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Legislazione  giurisprudenza                                                      Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso


 

 Massime della sentenza

  

 

Consiglio di Stato, sezione VI, 27 marzo 2003, sentenza n. 1592.

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
 

DECISIONE


sul ricorso (n. 3678/1998 R.G.) proposto dal Ministero dei Beni Culturali ed Ambientali, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, Via dei Portoghesi 12, è per legge domiciliato;
contro
Criscuolo Andrea, rappresentato e difeso dall’Avv. Giuseppe Camera e con quest’ultimo elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. Carlo Maria D’Acunti, in Roma, Viale delle Milizie n. 9;
per l'annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Campania – Sez. di Salerno, n. 109 del 28 febbraio 1997.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Criscuolo Andrea;
Viste le memorie prodotte dall’appellato a sostegno delle proprie difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore, alla pubblica udienza del 10 maggio 2002 il Consigliere Alessandro Pajno, e uditi, altresì, l’Avv. dello Stato D’Avanzo per l’Amministrazione appellante e l’Avv. Camera per l’appellato;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
 

FATTO


Con atto n. 36/91 del 20 maggio 1991 il Sindaco del Comune di Amalfi si pronunciava favorevolmente, ai sensi dell’art. 32 della legge n. 47 del 1985 e dell’art. 7 della legge n. 1497 del 1939, sulla domanda del Sig. Criscuolo Andrea volta ad ottenere il condono edilizio per la costruzione edilizia di un fabbricato fuori dal centro abitato di Amalfi, ritenendo che l’intervento ricadesse in zona isolata, circondata da agrumeti e vigneti, che bene si inseriva nel contesto ambientale.


Con decreto del 27 luglio 1991, notificato il 16 settembre successivo, il Ministero dei Beni Culturali annullava, ai sensi dell’art. 82 del D.P.R. n. 616 del 1977, il nulla osta ambientale emesso dal Sindaco di Amalfi.


Il decreto ministeriale veniva impugnato dall’interessato con ricorso al TAR della Campania – Sez. di Salerno, che, con sentenza n. 109 del 28 febbraio 1997, lo accoglieva.


Il Tribunale riteneva il ricorso fondato sotto i profili dedotti con il terzo ed il sesto motivo di gravame, ed osservava che erroneamente il Ministero aveva considerato l’atto autorizzativo del Comune di Amalfi carente di motivazione.


Nelle espressioni utilizzate dal Ministero, ad avviso del TAR, non avrebbero potuto ravvisarsi elementi precisi e concreti, idonei a sostenere il provvedimento negativo, apparendo indeterminate le affermazioni sulle dimensioni delle opere abusive e non risultando indicate le circostanze che inducevano a ritenere sussistente l’asserita turbativa dalla cornice paesistica.


Premesso poi, che con il provvedimento ministeriale sarebbero stati annullati tutta una serie di nulla osta ambientali rilasciati dal Comune di Amalfi, non risulterebbero indicati gli elementi in base ai quali i fabbricati apparirebbero eccessivi; non risulterebbero indicati, i criteri che dovrebbero essere seguiti per ottenere un soddisfacente inserimento dell’opera nel paesaggio; non sarebbe stata fornita alcuna indicazione in riferimento al diverso avviso manifestato dal Comune.


Il Ministero, infine, avrebbe illegittimamente compiuto un riesame nel merito della scelta operata dal Comune di Amalfi.


La sentenza è stata, adesso, impugnata dal Ministero dei Beni Culturali ed Ambientali, che ha, innanzi tutto ricordato come l’annullamento dell’autorizzazione fosse stato pronunciato sotto tre diversi profili (eccesso di potere sotto il duplice profilo della violazione del giusto procedimento e della carenza di motivazione) e per violazione di legge.


Il provvedimento del Comune risulterebbe posto in essere in violazione del giusto procedimento in quanto non terrebbe conto delle disposizioni dell’art. 32 della legge n. 47 del 1985, e rilascerebbe il provvedimento di sanatoria con atti formalmente emanati ai sensi dell’art. 7 della legge n. 1497 del 1939.


Risulterebbe, sotto questo profilo, incongrua l’espressione in termini condizionali della valutazione di compatibilità, come se si trattasse di una opera ancora da costruire.


Il decreto ministeriale impugnato sarebbe stato adottato nell’esercizio di un sindacato di legittimità con riferimento all’esercizio del potere autorizzatorio ex art. 7 L. n. 1497 del 1939.


Nel provvedimento ministeriale risulterebbero, peraltro, richiamate le ragioni per le quali gli interventi abusivi contrasterebbero con le valenze ambientali riconosciute dal decreto di vincolo.


I rilievi ministeriali si paleserebbero, così, del tutto corretti e conformi a precisi orientamenti giurisprudenziali.


Nel giudizio di appello si è costituito il Sig. Criscuolo Andrea che, con apposita memoria, ha ribadito che nel caso di specie il Ministero avrebbe esercitato un vero e proprio sindacato di merito. Per il resto l’appellato ha insistito per il rigetto del gravame.
 

DIRITTO


1. Con il primo motivo dell’impugnazione il Ministero appellante, dopo aver ricordato che l’annullamento della autorizzazione è stato pronunciato per tre diverse ragioni, ciascuna idonea a giustificare la decisione adottata, e cioè per eccesso di potere sotto il duplice profilo della violazione del giusto procedimento e della carenza di motivazione e per violazione di legge, e dopo aver fatto presente che l’art. 32 della legge n. 47 del 1985, come modificato dall’art. 12 della legge n. 68 del 1988 subordinerebbe il rilascio della concessione edilizia o dell’autorizzazione in sanatoria per opere eseguite su immobili soggetti alle leggi n. 1089 del 1939 ed alle leggi n. 431 del 1985 al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo paesaggistico, deduce che il provvedimento sindacale sarebbe illegittimo per violazione del giusto procedimento, in quanto non terrebbe conto della normativa sopra richiamata e rilascerebbe il provvedimento di sanatoria con atti formalmente emanati ai sensi dell’art. 7 della legge n. 1497 del 1939, riguardante la valutazione di compatibilità di opere ancora da realizzare.


Sotto tale aspetto, risulterebbe incongruo anche il fatto che, alla stessa stregua di una opera ancora da costruire, la valutazione di compatibilità venga espressa in termini condizionali.


La doglianza in tal modo formulata è infondata e deve, di conseguenza, essere disattesa. Come ricorda, infatti, la difesa dell’appellato, ai sensi dell’art. 12 del decreto legge 12 gennaio 1988, convertito con legge 23 marzo 1988 n. 68, per le aree soggette a vincolo paesaggistico il parere prescritto dall’art. 32 della legge n. 47 del 1985 va reso ai sensi dell’art.82, nono comma, del D.P.R. n. 616 del 1977, che, a sua volta fa riferimento testuale all’art. 7 della legge n. 1497 del 1939, concernente, appunto l’autorizzazione paesaggistica.


Il provvedimento comunale è stato, pertanto, correttamente adottato ai sensi di tale disposizione di legge, mentre dal testo del medesimo risulta con chiarezza che l’autorizzazione è stata richiesta in relazione al condono edilizio di un fabbricato. Ciò che peraltro conta ai fini della legittimità dell’autorizzazione è che da essa si desuma con chiarezza una valutazione di compatibilità dell’intervento con il vincolo: circostanza, questa, certamente sussistente nella fattispecie, dal momento che l’intervento è stato, dal provvedimento comunale, ritenuto compatibile con l’ambiente di inserimento, in quanto esso ricade “in zona isolata circondata da agrumeti e vigneti che ben si inserisce nel contesto ambientale”.


Il Collegio osserva che ad un esito diverso da quello prospettato, quanto all’infondatezza della censura, non potrebbe pervenirsi anche ove si ritenesse che con la medesima l’Amministrazione appellante ha, sostanzialmente, inteso contestare la possibilità che l’Amministrazione preposta alla tutela del vincolo paesaggistico rilasci l’autorizzazione ex art. 7 della legge n. 1497 del 1939 in via postuma, con riferimento alla compatibilità dell’intervento edilizio con il contesto paesaggistico oggetto di protezione, in relazione ad una istanza di sanatoria edilizia presentata ai sensi della legge n. 47 del 1985.


La Sezione ha, infatti, già affermato la legittimità delle autorizzazioni rilasciate dal Comune in via successiva ai fini della definizione del procedimento di sanatoria di cui all’art. 13 della legge n. 47 del 1985.


Posto, infatti che il provvedimento di individuazione delle bellezze paesaggistiche ed il provvedimento di sanatoria delle opere edilizie mancanti di concessione edilizia hanno, per legge, l’identico scopo, da individuare nella conformazione della proprietà privata alle esigenze collettive, secondo le prescrizioni della pubblica amministrazione per il corretto uso paesaggistico ed urbanistico del bene o del territorio, nulla osta, nella struttura della legge 28 febbraio 1985 n. 47, al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica anche in via successiva (Cons. di Stato, Sez. VI, 21 febbraio 2001 n. 912 e n. 913).


2. Anche gli ulteriori profili di doglianza formulati dall’Amministrazione appellante, con cui la stessa deduce che, nei limiti del sindacato di legittimità, ben poteva l’autorità statale stigmatizzare il difetto di motivazione dell’atto comunale poi annullato, sono privi di fondamento e devono, di conseguenza, essere disattesi.


Giova, in proposito, segnalare che con il provvedimento impugnato in primo grado il Ministero dei Beni Culturali ed Ambientali ha annullato cumulativamente una serie di autorizzazioni paesaggistiche in sanatoria rilasciate dal Comune di Amalfi adottando una unica motivazione, con riferimento ai diversi provvedimenti comunali presi in considerazione.


In particolare, per quanto riguarda l’autorizzazione paesistica rilasciata all’odierno appellato, essa ha considerato l’intervento edilizio compatibile con l’ambiente “in quanto l’intervento ricade in zona isolata circondata da agrumeti e vigneti che ben si inserisce nel contesto ambientale”.


A fronte di tale motivazione, il provvedimento ministeriale di annullamento osserva che “le motivazioni date nei succitati provvedimenti comunali non appaiono sufficienti a giustificare il rilascio della decisione positiva……. in quanto l’Autorità competente non ha tenuto conto del fatto che i manufatti abusivi in esame privi di qualità ambientale e valore architettonico contrastano notevolmente con i caratteri tipologici e formali propri dell’edilizia tradizionale del luogo, comportando il degrado del sito di altissimo valore ambientale.


Tali essendo, per un verso, la motivazione del provvedimento comunale e per l’altro quella del decreto ministeriale di annullamento, la Sezione non può che confermare quanto già fatto presente con riferimento ad altra fattispecie avente per oggetto il medesimo provvedimento ministeriale, in relazione all’annullamento di un'altra autorizzazione paesaggistica in sanatoria rilasciata nei confronti di altro soggetto, e cioè che “il provvedimento ministeriale appare carente di una motivazione specifica per il caso concreto non contraddicendo puntualmente la valutazione compiuta nel nulla osta, e contenendo affermazioni di ordine generale valevoli per una pluralità indeterminata di casi” (Cons. di Stato, Sez. VI, 29 gennaio 2002 n. 478).


Consegue da ciò che, a prescindere dalla questione se il provvedimento ministeriale abbia inteso o meno sostituire una propria valutazione di merito ambientale a quella operata dal Comune, ha rilievo assorbente il vizio di motivazione dell’atto impugnato, in quanto una motivazione puntuale e specifica per il caso concreto sarebbe stata necessaria sia per annullare il nulla osta per vizio di eccesso di potere che per annullarlo (inammissibilmente) per vizio di merito (cost. Sez. VI, n. 478 del 2002, cit.).


3. In conclusione,l’appello va respinto.


Appare, peraltro, equo disporre la compensazione delle spese di lite.


P.Q.M.


Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando, rigetta il ricorso in epigrafe.
Compensa integralmente tra le parti le spese processuali del presente grado del giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità Amministrativa.


Così deciso in Roma, in Camera di Consiglio, il 10 maggio 2002, dal Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale - Sez.VI - , con l'intervento dei Signori:
Mario Egidio SCHINAIA Presidente
Alessandro PAJNO Consigliere Est.
Luigi MARUOTTI Consigliere
Chiarenza MILLEMAGGI COGLIANI Consigliere
Pietro FALCONE Consigliere
 

M A S S I M E

 

Sentenza per esteso

 

1)  L’autorizzazioni rilasciate dal Comune in via successiva ai fini della definizione del procedimento di sanatoria di cui all’art. 13 della legge n. 47 del 1985 - carenza di una motivazione specifica - vizio di motivazione dell’atto impugnato - vizio di eccesso di potere - vizio di merito. E’ legittima l’autorizzazioni rilasciate dal Comune in via successiva ai fini della definizione del procedimento di sanatoria di cui all’art. 13 della legge n. 47 del 1985. Posto, infatti che il provvedimento di individuazione delle bellezze paesaggistiche ed il provvedimento di sanatoria delle opere edilizie mancanti di concessione edilizia hanno, per legge, l’identico scopo, da individuare nella conformazione della proprietà privata alle esigenze collettive, secondo le prescrizioni della pubblica amministrazione per il corretto uso paesaggistico ed urbanistico del bene o del territorio, nulla osta, nella struttura della legge 28 febbraio 1985 n. 47, al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica anche in via successiva (Cons. di Stato, Sez. VI, 21 febbraio 2001 n. 912 e n. 913). Nella fattispecie “il provvedimento ministeriale appare carente di una motivazione specifica per il caso concreto non contraddicendo puntualmente la valutazione compiuta nel nulla osta, e contenendo affermazioni di ordine generale valevoli per una pluralità indeterminata di casi” (Cons. di Stato, Sez. VI, 29 gennaio 2002 n. 478). Consegue da ciò che, a prescindere dalla questione se il provvedimento ministeriale abbia inteso o meno sostituire una propria valutazione di merito ambientale a quella operata dal Comune, ha rilievo assorbente il vizio di motivazione dell’atto impugnato, in quanto una motivazione puntuale e specifica per il caso concreto sarebbe stata necessaria sia per annullare il nulla osta per vizio di eccesso di potere che per annullarlo (inammissibilmente) per vizio di merito (cost. Sez. VI, n. 478 del 2002, cit.). Consiglio di Stato, sezione VI, 27 marzo 2003, sentenza n. 1592

 

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