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Legislazione  giurisprudenza                                                      Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso


 

 Massime della sentenza

 

 

Consiglio di Stato, Sezione IV del 17 gennaio 2003, n. 160 .

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente

D E C I S I O N E

sul ricorso in appello n. 4804/2002 proposto da Regione Lazio, in persona del Presidente della giunta regionale in carica, già commissario delegato per l’emergenza rifiuti a Roma e provincia rappresentata e difesa dagli Avvocati Roberto Nania e Renato Marini, domiciliato in Roma, presso lo studio del primo difensore, via Carlo Poma, 2;

contro

E. Giovi S.r.l., rappresentata e difesa dall’avvocato Avilio Presutti domiciliata in Roma, presso il suo studio in Roma Piazza S. Salvatore in Lauro, 10;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio Sez. I, ter del 17/05/2001, n. 4188 resa inter partes.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di E. Giovi S.r.l.

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Data per letta, alla pubblica udienza del 26/11/2002, la relazione del consigliere Bruno Mollica:

Uditi altresì gli avvocati R. Nania e R. Marini e A. Presutti;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

F A T T O

Con ricorso al tribunale amministrativo regionale del Lazio la E. Giovi S.r.l., gestore dell’impianto di discarica sito in Roma, località Malagrotta ha impugnato il provvedimento del Presidente della giunta regionale del Lazio, nella qualità di commissario delegato per l’emergenza rifiuti, n. 79 in data 2 settembre 1999 concernente il conferimento di rifiuti soliti urbani presso la discarica medesima, nella parte in cui consente attività dell’impianto per un semestre limitatamente al lotto F e al sub-lotto L1, subentrando l’utilizzo del sub-lotto L2 ad una completa impermeabilizzazione.

Il TAR adito ha definito il giudizio con sentenza 17/05/2001 n.4188, accogliendo il gravame in ragione della ritenuta perdurante efficacia dell’autorizzazione provinciale n. 539 del 29 luglio 1988 e dell’illegittimità dell’imposizione dell’obbligo di impermeabilizzazione del fondo e delle pareti del sub-lotto L2 sotto il profilo della carenza istruttoria e della violazione del canone di partecipazione, e dichiarando l’inammissibilità della domanda di risarcimento danni per genericità e difetto di prova.

Avverso tale sentenza propone appello la regione Lazio in persona del presidente della giunta regionale in carica, già commissario delegato per l’emergenza rifiuti di Roma e provincia e, premessa una dettagliata esposizione delle vicende sottese all’emanazione del provvedimento impugnato in primo grado, deduce l’erroneità della sentenza TAR alla stregua delle seguenti censure:

1- violazione e falsa applicazione dell’articolo 57 decreto legislativo n. 22/1997, nonché dei princìpi in materia di procedimento amministrativo, di legalità e di tipicità degli atti; error in judicando per illogicità manifesta e travisamento dei fatti.

Sostiene l’appellante che il giudice di primo grado ha errato nel ritenere che l’autorizzazione provinciale del 1988 fosse ancora operativa alla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 22/1997, come tale assoggettato a proroga automatica ex art. 57 del decreto medesimo, trattandosi invece di mera autorizzazione provvisoria destinata ad avere durata limitata, anche alla luce della disposizione di cui all’articolo 31, coma 4, del decreto legislativo n. 915/1982; sarebbe altresì irrilevante, ad avviso dell’amministrazione, l’omessa indicazione, nel provvedimento, di un termine di scadenza, essendo applicabile nella specie il termine di sei mesi, ex articolo 31 cit. quale tempo massimo per l’adozione del provvedimento di autorizzazione definitiva; diversamente, si sarebbe in presenza di un provvedimento non riconducibile alla tipologia della autorizzazione provvisoria, adottato in concreto difetto di potere, e quindi di una mera parvenza di atto, non riferibile ad alcuno schema legale.

Secondo l’appellante, la società E. Giovi S.r.l. avrebbe avuto titolo tutt’al più, ad ottenere una ulteriore autorizzazione provvisoria con scadenza ad un anno dal rilascio, ai sensi dell’articolo 19 della Legge regionale n. 53/1986, ma non sarebbe comunque configurabile, nella specie, una autorizzazione definitiva.

La proroga ex decreto legislativo n. 22/1997 non sarebbe stata comunque applicabile, in quanto l’autorizzazione sarebbe estinta per esaurimento dell’oggetto, (lotti B e C) cui essa era riferita.

2- Error in judicando per erronea interpretazione della portata dell’atto amministrativo, la determinazione provinciale del 1988 che va intesa in connessione con la precedente determinazione n. 21/1997, che contiene l’indicazione delle porzione di discarica utilizzabili; il TAR avrebbe quindi errato nel considerare quale oggetto dell’autorizzazione provinciale, l’intera area di pertinenza della discarica di Malagrotta.

3- Ancora violazione e falsa applicazione dell’articolo 57 decreto legislativo n.22/1997; in subordine, questione di legittimità costituzionale a carico della citata disposizione legislativa. La proroga ex articolo 57 decreto legislativo n.22/1997 sarebbe riferibile esclusivamente alle autorizzazioni dotate del tratto della definitività, e non già a quelle provvisorie; per il caso di contraria interpretazione, viene sollevata questione di legittimità costituzionale, con riferimento agli articoli 3, 9, 32 e 97 della Costituzione, dell’articolo 57, comma 3, del decreto legislativo n. 22/1997.

4- A- error in judicando per violazione e falsa applicazione della legge n. 241/1990 con riferimento ai principi e agli istituti della partecipazione al procedimento;

B- erronea valutazione nelle risultanze dell’istruttoria amministrativa regionale;

C- eccesso di potere giurisdizionale.

Quanto all’imposizione dell’obbligo di impermeabilizzazione del sub lotto L2, sostiene l’appellante che non è configurabile alcuna violazione del canone di partecipazione, in quanto l’autorizzazione regionale annullata dal TAR evadeva apposita domanda della società E. Giovi S.r.l. e, comunque, si autoqualificava come ordinanza contingibile ed urgente; la E. Giovi S.r.l. avrebbe inoltre partecipato attivamente a tutto il procedimento realizzando l’instaurazione di un effettivo contraddittorio; sarebbero sufficienti anche delle mere “perplessità” a supportare la determinazione gravata in prime cure, in una materia come quella della prevenzione degli inquinamenti ambientali; la sentenza impugnata avrebbe altresì censurato scelte di merito effettuate dall’amministrazione in vista della prevenzione di possibili inquinamenti, che sarebbero in ogni caso ragionevoli e plausibili nonché congruamente motivate.

5- Inammissibilità del ricorso di primo grado.

La società E. Giovi S.r.l. avrebbe riconosciuto per fatti concludenti la carenza dei titoli in suo possesso, sottomettendosi spontaneamente al nuovo procedimento inteso alla regolarizzazione della propria posizione ed omettendo di impugnare atti che confermavano il carattere precario della posizione medesima.

L’amministrazione appellante chiede, in conclusione, l’annullamento e/o la riforma della sentenza impugnata in ogni sua parte ad eccezione del capo relativo al risarcimento danni, sul quale l’odierno appellato è rimasto soccombente, con conseguente reiezione del ricorso di primo grado in quanto inammissibile in rito e comunque infondato nel merito.

Resiste al ricorso la società E. Giovi che eccepisce preliminarmente l’inammissibilità dell’impugnativa sotto diversi profili; difetto di legittimazione attiva della regione Lazio; violazione del divieto di disapplicazione dei provvedimenti amministrativi; carenza d’interesse in ragione della sopravvenienza della autorizzazione definitiva (decreto n. 154 del 12/12/2001) e del passaggio in giudicato del capo di pronunzia relativo al risarcimento danni per mancata impugnazione dell’appellato (questione comunque estranea alla sfera soggettiva della Regione Lazio in quanto riferibile alla gestione commissariale). Nel merito, l’appellato contesta analiticamente e diffusamente i motivi di appello, chiedendo, in conclusione, la declaratoria di inammissibilità del gravame o il rigetto dello stesso nel merito.

Con memoria difensiva l’appellante illustra ulteriormente la prospettazione contenuta nell’atto introduttivo e, all’udienza di discussione, insiste sui profili di inammissibilità del ricorso di primo grado già esposti nel detto atto, deducendo altresì l’omessa notifica del ricorso stesso al Ministero delegante.

Sentito all’udienza medesima il difensore per la parte appellata la causa è stata ritenuta in decisione.

D I R I T T O

1- Come enunciato nella pregressa esposizione in fatto, la E. Giovi S.r.l. gestore dell’impianto di discarica sito in Roma, località Malagrotta, ha impugnato in primo grado il provvedimento del Presidente della Giunta Regionale del Lazio, nella qualità di Commissario delegato per l’emergenza rifiuti, n. 79 in data 2 settembre 1999, concernente il conferimento di rifiuti solidi urbani presso la discarica medesima, nella parte in cui consente l’attività dell’impianto per un semestre limitatamente al lotto F e al sub-lotto L1, subordinando l’utilizzo del sub-lotto L2 ad una completa impermeabilizzazione.

Il TAR adito ha accolto il gravame nell’assunto della perdurante operatività dell’autorizzazione del Presidente della Provincia di Roma n. 539 del 29 luglio 1988 e della illegittimità dell’obbligo di impermeabilizzazione del fondo e delle pareti del sub-lotto L2 sotto il profilo della carenza istruttoria e della violazione del canone di partecipazione; ha nel contempo dichiarato l’inammissibilità della domanda di risarcimento danni per genericità e difetto di prova. Le conclusioni del giudice di prime cure sono contestate in questa sede dalla Regione Lazio in persona del Presidente della Giunta Regionale in carica, già Commissario delegato per l’emergenza rifiuti di Roma e Provincia ad eccezione del capo di sentenza relativo al risarcimento danni, sul quale l’odierno appellato è rimasto soccombente; viene altresì dedotta l’inammissibilità del ricorso di primo grado.

2 – L’appellata società E. Giovi eccepisce l’inammissibilità del ricorso in appello sotto diversi profili, analiticamente indicati in narrativa.

Ragioni di economia processuale esimono peraltro il collegio dalla trattazione delle invero numerose e complesse questioni preliminari proposte, attesa la non fondatezza della prospettazione contenuta nell’atto di appello.

3 - Precede, in ordine logico, l’esame dei dedotti profili di inammissibilità del ricorso di primo grado. La società E. Giovi avrebbe riconosciuto per fatti concludenti ad avviso dell’appellante la carenza dei titoli in suo possesso, sottomettendosi spontaneamente al nuovo procedimento inteso alla regolarizzazione della propria posizione ed omettendo di impugnare atti che confermavano il carattere precario della posizione medesima (nota della Regione Lazio, UTVRA, 21/05/1998, prot. N.1982 e ordinanza sindacale n. 64 del 2 maggio 1999).

L’assunto appare privo di pregio.

La E. Giovi S.r.l. è certamente titolare di una autorizzazione “provvisoria” alla gestione dell’impianto di discarica per cui è causa, giusta precitata determinazione del presidente della Provincia di Roma n. 539 del 29 luglio 1988 (confronta successivo punto 4); e che il titolare di una autorizzazione palesemente non definitiva si assoggetti al procedimento di regolarizzazione della propria posizione non costituisce acquiescenza.

Di alcuna rilevanza si palesava quindi, per l’odierno appellato, la nota n. 1982/1998, che si colloca, nel quadro della detta “normalizzazione delle autorizzazioni”; né l’omessa impugnazione dell’ordinanza contingibile ed urgente a tutela della salute della cittadinanza, emessa dal Sindaco di Roma (n. 64/1999), preclude ex se l’interesse ad impugnare la successiva determinazione del Commissario delegato per l’emergenza rifiuti n. 79 del 2 settembre 1999, attesa la limitazione ad un periodo di sei mesi delle prescrizioni contenute nella ordinanza medesima.

Irrituale, in quanto proposto in sede di udienza di discussione e non quale motivo di appello -e come, tale inammissibile- si palesa infine la doglianza relativa alla omessa notifica del ricorso di primo grado al ministero delegante.

4 - Nel merito, l’appello investe, in primo luogo la ritenuta (dal TAR) operatività alla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 22/1997 – come tale assoggettato a proroga automatica ex articolo 57 del decreto medesimo- della autorizzazione rilasciata dal Presidente della Provincia nel 1988.

L’assunto del primo giudice deve essere condiviso.

La detta autorizzazione, emessa dichiaratamente nelle more del rilascio e dell’approvazione, da parte dell’organo di controllo, dell’autorizzazione definitiva, essendo la discarica “nelle condizioni tecniche ed amministrative per essere autorizzata in via definitiva”, è certamente “provvisoria”, preannunciando un successivo atto conclusivo del procedimento iniziato con la domanda della società in data 15 maggio 1987 (e non certo in ragione del rinvio della determinazione n. 21 del 1 aprile 1987, limitato a quanto nella medesima “imposto”, e quindi alle sole prescrizioni in essa contenute).

Ma, pur nella connotazione di provvisorietà, l’autorizzazione del 1988 non contempla alcuna previsione di scadenza delle determinazioni con essa adottate.

Ed un provvedimento che non rechi una espressa indicazione di termine finale- o che, per sua natura, non abbia effetti limitati nel tempo (e non è il caso che ne occupa)- è destinato ad operare finché non venga rimosso dalla realtà giuridica ad opera di un successivo provvedimento amministrativo o di un atto di rango superiore.

L’appellante sostiene che una categoria di autorizzazioni provvisorie non può che avere durata limitata nel tempo, giusta altresì il disposto dell’articolo 31 del decreto legislativo n. 915/1982; donde la estraneità al sistema normativo reale di una siffatta categoria provvedimentale.

Osserva il collegio che è ben vero che l’articolo 31 del precitato decreto prevede il rilascio di autorizzazione provvisoria, con durata limitata, eventualmente rinnovabile, per il caso che l’amministrazione non rilasci entro sei mesi l’autorizzazione definitiva; ma ciò implica che l’autorizzazione provvisoria rilasciata rechi l’indicazione di durata, e non altro; indicazione di durata che nella specie manca: donde l’inconferenza del richiamo.

Richiamo palesemente non pertinente anche laddove si pretende di far discendere, dal disposto dell’articolo 31 cit. l’ulteriore conseguenza, in ogni caso, di una efficacia temporale “intrinsecamente limitata” all’ulteriore periodo di sei mesi contemplato in sede legislativa quale tempo massimo per l’adozione del provvedimento di autorizzazione definitiva. La norma prevede ben altro: il mancato rilascio entro sei mesi dell’autorizzazione definitiva non comporta il rilascio di una autorizzazione provvisoria per un “ulteriore periodo di sei mesi”, come erroneamente ritenuto dall’appellante, bensì il rilascio di una autorizzazione provvisoria “con durata limitata”, eventualmente rinnovabile.

La non accettazione, sul piano concettuale, di una tipologia di atto provvisorio privo di termine finale e, come tale, di perdurante efficacia conduce l’appellante a prefigurare nell’autorizzazione del 1988, una mera “parvenza di atto”, con conseguente inapplicabilità del beneficio di cui al decreto “Ronchi”; l’esposto orientamento del collegio sul punto rende ragione della non con divisibilità dell’assunto.

5- Sostiene ancora l’appellante, per il caso che il procedimento di autorizzazione si ritenga favorevolmente concluso per la società appellata, che quest’ultima avrebbe avuto titolo, tutt’al più, ad una mera autorizzazione con scadenza ad un solo anno dal rilascio, per effetto dell’articolo 19 L. reg. n. 52/1986: la ritenuta riconducibilità della determinazione del 1988 nel quadro della autorizzazione provvisoria rende ultronea e, comunque parimenti non condivisibile tale tesi.

Sotto diverso profilo, si sostiene che l’autorizzazione del 1988 si sarebbe estinta per esaurimento dell’oggetto, e cioè dei lotti B e C, indicati nella determinazione n. 21 del 1 aprile 1987, richiamata nella detta autorizzazione.

La prospettazione è destituita di fondamento.

Per l’ipotesi di esaurimento dei settori di esercizio B e C, è la stessa determinazione n. 21 a stabilire invero la prosecuzione dell’attività su un altro settore individuato dalla stessa società E. Giovi S.r.l.

6- Sulla individuazione dei settori di esercizio insiste l’appellante col secondo motivo: per il TAR, sostiene l’appellante, l’autorizzazione provinciale avrebbe avuto ad oggetto l’intera area di pertinenza della discarica; sicché per il giudice di primo grado sarebbe illegittimo il provvedimento impugnato (anche nella parte in cui consente l’utilizzo dell’impianto in maniera parziale).

La portata della decisione del primo giudice necessita di essere chiarita sotto tale profilo, alla stregua degli atti versati in giudizio e dal medesimo considerati e conseguentemente fatta oggetto di specifica statuizione nei termini che seguono. Si è già detto che la determinazione n.21 del 1 aprile 1987 richiamata dalla determinazione n. 539 del 29 luglio 1988, nel determinare l’area di smaltimento dei rifiuti si riferisce ai lotti B e C, demandando alla società di gestione la individuazione di altri settori idonei per le ipotesi di esaurimento dei lotti medesimi. Le successive vicende relative alla capienza e all’esercizio della discarica conducono all’individuazione, nel 1999, di due soli lotti “attualmente in coltivazione” (lotti F ed I, questa ordinanza sindacale n. 64 del 2 maggio 1999 non impugnata sul punto specifico della definizione dei lotti “in coltivazione” dalla E. Giovi S.r.l. e, come tale, incontestabile quanto alla situazione di fatto rilevata).

A tali lotti “in esercizio (F ed L, quest’ultimo indicato come I nell’ordinanza sindacale, e poi suddiviso in L1 ed L2) si riferisce espressamente la determinazione n. 79/1999, impugnata in primo grado; resta escluso dall’attività di discarica, secondo tale determinazione, il sub-lotto L2, se non previa impermeabilizzazione in maniera completa: a tale esclusione si riferisce il primo giudice laddove sancisce l’illegittimità del provvedimento n. 79/1999 nella parte in cui consente l’utilizzo dell’impianto “in maniera parziale” (e cioè relativamente ai soli lotti F ed L1) né poteva riferirsi ad altri ambiti alla stregua della concatenazione logica tra autorizzazione provvisoria ed area in esercizio.

7- Sostiene ancora l’appellante che l’articolo 57 del decreto legislativo 5 febbraio 1997 n. 22 sarebbe riferibile esclusivamente alle autorizzazioni dotate del tratto della definitività e non già alle autorizzazioni provvisorie.

Va ricordato che l’art 57 cit. stabilisce che le autorizzazioni rilasciate ai sensi del D.P.R. n. 915/1982 “restano valide fino alla loro scadenza e comunque non oltre il termine di anni quattro dalla data di entrata in vigore del presente decreto”. La norma non reca alcuna espressa differenziazione di disciplina tra le autorizzazioni definitive e quelle provvisorie: la mancata esplicita esclusione di queste ultime; il riferimento alla operatività fino alla “scadenza” (che è tipica, seppure non esclusiva delle autorizzazioni provvisorie); l’evidente finalità di temporanea prosecuzione della situazione in essere, purché in presenza di un titolo autorizzatorio, in vista della ridefinizione e dell’aggiornamento delle autorizzazioni in corso in rapporto alla nuova disciplina, sono tutti elementi che orientano, sul piano logico-sistematico, per l’applicabilità delle disposizioni anche alle autorizzazioni provvisorie.

Per converso, non può essere seguita, sul piano esegetico, la tesi, sostenuta dall’appellante, della riferibilità della disposizione alle sole autorizzazioni definitive, quali risultanti, nel sistema di cui al decreto legislativo n.915/1982, di un procedimento di approvazione del progetto degli impianti: la coesistenza, in tale sistema, di autorizzazioni definitive ed autorizzazioni provvisorie evidenzia il limite intrinseco della prospettazione, in presenza di una formulazione della norma non escludente la tipologia autorizzativa considerata.

D’altro canto, in riferimento al proposto scrutinio di costituzionalità, non è ravvisabile, nella interpretazione della norma ritenuta corretta da questo giudice, alcuna equiordinazione tra posizioni regolari e conformi ai requisiti di legge e posizioni abusive, situazioni anomale o attività irregolari, come affermato dall’appellante; anche sul piano della rilevanza, quella di cui è portatrice la società E. Giovi S.r.l. rientra invero fra le posizioni acquisite in virtù di un titolo legittimante, in base ad una preliminare verifica dei necessari requisiti, e in attesa della conclusione del prescritto procedimento autorizzatorio, sia pure caratterizzate dalla provvisorietà, rispetto alla definitività del titolo.

In tale ipotesi la temporanea prosecuzione dell’attività non appare idonea a comportare quell’affievolimento del livello di tutela dell’ambiente e della salute ne il consolidamento di situazioni anomale sfuggite al giusto procedimento che l’appellante paventa in violazione dei canoni costituzionali già indicati in narrativa. Trova bensì tutela l’interesse pubblico alla prosecuzione dell’attività di smaltimento dei rifiuti in funzione delle salute pubblica in attesa delle verifiche del possesso dei richiesti requisiti in capo agli aspiranti al rilascio dell’autorizzazione definitiva alla gestione dell’esercizio.

Le sollevate eccezioni di costituzionalità si palesano, pertanto, manifestamente infondate.

8- Alla stregua delle suesposte considerazioni deve concludersi sul punto che l’appellata società E. Giovi S.r.l., in quanto in possesso di autorizzazione provvisoria, per le aree di esercizio in precedenza considerate, alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 5 febbraio 1997 n.22, aveva titolo alla proroga di validità dell’autorizzazione medesima contemplata dal precitato articolo 57, come esattamente rilevato dal giudice di prime cure.

9- L’appello investe altresì il capo di sentenza che sancisce, l’illegittimità dell’obbligo di impermeabilizzazione del fondo e delle pareti del sub-lotto L2 per il caso di utilizzazione del sub-lotto medesimo (che, giuste le considerazioni in precedenza esposte, rientra tra le aree di esercizio oggetto di autorizzazione provvisoria).

Non sarebbe violato, ad avviso dell’appellante, il canone di partecipazione né sarebbero configurabili le rilevate carenze istruttorie; sarebbero state censurate, infine, motivate scelte di merito in vista della prevenzione di possibili inquinamenti.

Il pur articolato motivo di gravame deve essere disatteso.

In primo luogo erroneamente si afferma che, la determinazione 2 settembre 1999 prot. 79 è stata emessa a seguito di istanza della società E. Giovi S.r.l.: non sussiste invero alcuna correlazione tra la presentazione del progetto di normalizzazione dell’autorizzazione da parte dell’odierna appellata- pure richiamato nelle premesse del provvedimento impugnato in primo grado- e il provvedimento medesimo, che reca prescrizioni transitorie in ordine alla gestione della discarica. Né può utilmente sostenersi che la società è stata posta in condizione di apportare un effettivo contributo alle scelte effettuate dall’amministrazione col contestato procedimento n. 79/1999: le relazioni del 31/03/1999 e 26/10/1999 (quest’ultima successiva all’emanazione del provvedimento medesimo) sullo stato di avanzamento del procedimento si riferiscono essenzialmente al progetto di autorizzazione definitiva, in cui si inserisce anche il riferimento alle considerazioni a sostegno dell’efficacia del polder, e la stessa verifica in data 30 agosto 1999, alla presenza di rappresentanti della società, si conclude con la mera constatazione che “ i lotti in esercizio sono privi di impermeabilizzazione del fondo” e che “ i volumi disponibili sono tali da permettere ancora per alcuni mesi l’abbancamento di rifiuti secondo le modalità attualmente utilizzate”; ciò ad appena tre giorni dall’adozione della determinazione n. 79 cit.

Se l’obbligo di comunicazione ha lo scopo di consentire all’interessato di esporre le proprie osservazioni -come riconosciuto dallo stesso appellante- non sembra che la scansione temporale degli eventi sia stata tale da consentire, quantomeno, la presentazione di perizie e relazioni tecniche adeguate sullo stato dei luoghi e sulle correlate misure in ordine, specificatamente, al sub-lotto L2- oggetto del provvedimento per cui è causa- e quindi tale da garantire la “effettività” della tutela, quale canone imprescindibile dello strumento partecipativo.

Quanto alla inconciliabilità della partecipazione col carattere asseritamente contingibile e urgente del procedimento impugnato in primo grado, il collegio è meditatamente dell’avviso che l’obbligo di comunicazione non possa comunque essere eluso nel caso in cui il provvedimento non sia rivolto a far fronte ad eventi imprevedibili e di straordinaria gravità (eventi assolutamente non ravvisabili nella specie), tali da non consentire neppure un arresto momentaneo del procedimento in funzione garantistica.

In ordine alla sufficienza di mere “perplessità” circa il livello delle garanzie fornite dal polder nell’impedire la fuoriuscita di contaminanti verso la falda esterna a supportare la determinazione di impermeabilizzazione del sub-lotto L2, in una materia delicata come quella della prevenzione degli inquinamenti ambientali, il collegio ritiene che la serietà dei rischi da inquinamento renda doverosa ogni cautela in materia; certamente, essa non preclude, ex se, la parallela doverosità di approfonditi e dettagliati accertamenti sulla effettiva situazione dei luoghi e sulla idoneità delle garanzie offerte in alternativa a misure sovente gravose per il privato.

Il che è mancato nel caso che ne occupa, ove si consideri che pure in presenza di presumibili tempi congrui per approfondimenti tecnici (la misura della impermeabilizzazione è disposta per il caso che si renda necessario impegnare nuove superfici prima dell’autorizzazione definitiva), si preferisce imporre un gravoso adempimento sulla scorta di mere “ perplessità”.

E ciò in presenza di una inequivoca relazione (cfr. nota 2 settembre 1999, addirittura in pari data rispetto alla controversa determinazione n. 79) in cui singolarmente si afferma che il competente ufficio “ non è al momento in grado di formulare un parere definitivo e sta tuttora valutando gli elementi disponibili”.

Né la impugnata sentenza impinge relativamente a tale profilo, su scelte di merito dell’amministrazione, restando ancorata alla consentita verifica dell’attendibilità e ragionevolezza delle valutazioni compiute.

10- L’esaminato capo di sentenza non appare, di conseguenza scalfito dalle censure dedotte.

11- In conclusione, l’appello deve essere rigettato.

La concatenazione degli eventi conduce peraltro ad escludere la configurabilità di profili di danno derivanti dalla determinazione impugnata in prime cure, in disparte la mancata riproposizione della questione da parte dell’odierna appellata, soccombente, in primo grado sul punto.

12- Le spese di giudizio devono essere compensate fra le parti.

P. Q. M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, respinge il ricorso in appello n. 4804/2002.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

 

Così deciso in Roma, addì 26 novembre 2002 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Quarta – riunito in camera di consiglio con l’intervento dei signori:

Paolo Salvatore Presidente

Costantino Salvatore Consigliere

Dedi Rulli Consigliere

Giuseppe Carinci Consigliere

Bruno Mollica Consigliere estensore

 

 

 

M A S S I M E

 

Sentenza per esteso

 

1) L’emergenza rifiuti - il rilascio di autorizzazione provvisoria - conferimento di rifiuti soliti urbani in discarica - l’autorizzazione definitiva - il termine di anni quattro - disciplina tra le autorizzazioni definitive e quelle provvisorie. L’articolo 31 del decreto legislativo n. 915/1982 prevede il rilascio di autorizzazione provvisoria, con durata limitata, eventualmente rinnovabile, per il caso che l’amministrazione non rilasci entro sei mesi l’autorizzazione definitiva; ma ciò implica che l’autorizzazione provvisoria rilasciata rechi l’indicazione di durata, e non altro; indicazione di durata che nella specie manca: donde l’inconferenza del richiamo. Va ricordato che l’articolo 57 del decreto legislativo 5 febbraio 1997 n. 22 stabilisce che le autorizzazioni rilasciate ai sensi del D.P.R. n. 915/1982 “restano valide fino alla loro scadenza e comunque non oltre il termine di anni quattro dalla data di entrata in vigore del presente decreto”. La norma non reca alcuna espressa differenziazione di disciplina tra le autorizzazioni definitive e quelle provvisorie: la mancata esplicita esclusione di queste ultime; il riferimento alla operatività fino alla “scadenza” (che è tipica, seppure non esclusiva delle autorizzazioni provvisorie); l’evidente finalità di temporanea prosecuzione della situazione in essere, purché in presenza di un titolo autorizzatorio, in vista della ridefinizione e dell’aggiornamento delle autorizzazioni in corso in rapporto alla nuova disciplina, sono tutti elementi che orientano, sul piano logico-sistematico, per l’applicabilità delle disposizioni anche alle autorizzazioni provvisorie. Consiglio di Stato, Sezione IV del 17 gennaio 2003, n. 160

 

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