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Legislazione giurisprudenza Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente
D E C I S I O N E
Sui ricorsi riuniti:
NRG 8026\1993, proposto dalla s.r.l. Giuliani e Laudi, in persona del legale
rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Mario Speroni
e Enrico Romanelli ed elettivamente domiciliato presso quest'ultimo in Roma, via
Cosseria n. 5;
contro
Comune di Varese, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso
dagli avvocati Achille Cultrera e Ugo Ferrari e presso quest’ultimo
elettivamente domiciliato in Roma, via P. A. Micheli n. 78;
e nei confronti di
Regione Lombardia in persona del Presidente pro tempore, non costituito;
Cooperativa Amici di Don Bosco s. r. l., in persona del legale rappresentante
pro tempore, non costituito;
Auber Costruzioni di Geometra Augusto Bertoni e C. s.a.s., in persona del legale
rappresentante pro tempore, non costituito;
NRG 8092\1993, proposto dal Comune di Varese, in persona del Sindaco pro tempore,
rappresentato e difeso dagli avvocati Achille Cultrera e Ugo Ferrari e presso
quest’ultimo elettivamente domiciliato in Roma, via P. A. Micheli n. 78;
contro
S.r.l. Giuliani e Laudi, in persona del legale rappresentante pro tempore,
rappresentato e difeso dall’avvocato Mario Speroni e Enrico Romanelli ed
elettivamente domiciliato presso lo studio del dottor Gian Marco Grez in Roma,
lungotevere Michelangelo n. 9;
e nei confronti di
Regione Lombardia in persona del Presidente pro tempore, non costituito;
Cooperativa Amici di Don Bosco s. r. l., in persona del legale rappresentante
pro tempore, non costituito;
Auber Costruzioni di Geometra Augusto Bertoni e C. s.a.s., in persona del legale
rappresentante pro tempore, non costituito;
per l'annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, sezione
seconda, n. 224 del 1 aprile 1993.
Visti i ricorsi in appello;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
data per letta alla pubblica udienza del 14 gennaio 2003 la relazione del
consigliere Vito Poli, uditi gli avvocati Romanelli e Ferrari;
ritenuto e considerato quanto segue:
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorsi ritualmente notificati, la s.r.l. Giuliani e Laudi – già Autoservizi
G.L.C. di Giuliani e Laudi s.a.s. – ed il Comune di Varese proponevano appello,
ciascuno per quanto di proprio interesse, per la riforma parziale della sentenza
del T.A.R. Lombardia, sezione seconda, n. 224 del 1 aprile 1993, con cui in
parte venivano accolte ed in parte erano respinte le doglianze articolate dalla
società nei confronti: I) del secondo piano di edilizia economica e popolare del
Comune di Varese – approvato definitivamente con deliberazione consiliare n. 14
del 30 gennaio 1990 – II) della preassegnazione delle aree inserite nel p.e.e.p.
– approvata definitivamente a mezzo deliberazione consiliare n. 687 del 14
novembre 1989 - III) del terzo aggiornamento al programma pluriennale di
attuazione del medesimo p.e.e.p. – deliberazione della giunta municipale n. 988
del 22 maggio 1990 – IV) della variante al p.r.g. nella parte in cui vincola ad
edilizia economica e popolare le aree di proprietà della società – deliberazione
della giunta regionale n. 4\55447 del 30 maggio 1990 - V) del decreto sindacale
di occupazione di urgenza delle suddette aree – n. 6 del 2 ottobre 1990 -.
Si costituivano, nei rispettivi giudizi, il Comune di Varese e la s.r.l.
Giuliani e Laudi deducendo l'infondatezza in fatto e diritto del gravame
proposto dalla controparte.
La causa è passata in decisione all’udienza pubblica del 14 gennaio 2003.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Gli appelli principali, proposti entrambi avverso la medesima sentenza,
devono essere riuniti a mente dell’art. 335 c.p.c.
2. L’Autoservizi G.L.C. di Giuliani e Laudi s.a.s. ha impugnato, con
l’originario ricorso di primo grado: I) il secondo piano di edilizia economica e
popolare del Comune di Varese – approvato definitivamente con deliberazione
consiliare n. 14 del 30 gennaio 1990 – II) la preassegnazione delle aree
inserite nel p.e.e.p. – approvata definitivamente a mezzo deliberazione
consiliare n. 687 del 14 novembre 1989 - III) il terzo aggiornamento al
programma pluriennale di attuazione del medesimo p.e.e.p. – deliberazione della
giunta municipale n. 988 del 22 maggio 1990 – IV) la variante al p.r.g. nella
parte in cui vincola ad edilizia economica e popolare le aree di proprietà della
società – deliberazione della giunta regionale n. 4\55447 del 30 maggio 1990 -
V) il decreto sindacale di occupazione di urgenza delle suddette aree – n. 6 del
2 ottobre 1990.
3. L’impugnata sentenza: I) ha respinto tutte le censure articolate nei
confronti del p.e.e.p. e della variante di adeguamento al p.r.g. (pagine da 4 a
15); II) ha respinto le censure rivolte contro la preassegnazione, in diritto di
superficie, delle aree espropriande per carenza di interesse della società
ricorrente (pagina 19); III) ha annullato la deliberazione n. 988 del 1990,
limitatamente alla parte in cui non individua le aree da assegnare in proprietà
con prelazione ai soggetti espropriati (pagine da 19 a 23); IV) ha respinto la
censura di omessa indicazione dei termini di inizio e completamento dei lavori e
delle procedure espropriative, contro l’atto di approvazione del p.e.e.p.
(pagine da 24 a 28); V) ha respinto la censura proposta contro il decreto di
occupazione d’urgenza, per la redazione dello stato di consistenza avvenuta
prima dell’emanazione del decreto stesso (pagina 29); VI) ha dichiarato
inammissibili le doglianze sviluppate contro l’atto di occupazione a tutela
della posizione giuridica del fittavolo (pagina 29); VII) ha respinto le
censure, rivolte sempre avverso il decreto di occupazione, inerenti da un lato,
l’omessa notificazione al proprietario catastale, dall’altro, l’omessa
comunicazione dell’indennità offerta a titolo di ristoro dell’occupazione
(pagine 30 e 31); VIII) ha annullato il decreto di occupazione limitatamente
alla parte in cui indica, richiamando lo stato di consistenza, in mq. 5780
l’appezzamento di terreno da ablare, mentre in concreto l’estensione dell’area
interessata dall’intervento espropriativo è risultata essere inferiore e pari a
mq. 4300 circa (pagine da 30 a 31).
4. Per ragioni di chiarezza espositiva conviene affrontare le questioni sottese
all’appello della società Giuliani e Laudi, nei limiti in cui sono state
riproposte le censure compiutamente disattese dal primo giudice.
4.1. Con il primo e secondo motivo si riproducono le censure fondate sul cattivo
esercizio del potere pianificatorio e programmatorio, anche con valenza
urbanistica, in materia di edilizia residenziale pubblica.
4.2. I piani per l’edilizia economica e popolare (p.e.e.p.), altrimenti noti
come piani di zona o piani 167, previsti dalla l. 18 aprile 1962 n. 167,
successivamente integrata e modificata (principalmente per effetto delle leggi
22 ottobre 1971 n. 865, 28 gennaio 1977 n. 10, 5 agosto 1978 n. 457, 25 marzo
1982 n. 94, 17 febbraio 1992, n. 179), costituiscono gli strumenti urbanistici
attraverso i quali si realizzano i programmi per l’edilizia economica e
popolare. Il fine è di costituire un patrimonio comunale di aree libere,
calcolare il prevedibile fabbisogno di un decennio, sottraendo gli interventi
edilizi alla casualità delle scelte degli enti costruttori. La legislazione di
settore, i cui primi interventi risalgono agli inizi del secolo, si preoccupò
essenzialmente di creare un sistema di mutui ed agevolazioni, e di disporre
espropriazioni disancorate dalle previsioni degli strumenti urbanistici. Un
collegamento programmatico tra la costruzione di alloggi per i ceti meno
abbienti e la disciplina urbanistica si ebbe per la prima volta con la l.
167/62. I piani di zona, nel pensiero del legislatore del 1962, assolvono alla
fondamentale funzione, da un lato, di dare ai comuni la possibilità di
acquistare attraverso l’esproprio aree da destinare alla costruzione di alloggi
a carattere economico-popolare, dall’altro di inquadrare gli interventi in un
razionale ed organico disegno urbanistico, allo scopo soprattutto di evitare la
ghettizzazione delle famiglie non abbienti in quartieri periferici privi di
servizi e non collegati al resto delle città. Tanto che la questione circa la
natura dei vincoli imposti dai p.e.e.p., se a carattere espropriativo o
conformativo della proprietà privata, e sulla relativa incidenza nella
determinazione dell’indennità di esproprio, ripete la sua origine proprio dalla
natura complessa degli strumenti in discussione.
4.3. La l. 167/62 stabilisce che i comuni con popolazione superiore a 50.000
abitanti sono tenuti alla formazione del p.e.e.p., che indichi le zone da
destinare agli alloggi, ma anche alle opere e servizi complementari, ivi
comprese le aree a verde pubblico. Tutti gli altri comuni sono liberi di
adottare il p.e.e.p., essendo tuttavia possibile renderne obbligatoria la
compilazione per i comuni limitrofi e quelli più popolosi, per quelli con almeno
20.000 abitanti, per quelli riconosciuti stazioni di cura, soggiorno e turismo,
per quelli soggetti a straordinari incrementi demografici, per quelli in cui vi
sia alta percentuale di abitazioni malsane. È pure prevista la possibilità dei
comuni di costituirsi in consorzio per la formazione di un unico piano
consortile e per le regioni di disporre la formazione di consorzi obbligatori
per la formazione di p.e.e.p.
La formazione del p.e.e.p. consta di diverse fasi (compilazione, adozione,
approvazione, pubblicazione) che ricalcano quelle dei piani particolareggiati e
che possono trovare anche particolari discipline nella legislazione regionale, a
seguito del trasferimento delle funzioni statali nella materia urbanistica. Da
osservare che la tradizionale assimilazione dei p.e.e.p. alla categoria degli
strumenti attuativi, ne informa la disciplina, anche per via di recenti
innovazioni legislative miranti alla semplificazione ed allo snellimento delle
procedure. È da ricordare, in particolare, che l’applicazione dei piani
attuativi (compresi i p.e.e.p.) è stata devoluta alla competenza degli stessi
comuni, che sono solo obbligati a trasmettere alla regione copia degli strumenti
adottati e ad esprimersi sulle eventuali osservazioni di quest’ultima (art. 24
l. 28 febbraio 1985 n. 47). Data l’assimilazione dei piani di zona ai piani
particolareggiati, si ritengono applicabili anche ai primi le misure di
salvaguardia di cui alla l. 19 novembre 1968 n. 1187.
4.4. Il principale connotato urbanistico dei p.e.e.p. è assicurato dalla
disposizione dell’art. 3 l. 167/62, secondo cui le aree da comprendere nei piani
di zona debbono essere scelte di regola nelle zone destinate ad edilizia
residenziale nei piani regolatori vigenti, con preferenza in quelle di
espansione dell’aggregato urbano (zone C). Se non sia possibile, il piano di
zona, apportando modifiche al piano regolatore generale (o al programma di
fabbricazione), costituisce variante (cfr. Cons. St., sez. IV, 7 luglio 2000, n.
3808). Possono essere comprese nei p.e.e.p. anche le aree sulle quali insistono
immobili la cui demolizione o trasformazione sia richiesta da ragioni
igienico-sanitarie ovvero sia ritenuta necessaria per la realizzazione del
piano. Se il piano regolatore sia soltanto adottato – purché trasmesso ai
competenti organi per l’approvazione – il piano di zona è vincolante in sede di
approvazione del p.r.g., in deroga al principio della gerarchia dei piani,
venendo a prevalere un piano, tradizionalmente considerato di attuazione in
quanto equiparato dalla legge al piano regolatore particolareggiato (cfr. in
termini e da ultimo Cass. civ., sez. I, 16 settembre 2002, n. 13493), sullo
strumento urbanistico generale.
Il piano per l’edilizia economica e popolare ha, secondo quanto dispone l’art.
9, l. n. 167 del 1962, valore di piano particolareggiato di esecuzione, e la sua
approvazione equivale, ai sensi dell’art. 16 l. n. 1150 del 1942, a
dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza delle opere ivi
previste per la durata di diciotto anni, salvo proroghe.
La localizzazione dei piani, nelle zone di generale destinazione residenziale
privata, non costituisce variante al piano regolatore generale atteso che la
regola è proprio quella della localizzazione in tali zone e che l’ipotesi delle
varianti è identificata dall’art. 3 essenzialmente nella determinazione
dell’insediamento in zone urbanistiche non residenziali (cfr. Cons. St., sez. IV,
7 luglio 2000, n. 3808).
E’ bene precisare subito che l'indicazione contenuta nell'art. 3 L. 18 aprile
1962 n. 167, secondo cui le aree da comprendere nei piani per l'edilizia
residenziale pubblica sono, di norma, scelte nelle zone destinate all'edilizia
residenziale nei piani regolatori vigenti, con preferenza per quelle di
espansione dell'aggregato urbano, costituisce una indicazione di principio, che
non vincola il Comune in modo assoluto, atteso anche che il quarto comma dello
stesso articolo prevede la possibilità dell'adozione di un piano di zona in
variante allo strumento generale, ove si manifesti l'esigenza dei piani in zone
non destinate all'edilizia residenziale nei piani regolatori vigenti (cfr. Ad.
plen., 3 luglio 1997, n. 12).
Il piano per l'edilizia economica e popolare, anche quando non opera in variante
ad uno strumento generale, è pur sempre uno strumento di pianificazione
urbanistica, sia pure di secondo grado; pertanto, la «ricucitura» tra
insediamenti, siano o meno essi periferici, ben può rientrare nelle funzioni
proprie del piano per l'edilizia economica e popolare, si da giustificare di per
sé la scelta delle aree da insediare nel piano medesimo.
Coerentemente si è affermata la possibilità di individuare sin dal momento di
programmazione generale del territorio le zone destinate all’edificazione
pubblica, prevedendo già da allora gli strumenti attuativi necessari implica per
un verso la legittimità del vincolo delle aree ai piani speciali di iniziativa
pubblica ed esclude per altro verso la destinazione delle aree medesime ad
edilizia privata con lo strumento della lottizzazione (cfr. sez. IV, 12 dicembre
2000, n. 6584).
Alla luce dei su esposti principi, cade la doglianza della società appellante,
che contesta la scelta del comune di realizzare l’insediamento popolare su
terreni con destinazione agricola, essendo tale scelta supportata da ampia ed
adeguata motivazione.
Né può ravvisarsi la violazione dell’art. 2, co. 2, lett. b), della l. r. n. 93
del 1980, che tutela le destinazioni agricole dei suoli dotati di infrastrutture
ed impianti a supporto dell’attività agricola medesima, salva circostanziata
motivazione della nuova destinazione urbanistica.
In primo luogo, come esattamente rilavato dal primo giudice, i terreni oggetto
di ablazione non sono direttamente interessati da impianti e infrastrutture
agricole (cfr. le risultanze del verbale di consistenza del 13 settembre 1990).
In secondo luogo il piano di edilizia popolare è supportato da adeguata e
puntuale motivazione (cfr. la relazione tecnica allegata – specie pagine 9 e 10
- e la deliberazione comunale n. 2051 del 14 novembre 1989, di deduzioni alle
proposte regionali di modifiche d’ufficio).
Inammissibile, perché chiaramente rivolta ad impingere il merito della scelta
politico – amministrativa, appare il rilievo critico mosso (pagina 8 dell’atto
di gravame), al comune per aver privilegiato una tipologia edilizia di medio –
lusso (e quindi scarsamente intensiva), non valutando, per questa via, lo spreco
di territorio.
4.5. Il p.e.e.p. è comunque nato come strumento urbanistico speciale, distinto
dal piano particolareggiato, di cui condivide solo la natura attuativa e
l’efficacia di dichiarazione di pubblica utilità ex lege (e di indifferibilità
ed urgenza) delle opere in esso previste con conseguente espropriabilità delle
aree (art. 9, 3° comma, l. 167/62): ma il collegamento assicurato dall’art. 3
allo strumento urbanistico generale manifesta certamente la volontà legislativa
di superare la settorializzazione dell’edilizia popolare, di cui fin da prima
della l. 167/62 si percepiva la connessione profonda con i problemi dello
sviluppo urbano. La legge urbanistica del 1942 aveva colto tale connessione,
prevedendo il potere dei comuni di espropriare aree inedificate nelle zone di
espansione: potere rimasto inattuato, e che il legislatore del 1962 intese
riattivare, in consonanza al mutato contesto politico.
Di fatto, il p.e.e.p. è divenuto il principale strumento di politica edilizia a
favore dei comuni, sia come mezzo primario di soddisfacimento delle necessità
abitative, che come momento della programmazione produttiva del settore.
Dal suo marcato carattere programmatorio discende che, ai fini della legittimità
del piano stesso, non si richiede una puntuale determinazione della spesa per
l’acquisizione delle aree, essendo sufficiente l’indicazione di larga massima
delle spese occorrenti, in quanto l’amministrazione può integrare
successivamente l’indicazione dei mezzi e delle fonti di finanziamento (cfr.
sez. IV, n. 3730 del 2000 cit.).
4.6. Va osservato, in particolare, che il dimensionamento del p.e.e.p.,
l’estensione cioè delle aree da destinare all’edilizia residenziale pubblica,
rappresenta il vero momento programmatorio, dovendosi rapportare le esigenze
dell’edilizia pubblica al fabbisogno prevedibile di edilizia abitativa in
generale e innestando dunque le scelte di settore nelle scelte urbanistiche
generali dell’amministrazione comunale: l’art. 3 l. 167/62, modificato dall’art.
2 l. 10/77, stabilisce che l’estensione delle zone da includere nei p.e.e.p. non
può essere inferiore al quaranta per cento e superiore al settanta per cento di
quella necessaria a soddisfare il fabbisogno abitativo nel periodo considerato.
Se la fissazione del limite massimo trova ragione nel perseguimento di un certo
equilibrio tra edilizia pubblica e privata, il limite minimo trova fondamento
sia nel fatto che il p.e.e.p. comporta un procedimento complesso e costoso, così
da non essere giustificato se non soddisfa una percentuale cospicua del
fabbisogno abitativo complessivo, sia nell’intento di garantire una certa
dotazione di aree comunali a disposizione dell’edilizia pubblica.
In ordine alle operazioni che vanno seguite per determinare la concreta
estensione delle aree da inserire nel p.e.e.p. (c.d. dimensionamento),
l'amministrazione è titolare di poteri discrezionali, anche di natura tecnica, e
deve basare le proprie determinazioni su un'adeguata motivazione dalla quale
possa evincersi la loro ragionevolezza ed attendibilità (cfr. Ad. plen., n. 12
del 1997 cit.; sez. IV, 5 luglio 2000, n. 3730).
In sede di determinazione del fabbisogno abitativo è, dunque, legittimo tener
conto (cfr. Ad. plen., n. 12 del 1997 cit.; sez. IV, 5 luglio 2000, n. 3730): a)
del saldo migratorio negativo degli anni precedenti, b) dell'andamento
demografico in decremento e dell'aumento dei nuclei familiari, compensando i
relativi dati con la considerazione che è diminuito il numero medio dei
componenti delle singole unità familiari e che non può immaginarsi una rapida
sostituzione degli emigrati con gli immigrati; c) del fabbisogno futuro e non di
quello già soddisfatto, lecitamente o meno, essendo rimesso alla valutazione
insindacabile dell'amministrazione rilevare se gli abusi edilizi abbiano
soddisfatto, sia pure in parte, una preesistente domanda abitativa, d) degli
indici di densità territoriale contenuti nelle circolari del Ministero dei
lavori pubblici 27 settembre 1963 n. 4555 e 20 gennaio 1967 n. 425 i quali,
però, costituiscono criteri di massima, suscettibili di diversa valutazione,
sicchè il comune, in sede di approvazione di un piano per l'edilizia
residenziale pubblica, ben può assumere indici inferiori in considerazione di
comprovate esigenze urbanistiche.
In definitiva, per la determinazione del fabbisogno di alloggi da destinare ad
edilizia popolare, non esiste un nesso necessariamente inscindibile tra
fabbisogno abitativo e incremento della popolazione, rappresentando quest’ultimo
solo una componente del calcolo da effettuarsi, e potendosi prendere in esame
anche altri elementi (quali l’esigenza del rinnovato modo di vivere della
popolazione, legato all’evoluzione del costume sociale in atto, cfr. sez. IV, n.
3730 del 2000 cit.).
Dalla documentazione tecnica versata in atti, come analiticamente scrutinata dal
primo giudice, emerge all’evidenza l’insussistenza del lamentato vizio di
carenza di motivazione. Il Comune di Varese, infatti, ha tenuto conto di tutti
gli elementi sopra descritti.
Né assume particolare significato il fatto che l’amministrazione si sia basata
anche su dati statistici risalenti all’ultimo censimento del 1981, giacchè tali
dati sono stati adeguatamente rielaborati e, in ogni caso, il censimento
successivo sarebbe intervenuto dopo dieci anni (quindi dopo l’adozione del piano
avvenuta in via definitiva nel gennaio del 1990).
Parimenti infondato è l’ulteriore profilo di illegittimità paventato con
riferimento all’omesso calcolo della superficie di terreno occorrente per
ospitare il programma edificatorio.
Il fabbisogno abitativo non può che essere espresso in ragione del numero di
vani e di alloggi, di cui una parte da collocare in ambito p.e.e.p., per cui la
superficie occorrente sarà necessariamente una variabile dipendente da tale
quota, tenuto conto delle tipologie edilizie e degli standards da assicurare.
4.7. A differenza del piano regolatore particolareggiato, nel cui meccanismo di
attuazione l’espropriazione delle aree non destinate alla localizzazione dei
servizi pubblici è solo eventuale, nel caso di p.e.e.p., l’espropriazione di
tutte le aree incluse in esso diviene il meccanismo di attuazione ordinario e
necessario del piano: mentre infatti le trasformazioni previste dal p.r.p. sono
lasciate alla decisione dei proprietari, pur obbligati, e l’espropriazione è
subordinata alla loro inerzia (c.d. esproprio sanzionatorio), ai fini
dell’attuazione del p.e.e.p. è stabilito che tutte le aree incluse nel piano
approvato siano comunque espropriate dai comuni o dai loro consorzi (art. 20 l.
167/62, come modificato dall’art. 35 l. 865/71). A seguito dell’esproprio
generalizzato di tutte le aree previste nel p.e.e.p., il comune ne diviene
dunque proprietario, e le può cedere in proprietà ai soggetti indicati nell’art.
10, 10° comma, l. 167/62 (disposizione la cui categoricità è stata attenuata nel
corso del tempo, dandosi la possibilità ai soggetti incaricati dell’attuazione
degli interventi di acquisizione delle aree occorrenti, in nome e per conto dei
comuni), o costituire su di esse un diritto reale di superficie a favore di quei
soggetti che s’impegnino ad attuare le previsioni del piano.
L'art. 35, comma undicesimo, della legge n. 865 del 1971 configura una
prelazione dei proprietari di aree incluse in un piano di zona per l'edilizia
economica e popolare ai soli fini dell'assegnazione in proprietà (e non in
superficie) dell'area e non in relazione a un'area determinata.
Sono illegittime, pertanto, le deliberazioni comunali concernenti l'assegnazione
ad una cooperativa edilizia di un'area espropriata (o comunque da espropriare)
in quanto ricompresa nel piano da destinare alla edilizia economica e popolare,
ove il proprietario, in violazione dell'implicito disposto dell'art. 35,
undicesimo comma, della legge 22 ottobre 1971 n. 865, non sia stato posto in
condizione di esercitare la propria situazione giuridica soggettiva di
preferenza nell'assegnazione (concretantesi in un interesse legittimo), mediante
la possibilità di partecipazione al relativo procedimento, avendo il comune
omesso di fornirgli preventivamente - in occasione di tale specifico
procedimento - la notizia della scelta fatta e dell'assegnazione prevista (cfr.
sez. IV, 26 novembre 2001, n. 5940; 4 maggio 1984, n. 309).
4.8. Si è gia detto che il p.e.e.p. ha efficacia per diciotto anni
dall’approvazione, con limitate possibilità di proroga.
A tale previsione legale si collegano importanti effetti in ordine
all’individuazione dei termini di inizio e completamento dei lavori e delle
procedure ablatorie.
Secondo un consolidato indirizzo, l’art. 13, l. n. 2359 del 1865, in materia di
apposizione dei termini, non è applicabile per le espropriazioni attinenti ai
piani di zona per l’edilizia economica e popolare, essendo sostituito ed
assorbito dalle disposizioni che delimitano nel tempo ope legis l’efficacia dei
piani stessi (cfr. sez. IV, n. 3730 del 2000 cit.; 19 gennaio 1999, n. 41; Ad.
plen., 23 maggio 1984, n. 11).
Stante la prolungata vigenza di tali piani, l’art. 38 l. 865/71 (come modificato
dall’art. 1 d.l. 2 maggio 1974 n. 115, convertito in l. 27 giugno 1974 n. 247),
prevede che l’attuazione dei piani di zona avvenga a mezzo di appositi
«programmi pluriennali di attuazione» approvati con deliberazione del consiglio
comunale, che è immediatamente esecutiva e soggetta al solo controllo di
legittimità. Tali programmi, da approvarsi entro sei mesi dall’approvazione dei
piani di zona, avendo la funzione di stabilire quali aree debbono essere
espropriate in un determinato arco di tempo, costituiscono presupposto
indispensabile per l’espropriazione, non fosse altro perché l’art. 5 l. 247/74
attribuisce alla pubblicazione e notificazione della deliberazione che li
approva gli effetti della notifica agli espropriandi e della notizia al
pubblico, previsti dall’art. 10 l. 865/71.
Essi devono indicare: l’estensione delle aree di cui si prevede l’utilizzazione
e la relativa urbanizzazione; l’individuazione delle aree da cedere in proprietà
e di quelle da concedere in superficie; la spesa prevista per la realizzazione
delle opere di urbanizzazione e di quelle a carattere generale; i mezzi generali
con i quali far fronte alla spesa. I programmi sono aggiornati annualmente con
apposita variante, che segue il medesimo procedimento. In assenza del programma,
l’utilizzazione delle aree può avvenire esclusivamente con diritto di
superficie. Sono previsti poteri sostitutivi della regione (nomina di
commissario ad acta) qualora il comune non provveda all’approvazione del
programma o delle varianti.
Ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 38 della l. n. 865 del 1971, la mancanza
del programma pluriennale di attuazione non si configura come limite al corretto
esercizio della procedura espropriativa delle aree comprese nei piani approvati,
bensì soltanto come impedimento alla cessione delle aree in regime di proprietà,
dovendo la loro utilizzazione avvenire esclusivamente in regime di superficie (cfr.
sez. IV, 18 marzo 1997, n. 255). Qualora il comune adotti un programma
pluriennale di attuazione, costituisce contenuto indefettibile dello stesso a
mente dell’art. 38, lett. b), l. n. 865 del 1971, l’individuazione delle aree da
cedere in proprietà e di quelle da concedere in superficie, salvo che
l’amministrazione non vi abbia provveduto in sede di redazione dell’intero piano
di edilizia popolare; in difetto di tale individuazione, non è possibile
invocare la norma sancita dall’ultimo comma del medesimo articolo, che si
applica solo in assenza del programma o della individuazione effettuata in sede
preventiva.
Sotto tale angolazione deve essere respinto il motivo di appello articolato dal
Comune di Varese nella parte in cui contesta la declaratoria di illegittimità da
parte del primo giudice, in parte qua del piano di pluriennale.
4.9. Parimenti infondato è il motivo sub C1 dell’atto di appello, con cui si
deduce la violazione degli articoli 2, l.r. n. 9 del 1981, e 3, l. n. 1 del
1978.
Secondo l’assunto di parte appellante l’amministrazione non avrebbe dovuto far
precedere il decreto di occupazione dalla redazione dello stato di consistenza,
ma, in applicazione delle riportate disposizioni, avrebbe prima dovuto
immettersi nel possesso dei beni e solo dopo, formare lo stato di consistenza.
La tesi è infondata.
Per procedere ad occupazione di urgenza per interventi di edilizia agevolata e
convenzionata (come nel caso di specie), è necessaria la preventiva redazione
dello stato di consistenza, secondo la regola generale di cui all’art. 71 l. 25
giugno 1865 n. 2359, non essendo applicabile la procedura accelerata di cui
all’art. 3 l. 3 gennaio 1978 n. 1 (in base alla quale lo stato di consistenza è
redatto contestualmente all’immissione nel possesso del bene), che riguarda le
sole opere propriamente pubbliche (cfr. Ad. plen., 25 gennaio 2000, n. 9; 13
dicembre 1995, n. 35; 6 ottobre 1995, n. 29; 6 febbraio 1990, n. 1). Gli
interventi di edilizia agevolata, infatti, al contrario di quelli sovvenzionati,
sono eseguiti da soggetti privati e si traducono nella realizzazione di beni di
proprietà privata, superficiaria o piena. Per tali opere, la particolare
procedura di cui all’art. 3, l. n. 1 cit., non trova applicazione, non potendo
soccorrere, ratione temporis, la norma introdotta dall’art. 32, l. 3 agosto
1999, n. 265, che ricomprende, senza alcuna distinzione, in materia di
occupazione d’urgenza degli immobili necessari per la realizzazione di opere e
lavori pubblici, anche gli interventi di edilizia residenziale.
Né può annettersi un particolare significato all’anodina norma regionale sancita
dal menzionato art. 2, l. n. 9 del 1981.
La legge regionale, nel sistema antivigente la riforma del titolo V della
costituzione, nella parte in cui estende alle opere di pubblico interesse di
rilevanza regionale la disciplina in materia di occupazione temporanea e stato
di consistenza, deve essere interpretata alla luce dei criteri informativi della
l. 3 gennaio 1978 n. 1, prospettandosi altrimenti un profilo di illegittimità
costituzionale della stessa, e conseguentemente deve applicarsi alle sole opere
pubbliche come definibili ai sensi della legge statale (cfr. negli esatti
termini ed in fattispecie analoga concernente altra regione, Ad. plen. n. 35 del
1995 cit.).
Inoltre, come ben evidenziato dal primo giudice, tale norma distribuisce la
competenza fra gli organi ed enti coinvolti nelle procedure ablatorie e si
disinteressa delle formalità concernenti la redazione dello stato di
consistenza.
4.10. Anche l’ultima censura articolata dalla società appellante non è
suscettibile di favorevole esame.
Essa si incentra sulla violazione dell’art. 5, l. n. 94 del 1982 che obbliga al
versamento, in favore del proprietario, di un acconto sulla indennità di
occupazione.
La tesi non è fondata.
Secondo la costante giurisprudenza della sezione (cfr. sez. IV, 19 gennaio 2000,
n. 248; 4 dicembre 1998, n. 1599), la legittimità dei provvedimenti
espropriativi e di occupazione d’urgenza, non è inficiata dalla inesatta o
inesistente liquidazione della giusta indennità, essendo l’emanazione di tali
atti sganciata da quest’ultima.
5. Può passarsi ora all’esame dell’appello proposto dal comune di Varese.
Con il primo mezzo si contesta la declaratoria di illegittimità della
deliberazione n. 988 del 1990, sostenendosi che le aree disponibili nel p.e.e.p.
da assegnare in proprietà non erano esaurite, e che, in ogni caso, in forza
dell’ultimo comma dell'art. 38 l. n. 865, il comune poteva procedere
all’assegnazione in regime di superficie delle aree inserite nel p.p.a.
Per tutte le ragioni esposte sub 4.8. (cui si rinvia), il motivo non può essere
accolto.
In fatto, poi, è appena il caso di notare che nella deliberazione impugnata non
sono affatto individuate le aree da assegnare in proprietà, sotto il profilo
dell’estensione e delle indicazioni catastali, sicchè l’affermazione secondo cui
il comune non avrebbe esaurito la disponibilità di tutte le aree, rimane
indimostrata.
Irrilevante è, inoltre, la possibilità prevista nella deliberazione n. 988 di
mutare il titolo di assegnazione da superficiario a proprietà piena; come del
resto deve dirsi per la generica previsione di una futura assegnazione in
proprietà delle residue aree disponibili a cooperative edilizie assegnatarie di
contributi pubblici: queste circostanze di fatto, invero, non elidono la
conseguenza indefettibile discendente dalla deliberazione de quo: la
vanificazione delle aspettative di partecipazione al procedimento di
assegnazione in proprietà da parte del soggetto espropriando.
Rimane ferma la statuizione contenuta nella sentenza impugnata secondo cui
l’annullamento parziale della deliberazione n. 988 cit., non sortisce alcun
effetto caducante o invalidante sulla sequenza degli atti propriamente
espropriativi e di occupazione.
5.1. Miglior sorte non tocca al secondo motivo di appello proposto dal Comune di
Varese.
In fatto si è verificato che nel verbale (del 13 settembre 1990 redatto, come si
è visto, prima dell’immissione in possesso), sullo stato di consistenza delle
aree da occupare, sia stata indicata, nell’ambito della particella catastale
mappale 3342, foglio 24 (estesa per mq. 6060), una superficie di mq. 5780.
Il decreto di occupazione (del successivo 2 ottobre 1990), si limita a
individuare l’estensione delle aree da ablare, facendo riferimento al piano
particellare ed allo stato di consistenza.
Nessuna certezza dunque, del perimetro delle aree in concreto oggetto di
occupazione prima ed esproprio poi (cfr. il decreto di espropriazione del 18
marzo 1997 n. 24), che anzi, sono state successivamente ed esattamente
individuate in mq. 4330 circa (cfr. verbale di conferma dello stato di
consistenza del 30 ottobre 1990, successivo al provvedimento impugnato e come
tale inidoneo a completarne la motivazione; decreto di esproprio cit.; sentenza
della Corte di Appello di Milano n. 1961 del 2001).
L’annullamento del decreto di occupazione avviene sempre in modo parziale,
limitatamente, cioè, alla parte in cui non indica l’esatta consistenza dei metri
quadrati oggetto di occupazione.
6. Sulla scorta delle rassegnate conclusioni entrambi gli appelli devono essere
respinti.
Il collegio ravvisa giusti motivi per compensare integralmente fra le parti le
spese di giudizio nella parziale reciproca soccombenza.
P. Q. M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione quarta) definitivamente
pronunziando sui ricorsi riuniti, meglio indicati in epigrafe, così provvede:
- respinge l’appello NRG. 8026\1993 proposto dalla s.r.l. Giuliani e Laudi e,
per l'effetto, conferma la sentenza indicata in epigrafe;
- respinge l’appello NRG. 8092\1993 proposto dal Comune di Varese e, per
l'effetto, conferma la sentenza indicata in epigrafe;
- dichiara integralmente compensate fra le parti le spese del presente grado di
giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 14 gennaio 2003, con la
partecipazione dei signori:
Stenio RICCIO - Presidente
Costantino SALVATORE - Consigliere
Dedi RULLI - Consigliere
Giuseppe CARINCI - Consigliere
Vito POLI - Consigliere, est.
Massime ufficiali
1) Il piano per l’edilizia economica e popolare ha, secondo quanto dispone l’art. 9, l. n. 167 del 1962, valore di piano particolareggiato di esecuzione, e la sua approvazione equivale, ai sensi dell’art. 16, l. n. 1150 del 1942, a dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza delle opere ivi previste per la durata di diciotto anni, salvo proroghe.
2) Ai sensi dell’art. 3, l. n. 167 del 1962, la localizzazione dei piani di zona per l’edilizia economica e popolare nelle zone di generale destinazione residenziale privata non costituisce variante al piano regolatore generale atteso che la regola è proprio quella della localizzazione in tali zone e che l’ipotesi delle varianti è identificata dall’art. 3 essenzialmente nella determinazione dell’insediamento in zone urbanistiche non residenziali;
3) L'indicazione contenuta nell'art. 3 L. 18 aprile 1962 n. 167 secondo cui le aree da comprendere nei piani per l'edilizia residenziale pubblica sono, di norma, scelte nelle zone destinate all'edilizia residenziale nei piani regolatori vigenti, con preferenza per quelle di espansione dell'aggregato urbano, costituisce una indicazione di principio, che non vincola il Comune in modo assoluto, atteso anche che il quarto comma dello stesso articolo prevede la possibilità dell'adozione di un piano di zona in variante allo strumento generale, ove si manifesti l'esigenza dei piani in zone non destinate all'edilizia residenziale nei piani regolatori vigenti.
4) Il piano per l'edilizia economica e popolare, anche quando non opera in variante ad uno strumento generale, è pur sempre uno strumento di pianificazione urbanistica, sia pure di secondo grado; pertanto, la «Ricucitura» tra insediamenti, siano o meno essi periferici, ben può rientrare nelle funzioni proprie del piano per l'edilizia economica e popolare, si da giustificare di per sé la scelta delle aree da insediare nel piano medesimo.
5) La possibilità di individuare sin dal momento di programmazione generale del territorio le zone destinate all’edificazione pubblica, prevedendo già da allora gli strumenti attuativi necessari implica per un verso la legittimità del vincolo delle aree ai piani speciali di iniziativa pubblica ed esclude per altro verso la destinazione delle aree medesime ad edilizia privata con lo strumento della lottizzazione;
6) In ordine alle operazioni che vanno seguite per determinare la concreta estensione delle aree da inserire nel p.e.e.p. (c.d. dimensionamento) l'Amministrazione è titolare di poteri discrezionali, anche di natura tecnica, e deve basare le proprie determinazioni su un'adeguata motivazione dalla quale possa evincersi la loro ragionevolezza ed attendibilità.
7) In sede di determinazione del fabbisogno abitativo previsto per l'approvazione del piano per l'edilizia economica e popolare, è legittimo tener conto del saldo migratorio negativo degli anni precedenti, dell'andamento demografico in decremento e dell'aumento dei nuclei familiari, compensando i relativi dati con la considerazione che è diminuito il numero medio dei componenti delle singole unità familiari e che non può immaginarsi una rapida sostituzione degli emigrati con gli immigrati.
8) In sede di determinazione del contenuto del piano per l'edilizia economica e popolare si deve tener conto del fabbisogno futuro e non di quello già soddisfatto, lecitamente o meno, ed è rimesso alla valutazione insindacabile dell'Amministrazione rilevare se gli abusi edilizi abbiano soddisfatto, sia pure in parte, una preesistente domanda abitativa.
9) Gli indici di densità territoriale contenuti nelle circolari del Ministero dei lavori pubblici 27 settembre 1963 n. 4555 e 20 gennaio 1967 n. 425 costituiscono criteri di massima, suscettibili di diversa valutazione; pertanto, il Comune, in sede di approvazione di un piano per l'edilizia residenziale pubblica, ben può assumere indici inferiori in considerazione di comprovate esigenze urbanistiche.
10) Ai fini della legittimità del piano di edilizia economica e popolare non si richiede una puntuale determinazione della spesa per l’acquisizione delle aree, essendo sufficiente l’indicazione di larga massima delle spese occorrenti, in quanto l’amministrazione può integrare successivamente l’indicazione dei mezzi e delle fonti di finanziamento;
11) Ai fini della determinazione del fabbisogno di alloggi da destinare ad edilizia popolare, non esiste un nesso necessariamente inscindibile tra fabbisogno abitativo e incremento della popolazione, rappresentando quest’ultimo solo una componente del calcolo da effettuarsi, e potendosi prendere in esame anche altri elementi (quali l’esigenza del rinnovato modo di vivere della popolazione, legato all’evoluzione del costume sociale in atto).
12) Ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 38 della l. n. 865 del 1971, la mancanza del programma pluriennale di attuazione non si configura come limite al corretto esercizio della procedura espropriativa delle aree comprese nei piani approvati, bensì soltanto come impedimento alla cessione delle aree in regime di proprietà, dovendo la loro utilizzazione avvenire esclusivamente in regime di superficie.
13) Qualora il comune adotti un programma pluriennale di attuazione, costituisce contenuto indefettibile dello stesso a mente dell’art. 38, lett. b), l. n. 865 del 1971, l’individuazione delle aree da cedere in proprietà e di quelle da concedere in superficie, salvo che l’amministrazione non vi abbia provveduto in sede di redazione dell’intero piano di edilizia popolare; in difetto di tale individuazione, non è possibile invocare la norma sancita dall’ultimo comma del medesimo articolo, che si applica solo in assenza del programma o della individuazione effettuata in sede preventiva.
14) Per procedere ad occupazione di urgenza per interventi di edilizia agevolata e convenzionata, è necessaria la preventiva redazione dello stato di consistenza, secondo la regola generale di cui all’art. 71, l. 25 giugno 1865 n. 2359, non essendo applicabile la procedura accelerata di cui all’art. 3, l. 3 gennaio 1978 n. 1 (in base alla quale lo stato di consistenza è redatto contestualmente all’immissione nel possesso del bene), che riguarda le sole opere propriamente pubbliche.
15) La legge regionale, nel sistema antevigente la riforma del titolo V della costituzione, nella parte in cui estende alle opere di pubblico interesse di rilevanza regionale la disciplina in materia di occupazione temporanea e stato di consistenza, deve essere interpretata alla luce dei criteri informativi della l. 3 gennaio 1978 n. 1, prospettandosi altrimenti un profilo di illegittimità costituzionale della stessa, e conseguentemmente deve applicarsi alle sole opere pubbliche come definibili ai sensi della legge statale.
16) La legittimità dei provvedimenti espropriativi e di occupazione d’urgenza, non è inficiata dalla inesatta o inesistente liquidazione della giusta indennità, essendo l’emanazione di tali atti sganciata da quest’ultima. L’art. 13, l. n. 2359 del 1865, in materia di apposizione dei termini, non è applicabile per le espropriazioni attinenti ai piani di zona per l’edilizia economica e popolare, essendo sostituito ed assorbito dalle disposizioni che delimitano nel tempo ope legis l’efficacia dei piani stessi.
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