AmbienteDiritto.it                                                                                     Copyright © Ambiente Diritto.it

Legislazione  giurisprudenza                                                      Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso


 

 Massime della sentenza

  

 

Consiglio di Stato Sezione VI, del 27 marzo 2003 sentenza n. 1601.

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
 

DECISIONE


sul ricorso in appello proposto da Impresa Felice Vincenzo e Figli s.n.c., in persona del legale rappresentante sig. Felice Vincenzo, rappresentata e difesa dall’avv. Antonio Guida ed elettivamente domiciliata in Roma, Via Ferdinando Innocenti n.32 presso l’avv. Mario Mariano;
contro
Catullo Maria, Testa Antonio, Cirelli Arduino, Venditti Carmine, Corona Ennio, Testa Maria Anna Cristina Michelina, Zeoli Saverio, Venditti Michele, D’Amico Pasquale, Sanzò Antonietta, Testa Anna Maria, rappresentati e difesi dall’avv. Demetrio Rivellino ed elettivamente domiciliati in Roma, Via Modena n.5 presso lo studio dell’avv. Maria Grazia Leuci;
e contro
Stabile Angelo, Stabile Antonio, Felice Pasquale, non costituitisi;
e nei confronti
della Regione Molise rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato e domiciliata ex lege in Roma, Via dei
Portoghesi n.12;
per l'annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise n.186 del 2001;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio delle parti appellate;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Alla pubblica udienza del 10 dicembre 2002 relatore il Consigliere Giancarlo Montedoro. Uditi, altresì, l’Avv. Guida, l’Avv. Rivellino e l’Avv. dello Stato Coaccioli;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:


FATTO


Con istanza del 15/6/1999 prot. 3811 il sig. Vincenzo Felice, in qualità di amministratore dell’omonima impresa, ha proposto domanda di autorizzazione all’ampliamento di una cava esistente sita in Comune di Cercemaggiore.


Nel frattempo, con decreto del 10/3/1999 del Ministero per i beni e le attività culturali, l’intero territorio comunale è stato sottoposto a vincolo ai sensi della legge 29 giugno 1939 n.1497.


In data 5/7/1999 l’Assessore all’Agricoltura ha indetto la prima convocazione degli organismi interessati ad esprimersi in ordine alla suddetta domanda di ampliamento. In data 19/1/2000 è stata indetta conferenza di servizi ad opera del Coordinatore del Corpo forestale dello Stato di Campobasso, al cui esito è stata quindi emanata la determinazione dirigenziale impugnata, che ha autorizzato l’ampliamento per una superficie di 18.500 mq (pari al 50% di quella per cui vi era stata domanda, riservandosi successiva determinazione in ordine agli ulteriori 18.500 mq).


I ricorrenti in primo grado, qualificatisi cittadini residenti in Cercemaggiore, impugnano il provvedimento assessorile della Regione Molisana n.348 del 19/9/2000 di autorizzazione ad ampliamento e gli atti connessi, ritenendo lesiva della loro posizione l’autorizzazione rilasciata alla ditta controinteressata.


L’area di cava si trova sul versante di un rilievo denominato “Monte Saraceno”, a circa 1000 metri dal centro abitato di Cercemaggiore, su terreni di proprietà del Comune, che, nel 1982 concesse a tal fine circa 34.000 mq, nel 1986 ulteriori 16.000, e nel 1993 ancora 37.000.


L’autorizzazione regionale relativa al 50% di tale ultima superficie, unitamente agli atti presupposti, costituisce oggetto del presente giudizio.
L’amministrazione resistente ed il controinteressato, entrambi costituitisi in giudizio, hanno sostenuto l’infondatezza del ricorso.


Il Tar ha accolto il ricorso ed ha annullato gli atti impugnati. La decisione si sofferma su due questioni.


La prima è quella relativa alla legittimazione ed all’interesse ad agire dei ricorrenti che agiscono quali cittadini di Cercemaggiore, ritenendo sufficiente a radicare la posizione legittimante al ricorso la residenza nel Comune, nonché il prospettato impatto sull’ambiente dell’ampliamento della cava, ed irrilevante invece che l’area di cava si trovi sul versante del monte opposto rispetto a quello visibile dal paese. La seconda è la questione di merito, relativa alla mancata considerazione, nell’autorizzazione paesaggistica di cui alla nota 13/1/2000, dell’esistenza del vincolo di cui al D.M. 10/3/1999 del Ministero per i beni culturali ed ambientali con il quale è stato impresso un vincolo paesaggistico generalizzato sull’intero territorio comunale di Cercemaggiore e sul Monte Saraceno.


L’impresa Felice Vincenzo e figli s.n.c. impugna la sentenza e deduce i seguenti motivi in diritto:
1) Violazione degli artt.99, 101, 102 c.p.c. per mancato rispetto del principio della domanda e del contraddittorio, avendo il Tar motivato la sussistenza dell’interesse in assenza di allegazione delle parti ricorrenti.
2) Violazione dell’art.100 c.p.c. per aver il Tar in sostanza introdotto una nuova azione popolare, dilatando oltre misura l’interesse ambientale facendolo coincidere con l’interesse di qualsiasi cittadino, senza alcuna rilevanza della posizione differenziata e qualificata alla quale l’ordinamento lega l’accesso alla giustizia.
3) Improcedibilità del ricorso per omessa notifica a controinteressato per difetto di notifica dello stesso al Comune di Cercemaggiore.
4) Violazione sotto altro profilo degli artt.99, 101, 112 c.p.c. per avere il Tar nell’accogliere il ricorso nel merito, “sviluppato” argomenti non proposti dai ricorrenti che si erano limitati a prospettare un contrasto fra il vincolo imposto con il D.M. del 1999 e la delibera impugnata senza sostenere che l’autorizzazione paesaggistica del 2000 non potesse confermare quella rilasciata su precedente similare progetto di ampliamento nel 1996.
5) Violazione degli artt.1, 2, 3, 4, e 7 della legge 29/6/1939 n.1497 e degli artt.138, 139, 140, 141, 142, 145, 151 del t.u. approvato con d.lgs. 29/10/1999 n.490, del r.d. 3/6/1940 n.1357, dell’art.82 del d.p.r. 24/7/1977 n.616 nel testo novellato dall’art.1 della legge 8/8/1985 n.431. Falsa applicazione del D.M. 10/3/1999 per essere il vincolo già operativo sin dalla data di pubblicazione all’albo comunale dell’elenco di bellezze d’insieme con conseguente suo venire ad esistenza in data anteriore a quella del rilascio della primo nulla osta paesaggistico (poi confermato nel 2000).


Resistono la Regione Molise ed alcuni degli originari ricorrenti.
 

DIRITTO


L’appello è fondato e va accolto.


In primo luogo va esaminata la questione dell’incidenza sul giudizio della sentenza Tar Molise n.73/2002, non ancora passata in giudicato, di annullamento del d.m. 10/3/1999 posto a fondamento della sentenza impugnata con l’appello in esame.


La sentenza non ha efficacia di cosa giudicata, ma è dotata di della nota autorità della sentenza di primo grado, soggetta ad impugnazione, che, ove invocata in diverso giudizio, deve essere tenuta in considerazione dal giudice nella decisione (anche, eventualmente al fine della sospensione del giudizio ex art.337 c.p.c.).


La circostanza poi che la sentenza n.73/2002 non sia ancora passata in cosa giudicata impedisce di ritenere verificatasi un’ipotesi di sopravvenuto difetto di interesse a ricorrere, per il venir meno del presupposto sul quale era stato fondato il ricorso originario.


Peraltro prima di valutare l’opportunità di una sospensione del processo o di delibare nel merito la controversia deve essere decisa la questione, preliminare, della legittimazione ad agire dei ricorrenti in primo grado.


La questione relativa alla legittimazione a ricorrere degli odierni appellati, che hanno impugnato il provvedimento di autorizzazione all’ampliamento sito sul Monte Saraceno si pone per il fatto che essi hanno agito allegando quale posizione legittimante la qualità di cittadini di Cercemaggiore, lamentando la violazione del vincolo paesaggistico (poi annullato dal Tar con sentenza non ancora passata in cosa giudicata), senz’altro specificare circa il loro concreto interesse ad opporsi all’ampliamento della cava.


Secondo l’insegnamento dell’Adunanza Plenaria in tema di protezione dei beni ambientali posizioni di interesse legittimo sono ravvisabili in capo al singolo cittadino nei casi in cui la salvaguardia del paesaggio e delle bellezze naturali inerisca al godimento concreto di tali beni, con l’avvertenza peraltro, che la loro individuazione non è configurabile in astratto ma richiede un’indagine caso per caso per stabilire se l’interesse del singolo si differenzi da quello della collettività e si qualifichi come legittimo (CdS Ad. Plen. 19/10/1979 n.24).


In via generale – si è ritenuto - la tutela dei beni ambientali costituisce una finalità di esclusivo interesse pubblico. Non sussistono interessi legittimi al corretto esercizio di tale tutela da individuare in capo a singoli soggetti indifferenziati ma interessi di mero fatto. Tuttavia è possibile configurare un interesse legittimo del cittadino tutelabile in sede giurisdizionale nel caso in cui la salvaguardia del paesaggio e delle bellezze naturali sia inerente al godimento concreto di detti beni (del pari quel cittadino è titolare di un diritto soggettivo all’ambiente salubre quale riflesso del suo diritto alla salute costituzionalmente tutelato ex artt.2 e 32 Cost.). Interessi diffusi sono anche quelli che, pur essendo caratterizzati dalla simultaneità del loro riferimento a tutti o ad una parte dei componenti di una collettività in concreto sono imputabili a ciascuno di essi. In tal caso l’interesse diffuso può assumere le caratteristiche dell’interesse legittimo ove non si identifichi con gli interessi generali della collettività, ma venga specificamente in evidenza relativamente all’oggetto della tutela giurisdizionale ed in ordine al rapporto fra un cittadino o più cittadini determinati ed un certo bene (CdS Ad. Pen. 19/10/1979 n.24).


Si è ritenuto – in applicazione del principio che lega legittimazione ad agire e differenziazione dell’interesse - che la qualità di cittadino e visitatore di una determinata zona non è di per sé elemento sufficiente ad integrare una posizione soggettiva di interesse legittimo e non è dunque titolo idoneo a legittimare un ricorso in sede di giurisdizione amministrativa contro atti lesivi dell’ambiente di quel luogo (CDS VI 16/7/1990 n.728).


Nel caso da ultimo citato si trattava dell’impugnazione da parte di alcuni cittadini della Valle d’Aosta degli atti con i quali era stata disposta la realizzazione del tratto autostradale Morgex Sarre dell’autostrada del Monte Bianco con concessione alla Società “Raccordo Autostradale Valle d’Aosta” s.p.a. (R.A.V.).


Proprio al fine di creare un centro di imputazione di interessi, legittimato a ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa il legislatore ha normativamente sancito all’art.5 dell’art.18 della legge n.349 del 1986 la legittimazione a ricorrere innanzi al giudice amministrativo anche ad aggregazioni di soggetti in quanto rappresentative esse stesse come collettività dei medesimi interessi legittimi facenti capo a ciascun componente della comunità.


L’attribuzione della legittimazione è tuttavia, riferita all’art.18, esclusivamente a quelle associazioni che in possesso di determinati requisiti, siano individuate dal Ministro dell’Ambiente, con proprio decreto a mente del precedente art.13 della legge n.349.


Ipotesi di legittimazione a ricorrere molto vicine a quelle normativamente qualificate prima indicate si hanno in capo ai comuni come enti esponenziali di comunità, costituzionalmente riconosciuti, quali enti amministrativi aventi fini generali e quindi anche di protezione dell’ambiente delle collettività locali (cfr. Tar Lazio III 1/8/1985 n.1229 che riconosce non solo in capo al comune nel cui territorio debba essere localizzato una centrale elettrica ma anche ai comuni viciniori, l’interesse ad impugnare il provvedimento di localizzazione).


Ciò non esclude la possibilità di individuare in concreto ipotesi di legittimazione a ricorrere di singoli o associazioni anche al di fuori delle ipotesi nominate dalla norma, stante l’esigenza di garantire i diritti inviolabili dell’uomo, fra cui il diritto all’ambiente salubre, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità e l’affermazione del diritto di singoli o associazioni che vi abbiano interesse alla partecipazione procedimentale, ai sensi degli artt.7 e ss. della legge n.241/1990 (ed in particolare dell’art.9).


A dette posizioni giuridiche soggettive si affiancano poi le situazioni di interesse legittimo dei singoli connotate dalla possibilità, nel sistema di giustizia dello Stato a diritto amministrativo, di attivare il sindacato giurisdizionale, a fini di annullamento degli atti impugnati.


La legittimazione a ricorrere nella materia ambientale per le peculiari caratteristiche del bene protetto, si atteggia in modo particolare: la tutela dell’ambiente infatti, lungi dal costituire un autonomo settore d’intervento dei pubblici poteri, assume il ruolo unificante e finalizzante di distinte tutele giuridiche predisposte a favore dei diversi beni della vita che nell’ambiente si collocano (assumendo un carattere per così dire trasversale rispetto alle ordinarie materie e competenze amministrative, che connotano anche le distinzioni fra Ministeri); l’ambiente inoltre è un bene pubblico che non è suscettibile di appropriazione individuale, indivisibile, non attribuibile, unitario, multiforme e ciò rende problematica la sua tutela a fronte di un sistema giudiziario che non conosce, se non quale eccezione, l’azione popolare, che guarda con sfavore la legittimazione di aggregazioni di individui che si facciano portatori occasionali di interessi esistenti allo stato diffuso.


Ne deriva che il soggetto singolo che intenda insorgere in sede giurisdizionale contro un provvedimento amministrativo esplicante i suoi effetti nell’ambiente in cui vive ha l’obbligo di identificare , innanzitutto, il bene della vita che dalla iniziativa dei pubblici poteri potrebbe essere pregiudicato (il paesaggio, l’acqua, l’aria, il suolo, il proprio terreno) e, successivamente, dimostrare che non si tratta di un bene che pervenga identicamente ed indivisibilmente ad una pluralità più o meno vasta di soggetti, nessuno dei quali ne ha però la totale ed esclusiva disponibilità (la quale costituisce invece il connotato essenziale dell’interesse legittimo), ma che rispetto ad esso egli si trova in una posizione differenziata tale da legittimarlo ad insorgere “uti singulus” a sua difesa (di qui il requisito della finitimità o “vicinitas” in base al quale si è riconosciuta legittimazione ad agire al proprietario del fondo o della casa finitimi, ovvero al comunista che vive e lavora in prossimità della discarica la cui autorizzazione si impugni ) (CdS IV 11/4/1991 n.257).


La vicinitas è intesa come finitimità anche se, talvolta, nella giurisprudenza di primo grado, si dà rilievo alla residenza nella località interessata, sia pure nei limiti di una precisa zona (Tar Lombardia Sez. Brescia 5/10/19877 n.681 in un caso in cui si impugnava il rilascio di una concessione edilizia da parte non di vicini ma di soggetti residenti che lamentavano la lesione di valori urbanistici intesi in senso ampio, quali valori inerenti l’ambiente di vita sociale garantiti dalle prescrizioni urbanistiche di zona; Tar Sicilia Sez.II Catania 26/7/1991 n.629 per un caso di degradazione urbanistica di una zona).


Anche il Consiglio ha considerato rilevante quale elemento che possa fondare la legitimatio ad causam il rischio della degradazione urbanistica ed ambientale di una zona ma sempre che il ricorrente riceva un danno o pregiudizio diretto ed attuale dal provvedimento impugnato, a causa del collegamento della sua posizione con lo stato dei luoghi, cosa che non abbisogna di dimostrazioni nel caso di proprietario limitrofo (CdS V 24/10/1980 n.862).


Altre volte la residenza è valorizzata ma solo per i soggetti abitanti nelle “zone limitrofe” (CdS V, 8/2/1997 n.139 in tema di impugnazione di atti autorizzatori di un maggior conferimento di rifiuti in una discarica) o nelle “immediate vicinanze” (CdS V 1/9/1986 n.426 in tema di alterazione ambientale conseguente alla realizzazione di un manufatto autorizzata dal rilascio di concessione edilizia) o che dimostrino un concreto collegamento fra l’interesse di cui sono portatori e l’area oggetto del provvedimento impugnato (non essendo sufficiente l’elemento della residenza o della abituale frequenza con detto territorio cfr. Tar Abruzzo Sez. L’Aquila 14/11/1994 n.780).


La vicinitas quale requisito legittimante all’azione innanzi al giudice amministrativo può anche essere definita come stabile e significativo collegamento – da indagarsi caso per caso - del ricorrente con l’ambiente che si vuole proteggere.


Nel caso di specie l’unico elemento concreto di pregiudizio indicato per concretizzare l’interesse è quello relativo al timore che l’ampliamento della cava determini la sollevazione di polveri calcaree e silicee in tutto il centro abitato di Cercemaggiore.


Non è precisato però da nessuno dei ricorrenti quale sia la concreta posizione delle loro abitazioni, o dei loro luoghi di vita e lavoro rispetto ai nuovi fronti di cava (che sono situati – la circostanza non è contestata – sul versante del Monte Saraceno che non si affaccia sul Comune di Cercemaggiore).


In tale condizione di fatto non si ritiene che possa fondatamente affermarsi la legittimazione ad agire dei ricorrenti in primo grado.
Sussistono giusti motivi per compensare le spese del giudizio.
 

P.Q.M.


Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, accoglie il ricorso in appello indicato in epigrafe e, per l’effetto annulla la sentenza impugnata, e dichiara inammissibile il ricorso di primo grado per difetto di legittimazione ad agire dei ricorrenti.
Compensa tra le parti le spese di giudizio.


Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.


Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2002, dal Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale - Sez.VI -, riunito in Camera di Consiglio, con l'intervento dei Signori:
Giorgio GIOVANNINI Presidente
Sergio SANTORO Consigliere
Chiarenza MILLEMAGGI COGLIANI Consigliere
Giuseppe ROMEO Consigliere
Giancarlo MONTEDORO Consigliere Est.

 

 

M A S S I M E

 

Sentenza per esteso

 

1) La legittimazione a ricorrere nella materia ambientale del soggetto singolo - requisiti - le peculiari caratteristiche del bene protetto - la tutela dell’ambiente - la posizione differenziata tale da legittimarlo ad insorgere “uti singulus” a sua difesa. Il soggetto singolo che intenda insorgere in sede giurisdizionale contro un provvedimento amministrativo esplicante i suoi effetti nell’ambiente in cui vive ha l’obbligo di identificare, innanzitutto, il bene della vita che dalla iniziativa dei pubblici poteri potrebbe essere pregiudicato (il paesaggio, l’acqua, l’aria, il suolo, il proprio terreno) e, successivamente, dimostrare che non si tratta di un bene che pervenga identicamente ed indivisibilmente ad una pluralità più o meno vasta di soggetti, nessuno dei quali ne ha però la totale ed esclusiva disponibilità (la quale costituisce invece il connotato essenziale dell’interesse legittimo), ma che rispetto ad esso egli si trova in una posizione differenziata tale da legittimarlo ad insorgere “uti singulus” a sua difesa (di qui il requisito della finitimità o “vicinitas” in base al quale si è riconosciuta legittimazione ad agire al proprietario del fondo o della casa finitimi, ovvero al comunista che vive e lavora in prossimità della discarica la cui autorizzazione si impugni) (C.d.S. IV 11/4/1991 n.257). Consiglio di Stato Sezione VI, del 27 marzo 2003 sentenza n. 1600
 

2) La legittimazione a ricorrere nella materia ambientale - le peculiari caratteristiche del bene protetto - la tutela dell’ambiente - il soggetto singolo - l’azione popolare - la legittimazione di aggregazioni di individui - la legittimazione ad insorgere “uti singulus” - il concetto di vicinitas e “zone limitrofe” - la legitimatio ad causam: il rischio della degradazione urbanistica ed ambientale di una zona - la vicinitas quale requisito legittimante all’azione innanzi al giudice amministrativo. La legittimazione a ricorrere nella materia ambientale per le peculiari caratteristiche del bene protetto, si atteggia in modo particolare: la tutela dell’ambiente infatti, lungi dal costituire un autonomo settore d’intervento dei pubblici poteri, assume il ruolo unificante e finalizzante di distinte tutele giuridiche predisposte a favore dei diversi beni della vita che nell’ambiente si collocano (assumendo un carattere per così dire trasversale rispetto alle ordinarie materie e competenze amministrative, che connotano anche le distinzioni fra Ministeri); l’ambiente inoltre è un bene pubblico che non è suscettibile di appropriazione individuale, indivisibile, non attribuibile, unitario, multiforme e ciò rende problematica la sua tutela a fronte di un sistema giudiziario che non conosce, se non quale eccezione, l’azione popolare, che guarda con sfavore la legittimazione di aggregazioni di individui che si facciano portatori occasionali di interessi esistenti allo stato diffuso. Ne deriva che il soggetto singolo che intenda insorgere in sede giurisdizionale contro un provvedimento amministrativo esplicante i suoi effetti nell’ambiente in cui vive ha l’obbligo di identificare, innanzitutto, il bene della vita che dalla iniziativa dei pubblici poteri potrebbe essere pregiudicato (il paesaggio, l’acqua, l’aria, il suolo, il proprio terreno) e, successivamente, dimostrare che non si tratta di un bene che pervenga identicamente ed indivisibilmente ad una pluralità più o meno vasta di soggetti, nessuno dei quali ne ha però la totale ed esclusiva disponibilità (la quale costituisce invece il connotato essenziale dell’interesse legittimo), ma che rispetto ad esso egli si trova in una posizione differenziata tale da legittimarlo ad insorgere “uti singulus” a sua difesa (di qui il requisito della finitimità o “vicinitas” in base al quale si è riconosciuta legittimazione ad agire al proprietario del fondo o della casa finitimi, ovvero al comunista che vive e lavora in prossimità della discarica la cui autorizzazione si impugni ) (C.d.S. IV 11/4/1991 n. 257). La vicinitas è intesa come finitimità anche se, talvolta, nella giurisprudenza di primo grado, si dà rilievo alla residenza nella località interessata, sia pure nei limiti di una precisa zona (Tar Lombardia Sez. Brescia 5/10/19877 n.681 in un caso in cui si impugnava il rilascio di una concessione edilizia da parte non di vicini ma di soggetti residenti che lamentavano la lesione di valori urbanistici intesi in senso ampio, quali valori inerenti l’ambiente di vita sociale garantiti dalle prescrizioni urbanistiche di zona; Tar Sicilia Sez.II Catania 26/7/1991 n.629 per un caso di degradazione urbanistica di una zona). Anche il Consiglio ha considerato rilevante quale elemento che possa fondare la legitimatio ad causam il rischio della degradazione urbanistica ed ambientale di una zona ma sempre che il ricorrente riceva un danno o pregiudizio diretto ed attuale dal provvedimento impugnato, a causa del collegamento della sua posizione con lo stato dei luoghi, cosa che non abbisogna di dimostrazioni nel caso di proprietario limitrofo (CdS V 24/10/1980 n.862). Altre volte la residenza è valorizzata ma solo per i soggetti abitanti nelle “zone limitrofe” (CdS V, 8/2/1997 n.139 in tema di impugnazione di atti autorizzatori di un maggior conferimento di rifiuti in una discarica) o nelle “immediate vicinanze” (CdS V 1/9/1986 n.426 in tema di alterazione ambientale conseguente alla realizzazione di un manufatto autorizzata dal rilascio di concessione edilizia) o che dimostrino un concreto collegamento fra l’interesse di cui sono portatori e l’area oggetto del provvedimento impugnato (non essendo sufficiente l’elemento della residenza o della abituale frequenza con detto territorio cfr. Tar Abruzzo Sez. L’Aquila 14/11/1994 n.780). La vicinitas quale requisito legittimante all’azione innanzi al giudice amministrativo può anche essere definita come stabile e significativo collegamento – da indagarsi caso per caso - del ricorrente con l’ambiente che si vuole proteggere. Consiglio di Stato Sezione VI, del 27 marzo 2003 sentenza n. 1600  

Per ulteriori approfondimenti ed altre massime vedi il canale:  Giurisprudenza