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Legislazione  giurisprudenza                                                      Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso


 

 Massime della sentenza

  

 

Consiglio di Stato, sezione VI, 24 marzo 2003, n.1493.

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
 

DECISIONE


sul ricorso in appello n.10313/1996, proposto dall’Associazione Italiana per il World Wildlife Fund (WWF Italia), nella persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Giovanni Petretti, presso il quale è elettivamente domiciliata in Roma, Via degli Scipioni n.268/A;
contro
la Regione Lombardia, in persona del Presidente pro-tempore della Giunta regionale, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Federico Tedeschini ed Alberto Colombo ed elettivamente domiciliata presso lo studio del primo in Roma, Via Vincenzo Bellini n.10;
per l'annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, sezione III, 12 dicembre 1995, n.1487;
Visto l’atto di appello con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Regione Lombardia;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore, alla camera di consiglio dell’8 novembre 2002, il Consigliere Francesco Caringella. Udito l’Avv. Tedeschini;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
 

FATTO E DIRITTO


1. Con la sentenza appellata i primi Giudici hanno respinto il ricorso proposto dall’Associazione Italiana per il World Wildlife Fund (WWF), di seguito indicata WWF, avverso la deliberazione con la quale la Giunta della Regione Lombardia ha consentito il prelievo di alcune specie di uccelli non incluse nell’allegato 2/I e 2/II della direttiva CE n.409/79, in applicazione della facoltà di deroga prevista dall’articolo 9 della direttiva.


Il WWF appellante contesta le argomentazioni poste a sostegno della sentenza di prime cure.


Resiste la Regione Lombardia.


All’udienza dell’8 novembre 2002, la causa è stata trattenuta per la decisione.


2. Non è suscettibile di positiva valutazione l’eccezione con la quale la Regione Lombardia eccepisce l’improcedibilità del ricorso giurisdizionale per effetto della sopravvenuta carenza di interesse collegata all’esaurimento della stagione venatoria in relazione alla quale la deliberazione impugnata ha disposto il prelievo di alcune specie di uccelli facendo utilizzo della facoltà di deroga contemplata dall’articolo 9 della direttiva comunitaria sopra citata. Osserva, infatti, il Collegio che a suffragio della permanenza dell’interesse alla definizione del giudizio di appello depongono:
a) l’interesse morale alla declaratoria dell’illegittimità del provvedimento gravato, testimoniato dalla sensibilità, anche costituzionale, dell’interesse alla protezione dalle fauna, vista come componente essenziale dell’equilibrio ambientale tutelato dagli articoli 2 e 9 della Carta Fondamentale;
b) la possibilità che all’annullamento della statuizione gravata faccia seguito l’esperimento dell’azione risarcitoria in relazione ai danni medio tempore prodotti;
c) la rilevanza della sentenza di annullamento in relazione alla riproduzione della deroga in esame nei provvedimenti adottati per le stagioni venatorie successive a quelle in rilievo.


3. L’appello è fondato.


3.1. Giova preliminarmente rimarcare che esula, ratione temporis, dal perimetro del presente giudizio lo scrutinio degli effetti prodotti, sul riparto di competenze tra Stato e Regione in subiecta materia, dalla disciplina dettata dalla legge costituzionale n.3/2002, modificativa del titolo V della parte II della Costituzione. Ancora non viene in rilievo, per gli stessi motivi, lo jus superveniens di cui alla legge 3 ottobre 2002, n.221, che ha regolato l’utilizzo, da parte delle singole Regioni, della rammentata facoltà di deroga consentita dall’articolo 9 della direttiva 79/409/CEE sopra citata.


3.2. Si tratta allora di verificare se, nel quadro legislativo ratione temporis vigente, fosse consentito alle singole Regioni di adottare provvedimenti, in via amministrativa o legislativa, funzionalizzati all’esercizio della facoltà di deroga di cui si è detto.


A sostegno della tesi negativa si pone la sentenza con la quale la Corte Costituzionale, sulla scorta di argomenti perfettamente aderenti alla fattispecie oggi in esame, è prevenuta alla declaratoria di illegittimità costituzionale delle leggi delle con cui le Regioni Liguria, Umbria e Veneto avevano disposto la deroga al regime di protezione della fauna selvatica.


La Corte delle leggi testualmente osservato quanto segue:
“La competenza statale in tema di specie cacciabili non si esaurisce nella individuazione di tali specie e nel potere di variazione dei relativi elenchi, a norma dell’art. 18, comma 3, della legge n.157 del 1992”.


Nel ribadire il carattere di norma fondamentale di riforma economico-sociale proprio delle disposizioni legislative statali che individuano le specie cacciabili, riconosciuto da una costante giurisprudenza (sentenze nn.272 del 1996, 35 del 1995, 577 del 1990, 1002 del 1988), la Corte ha precisato che tale carattere compete anche alle “norme strettamente connesse con quelle che individuano le specie ammesse al prelievo venatorio” (sentenza n.323 del 1998).


Sussiste infatti un interesse unitario, non frazionabile, alla uniforme disciplina dei vari aspetti inerenti al nucleo minimo di salvaguardia della fauna selvatica: dall’individuazione delle specie cacciabili alla variazione dei relativi elenchi; dalla disciplina delle modalità di caccia, nei limiti in cui prevede misure indispensabili per assicurare la sopravvivenza e la riproduzione delle specie selvatiche, alla delimitazione dei periodi venatori, alla disciplina delle deroghe, ex art.9 della direttiva 79/409/CEE, al generale regime di protezione.


Un’interpretazione della direttiva 79/409/CEE nell’esclusiva prospettiva di un’eccezionale autorizzazione di attività venatorie altrimenti vietate sarebbe tuttavia parziale e fuorviante.


L’art.9 della direttiva 79/409/CEE, concernente la conservazione degli uccelli selvatici, prevede che gli Stati membri - "sempre che non vi siano altre soluzioni soddisfacenti" - possono derogare alle misure di protezione disposte dalla medesima direttiva per le seguenti ragioni: a) nell’interesse della salute e della sicurezza pubblica; nell’interesse della sicurezza aerea; per prevenire gravi danni alle colture, al bestiame, ai boschi, alla pesca e alle acque; per la protezione della flora e della fauna; b) ai fini della ricerca e dell’insegnamento, del ripopolamento e della reintroduzione nonché per l’allevamento connesso a tali operazioni; c) per consentire in condizioni rigidamente controllate e in modo selettivo la cattura, la detenzione o altri impieghi misurati di determinati uccelli in piccole quantità.


Si tratta di un potere di deroga esercitabile in via eccezionale per consentire non tanto la caccia, quanto, piuttosto, più in generale, l’abbattimento o la cattura di uccelli selvatici appartenenti alle specie protette dalla direttiva medesima, alle condizioni ed ai fini di interesse generale indicati dall’art.9.1, e secondo le procedure e le modalità di cui al punto 2 dello stesso art.9.


Gli interessi a garanzia dei quali l’art.9 consente di adottare i provvedimenti di deroga - alcuni dei quali di indubbia pertinenza statale: sicurezza aerea, sicurezza pubblica - possono essere soddisfatti anche attraverso misure diverse dall’eccezionale autorizzazione al prelievo venatorio di specie altrimenti protette.


In materia di protezione della fauna selvatica, d’altro canto, l’ordinamento prevede un ruolo non marginale delle Regioni che ulteriormente dimostra l’erroneità di un totale esaurimento della tematica di cui si tratta nella prospettiva venatoria.


L’art.19, comma 2, della legge n.157 del 1992, prevede infatti che le Regioni, per la migliore gestione del patrimonio zootecnico, per la tutela del suolo, per motivi sanitari, per la selezione biologica, per la tutela del patrimonio storico artistico, per la tutela delle produzioni zoo-agro-forestali ed ittiche, provvedono al controllo delle specie di fauna selvatica anche nelle zone vietate alla caccia. La disposizione specifica che tale controllo, esercitato selettivamente, viene praticato di norma mediante l’utilizzo di metodi ecologici, su parere dell’Istituto nazionale della fauna selvatica. Qualora l’Istituto verifichi l’inefficacia dei predetti metodi, le Regioni possono autorizzare piani di abbattimento destinati ad essere attuati dalle guardie venatorie dipendenti dalle amministrazioni provinciali. Queste ultime potranno altresì avvalersi dei proprietari o conduttori dei fondi sui quali si attuano i piani medesimi, purché muniti di licenza per l’esercizio venatorio, nonché delle guardie forestali e delle guardie comunali munite di licenza per l’esercizio venatorio.


Le deroghe al regime di protezione introdotto dalla direttiva 79/409/CEE configurano - come sottolineano anche le Regioni resistenti - un potere eterogeneo rispetto alla competenza attribuita al Presidente del Consiglio dei ministri in materia di variazione degli elenchi delle specie cacciabili ai sensi dell’art.18, comma 3, della legge n.157 del 1992. Quest’ultima disposizione prevede l’adozione, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di provvedimenti diretti a modificare in modo tendenzialmente stabile - nei limiti imposti o consentiti dalla normativa internazionale e comunitaria (da ultimo, v. la sentenza n.277 del 1998) - gli elenchi delle specie cacciabili. Si tratta di provvedimenti in linea di principio destinati a spiegare efficacia su tutto il territorio nazionale e volti piuttosto a restringere, anche "tenendo conto della consistenza delle singole specie sul territorio", il novero delle specie che alla stregua della normativa internazionale e comunitaria possono essere ammesse al prelievo venatorio. Diversamente dalle deroghe ex art.9 della direttiva 79/409/CEE, i decreti emanati a norma dell’art.18, comma 3, della legge n.157 del 1992 appaiono inidonei a consentire in via eccezionale o derogatoria l’abbattimento o la cattura delle specie protette dalla direttiva, alle condizioni e per le finalità da quest’ultima indicate.


Nondimeno, non può essere condiviso l’assunto delle Regioni resistenti, che basano la propria rivendicazione di competenza - a disciplinare legislativamente il potere di deroga in questione, e ad esercitarlo in via amministrativa - sulla non assimilabilità del potere di deroga di cui all’art.9 della direttiva comunitaria al potere di variazione degli elenchi delle specie cacciabili e sulla natura solo formale del recepimento, da parte del legislatore statale (con l’art.1, comma 4, della legge n.157 del 1992), dell’art.9 della direttiva 79/409/CEE, interpretato come autoapplicativo.


Occorre ancora ribadire che l’art.9 della direttiva 79/409/CEE contiene una disciplina volta (più che a regolare l’attività venatoria) a consentire deroghe al regime di protezione della fauna selvatica previsto dalla medesima direttiva, per la salvaguardia di interessi generali. L’esercizio di tale potere di deroga può incidere sul nucleo minimo di protezione della fauna selvatica e non può quindi prescindere da una previa disciplina di carattere nazionale, secondo i principi costantemente accolti dalla giurisprudenza di questa Corte.


La disciplina del potere di deroga - che secondo la Corte di giustizia delle Comunità europee (sentenza 15 marzo 1990, causa C-339/87) deve tradursi in norme nazionali precise ("i criteri in base ai quali gli Stati membri possono derogare ai divieti sanciti dalla direttiva devono essere riprodotti in disposizioni nazionali precise") - può, e non già deve, trattandosi di una facoltà, trovare attuazione nel nostro ordinamento, come chiarisce anche la sentenza di questa Corte, pronunciata in pari data, che ha definito i conflitti nn.56 e 61 del 1997 e nn.2, 3 e 5 del 1998, attraverso una normativa nazionale di recepimento - non rintracciabile nella legge n.157 del 1992 - idonea a garantire su tutto il territorio nazionale un uniforme e adeguato livello di salvaguardia.


In questo senso deve interpretarsi anche l’art.69, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n.112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n.59), che annovera tra i compiti di rilievo nazionale per la tutela dell’ambiente, ai sensi dell’art.1, comma 4, lettera c), della legge 15 marzo 1997, n.59 - accanto a quelli relativi alle variazioni degli elenchi delle specie cacciabili - quelli attinenti alla "tutela...della fauna e della flora specificamente protette da accordi e convenzioni e dalla normativa comunitaria".


4. L’applicazione delle coordinate in esame alla fattispecie in rilievo mette in evidenza l’illegittimità della deliberazione gravata.


L’appello va pertanto accolto; ne consegue la riforma della sentenza gravata, e, quindi, l’accoglimento del ricorso di primo grado e l’annullamento della deliberazione n. V/56455 con il quale la giunta della Regione Lombardia ha applicato e deroghe di cui all’art.9 della direttiva CEE 409/79 per la stagione venatoria 1994/1995.


Le spese dei due gradi di giudizio possono essere compensate.


P.Q.M.


Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) - definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso in appello e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, accoglie il ricorso di primo grado ed annulla il provvedimento la deliberazione n. V/56455 con il quale la giunta della Regione Lombardia ha consentito il prelievo in deroga ex art.9 sulla direttiva CE n.409/79.
 

Compensa interamente fra le parti le spese dei due gradi di giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, addì 8 novembre 2002, dal Consiglio di Stato in s.g. (Sez.VI) riunito in camera di consiglio con l'intervento dei seguenti Magistrati:
Mario Egidio SCHINAIA Presidente
Alessandro PAJNO Consigliere
Chiarenza MILLEMAGGI COGLIANI Consigliere
Giuseppe MINICONE Consigliere
Francesco CARINGELLA Consigliere Est.


 

M A S S I M E

 

Sentenza per esteso

 

1)  Caccia - la competenza statale in tema di specie cacciabili non si esaurisce nella individuazione di tali specie e nel potere di variazione dei relativi elenchi - specie ammesse al prelievo venatorio - nucleo minimo di salvaguardia della fauna selvatica - la sopravvivenza e la riproduzione delle specie selvatiche - generale regime di protezione. “La competenza statale in tema di specie cacciabili non si esaurisce nella individuazione di tali specie e nel potere di variazione dei relativi elenchi, a norma dell’art. 18, comma 3, della legge n.157 del 1992”. Nel ribadire il carattere di norma fondamentale di riforma economico-sociale proprio delle disposizioni legislative statali che individuano le specie cacciabili, riconosciuto da una costante giurisprudenza (sentenze nn.272 del 1996, 35 del 1995, 577 del 1990, 1002 del 1988), la Corte ha precisato che tale carattere compete anche alle “norme strettamente connesse con quelle che individuano le specie ammesse al prelievo venatorio” (sentenza n.323 del 1998). Sussiste infatti un interesse unitario, non frazionabile, alla uniforme disciplina dei vari aspetti inerenti al nucleo minimo di salvaguardia della fauna selvatica: dall’individuazione delle specie cacciabili alla variazione dei relativi elenchi; dalla disciplina delle modalità di caccia, nei limiti in cui prevede misure indispensabili per assicurare la sopravvivenza e la riproduzione delle specie selvatiche, alla delimitazione dei periodi venatori, alla disciplina delle deroghe, ex art.9 della direttiva 79/409/CEE, al generale regime di protezione. Consiglio di Stato, sezione VI, 24 marzo 2003, n. 1493.

 

2)  Stagione venatoria - l’esaurimento della stagione venatoria non rende improcedibile il ricorso per effetto della sopravvenuta carenza di interesse - permanenza dell’interesse alla definizione del giudizio di appello. Non è suscettibile di positiva valutazione l’eccezione con la quale la Regione Lombardia eccepisce l’improcedibilità del ricorso giurisdizionale per effetto della sopravvenuta carenza di interesse collegata all’esaurimento della stagione venatoria in relazione alla quale la deliberazione impugnata ha disposto il prelievo di alcune specie di uccelli facendo utilizzo della facoltà di deroga contemplata dall’articolo 9 della direttiva comunitaria sopra citata. Osserva, infatti, il Collegio che a suffragio della permanenza dell’interesse alla definizione del giudizio di appello depongono: a) l’interesse morale alla declaratoria dell’illegittimità del provvedimento gravato, testimoniato dalla sensibilità, anche costituzionale, dell’interesse alla protezione dalle fauna, vista come componente essenziale dell’equilibrio ambientale tutelato dagli articoli 2 e 9 della Carta Fondamentale; b) la possibilità che all’annullamento della statuizione gravata faccia seguito l’esperimento dell’azione risarcitoria in relazione ai danni medio tempore prodotti; c) la rilevanza della sentenza di annullamento in relazione alla riproduzione della deroga in esame nei provvedimenti adottati per le stagioni venatorie successive a quelle in rilievo. Consiglio di Stato, sezione VI, 24 marzo 2003, n. 1493.

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