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Legislazione giurisprudenza Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso (n. 10939/99 R.G.) proposto dal Ministero per i Beni e le Attività
Culturali, in persona del Ministro in carica, e dalla Soprintendenza per i Beni
Ambientali, Architettonici, Artistici e Storici di Salerno e di Avellino,
rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici
in Roma, via dei Portoghesi 12, sono per legge domiciliati;
contro
De Santis Vincenzo, rappresentato e difeso dall’Avv. Antonio Brancaccio, presso
il cui studio in Roma, Via Taranto n. 18, è elettivamente domiciliato.
per l'annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Campania – Sez. di
Salerno, n. 605 del 26 ottobre 1998.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Vista la memoria di costituzione in giudizio del Sig. De Santis Vincenzo;
Vista la memoria prodotta dall’appellato a sostegno delle proprie difese;
Vista l’ordinanza della Sezione n. 1654 del 22 marzo 2002;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore, alla pubblica udienza del 28 maggio 2002 il Consigliere Alessandro
Pajno, e uditi, altresì, l’Avv. dello Stato Aiello per le Amministrazioni
appellanti e l’Avv. Brancaccio per l’appellato;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
Con ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale della Campania il Dott.
Vincenzo De Santis impugnava il decreto con cui il Sovrintendente ai Beni
Ambientali, Architettonici, Artistici, Storici di Salerno ed Avellino aveva
provveduto all’annullamento, in quanto viziato da eccesso di potere sotto il
profilo della carenza di motivazione e da violazione di legge perché in
contrasto con l’art. 84, III comma, del D.P.R. n. 616 del 1977, dell’atto n.
4426 del 14 dicembre 1995, con cui il Sindaco del Comune di Castellabate aveva
espresso parere favorevole in ordine all’istanza di concessione in sanatoria
avanzata dal ricorrente ai sensi dell’art. 31 della legge n. 47 del 1985.
In particolare, il Sovrintendente rilevava che con il provvedimento del 14
dicembre 1995 il Sindaco aveva approvato “la permanenza delle suddette opere che
causano l’alterazione dei tratti caratteristici della località protetta che sono
la ragione stessa per cui la località medesima è sottoposta a vincolo ai sensi
della normativa di tutela ambientale attualmente vigente”.
Con il ricorso giurisdizionale l’interessato impugnava, unitamente al decreto
del Soprintendente di annullamento dal vincolo, il provvedimento di delega del
Direttore Generale del Ministero dei Beni Culturali Ambientali del 18 dicembre
1996 ed il decreto ministeriale del 9 giugno 1995, con il quale era stato
delegato al Direttore Generale dei Beni Culturali il potere di cui all’art. 82
del D.P.R. n. 616 del 1977, il parere del Consiglio di Amministrazione del
Ministero dei Beni Culturali del 17 dicembre 1996 e la nota della soprintendenza
di Salerno ed Avellino n. 36661 del giorno 8 febbraio 1996.
Con sentenza n. 605 del 26 ottobre 1998 il TAR della Campania accoglieva il
ricorso, ritenendo fondati il quarto, quinto e sesto motivo, con i quali erano
stati dedotti sia la violazione dell’art. 82 del D.P.R. n. 616 del 1977 che il
vizio di eccesso di potere per difetto di presupposto, di istruttoria e di
motivazione.
In particolare il Tribunale, dopo aver rilevato che il provvedimento impugnato
contestava soltanto due vizi di legittimità del parere (difetto di motivazione e
violazione dell’art. 82, terzo comma, del D.P.R. n. 616 del 1977, nel senso che
sarebbe stata realizzata una modifica del vincolo senza l’acquisizione
dell’avviso del Consiglio Nazionale per i Beni Culturali) osservava che il
parere sindacale era motivato per relationem con quello espresso dalla
Commissione Edilizia Comunale Integrata ai fini ambientali (CECI), e che il
parere del Consiglio Nazionale dei Beni Culturali era richiesto solo in caso di
revoca o modificazione del vincolo, mentre nel caso in esame si era di fronte ad
una autorizzazione sindacale che costituiva atto di puntuale gestione del
vincolo.
Il Tribunale rilevava, altresì che il provvedimento impugnato elencava una serie
di valutazioni di merito, sovrapponendo il proprio giudizio a quello dell’ente
locale, per di più operando delle considerazioni ora stereotipe e ripetitive,
ora erronee contraddittorie.
La pronuncia di primo grado è stata, adesso, impugnata con ricorso al Consiglio
di Stato dal Ministero dei Beni e le Attività Culturali e dalla Soprintendenza
di Avellino.
Le amministrazioni, dopo aver ricordato che il decreto ministeriale annullato è
fondato su due motivi (mancanza di motivazione e violazione di legge), ciascuno
dei quali autonomamente idoneo a sorreggerli, deducono, in relazione alla
violazione dell’art. 82, terzo comma, del D.P.R. n. 616 del 1977, che
apparirebbe corretto il richiamo a tale disposizione di legge, anche alla
stregua dell’indirizzo giurisprudenziale del Consiglio di Stato, e che
l’affermazione contenuta nel provvedimento si riferirebbe agli effetti di deroga
del vincolo stesso che sarebbero portati come effetti propri dell’autorizzazione
non conforme.
Per quanto riguarda il difetto di motivazione, le amministrazioni appellanti
osservano che lo Stato può esercitare il proprio controllo di legittimità sia
sotto il profilo della coerenza dell’iter logico sia sotto quello della coerenza
e adeguatezza delle determinazioni assunte rispetto agli accertamenti svolti e
ad altri elementi implicati nella valutazione, e che l’inosservanza di tale
obbligo costituirebbe motivo di annullamento.
Nel caso di specie, il TAR avrebbe ammesso che la motivazione sarebbe “sintetica
e concisa”, e che il parere della C.E.C.I. non terrebbe conto del fatto che la
modifica riguarderebbe soltanto uno dei tre villini per i quali era richiesta la
sanatoria, mentre la riqualificazione paesaggistica consisterebbe nella messa a
dimora di essenze arboree.
Le modifiche non sarebbero, peraltro, assoggettabili a sanatoria, in quanto
realizzate oltre il termine temporale di cui alla legge n. 47 del 1985.
Relativamente, infine, alla valutazione di merito che, ad avviso del TAR sarebbe
stata effettuata nella fattispecie dal Soprintendente le Amministrazioni dei
Beni Culturali deducono che qualora l’autorizzazione sindacale, rilasciata ai
sensi dell’art. 7 dalla legge n. 1497 del 1939 comporti una oggettiva deroga al
vincolo imposto, si sarebbe di fronte ad un atto illegittimo per sviamento o
travisamento. Considerato che il decreto del Soprintendente si fonderebbe anche
su tale rilievo, potrebbe affermarsi che vi sarebbe stata una valutazione di
legittimità e non di merito.
Si è costituito in giudizio l’appellato che, con apposita memoria ha dedotto
l’inammissibilità e l’infondatezza del gravame.
Con ulteriore memoria il Dott. De Santis ha ancora illustrato le ragioni che,
suo dire, condurrebbero all’inammissibilità ed all’infondatezza della
impugnazione.
Con ordinanza n. 1654 del 2002 la Sezione ha chiesto chiarimenti alla
Soprintendenza di Salerno ed Avellino sulla natura e consistenza delle opere che
sarebbero state poste in essere dopo il giorno 8 maggio 1992, e su alcune
incongruenze che nel provvedimento impugnato si assume riguarderebbero gli
elaborati grafici.
A tale richiesta istruttoria l’Amministrazione non ha ottemperato nel termine
assegnato, e comunque, prima della udienza di discussione del ricorso.
All’udienza del 28 maggio 2002 la controversia è stata posta in deliberazione.
DIRITTO
1. Nell’ordine logico deve, innanzi tutto, essere esaminata l’eccezione con cui
l’appellante deduce l’inammissibilità dell’appello, non contenendo esso una
confutazione delle circostanze dedotte dall’appellato, ed essendo, con esso,
invocato l’intervento correttivo del giudice di secondo grado sulla base della
generica ed assertiva affermazione dell’illegittimità dell’autorizzazione
paesaggistica rilasciata dal Comune.
L’eccezione è infondata. E’ noto, infatti che, ai fini dell’ammissibilità del
ricorso in appello non è necessaria la confutazione analitica e specifica degli
argomenti utilizzati nella sentenza di primo grado, essendo sufficiente proporre
tesi e considerazioni incompatibili con quelle prospettate dal giudice di primo
grado (Sez. IV, 22 maggio 2000 n. 2911; Sez. V, 16 ottobre 2001 n. 5471). Nel
caso in esame il Ministero e la Soprintendenza hanno non soltanto proposto tesi
e considerazioni incompatibili con il contenuto della decisione impugnata ma
hanno specificamente censurato sia il capo con cui il Tribunale ha ritenuto
insussistente la violazione dell’art. 82 del D.P.R. n. 616 del 1977,
(riscontrata dal Soprintendente in sede di annullamento), sia quello riguardante
il vizio della motivazione, sia infine il capo della sentenza con cui il TAR
aveva ritenuto che con il decreto del Soprintendente fosse stata posta in essere
una valutazione di merito. Con il gravame sono stati, pertanto, dedotti,
specifici motivi di impugnazione.
2. Infondato è, altresì, l’ulteriore profilo dell’eccezione, alla stregua del
quale l’appello dovrebbe essere considerato inammissibile perché non conterrebbe
alcuna contestazione dei motivi di ricorso di primo grado e perché,
sostanzialmente, reitererebbe una valutazione di merito, di non condivisibilità
del giudizio di compatibilità paesaggistica dell’ Autorità comunale. Si è visto
sopra quali siano le condizioni di ammissibilità dell’appello in relazione alla
sentenza di primo grado ed al contenuto dei motivi. Qui è il caso di aggiungere
che con il gravame l’Amministrazione non pone in essere alcuna valutazione di
merito, ma si limita a criticare le conclusioni alle quali è giunto il giudice
di primo grado.
3. Il primo profilo dell’impugnazione – con cui le Amministrazioni appellanti
censurano la sentenza di primo grado, nella parte ha ritenuto insussistente la
violazione dell’art. 82, terzo comma, del D.P.R. n. 616 del 1977, è infondato e
deve di conseguenza essere disatteso.
L’art. 82, terzo comma, del D.P.R. n. 616 del 1977 vieta ogni revoca o
modificazione dei provvedimenti dichiarativi del notevole interesse pubblico
dell’immobile, con conseguente sottoposizione del medesimo al regime di tutela
paesaggistica, in assenza della previa acquisizione del parere del Consiglio
Nazionale per i Beni culturali. Nel caso in esame l’Amministrazione comunale si
è limitata ad esprimere il proprio avviso, in ordine al rilascio di una
concessione edilizia in sanatoria nei confronti dell’odierno appellante,
valutando positivamente la compatibilità della realizzazione dell’opera con le
esigenze paesaggistiche della zona. Di conseguenza, non essendovi stata, nella
fattispecie, né una revoca né una modificazione della dichiarazione di
particolare interesse della zona sotto il profilo paesaggistico, la quale
comporta un regime di tutela “relativo” sotto il profilo del contenuto,
consistente appunto, nell’onere di munirsi dell’autorizzazione per chi intenda
effettuare interventi modificativi dello stato dei luoghi (e, per quanto
riguarda il procedimento di sanatoria, del parere di compatibilità dell’opera
realizzata con i valori tutelati), la norma appare erroneamente invocata e
inidonea a sorreggere il disposto annullamento (Sez. VI, 6 ottobre 1998 n.
1348).
Ed infatti, la tesi secondo cui l’autorizzazione regionale rilasciata senza una
adeguata valutazione dell’impatto paesaggistico – ambientale dell’intervento si
porrebbe in violazione dell’art. 82, terzo comma, del D.P.R. n. 616 del 1977
apparirebbe sostenibile ove si accogliesse la tesi della natura sostanzialmente
vincolata del provvedimento autorizzatorio e della conseguente assenza di potere
discrezionale in capo all’ autorità emanante. Come è stato precisato, solo
ritenendo che i criteri ed i parametri di compatibilità con l’interesse
paesaggistico siano già compiutamente predeterminati ovvero oggettivamente
determinabili con riferimento al contenuto dichiarativo del vincolo ed alle
caratteristiche del bene tutelato, di modo che non resterebbe
all’Amministrazione che un mero accertamento al riguardo, potrebbe configurarsi
l’autorizzazione rilasciata in base a valutazioni ritenute erronee, secondo il
giudizio dell’organo di controllo, come una violazione di norme tecniche
obiettivamente vincolanti, e, di conseguenza, come una sostanziale revoca o
modificazione implicita del vincolo paesaggistico e del suo contenuto.
Tale tesi, peraltro, oltre ad apparire in contrasto con la natura relativa del
vincolo, è nettamente smentita, come è stato esattamente affermato (Sez. VI, n.
1348 del 1998, cit..), dalla costante giurisprudenza amministrativa che ha
escluso la sindacabilità nel merito, da parte dell’autorità ministeriale, delle
valutazioni espresse da parte dell’organo regionale. Tale consolidato indirizzo
giurisprudenziale presuppone, logicamente, l’esistenza di un potere
discrezionale in senso proprio, e non limitato al mero accertamento tecnico, in
capo all’Autorità emanante, poiché, se si trattasse di un mero accertamento
tecnico, questo non potrebbe sottrarsi al sindacato di legittimità dell’organo
di controllo statale, fornito di specifica competenza al riguardo (Sez. VI, n.
1348 del 1998, cit.).
Le valutazioni effettuate dall’Amministrazione – nella specie, quella comunale –
in sede di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica sono, dunque, espressione
di un apprezzamento discrezionale sulla compatibilità dell’interessato rispetto
al quale si richiede la sanatoria con l’interesse pubblico, che può essere
difforme dalle valutazioni dell’organo statale di controllo, senza per questo
configurarsi come violazione di regole tecniche derivanti dal regime di tutela
paesaggistica generante sul bene: con conseguente infondatezza della dedotta
violazione dell’art. 82, terzo comma, del D.P.R. n. 616 del 1977.
Le stesse Amministrazioni appellanti deducono peraltro che l’affermazione
dell’Amministrazione si riferirebbe agli effetti di deroga al vincolo, “che
sarebbero portati come effetti propri della autorizzazione non conforme, e,
dunque, non rispettosa del vincolo medesimo”. Tali affermazioni finiscono, in
realtà, con l’evidenziare l’infondatezza e comunque l’irrilevanza della asserita
violazione dell’art. 82 del D.P.R. n. 616 del 1977; è palese, infatti che, ove
ci si trovi di fronte ad una “autorizzazione non conforme” al vincolo, ed agli
effetti di questa, si è dinanzi ad un possibile illegittimo esercizio del potere
autorizzatorio, e non ad una modificazione del vincolo paesaggistico.
4. Infondato è, poi, anche il secondo profilo dell’impugnazione, con cui il
Ministero dei Beni e le Attività Culturali e la Soprintendenza di Salerno ed
Avellino sostanzialmente deducono che erroneamente il Tribunale avrebbe ritenuto
insussistente la carenza di motivazione del provvedimento comunale, riscontrata,
invece, dal Soprintendente con il decreto di annullamento.
In proposito deve, infatti essere ribadito che il provvedimento comunale appare,
motivato per relationem con il parere espresso nella seduta del 7 dicembre 1995
dalla Commissione edilizia Comunale Integrata (CECI).
In tale occasione la Commissione aveva espresso il proprio parere favorevole
sulla istanza di concessione in sanatoria dell’odierno appellato, “in quanto la
nuova proposta progettuale riqualifica l’aspetto esteriore dei fabbricati e si
inserisce nel paesaggio migliorandolo in un area già urbanizzata”.
Nel far proprio integralmente il parere della C.E.C.I. il Sindaco del Comune di
Castellabate ha, pertanto, dato, in primo luogo atto che si era di fronte ad una
nuova proposta progettuale. Deve, in proposito essere ricordato che, come
risulta dagli atti del giudizio e come è espressamente riferito dal De Santis,
sia nella memoria di costituzione in appello che nel ricorso di primo grado, un
primo parere favorevole del Sindaco, ai fini di cui all’art. 32 della legge n.
47 del 1985, espresso con atto del 27 settembre 1991 era stato annullato con
decreto del Ministro dei Beni Culturali del giorno 8 maggio 1992. Avendo,
peraltro, il De Santis richiesto, con istanza del 4 gennaio 1993, un nuovo
parere di compatibilità paesaggistica, a seguito della valutazione positiva
espressa dalla Soprintendenza su di una istanza di condono presentata dalla
Sig.ra Pucciarelli Silvana relativamente ad una “villetta gemella” a suo tempo
realizzata su una base di un unico progetto comprendente anche le tre villette
di proprietà dell’odierno appellato, ed alle quali si riferiscono gli abusi
edilizi oggetto della domanda di sanatoria, il Sindaco si esprimeva
favorevolmente con atto del 20 luglio 1995, ma tale determinazione veniva
annullata con decreto del 15 settembre 1995 dal Direttore Generale del Ministero
dei Beni Culturali ed Ambientali.
A seguito di tale nuovo annullamento, l’interessato procedeva a modificare il
progetto originario, riducendo le opere abusive con l’interramento di una parte
abusiva e con una ulteriore riqualificazione paesaggistica consistente nella
messa a dimora di idonee essenze arboree.
Di tale modificazione hanno appunto preso atto sia la Commissione edilizia che
il Sindaco, facendo riferimento ad una “nuova proposta progettuale”.
Il Sindaco ha, poi, osservato, con la determinazione poi annullata con il
provvedimento ministeriale, che la nuova proposta progettuale “riqualifica
l’aspetto esteriore dei fabbricati e si inserisce nel paesaggio migliorandolo in
un area già urbanizzata”.
Viene, in tal modo, espressa una valutazione positiva circa l’aspetto dei
fabbricati risultante dal nuovo progetto, e viene, altresì, posto in luce come
la realizzazione del nuovo progetto risulti migliorativo del contesto di
inserimento : un contesto, peraltro, già urbanizzato, come risulta confermato
dalla perizia giurata depositata in atti dall’appellato, e non contestata
dall’Amministrazione.
Alla stregua di quanto sopra esposto, risulta evidente l’insussistenza del vizio
di difetto di motivazione, riscontrato invece in sede di controllo ministeriale
con il decreto del 10 luglio 1997, adottato dal Soprintendente su delega del
direttore Generale del Ministero. La determinazione sindacale – che ha fatto
proprio il parere della Commissione edilizia comunale – mette, infatti, in luce,
la novità del progetto preso in considerazione, il miglioramento dell’aspetto
degli immobili ad esso conseguente, l’inserimento nel contesto più generale, e
la situazione dell’area in cui esso si inserisce (si tratta come si è visto, di
un area già urbanizzata).
In una situazione del genere, che evidenzia sia l’iter logico seguito sia gli
elementi presi in considerazione ai fini della valutazione, non possono, in
alcun modo, essere ritenute decisive le osservazioni prospettate dalle
Amministrazioni con l’atto di appello, volte a contestare la coerenza e
l’adeguatezza delle determinazioni assunte, alla stregua delle quali il parere
espresso dal Sindaco non terrebbe conto del fatto che la modificazione
riguarderebbe solamente uno dei tre villini per i quali era stata richiesta
l’autorizzazione paesaggistica, mentre la riqualificazione consisterebbe nella
messa a dimora di essenze arboree.
In proposito pare sufficiente osservare che con il provvedimento di annullamento
a firma del Soprintendente era stato ritenuto insussistente il vizio di carenza
di motivazione, e non quello di contraddittorietà della medesima o di
inadeguatezza in relazione alle valutazioni tecniche effettuate, sicchè le
affermazioni contenute nell’atto di appello si risolvono in una inammissibile
integrazione postuma, in sede giudiziaria, del provvedimento di annullamento.
Deve, comunque, essere osservato che la circostanza che la modifica proposta
riguardi l’interramento del piano abusivo di uno dei tre villini (il terzo) non
esclude che si sia di fronte a nuove soluzioni progettuali (e di ciò dà atto lo
stesso decreto di annullamento del Soprintendente, che fa riferimento ad una
“riduzione in parte” dell’intervento di completamento) suscettibile di
valutazione positiva da parte del Comune.
Quanto, infine, alla messa a dimora di idonee essenze arboree come intervento di
riqualificazione, pare sufficiente ricordare che, come risulta dalla
documentazione prodotta in atti dal De Santis, la domanda di condono riguardante
il fabbricato della Sig. Pucciarelli Silvana ha conseguito il parere favorevole
della C.E.C.I con la condizione che l’area esterna venisse sistemata a verde.
Sul parere favorevole espresso dal Comune nei riguardi di tale concessione in
sanatoria la Soprintendenza di Salerno ed Avellino, come afferma l’appellato e
come non è contestato dalle Amministrazioni, non ha ritenuto di esercitare il
proprio potere di annullamento.
5. Con ordinanza n. 1654 del 2002 la Sezione aveva chiesto alla Soprintendenza
per i Beni Ambientali, Architettonici, Artistici e Storici di Salerno ed
Avellino chiarimenti in ordine sia alla natura e consistenza delle opere che si
assumevano effettuate dall’appellato successivamente al giorno 8 maggio 1992,
che alla natura di alcune incongruenze negli elaborati grafici segnalate nelle
premesse del provvedimento di annullamento a firma del Soprintendente.
A tale ordinanza l’Amministrazione non ha adempiuto, né nel termine con la
stessa assegnato, né, comunque prima dell’udienza di discussione del ricorso (i
chiarimenti richiesti sono pervenuti dopo la discussione e la deliberazione del
ricorso in appello), sicchè il Collegio, in relazione alle questioni cui la
richiesta di chiarimenti si riferiva, non può che rifarsi a quanto in proposito
affermato dall’appellato, ritenendo, in presenza di una istruttoria non
adempiuta ed in applicazione della regola di giudizio di cui all’art. 116 c.p.c.
considerare per provati i fatti affermati dal medesimo appellato. E’ noto,
infatti, che il comportamento dell’Amministrazione di inottemperanza ad un
incombente istruttorio ordinato dal giudice può essere valutato come elemento di
prova a favore del ricorrente privato (Sez. VI, 21 maggio 2001 n. 2784) e che,
in presenza di una istruttoria disposta e non adempiuta da parte della pubblica
Amministrazione, il giudice amministrativo può dare per provati i fatti
affermati dalla parte privata, ove tale conclusione non si ponga in contrasto
con altri fatti rilevabili dagli atti di causa.
Deve, pertanto, ritenersi, conformemente a quanto affermato dall’appellato con
la memoria di costituzione, che le opere realizzate dall’interessato, e
richiamate in uno dei “considerato” dei provvedimenti di annullamento, siano
opere di mera manutenzione degli immobili, peraltro regolarmente assentite dal
Sindaco di Castellabate (si veda l’autorizzazione sindacale del 3 agosto 1992
prodotta in atti dall’appellato).
Quanto, poi, alle pretese incongruenze degli elaborati grafici, richiamate nelle
premesse del decreto di annullamento, si deve osservare, conformemente a quanto
fatto presente dall’appellante, che la relativa affermazione è del tutto
generica, e che essa sembra, non tener conto – come ha osservato l’appellato con
la propria memoria di costituzione .- del fatto che nella fattispecie si è di
fronte a modifiche progettuali riduttive delle opere abusive.
Si deve, peraltro, osservare che lo stesso provvedimento impugnato non sembra
attribuire specifica rilevanza alle circostanze sopra indicate: come risulta
evidente dal fatto che con esso il Soprintendente, dopo aver richiamato nelle
premesse tali circostanze, ha tuttavia espressamente fatto presente che il
provvedimento comunale appariva viziato sotto il profilo della carenza di
motivazione e da violazione di legge per contrasto con l’art. 82, terzo comma,
del D.P.R. n. 616 del 1977.
6. Con l’ultimo profilo di doglianza le Amministrazioni appellanti, nel
censurare il capo della sentenza di primo grado con cui si afferma che con il
provvedimento ministeriale di annullamento sarebbero state effettuate alcune
valutazioni di merito, deducono che, poiché il predetto provvedimento
ministeriale si fonderebbe sul rilievo in base al quale l’autorizzazione
sindacale ai sensi dell’art. 7 della legge n. 1497 del 1939, comportando una
oggettiva deroga al contenuto del vincolo imposto, si risolverebbe in un atto
illegittimo per sviamento o travisamento, potrebbe affermarsi che con esso si
sarebbe avuta una valutazione di legittimità e non di merito.
Il rilievo è infondato, e non può, pertanto, trovare accoglimento.
Per un verso, infatti, le affermazioni delle Amministrazioni appellanti non
provano in alcun modo che con il provvedimento impugnato in primo grado
l’Autorità statale si sia limitata a porre in essere soltanto un sindacato di
legittimità, senza introdurre anche inammissibili profili di valutazione di
merito; per l’altro, tali affermazioni non hanno concreto riferimento a quei
profili del provvedimento impugnato che il primo giudice ha preso in
considerazione per dedurne che, con il decreto di annullamento l’Amministrazione
statale aveva, in qualche modo, sostituito il proprio apprezzamento
discrezionale a quello dell’ Autorità comunale.
Non può, infatti, essere posto in dubbio che, allorquando si dice, come ha fatto
la Soprintendenza, che “l’autorità decidente con il provvedimento in esame
approva la permanenza delle suddette opere che causano l’alterazione dei tratti
caratteristici della località protetta che sono la ragione stessa per cui la
località medesima è sottoposta a vincolo ai sensi della normativa di tutela
ambientale attualmente vigente”, si è di fronte ad una affermazione che si
risolve in un vero e proprio giudizio tecnico discrezionale, di segno opposto a
quello espresso dal Comune, e che ad esso si sostituisce.
7. In conclusione, l’appello proposto dal Ministero e dalla Soprintendenza di
Salerno ed Avellino deve essere respinto, con conseguente conferma della
sentenza di primo grado.
Le spese di giudizio possono essere compensate.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente
pronunciando, respinge l’appello in epigrafe, con conseguente conferma della
impugnata sentenza di primo grado.
Compensa tra le parti le spese processuali
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità Amministrativa.
Così deciso in Roma, in Camera di Consiglio il 28 maggio 2002 dal Consiglio di
Stato, in sede giurisdizionale - Sez.VI - , con l'intervento dei Signori:
Mario Egidio SCHINAIA Presidente
Alessandro PAJNO Consigliere Est.
Chiarenza MILLEMAGGI COGLIANI Consigliere
Giuseppe MINICONE Consigliere
Rosanna DE NICTOLIS Consigliere
1) Rilascio dell’autorizzazione paesaggistica - la sindacabilità nel merito, da parte dell’autorità ministeriale, delle valutazioni espresse da parte dell’organo regionale - potere discrezionale - mero accertamento tecnico - infondatezza. La costante giurisprudenza amministrativa (Sez. VI, n. 1348 del 1998, cit..), ha escluso la sindacabilità nel merito, da parte dell’autorità ministeriale, delle valutazioni espresse da parte dell’organo regionale. Tale indirizzo giurisprudenziale presuppone, logicamente, l’esistenza di un potere discrezionale in senso proprio, e non limitato al mero accertamento tecnico, in capo all’Autorità emanante, poiché, se si trattasse di un mero accertamento tecnico, questo non potrebbe sottrarsi al sindacato di legittimità dell’organo di controllo statale, fornito di specifica competenza al riguardo (Sez. VI, n. 1348 del 1998, cit.). Le valutazioni effettuate dall’Amministrazione – nella specie, quella comunale – in sede di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica sono, dunque, espressione di un apprezzamento discrezionale sulla compatibilità dell’interessato rispetto al quale si richiede la sanatoria con l’interesse pubblico, che può essere difforme dalle valutazioni dell’organo statale di controllo, senza per questo configurarsi come violazione di regole tecniche derivanti dal regime di tutela paesaggistica generante sul bene: con conseguente infondatezza della dedotta violazione dell’art. 82, terzo comma, del D.P.R. n. 616 del 1977. Consiglio di Stato Sezione VI, del 27 marzo 2003 sentenza n. 1594
2) Inottemperanza ad un incombente istruttorio ordinato dal giudice da parte della Pubblica Amministrazione - elemento di prova a favore del ricorrente. Il comportamento dell’Amministrazione di inottemperanza ad un incombente istruttorio ordinato dal giudice può essere valutato come elemento di prova a favore del ricorrente privato (Sez. VI, 21 maggio 2001 n. 2784) e che, in presenza di una istruttoria disposta e non adempiuta da parte della pubblica Amministrazione, il giudice amministrativo può dare per provati i fatti affermati dalla parte privata, ove tale conclusione non si ponga in contrasto con altri fatti rilevabili dagli atti di causa. Consiglio di Stato Sezione VI, del 27 marzo 2003 sentenza n. 1594
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