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Legislazione giurisprudenza Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello proposto da Impresa Felice Vincenzo e Figli s.n.c.,
in persona del legale rappresentante sig. Felice Vincenzo, rappresentata e
difesa dall’avv. Antonio Guida ed elettivamente domiciliata in Roma, Via
Ferdinando Innocenti n.32 presso l’avv. Mario Mariano;
contro
Catullo Maria, Testa Antonio, Cirelli Arduino, Venditti Carmine, Corona Ennio,
Testa Maria Anna Cristina Michelina, Zeoli Saverio, Venditti Michele, D’Amico
Pasquale, Sanzò Antonietta, Testa Anna Maria, rappresentati e difesi dall’avv.
Demetrio Rivellino ed elettivamente domiciliati in Roma, Via Modena n.5 presso
lo studio dell’avv. Maria Grazia Leuci;
e contro
Stabile Angelo, Stabile Antonio, Felice Pasquale, non costituitisi;
e nei confronti
della Regione Molise rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato
e domiciliata ex lege in Roma, Via dei
Portoghesi n.12;
per l'annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise n.186 del
2001;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio delle parti appellate;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Alla pubblica udienza del 10 dicembre 2002 relatore il Consigliere Giancarlo
Montedoro. Uditi, altresì, l’Avv. Guida, l’Avv. Rivellino e l’Avv. dello Stato
Coaccioli;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
Con istanza del 15/6/1999 prot. 3811 il sig. Vincenzo Felice, in qualità di
amministratore dell’omonima impresa, ha proposto domanda di autorizzazione
all’ampliamento di una cava esistente sita in Comune di Cercemaggiore.
Nel frattempo, con decreto del 10/3/1999 del Ministero per i beni e le attività
culturali, l’intero territorio comunale è stato sottoposto a vincolo ai sensi
della legge 29 giugno 1939 n.1497.
In data 5/7/1999 l’Assessore all’Agricoltura ha indetto la prima convocazione
degli organismi interessati ad esprimersi in ordine alla suddetta domanda di
ampliamento. In data 19/1/2000 è stata indetta conferenza di servizi ad opera
del Coordinatore del Corpo forestale dello Stato di Campobasso, al cui esito è
stata quindi emanata la determinazione dirigenziale impugnata, che ha
autorizzato l’ampliamento per una superficie di 18.500 mq (pari al 50% di quella
per cui vi era stata domanda, riservandosi successiva determinazione in ordine
agli ulteriori 18.500 mq).
I ricorrenti in primo grado, qualificatisi cittadini residenti in Cercemaggiore,
impugnano il provvedimento assessorile della Regione Molisana n.348 del
19/9/2000 di autorizzazione ad ampliamento e gli atti connessi, ritenendo lesiva
della loro posizione l’autorizzazione rilasciata alla ditta controinteressata.
L’area di cava si trova sul versante di un rilievo denominato “Monte Saraceno”,
a circa 1000 metri dal centro abitato di Cercemaggiore, su terreni di proprietà
del Comune, che, nel 1982 concesse a tal fine circa 34.000 mq, nel 1986
ulteriori 16.000, e nel 1993 ancora 37.000.
L’autorizzazione regionale relativa al 50% di tale ultima superficie, unitamente
agli atti presupposti, costituisce oggetto del presente giudizio.
L’amministrazione resistente ed il controinteressato, entrambi costituitisi in
giudizio, hanno sostenuto l’infondatezza del ricorso.
Il Tar ha accolto il ricorso ed ha annullato gli atti impugnati. La decisione si
sofferma su due questioni.
La prima è quella relativa alla legittimazione ed all’interesse ad agire dei
ricorrenti che agiscono quali cittadini di Cercemaggiore, ritenendo sufficiente
a radicare la posizione legittimante al ricorso la residenza nel Comune, nonché
il prospettato impatto sull’ambiente dell’ampliamento della cava, ed irrilevante
invece che l’area di cava si trovi sul versante del monte opposto rispetto a
quello visibile dal paese. La seconda è la questione di merito, relativa alla
mancata considerazione, nell’autorizzazione paesaggistica di cui alla nota
13/1/2000, dell’esistenza del vincolo di cui al D.M. 10/3/1999 del Ministero per
i beni culturali ed ambientali con il quale è stato impresso un vincolo
paesaggistico generalizzato sull’intero territorio comunale di Cercemaggiore e
sul Monte Saraceno.
L’impresa Felice Vincenzo e figli s.n.c. impugna la sentenza e deduce i seguenti
motivi in diritto:
1) Violazione degli artt.99, 101, 102 c.p.c. per mancato rispetto del principio
della domanda e del contraddittorio, avendo il Tar motivato la sussistenza
dell’interesse in assenza di allegazione delle parti ricorrenti.
2) Violazione dell’art.100 c.p.c. per aver il Tar in sostanza introdotto una
nuova azione popolare, dilatando oltre misura l’interesse ambientale facendolo
coincidere con l’interesse di qualsiasi cittadino, senza alcuna rilevanza della
posizione differenziata e qualificata alla quale l’ordinamento lega l’accesso
alla giustizia.
3) Improcedibilità del ricorso per omessa notifica a controinteressato per
difetto di notifica dello stesso al Comune di Cercemaggiore.
4) Violazione sotto altro profilo degli artt.99, 101, 112 c.p.c. per avere il
Tar nell’accogliere il ricorso nel merito, “sviluppato” argomenti non proposti
dai ricorrenti che si erano limitati a prospettare un contrasto fra il vincolo
imposto con il D.M. del 1999 e la delibera impugnata senza sostenere che
l’autorizzazione paesaggistica del 2000 non potesse confermare quella rilasciata
su precedente similare progetto di ampliamento nel 1996.
5) Violazione degli artt.1, 2, 3, 4, e 7 della legge 29/6/1939 n.1497 e degli
artt.138, 139, 140, 141, 142, 145, 151 del t.u. approvato con d.lgs. 29/10/1999
n.490, del r.d. 3/6/1940 n.1357, dell’art.82 del d.p.r. 24/7/1977 n.616 nel
testo novellato dall’art.1 della legge 8/8/1985 n.431. Falsa applicazione del
D.M. 10/3/1999 per essere il vincolo già operativo sin dalla data di
pubblicazione all’albo comunale dell’elenco di bellezze d’insieme con
conseguente suo venire ad esistenza in data anteriore a quella del rilascio
della primo nulla osta paesaggistico (poi confermato nel 2000).
Resistono la Regione Molise ed alcuni degli originari ricorrenti.
DIRITTO
L’appello è fondato e va accolto.
In primo luogo va esaminata la questione dell’incidenza sul giudizio della
sentenza Tar Molise n.73/2002, non ancora passata in giudicato, di annullamento
del d.m. 10/3/1999 posto a fondamento della sentenza impugnata con l’appello in
esame.
La sentenza non ha efficacia di cosa giudicata, ma è dotata di della nota
autorità della sentenza di primo grado, soggetta ad impugnazione, che, ove
invocata in diverso giudizio, deve essere tenuta in considerazione dal giudice
nella decisione (anche, eventualmente al fine della sospensione del giudizio ex
art.337 c.p.c.).
La circostanza poi che la sentenza n.73/2002 non sia ancora passata in cosa
giudicata impedisce di ritenere verificatasi un’ipotesi di sopravvenuto difetto
di interesse a ricorrere, per il venir meno del presupposto sul quale era stato
fondato il ricorso originario.
Peraltro prima di valutare l’opportunità di una sospensione del processo o di
delibare nel merito la controversia deve essere decisa la questione,
preliminare, della legittimazione ad agire dei ricorrenti in primo grado.
La questione relativa alla legittimazione a ricorrere degli odierni appellati,
che hanno impugnato il provvedimento di autorizzazione all’ampliamento sito sul
Monte Saraceno si pone per il fatto che essi hanno agito allegando quale
posizione legittimante la qualità di cittadini di Cercemaggiore, lamentando la
violazione del vincolo paesaggistico (poi annullato dal Tar con sentenza non
ancora passata in cosa giudicata), senz’altro specificare circa il loro concreto
interesse ad opporsi all’ampliamento della cava.
Secondo l’insegnamento dell’Adunanza Plenaria in tema di protezione dei beni
ambientali posizioni di interesse legittimo sono ravvisabili in capo al singolo
cittadino nei casi in cui la salvaguardia del paesaggio e delle bellezze
naturali inerisca al godimento concreto di tali beni, con l’avvertenza peraltro,
che la loro individuazione non è configurabile in astratto ma richiede
un’indagine caso per caso per stabilire se l’interesse del singolo si differenzi
da quello della collettività e si qualifichi come legittimo (CdS Ad. Plen.
19/10/1979 n.24).
In via generale – si è ritenuto - la tutela dei beni ambientali costituisce una
finalità di esclusivo interesse pubblico. Non sussistono interessi legittimi al
corretto esercizio di tale tutela da individuare in capo a singoli soggetti
indifferenziati ma interessi di mero fatto. Tuttavia è possibile configurare un
interesse legittimo del cittadino tutelabile in sede giurisdizionale nel caso in
cui la salvaguardia del paesaggio e delle bellezze naturali sia inerente al
godimento concreto di detti beni (del pari quel cittadino è titolare di un
diritto soggettivo all’ambiente salubre quale riflesso del suo diritto alla
salute costituzionalmente tutelato ex artt.2 e 32 Cost.). Interessi diffusi sono
anche quelli che, pur essendo caratterizzati dalla simultaneità del loro
riferimento a tutti o ad una parte dei componenti di una collettività in
concreto sono imputabili a ciascuno di essi. In tal caso l’interesse diffuso può
assumere le caratteristiche dell’interesse legittimo ove non si identifichi con
gli interessi generali della collettività, ma venga specificamente in evidenza
relativamente all’oggetto della tutela giurisdizionale ed in ordine al rapporto
fra un cittadino o più cittadini determinati ed un certo bene (CdS Ad. Pen.
19/10/1979 n.24).
Si è ritenuto – in applicazione del principio che lega legittimazione ad agire e
differenziazione dell’interesse - che la qualità di cittadino e visitatore di
una determinata zona non è di per sé elemento sufficiente ad integrare una
posizione soggettiva di interesse legittimo e non è dunque titolo idoneo a
legittimare un ricorso in sede di giurisdizione amministrativa contro atti
lesivi dell’ambiente di quel luogo (CDS VI 16/7/1990 n.728).
Nel caso da ultimo citato si trattava dell’impugnazione da parte di alcuni
cittadini della Valle d’Aosta degli atti con i quali era stata disposta la
realizzazione del tratto autostradale Morgex Sarre dell’autostrada del Monte
Bianco con concessione alla Società “Raccordo Autostradale Valle d’Aosta” s.p.a.
(R.A.V.).
Proprio al fine di creare un centro di imputazione di interessi, legittimato a
ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa il legislatore ha
normativamente sancito all’art.5 dell’art.18 della legge n.349 del 1986 la
legittimazione a ricorrere innanzi al giudice amministrativo anche ad
aggregazioni di soggetti in quanto rappresentative esse stesse come collettività
dei medesimi interessi legittimi facenti capo a ciascun componente della
comunità.
L’attribuzione della legittimazione è tuttavia, riferita all’art.18,
esclusivamente a quelle associazioni che in possesso di determinati requisiti,
siano individuate dal Ministro dell’Ambiente, con proprio decreto a mente del
precedente art.13 della legge n.349.
Ipotesi di legittimazione a ricorrere molto vicine a quelle normativamente
qualificate prima indicate si hanno in capo ai comuni come enti esponenziali di
comunità, costituzionalmente riconosciuti, quali enti amministrativi aventi fini
generali e quindi anche di protezione dell’ambiente delle collettività locali
(cfr. Tar Lazio III 1/8/1985 n.1229 che riconosce non solo in capo al comune nel
cui territorio debba essere localizzato una centrale elettrica ma anche ai
comuni viciniori, l’interesse ad impugnare il provvedimento di localizzazione).
Ciò non esclude la possibilità di individuare in concreto ipotesi di
legittimazione a ricorrere di singoli o associazioni anche al di fuori delle
ipotesi nominate dalla norma, stante l’esigenza di garantire i diritti
inviolabili dell’uomo, fra cui il diritto all’ambiente salubre, sia come singolo
sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità e l’affermazione
del diritto di singoli o associazioni che vi abbiano interesse alla
partecipazione procedimentale, ai sensi degli artt.7 e ss. della legge n.241/1990
(ed in particolare dell’art.9).
A dette posizioni giuridiche soggettive si affiancano poi le situazioni di
interesse legittimo dei singoli connotate dalla possibilità, nel sistema di
giustizia dello Stato a diritto amministrativo, di attivare il sindacato
giurisdizionale, a fini di annullamento degli atti impugnati.
La legittimazione a ricorrere nella materia ambientale per le peculiari
caratteristiche del bene protetto, si atteggia in modo particolare: la tutela
dell’ambiente infatti, lungi dal costituire un autonomo settore d’intervento dei
pubblici poteri, assume il ruolo unificante e finalizzante di distinte tutele
giuridiche predisposte a favore dei diversi beni della vita che nell’ambiente si
collocano (assumendo un carattere per così dire trasversale rispetto alle
ordinarie materie e competenze amministrative, che connotano anche le
distinzioni fra Ministeri); l’ambiente inoltre è un bene pubblico che non è
suscettibile di appropriazione individuale, indivisibile, non attribuibile,
unitario, multiforme e ciò rende problematica la sua tutela a fronte di un
sistema giudiziario che non conosce, se non quale eccezione, l’azione popolare,
che guarda con sfavore la legittimazione di aggregazioni di individui che si
facciano portatori occasionali di interessi esistenti allo stato diffuso.
Ne deriva che il soggetto singolo che intenda insorgere in sede giurisdizionale
contro un provvedimento amministrativo esplicante i suoi effetti nell’ambiente
in cui vive ha l’obbligo di identificare , innanzitutto, il bene della vita che
dalla iniziativa dei pubblici poteri potrebbe essere pregiudicato (il paesaggio,
l’acqua, l’aria, il suolo, il proprio terreno) e, successivamente, dimostrare
che non si tratta di un bene che pervenga identicamente ed indivisibilmente ad
una pluralità più o meno vasta di soggetti, nessuno dei quali ne ha però la
totale ed esclusiva disponibilità (la quale costituisce invece il connotato
essenziale dell’interesse legittimo), ma che rispetto ad esso egli si trova in
una posizione differenziata tale da legittimarlo ad insorgere “uti singulus” a
sua difesa (di qui il requisito della finitimità o “vicinitas” in base al quale
si è riconosciuta legittimazione ad agire al proprietario del fondo o della casa
finitimi, ovvero al comunista che vive e lavora in prossimità della discarica la
cui autorizzazione si impugni ) (CdS IV 11/4/1991 n.257).
La vicinitas è intesa come finitimità anche se, talvolta, nella giurisprudenza
di primo grado, si dà rilievo alla residenza nella località interessata, sia
pure nei limiti di una precisa zona (Tar Lombardia Sez. Brescia 5/10/19877 n.681
in un caso in cui si impugnava il rilascio di una concessione edilizia da parte
non di vicini ma di soggetti residenti che lamentavano la lesione di valori
urbanistici intesi in senso ampio, quali valori inerenti l’ambiente di vita
sociale garantiti dalle prescrizioni urbanistiche di zona; Tar Sicilia Sez.II
Catania 26/7/1991 n.629 per un caso di degradazione urbanistica di una zona).
Anche il Consiglio ha considerato rilevante quale elemento che possa fondare la
legitimatio ad causam il rischio della degradazione urbanistica ed ambientale di
una zona ma sempre che il ricorrente riceva un danno o pregiudizio diretto ed
attuale dal provvedimento impugnato, a causa del collegamento della sua
posizione con lo stato dei luoghi, cosa che non abbisogna di dimostrazioni nel
caso di proprietario limitrofo (CdS V 24/10/1980 n.862).
Altre volte la residenza è valorizzata ma solo per i soggetti abitanti nelle
“zone limitrofe” (CdS V, 8/2/1997 n.139 in tema di impugnazione di atti
autorizzatori di un maggior conferimento di rifiuti in una discarica) o nelle
“immediate vicinanze” (CdS V 1/9/1986 n.426 in tema di alterazione ambientale
conseguente alla realizzazione di un manufatto autorizzata dal rilascio di
concessione edilizia) o che dimostrino un concreto collegamento fra l’interesse
di cui sono portatori e l’area oggetto del provvedimento impugnato (non essendo
sufficiente l’elemento della residenza o della abituale frequenza con detto
territorio cfr. Tar Abruzzo Sez. L’Aquila 14/11/1994 n.780).
La vicinitas quale requisito legittimante all’azione innanzi al giudice
amministrativo può anche essere definita come stabile e significativo
collegamento – da indagarsi caso per caso - del ricorrente con l’ambiente che si
vuole proteggere.
Nel caso di specie l’unico elemento concreto di pregiudizio indicato per
concretizzare l’interesse è quello relativo al timore che l’ampliamento della
cava determini la sollevazione di polveri calcaree e silicee in tutto il centro
abitato di Cercemaggiore.
Non è precisato però da nessuno dei ricorrenti quale sia la concreta posizione
delle loro abitazioni, o dei loro luoghi di vita e lavoro rispetto ai nuovi
fronti di cava (che sono situati – la circostanza non è contestata – sul
versante del Monte Saraceno che non si affaccia sul Comune di Cercemaggiore).
In tale condizione di fatto non si ritiene che possa fondatamente affermarsi la
legittimazione ad agire dei ricorrenti in primo grado.
Sussistono giusti motivi per compensare le spese del giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, accoglie il
ricorso in appello indicato in epigrafe e, per l’effetto annulla la sentenza
impugnata, e dichiara inammissibile il ricorso di primo grado per difetto di
legittimazione ad agire dei ricorrenti.
Compensa tra le parti le spese di giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2002, dal Consiglio di Stato, in sede
giurisdizionale - Sez.VI -, riunito in Camera di Consiglio, con l'intervento dei
Signori:
Giorgio GIOVANNINI Presidente
Sergio SANTORO Consigliere
Chiarenza MILLEMAGGI COGLIANI Consigliere
Giuseppe ROMEO Consigliere
Giancarlo MONTEDORO Consigliere Est.
1) La legittimazione a ricorrere nella materia ambientale del soggetto singolo - requisiti - le peculiari caratteristiche del bene protetto - la tutela dell’ambiente - la posizione differenziata tale da legittimarlo ad insorgere “uti singulus” a sua difesa. Il soggetto singolo che intenda insorgere in sede giurisdizionale contro un provvedimento amministrativo esplicante i suoi effetti nell’ambiente in cui vive ha l’obbligo di identificare, innanzitutto, il bene della vita che dalla iniziativa dei pubblici poteri potrebbe essere pregiudicato (il paesaggio, l’acqua, l’aria, il suolo, il proprio terreno) e, successivamente, dimostrare che non si tratta di un bene che pervenga identicamente ed indivisibilmente ad una pluralità più o meno vasta di soggetti, nessuno dei quali ne ha però la totale ed esclusiva disponibilità (la quale costituisce invece il connotato essenziale dell’interesse legittimo), ma che rispetto ad esso egli si trova in una posizione differenziata tale da legittimarlo ad insorgere “uti singulus” a sua difesa (di qui il requisito della finitimità o “vicinitas” in base al quale si è riconosciuta legittimazione ad agire al proprietario del fondo o della casa finitimi, ovvero al comunista che vive e lavora in prossimità della discarica la cui autorizzazione si impugni) (C.d.S. IV 11/4/1991 n.257). Consiglio di Stato Sezione VI, del 27 marzo 2003 sentenza n. 1600
2) La legittimazione a ricorrere nella materia ambientale - le peculiari caratteristiche del bene protetto - la tutela dell’ambiente - il soggetto singolo - l’azione popolare - la legittimazione di aggregazioni di individui - la legittimazione ad insorgere “uti singulus” - il concetto di vicinitas e “zone limitrofe” - la legitimatio ad causam: il rischio della degradazione urbanistica ed ambientale di una zona - la vicinitas quale requisito legittimante all’azione innanzi al giudice amministrativo. La legittimazione a ricorrere nella materia ambientale per le peculiari caratteristiche del bene protetto, si atteggia in modo particolare: la tutela dell’ambiente infatti, lungi dal costituire un autonomo settore d’intervento dei pubblici poteri, assume il ruolo unificante e finalizzante di distinte tutele giuridiche predisposte a favore dei diversi beni della vita che nell’ambiente si collocano (assumendo un carattere per così dire trasversale rispetto alle ordinarie materie e competenze amministrative, che connotano anche le distinzioni fra Ministeri); l’ambiente inoltre è un bene pubblico che non è suscettibile di appropriazione individuale, indivisibile, non attribuibile, unitario, multiforme e ciò rende problematica la sua tutela a fronte di un sistema giudiziario che non conosce, se non quale eccezione, l’azione popolare, che guarda con sfavore la legittimazione di aggregazioni di individui che si facciano portatori occasionali di interessi esistenti allo stato diffuso. Ne deriva che il soggetto singolo che intenda insorgere in sede giurisdizionale contro un provvedimento amministrativo esplicante i suoi effetti nell’ambiente in cui vive ha l’obbligo di identificare, innanzitutto, il bene della vita che dalla iniziativa dei pubblici poteri potrebbe essere pregiudicato (il paesaggio, l’acqua, l’aria, il suolo, il proprio terreno) e, successivamente, dimostrare che non si tratta di un bene che pervenga identicamente ed indivisibilmente ad una pluralità più o meno vasta di soggetti, nessuno dei quali ne ha però la totale ed esclusiva disponibilità (la quale costituisce invece il connotato essenziale dell’interesse legittimo), ma che rispetto ad esso egli si trova in una posizione differenziata tale da legittimarlo ad insorgere “uti singulus” a sua difesa (di qui il requisito della finitimità o “vicinitas” in base al quale si è riconosciuta legittimazione ad agire al proprietario del fondo o della casa finitimi, ovvero al comunista che vive e lavora in prossimità della discarica la cui autorizzazione si impugni ) (C.d.S. IV 11/4/1991 n. 257). La vicinitas è intesa come finitimità anche se, talvolta, nella giurisprudenza di primo grado, si dà rilievo alla residenza nella località interessata, sia pure nei limiti di una precisa zona (Tar Lombardia Sez. Brescia 5/10/19877 n.681 in un caso in cui si impugnava il rilascio di una concessione edilizia da parte non di vicini ma di soggetti residenti che lamentavano la lesione di valori urbanistici intesi in senso ampio, quali valori inerenti l’ambiente di vita sociale garantiti dalle prescrizioni urbanistiche di zona; Tar Sicilia Sez.II Catania 26/7/1991 n.629 per un caso di degradazione urbanistica di una zona). Anche il Consiglio ha considerato rilevante quale elemento che possa fondare la legitimatio ad causam il rischio della degradazione urbanistica ed ambientale di una zona ma sempre che il ricorrente riceva un danno o pregiudizio diretto ed attuale dal provvedimento impugnato, a causa del collegamento della sua posizione con lo stato dei luoghi, cosa che non abbisogna di dimostrazioni nel caso di proprietario limitrofo (CdS V 24/10/1980 n.862). Altre volte la residenza è valorizzata ma solo per i soggetti abitanti nelle “zone limitrofe” (CdS V, 8/2/1997 n.139 in tema di impugnazione di atti autorizzatori di un maggior conferimento di rifiuti in una discarica) o nelle “immediate vicinanze” (CdS V 1/9/1986 n.426 in tema di alterazione ambientale conseguente alla realizzazione di un manufatto autorizzata dal rilascio di concessione edilizia) o che dimostrino un concreto collegamento fra l’interesse di cui sono portatori e l’area oggetto del provvedimento impugnato (non essendo sufficiente l’elemento della residenza o della abituale frequenza con detto territorio cfr. Tar Abruzzo Sez. L’Aquila 14/11/1994 n.780). La vicinitas quale requisito legittimante all’azione innanzi al giudice amministrativo può anche essere definita come stabile e significativo collegamento – da indagarsi caso per caso - del ricorrente con l’ambiente che si vuole proteggere. Consiglio di Stato Sezione VI, del 27 marzo 2003 sentenza n. 1600
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