base alla considerazione che “non occorre una analitica e dettagliata confutazione delle osservazioni”.


Il Collegio condivide questo indirizzo che è stato ripetutamente confermato anche dalla giurisprudenza più recente (Cons. Stato, IV sez., 7 maggio 2002, n.2443; 22 maggio 2000, n.2914), sicché, non avendo l’appellante indicato sotto quale profilo e per quale ragione la sentenza sul punto sarebbe erronea, la censura va disattesa.


Con il terzo motivo del ricorso di primo grado si prospettava l’illegittimità del P.R.G. per aver destinato “senza motivazione e contemperamento degli interessi contrastanti” parte del sedime dello stabilimento di proprietà della società ricorrente ad asse di scorrimento camionabile (“porto – strada statale n.16). Il T.A.R. ha replicato che nel “bilanciamento degli opposti interessi pianificatori, fra le programmate opere pubbliche ed un ipotizzato ampliamento futuro…di un insediamento industriale venuto ormai a trovarsi quasi nel centro urbano, è ragionevole che a recedere sia l’iniziativa privata e non quella pubblica, ancorché anche la prima risponda anche a fini di utilità sociale”.


Anche in questo caso il principio affermato dal T.A.R. è condivisibile, sicché la semplice riproposizione dei motivi di primo grado è insufficiente a scalfire la sentenza impugnata. Va aggiunto che l’asserita eventualità che la realizzazione dell’asse viario incida “in misura preponderante sulla possibilità di adeguamenti tecnologici della fabbrica” pecca di genericità e, comunque, lascia intendere che, allo stato, non interferirebbe con la continuazione dell’attività produttiva.


Il quarto, il quinto e il sesto motivo hanno per oggetto l’art.8 delle norme tecniche di attuazione del P.R.G., che condiziona l’utilizzazione delle aree industriali alla previa elaborazione di un piano particolareggiato, definito “piano quadro”, da adottare e approvare dalla Regione con la procedura di cui all’art. 8 della legge 6 agosto 1967, n.765.


Il T.A.R. ha rigettato il quarto motivo osservando, in sostanza, che il piano particolareggiato costituisce il normale mezzo di attuazione del P.R.G..


Sono però rimaste prive di confutazione le censure con le quali si deduceva l’illegittimità delle prescrizione che subordinerebbe al “piano quadro” i piani attuativi veri e propri, oltre che gli specifici interventi edilizi, e limiterebbe l’attività edificatoria “senza garanzia circa i tempi di esercizio della medesima”.


Entrambe le censure sono infondate.


In sede di approvazione del piano regolatore la giunta regionale ha recepito le integrazioni e prescrizioni contenute nella “relazione aggiuntiva” dell’Ufficio urbanistico regionale del 29 gennaio 1974. Nella relazione (pag.10) si legge che all’art.8 delle norme tecniche di attuazione è aggiunta, dopo le parole “piano particolareggiato”, la frase “o piani di lottizzazione o piani quadro” e si chiarisce che il “piano quadro è uno studio di parti più o meno estese del territorio urbano..(che) contiene l’individuazione delle opere primarie e secondarie di urbanizzazione e le direttive per le realizzazioni edilizie”. Da ciò si deduce che il piano quadro è uno strumento parallelo, nella sostanza, al piano particolareggiato e che è prevista, in alternativa all’uno e all’altro, la possibilità per i privati di presentare un piano di lottizzazione. Non è, quindi, esatto che l’attività edificatoria sia stata subordinata all’adozione di uno strumento urbanistico atipico né che sia stata di fatto sospesa a tempo indeterminato, in attesa di un atto di iniziativa pubblica per la cui approvazione non è fissato alcun termine.


Circa il quinto motivo è sufficiente ribadire quanto affermato dal T.A.R., e rimasto incontestato, e cioè che non vi è ragione di ritenere che la previsione di un piano particolareggiato non sia applicabile alle aree in cui sia insediato uno stabilimento industriale, tanto più quando si trovi in prossimità del tessuto urbanistico. Per questa contiguità non è illogico né contraddittorio che i parametri edilizi del piano particolareggiato (art.13) e, come prospettato nel sesto motivo, quelli del piano regolatore (art.8 n.t.a.) limitino o escludano l’ampliamento del cementificio. L’ulteriore rilievo secondo cui la previsione del piano particolareggiato sarebbe priva di giustificazione perché interesserebbe aree già edificate, pecca di genericità poiché non viene fornito alcun elemento di prova che tale condizione riguardi l’area di ubicazione dello stabilimento.


Con il settimo motivo del ricorso originario si sosteneva, con riferimento alla destinazione agricola impressa dalla Regione, in sede di approvazione, alla località Caramanna (dove la società appellante estrae e frantuma la materia prima da utilizzare nel cementificio), che la modificazione apportata dalla regione determina un indebito sovvertimento dell’assetto pianificatorio definito dal Comune e, comunque, non è sorretta da specifica motivazione.


Il T.A.R. ha escluso che le modificazioni censurate abbiano inciso sull’impostazione globale del piano, ma nulla dice sulla censura di difetto di motivazione.


La censura è fondata.


Ai sensi dell’art.10 della legge 17 agosto 1942, n.1150, alla Regione compete di introdurre le modificazioni “ritenute indispensabili” per tutelare gli interessi e i beni indicati dalla norma, senza incontrare, in tal caso, il limite della marginalità dell’intervento rispetto a quanto stabilito dal Comune. In linea astratta, può convenirsi che la destinazione a zona agricola possa essere utilizzata a salvaguardia del paesaggio o dell’ambiente e che non occorre una specifica motivazione delle determinazioni prese area per area, ma se la prescrizione è introdotta dalla Regione è necessario che scaturisca, come richiede il citato art.10, da un giudizio di indispensabilità e che emerga almeno la consapevolezza degli effetti che derivano dal mutamento su particolari situazioni consolidatesi nel territorio. Nel caso in esame la destinazione è stata modificata dalla regione non in osservanza di vincoli paesaggistici o ambientalistici formali, ma in adesione a indicazioni della Soprintendenza ai monumenti (nota 23 marzo 1973, n.2928). Tuttavia, il riconoscimento che si tratta di modifiche indispensabili non è espresso in alcun atto del procedimento né risulta che in alcun modo siano stati considerati gli effetti della nuova destinazione sull’attività produttiva del cementificio, che pure aveva trovato specifico apprezzamento nella relazione illustrativa del P.R.G. (pag.4). Pertanto, l’intervento della Regione, che si allontana dalla previsione originaria e che, per conseguenza, non trova giustificazione nella impostazione del piano regolatore adottato dal Comune, risulta carente sotto il profilo istruttorio ed esplicativo.


Nel ricorso di primo grado l’ottavo e i successivi motivi investono la variante al P.R.G. approvata con decreto del Presidente della Giunta regionale 24 marzo 1977, n.722.


Sull’ottavo motivo, concernente il rapporto fra il P.R.G. e la variante, è sufficiente richiamare quanto osservato in precedenza con riferimento al primo motivo.


A quanto dedotto con il nono motivo del ricorso originario il T.A.R. ha replicato che la preventiva autorizzazione della Regione (allora prevista dall’art.10, comma VII, della legge n.1150/1942) non era necessaria perché la “variante” è stata adottata in virtù di una prescrizione apposta in sede di approvazione del P.R.G. dalla Regione, che aveva stralciato alcune aree in vista di una successiva pianificazione, sicché, come già detto, si tratterebbe non di una variante in senso proprio ma di un atto integrativo del piano regolatore. Queste considerazioni e questa conclusione non sono confutate nell’atto di appello se non in modo del tutto generico (“non possono essere condivise”), sicché restano ferme.


Con il decimo motivo veniva rilevato che la variante, avendo operato in alcuni casi un “vero e proprio sovvertimento” di alcune prescrizioni del piano regolatore (come per l’area di ubicazione del cementificio) si è spinta al di là delle indicazioni dettate con il decreto di approvazione del P.R.G. anche sotto il profilo della delimitazione territoriale.


Il T.A.R. ha disatteso la censura rilevando che la stessa società ricorrente riconosce che la variante “sarebbe stata legittima se si fosse limitata, come previsto dalla prescrizione regionale al P.R.G., a dare assetto urbanistico alla zona esterna al centro urbano, che è appunto quanto attuato dalla variante con le succitate previsioni”.


Nell’appello quest’ultima affermazione non viene contestata, sicché il carattere attuativo della variante rispetto a quanto prescritto a suo tempo dalla Regione deve intendersi un dato acquisito. Per conseguenza la sentenza merita conferma anche nella parte in cui ha disatteso l’undicesimo motivo (che censura “per mancanza di esame degli interessi pubblici contrastanti” la destinazione a zona portuale, piazza, mercato rionale e viabilità dell’area in cui ha sede il cementificio e la destinazione a zona agricola della località Caramanna), anche in considerazione del fatto che, per giurisprudenza costante, la potestà di pianificazione urbanistica primaria, e tale è la potestà che trova espressione sia nel P.R.G. sia nella variante, non incontra limiti nella preesistenza di fabbricati aventi una destinazione diversa e che la variante non necessita di specifica motivazione quanto alle singole destinazioni di zona.


Per quanto concerne il dodicesimo motivo del ricorso di primo grado, secondo cui le osservazioni presentate nei confronti della variante non avrebbero ricevuto un adeguato riscontro, vale quanto affermato in precedenza con riferimento al parallelo secondo motivo, concernente le osservazioni presentate nei confronti del piano regolatore.


Il tredicesimo motivo, che ha per oggetto la destinazione ad “attività cantieristica” di aree di proprietà della società appellante ubicate in località Spina, è inammissibile.


La nuova destinazione è contestata “per erronea valutazione e per travisamento dei presupposti di fatto”, ma non viene addotto alcun elemento da cui possano evincersi l’erroneità e il travisamento in cui sarebbero incorse in concreto l’amministrazione comunale e l’amministrazione regionale. Né è utile per uscire dalla genericità della censura l’elenco degli accertamenti che, ad avviso della società appellante, sarebbero in linea teorica necessari per approfondire la “fattibilità, l’opportunità e la convenienza” dell’insediamento di un’attività cantieristica.


In conclusione l’appello va accolto nella parte in cui ha per oggetto il P.R.G. e nei limiti che emergono dalla motivazione. Nella stessa parte e negli stessi limiti va accolto, in parziale riforma della sentenza di primo grado, il ricorso originario.


Le spese e gli onorari dei due gradi di giudizio possono essere compensati.


P.Q.M.


Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione IV), definitivamente pronunziando sul ricorso in appello, meglio indicato in epigrafe, accoglie l’appello nella parte, nei limiti e con gli effetti di cui in motivazione.


Spese dei due gradi di giudizio compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, Palazzo Spada, sede del Consiglio di Stato, nella camera di consiglio del 3 dicembre 2002, con l'intervento dei sigg.ri
Stenio RICCIO Presidente,
Domenico LA MEDICA Consigliere,
Marcello BORIONI Consigliere estensore,
Giuseppe CARINCI Consigliere,
Vito POLI Consigliere.

M A S S I M E

 

Sentenza per esteso

 

1)  PRG - la destinazione a zona agricola può essere utilizzata a salvaguardia del paesaggio o dell’ambiente - non occorre una specifica motivazione delle determinazioni prese area per area - competenza della Regione - le modificazioni “ritenute indispensabili” in adesione a indicazioni della Soprintendenza ai monumenti - obbligo di motivazione in caso si allontana dalla previsione originaria - l’attività produttiva preesistente. Alla Regione (art.10 della legge Puglia del 17 agosto 1942, n.1150), compete di introdurre le modificazioni “ritenute indispensabili” per tutelare gli interessi e i beni indicati dalla norma, senza incontrare, in tal caso, il limite della marginalità dell’intervento rispetto a quanto stabilito dal Comune. In linea astratta, può convenirsi che la destinazione a zona agricola possa essere utilizzata a salvaguardia del paesaggio o dell’ambiente e che non occorre una specifica motivazione delle determinazioni prese area per area, ma se la prescrizione è introdotta dalla Regione è necessario che scaturisca, come richiede il citato art.10, da un giudizio di indispensabilità e che emerga almeno la consapevolezza degli effetti che derivano dal mutamento su particolari situazioni consolidatesi nel territorio. Nel caso in esame la destinazione è stata modificata dalla regione non in osservanza di vincoli paesaggistici o ambientalistici formali, ma in adesione a indicazioni della Soprintendenza ai monumenti (nota 23 marzo 1973, n.2928). Tuttavia, il riconoscimento che si tratta di modifiche indispensabili non è espresso in alcun atto del procedimento né risulta che in alcun modo siano stati considerati gli effetti della nuova destinazione sull’attività produttiva del cementificio, che pure aveva trovato specifico apprezzamento nella relazione illustrativa del P.R.G. (pag.4). Pertanto, l’intervento della Regione, che si allontana dalla previsione originaria e che, per conseguenza, non trova giustificazione nella impostazione del piano regolatore adottato dal Comune, risulta carente sotto il profilo istruttorio ed esplicativo. Consiglio di Stato, Sezione IV del 19.03.2003, Sentenza n. 1456
 

2) PRG - il “piano quadro” definizione - l’attività edificatoria subordinata all’adozione di uno strumento urbanistico - piano particolareggiato - piani di lottizzazione - piano quadro. In sede di approvazione del piano regolatore la giunta regionale della Puglia ha recepito le integrazioni e prescrizioni contenute nella “relazione aggiuntiva” dell’Ufficio urbanistico regionale del 29 gennaio 1974. Nella relazione (pag.10) si legge che all’art.8 delle norme tecniche di attuazione è aggiunta, dopo le parole “piano particolareggiato”, la frase “o piani di lottizzazione o piani quadro” e si chiarisce che il “piano quadro è uno studio di parti più o meno estese del territorio urbano..(che) contiene l’individuazione delle opere primarie e secondarie di urbanizzazione e le direttive per le realizzazioni edilizie”. Da ciò si deduce che il piano quadro è uno strumento parallelo, nella sostanza, al piano particolareggiato e che è prevista, in alternativa all’uno e all’altro, la possibilità per i privati di presentare un piano di lottizzazione. Non è, quindi, esatto che l’attività edificatoria sia stata subordinata all’adozione di uno strumento urbanistico atipico né che sia stata di fatto sospesa a tempo indeterminato, in attesa di un atto di iniziativa pubblica per la cui approvazione non è fissato alcun termine. Consiglio di Stato, Sezione IV del 19.03.2003, Sentenza n. 1456

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