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 Massime della sentenza

  

 

Consiglio di Stato, Sezione IV - 31 maggio 2003 - sentenza n. 3039.

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 


Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente
 

D E C I S I O N E


sul ricorso in appello n. 10952 del 1999 proposto dal Sindacato Nazionale Biologi Chimici Fisici Italiani (SnaBI), in persona del legale rappresentante, Levoni Paolo, Biagi Renato, Cardini Giancarlo tutti rappresentati e difesi dagli avvocati G. ed A. Guarino e G. C. Sciacca, elettivamente domiciliati presso lo studio Sciacca in Roma, via della Vite 7
c o n t r o
la Presidenza del Consiglio dei ministri, il Ministero della sanità (ora: della salute) e il Ministero del tesoro (ora: dell’economia e delle finanze), rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio presso la stessa in Roma, via dei Portoghesi 12
e nei confronti
della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri (FNOMCeO), in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’avvocato A. Funari, domiciliata elettivamente in Roma, presso lo studio dello stesso, Piazza Acilia 4
per l’annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, con sede in Roma, sezione I-bis, 18 novembre 1998 n. 3169
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Federazione appellata;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla pubblica udienza del 4 marzo 2003 il Consigliere Filippo Patroni Griffi; uditi, altresì, gli Avv.ti Malinconico su delega dell’Avv. A. Guarino, A. Funari e l’Avv. dello Stato Ventrella
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
 

F A T T O


Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, con sentenza 18 novembre 1998 n. 3169, ha dichiarato in parte inammissibile per difetto di giurisdizione e in parte infondato il ricorso proposto dal Sindacato Nazionale Biologi Chimici Fisici Italiani (SnaBI) per l’annullamento del D.P.R. 17 febbraio 1992, recante l’approvazione della tariffa professionale dei medici, nelle parti in cui contiene prestazioni professionali asseritamente riservate a chimici, fisici o biologi.
Avverso la sentenza interpone appello lo SnaBI, il quale, nel contestare la declinatoria di giurisdizione, dichiara di non insistere nella parte di gravame concernente gli effetti spiegati dalla tariffa sul fondo di incentivazione di competenza, rispetto al quale il Tribunale amministrativo ha respinto nel merito il ricorso.
Resiste l’appellata Federazione dei medici (FNOMCeO).
All’udienza del 4 marzo 2003, la causa è stata trattenuta in decisione.
 

D I R I T T O


1. La controversia, nel presente grado, è da ritenere delimitata all’impugnazione del D.P.R. 17 febbraio 1992, recante l’approvazione della tariffa professionale dei medici, nelle parti in cui contiene prestazioni professionali che il Sindacato appellante asserisce essere riservate a chimici, fisici o biologi.


Il Tribunale amministrativo, nel declinare la propria giurisdizione, ha ritenuto che tale controversia, riguardando la delimitazione delle reciproche sfere di competenza professionale – dei biologi, fisici e chimici da una parte, dei medici, nella specie genetisti, dall’altra –, investe diritti soggettivi, in quanto tali devoluti alla giurisdizione del giudice ordinario.


La tesi merita di essere condivisa.


2. Le competenze dei singoli professionisti attengono alla sfera di competenza professionale e concretano fattispecie di diritti soggettivi demandati alla cognizione del giudice ordinario.


Le tariffe professionali – secondo la giurisprudenza (Corte cost. 21 luglio 1995 n. 345 e 26 ottobre 2000 n. 441; Cons. Stato, IV, 8 ottobre 1996 n. 1087) – sono inidonee a determinare la sfera della competenza delle singole professioni, esaurendo piuttosto la loro funzione tipica nel determinare l’onorario del professionista in relazione alle sue prestazioni. In altri termini, le tariffe professionali non rendono lecita una prestazione inclusa, se questa esuli dalla competenza di quel professionista.


Si tratta allora di vedere quale sia l’incidenza dell’inclusione nella tariffa di una prestazione che, in tesi, rientra nella competenza esclusiva di un’altra categoria professionale.


Sotto il profilo del riparto della giurisdizione, si tratta di stabilire quale sia l’oggetto diretto del giudizio: la sfera delle competenze professionali, rappresentata dalle competenze dei singoli professionisti aventi natura di diritti soggettivi, oppure l’atto che reca l’approvazione della tariffa professionale, che si assume lesivo delle competenze professionali.


Riguardata sotto altro profilo, che consente un più corretto approccio ermeneutico alla questione, si tratta di stabilire se la sfera di competenza professionale, che ha consistenza di diritto soggettivo, funga nella specie da mera posizione legittimante alla contestazione dell’esercizio del potere, avente natura pubblicistica, di determinazione delle tariffe o costituisca essa stessa oggetto diretto del giudizio.


Nel giudizio amministrativo il sindacato concerne – come è noto – l’esercizio del potere pubblico in collegamento a una posizione soggettiva del privato. E’ possibile che tale posizione abbia consistenza di diritto soggettivo e che assuma efficacia legittimante alla contestazione del potere pubblicistico che direttamente incida sullo stesso, secondo il meccanismo tradizionalmente denominato dell’affievolimento del diritto, ma che è meglio descritto da quell’autorevole dottrina che ha espresso il fenomeno in termini di coesistenza di diritti e interessi, tutti pertinenti a una sfera giuridica soggettiva.


L’esempio tipico del meccanismo è costituito dal diritto di proprietà che, a fronte dell’esercizio del potere di espropriazione espresso attraverso la dichiarazione di pubblica utilità, assume consistenza di interesse legittimo, strumentale alla tutela della sfera soggettiva del cittadino.


Presupposto di operatività del meccanismo dell’affievolimento, però, è che il potere sia attribuito all’amministrazione in funzione “tipica”, sia cioè preordinato a incidere su quella posizione soggettiva del privato “affievolendola”.


Nella fattispecie in esame due concorrenti ordini di considerazioni inducono la Sezione a escludere che la controversia possa essere conosciuta dal giudice amministrativo in sede di giurisdizione generale di legittimità:


a) il sindacato originario ricorrente, e oggi appellante, mira a ottenere una declaratoria dell’esclusiva pertinenza di una data prestazione alla sfera di competenza professionale dei propri rappresentati;


b) l’atto impugnato è in radice inidoneo a determinare l’ambito delle competenze professionali, non essendo questo il suo “scopo tipico”, costituito invece dalla determinazione delle tariffe per prestazioni offerte dal singolo professionista: una prestazione non diventa consentita al professionista in virtù della sua inclusione nella “tariffa”, ma, se consentita e svolta in concreto da quel professionista, è retribuita secondo tariffa.


Nel delineato contesto, l’atto che approva la tariffa non è e, soprattutto, non può essere l’oggetto diretto dell’impugnazione; mentre, per converso, l’accertamento della sfera di competenza professionale, che è materia attinente a diritti, costituisce non già oggetto di cognizione incidentale limitata all’individuazione di una mera posizione legittimante, ma costituisce vero e proprio oggetto del giudizio e, in quanto tale, non rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo.


In altri termini, poiché la tariffa non serve a dire quali attività possono essere esercitate, il potere esercitato attraverso la determinazione della tariffa è in sé radicalmente inidoneo a influire sull’ambito delle competenze consentite e non può quindi determinare quel meccanismo dell’affievolimento che solo consentirebbe la diretta cognizione, nella giurisdizione generale di legittimità, del provvedimento gravato.


Non può negarsi che l’inclusione nella tariffa di una voce in tesi riservata ad altra categoria professionale possa arrecare turbativa all’attività professionale della categoria che assuma essere riservataria di quella professione (non essendo per converso ipotizzabile, specie in un ordinamento tendente a superare immotivate barriere all’esercizio delle professioni, una lesione a fronte di attività che siano ascrivibili promiscuamente a più di una professione): si versa, peraltro, nell’ipotesi tipica di interesse all’accertamento alla demarcazione di una sfera soggettiva che fonda un’azione di mero accertamento dinanzi al giudice dei diritti; potendosi, al più, discutere se, all’esito di quell’accertamento, sia configurabile un dovere, sanzionabile mediante l’azione di giudicato, alla rimozione di provvedimenti amministrativi che, pur non incidendo direttamente sul diritto accertato, si fondino su presupposti di fatto o logico-argomentativi incompatibili con l’accertamento giudiziale sul diritto.


3. In conclusione, deve ritenersi che l’impugnazione del provvedimento di approvazione di tariffe professionali, fondata sull’inclusione di prestazioni che si asseriscono riservate ad altra professione, sia inammissibile, perché la tariffa professionale è provvedimento inidoneo a delimitare le competenze professionali e perché l’azione volta ad accertare quali attività siano riservate a una data professione, e quindi inibite a un’altra, esula dalla giurisdizione del giudice amministrativo.


L’appello deve essere pertanto respinto.


La complessità della questione trattata induce, tuttavia, a ritenere che ricorrano i giusti motivi per compensare tra le parti le spese del presente grado.


P. Q. M.


Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, rigetta l’appello e conferma la sentenza del Tribunale amministrativo.
Spese del secondo grado compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
 

Così deciso in Roma, addì 4 marzo 2003, dalla Quarta Sezione del Consiglio di Stato, riunita in camera di consiglio con l’intervento dei Signori:
Gaetano TROTTA Presidente
Giuseppe BARBAGALLO Consigliere
Filippo PATRONI GRIFFI Consigliere, estensore
Aldo SCOLA Consigliere
Bruno MOLLICA Consigliere
 

M A S S I M E

 

Sentenza per esteso

 

1) Le tariffe professionali non rendono lecita una prestazione inclusa, se questa esuli dalla competenza di quel professionista - le competenze dei singoli professionisti - cognizione del giudice ordinario. Le competenze dei singoli professionisti attengono alla sfera di competenza professionale e concretano fattispecie di diritti soggettivi demandati alla cognizione del giudice ordinario. Le tariffe professionali – secondo la giurisprudenza (Corte cost. 21 luglio 1995 n. 345 e 26 ottobre 2000 n. 441; Cons. Stato, IV, 8 ottobre 1996 n. 1087) – sono inidonee a determinare la sfera della competenza delle singole professioni, esaurendo piuttosto la loro funzione tipica nel determinare l’onorario del professionista in relazione alle sue prestazioni. In altri termini, le tariffe professionali non rendono lecita una prestazione inclusa, se questa esuli dalla competenza di quel professionista. Consiglio di Stato, Sezione IV - 31 maggio 2003 - sentenza n. 3039

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