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 Massime della sentenza

  

 

Consiglio di Stato sez. VI, del 5.6.2003, sentenza n. 3124.

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
 

DECISIONE


sul ricorso in appello n.11148/1997, proposto da Tuccillo Costruzioni s.p.a., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dall’avv. Giuseppe Abbamonte e dall’avv. Enrico Soprano, ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. Bruno Ricciardelli in Roma, Via Chiala n.125/d;
contro
- il Consorzio Iricav Uno, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dall’avv. Giuseppe Giuffré, ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, Via Nicotera n.29;
- la T.A.V. s.p.a., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dall’avv. Luigi Piscitelli e dall’avv. Diego Corapi ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, Via Flaminia n.318, anche appellante incidentale;
- il Ministero dei trasporti, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, e per legge domiciliato presso gli uffici di quest’ultima, in Roma, Via dei Portoghesi n.12;
- le Ferrovie dello Stato s.p.a., in persona del legale rappresentante in carica, non costituita in giudizio;
e nei confronti
dell’impresa La Fatrè s.r.l., in persona del legale rappresentante in carica, non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per il Lazio - sede di Roma, sez.III ter, 6 giugno 1997, n.1250, resa tra le parti.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
visti gli atti di costituzione in giudizio dell’amministrazione statale e delle società appellate T.A.V. e Consorzio Iricav Uno;
visto l’appello incidentale di T.A.V.;
viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; visti tutti gli atti della causa;
relatore alla pubblica udienza del 25 marzo 2003 il consigliere Rosanna De Nictolis e uditi l'avv. Abbamonte e l’avv. Soprano per l’appellante, l'avv. dello Stato Gabriella Mangia per l’amministrazione appellata, l'avv. Vittorio Cappuccilli per delega dell’avv. Corapi per TAV s.p.a., l’avv. Alessandro Savini per delega dell’avv. Giuffré per Iricav Uno;
ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO E DIRITTO


1. La TAV s.p.a., concessionaria della F.S. s.p.a. per la realizzazione della linea ferroviaria ad alta velocità Milano – Napoli, ha stipulato con il Consorzio Iricav Uno, general contractor, una convenzione che prevede, per quel che qui interessa, l’affidamento a imprese terze del 40% delle opere.


In virtù di tale previsione, il Consorzio Iricav indiceva appalto con procedura ristretta ai sensi della direttiva 93/38/Cee.


In base all’art.3 della convenzione l’aggiudicazione definitiva era subordinata al gradimento da parte di T.A.V., tramite Italfer Sis Tav, società di ingegneria incaricata della gestione tecnico – amministrativa del contratto.


Sia il bando che la lettera – invito ribadivano la necessità del gradimento di T.A.V. al fine dell’aggiudicazione definitiva.


Risultava aggiudicataria provvisoria della gara n.28 la società odierna appellante.


Con nota 29 ottobre 1996, prot. D.G. 150.5234.6/c T.A.V. comunicava a Iricav Uno di negare il gradimento all’aggiudicazione definitiva in favore della Tuccillo costruzioni.


Ciò in quanto alla luce della nota della Prefettura di Napoli 28 giugno 1996, n.2001/TAV, pur non emergendo cause interdittive prescritte dalla normativa antimafia e pur non essendovi la prova di tentativi di infiltrazione mafiosa nei confronti della società Tuccillo, ciò nonostante emergevano sospetti di connessione dell’impresa con la criminalità organizzata, che inducevano a ritenere la stessa non idonea, sotto il profilo dei requisiti di affidabilità morale, ad eseguire lavori nell’ambito della realizzazione del sistema alta velocità.


A sua volta il Consorzio Iricav Uno con nota 11 novembre 1996, prot. CBG/sp/Aco – 7000 revocava l’aggiudicazione provvisoria in favore della Tucillo Costruzioni nella gara n.28.


Sia la nota T.A.V. che la nota Iricav, con la consueta formula degli atti presupposti, venivano impugnate dall’odierna appellante innanzi al T.A.R. del Lazio.


1.1. Il giudice adito, con la sentenza in epigrafe:
in rito, disattendeva l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dalle altre parti;

nel merito, respingeva il ricorso rilevando che:
T.A.V. aveva un potere di approvazione del contratto;
il potere di approvazione del contratto è istituto ancora vigente;
l’approvazione può essere negata anche per ragioni di opportunità inerenti all’interesse pubblico;
nell’ambito della c.d. cautele antimafia e delle conseguenti preclusioni alla partecipazione e stipulazione dei contratti pubblici, accanto alle due figure tipizzate dal d.lgs. n.490/1994 (cause interdittive della contrattazione connesse a sanzioni penali o misure preventive, e tentativo di infiltrazione mafiosa), deve riconoscersi l’esistenza della c.d. informativa prefettizia supplementare atipica (che trova la sua fonte normativa nell’art.2, d.l. n.629/1982, mai abrogato), consistente in un’informativa prefettizia da cui, pur non emergendo cause interdittive o la prova certa del tentativo di infiltrazione mafiosa, risultano comunque elementi di sospetto tali da incidere sull’affidabilità morale dell’impresa;
l’informativa supplementare atipica è utilizzabile da parte della stazione appaltante al fine dell’esercizio dei suoi poteri discrezionali di autotutela, mediante il diniego di affidamento dell’appalto o l’adozione di atti di ritiro dell’aggiudicazione già avvenuta;
la possibilità di negare l’approvazione del contratto sulla base di gravi motivi di interesse pubblico (come recita l’art.113, r.d. n.827/1924) consistenti nel sospetto circostanziato di connessione dell’impresa con la criminalità organizzata, non incontra ostacoli nel diritto comunitario degli appalti, il quale non è esaustivo di tutte le possibili cause di esclusione delle imprese dai pubblici appalti; del resto l’art.8, l. n.109/1994, nel richiamare le cause di esclusione previste dal diritto comunitario, fa comunque salva la vigente normativa antimafia.


2. Ha proposto appello la società originaria ricorrente.


T.A.V. a sua volta ha spiegato appello incidentale subordinato, con cui ripropone l’eccezione di difetto di giurisdizione, che il T.A.R. ha respinto.


Oltre a T.A.V., si sono costituiti Iricav Uno e il Ministero dei trasporti: tutti i resistenti si oppongono all’accoglimento del gravame.


3. Parte appellante:
contesta l’esistenza in capo a T.A.V. di un potere discrezionale di negare l’approvazione dei contratti, al di fuori delle cause di esclusione tipizzate dall’ordinamento;
ritiene che il diniego di gradimento si sia fondato sull’erroneo e inesistente presupposto del tentativo di infiltrazione mafiosa, espressamente escluso nell’informativa prefettizia;
nega l’utilizzabilità, nell’ambito delle cautele antimafia, della c.d. informativa supplementare atipica, essendo le cautele antimafia tipizzate dell’ordinamento nelle due figure delle cause interdittive e del tentativo di infiltrazione mafiosa; l’accertamento della sussistenza sia delle cause interdittive sia del tentativo di infiltrazione sono demandate in via esclusiva al Prefetto, con esclusione di poteri discrezionali in capo alle stazioni appaltanti;
aggiunge che anche a voler riconoscere un potere discrezionale della stazione appaltante di escludere le imprese dai pubblici appalti sulla base della c.d. informativa supplementare atipica, lo stesso dovrebbero essere riservato alle pubbliche amministrazioni in senso stretto, e non potrebbe essere esercitato – come nella specie accaduto – da soggetti privati concessionari dell’amministrazione;
lamenta che i provvedimenti impugnati sarebbero carenti di adeguata motivazione, e che il T.A.R. avrebbe inammissibilmente integrato la motivazione medesima dei provvedimenti;
ritiene in contrasto con il diritto comunitario la possibilità di esclusione discrezionale delle imprese dai pubblici appalti al di fuori delle cause di esclusione previste e tipizzate dall’ordinamento comunitario.


4. L’appello principale è infondato.


4.1. Giova, anzitutto, ricostruire il quadro normativo.


L’art.4, d.lgs. n.490/1994 dispone, al co. 1, che “Le pubbliche amministrazioni, gli enti pubblici e gli altri soggetti di cui all'art.1, devono acquisire le informazioni di cui al comma 4 prima di stipulare, approvare o autorizzare i contratti e subcontratti, ovvero prima di rilasciare o consentire le concessioni o erogazioni indicati nell'allegato 3, il cui valore sia:
a) pari o superiore a quello determinato dalla legge in attuazione delle direttive comunitarie in materia di opere e lavori pubblici, servizi pubblici e pubbliche forniture, indipendentemente dai casi di esclusione ivi indicati;
b) superiore a 300 milioni di lire per le concessioni di acque pubbliche o di beni demaniali per lo svolgimento di attività imprenditoriali, ovvero per la concessione di contributi, finanziamenti e agevolazioni su mutuo o altre erogazioni dello stesso tipo per lo svolgimento di attività imprenditoriali;
c) superiore a 200 milioni di lire per l'autorizzazione di subcontratti, cessioni o cottimi, concernenti la realizzazione di opere o lavori pubblici o la prestazione di servizi o forniture pubbliche”.


Il successivo co. 4 dispone, nel suo primo periodo, che: “Il prefetto trasmette alle amministrazioni richiedenti, nel termine massimo di quindici giorni dalla ricezione della richiesta, le informazioni concernenti la sussistenza o meno, a carico di uno dei soggetti indicati nelle lettere d) ed e) dell'allegato 4, delle cause di divieto o di sospensione dei procedimenti indicate nell'allegato 1, nonché le informazioni relative ad eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate”.


La norma recata dal co. 4 prevede due tipi di informative c.d. interdittive, che impediscono la contrattazione:
informazione prefettizia che comunica la sussistenza a carico dei soggetti responsabili dell’impresa ovvero dei soggetti familiari, anche di fatto, conviventi nel territorio dello Stato, delle cause di divieto o sospensione dei procedimenti indicate nell’allegato 1 (vale a dire le cause di divieto, sospensione, decadenza, previste dall’art.10, l. 31 maggio 1965, n.575);
informazione prefettizia da cui risultino eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte o gli indirizzi delle società o imprese interessate.


4.2. La prassi dell’amministrazione sviluppatasi sulla base dell’esegesi delle norme vigenti, sostenuta dall’elaborazione giurisprudenziale, conosce, infine, un terzo tipo di informativa, la c.d. informativa supplementare atipica, fondata sull’accertamento di elementi i quali, pur denotando il pericolo di collegamenti tra l’impresa e la criminalità organizzata, non raggiungono la soglia di gravità prevista dall’art.4, d.lgs. n.490/1994, vuoi perché carenti di alcuni requisiti soggettivi o oggettivi pertinenti alle cause di divieto o sospensione, vuoi perché non integranti del tutto il tentativo di infiltrazione mafiosa.


La stessa è priva di efficacia interdittiva automatica, ma consente l’attivazione degli ordinari poteri discrezionali di ritiro del contratto da parte della stazione appaltante (C. Stato, V, 24 ottobre 2000, n.5710; C. Stato, IV, 1° marzo 2001, n.1148; C. Stato, VI, 14 gennaio 2002, n.149), laddove tali poteri siano previsti dall’ordinamento.


Tale potere – dovere di informativa supplementare da parte del Prefetto nei confronti delle stazioni appaltanti trova, secondo le statuizioni di questo Consesso, che il Collegio condivide, il suo fondamento: da un lato nell’art.1 septies, d.l. 6 settembre 1982, conv. nella l. 12 ottobre 1982, n.726, a tenore del quale l’alto commissario antimafia (le cui competenze sono state nelle more devolute ai Prefetti) può “comunicare alle autorità competenti al rilascio di licenze, autorizzazioni, concessioni (…) per lo svolgimento di attività economiche (…) elementi di fatto ed altre indicazioni utili alla valutazione, nell’ambito della discrezionalità ammessa dalla legge, dei requisiti soggettivi richiesti (…)”; dall’altro lato, nel principio generale di collaborazione reciproca, con correlati obblighi di trasmissione di conoscenze, tra le pubbliche istituzioni.


4.2. Riconosciuta l’esistenza e l’ammissibilità dell’informativa supplementare atipica, la stessa, come osservato, è utilizzabile discrezionalmente da parte delle stazioni appaltanti per l’esercizio dei poteri di autotutela previsti dall’ordinamento, che possono estrinsecarsi in:
diniego di approvazione del contratto;
diniego di aggiudicazione definitiva;
revoca dell’aggiudicazione definitiva;
revoca dell’aggiudicazione provvisoria.


Deve in termini generali riconoscersi il potere dell’amministrazione di ritirare gli atti di gara per comprovate e motivate ragioni di interesse pubblico.


Tale potere riposa, oltre che sulla disciplina di contabilità generale dello Stato che consente il diniego di approvazione per motivi di interesse pubblico (art.113, r.d. n.827/1994), sul principio generale dell’autotutela della pubblica amministrazione.


Invero, in una prospettiva di ordine generale, occorre considerare che anche nell’ambito dell’attività diretta alla conclusione degli appalti pubblici trova ingresso il principio dell’autotutela decisoria, secondo il quale l’amministrazione può riesaminare, annullare e rettificare gli atti invalidi. Infatti, il complesso delle regole sull’autotutela ha portata generale, rappresentando una delle manifestazioni tipiche del potere amministrativo, direttamente connesso ai criteri costituzionali di imparzialità e buon andamento della funzione pubblica (C. Stato, V, 3 febbraio 2000, n.661).


Nel settore degli appalti pubblici di lavori, poi, assume particolare rilievo l’esigenza di assicurare il puntuale rispetto delle regole della concorrenza tra le imprese, nell’interesse generale alla corretta ed efficace gestione delle risorse pubbliche, conformemente ai principi enunciati dall’articolo 1 della legge n.109/1994 (C. Stato, V, 3 febbraio 2000, n.661).


La giurisprudenza di questo Consesso riconosce il potere di ritiro dell’aggiudicazione di un pubblico appalto – persino dopo la stipulazione del contratto – in costanza di concrete ed adeguate ragioni di interesse pubblico (C. Stato, V, 24 ottobre 2000, n.5710; C. Stato, V, 3 febbraio 2000, n.661; C. Stato, VI, 14 gennaio 2000, n.244).


Il diniego di approvazione del contratto previsto dall’art.113, r.d. n.827/1924, è applicabile in presenza di un’informativa supplementare atipica, sussistendo in tal caso ragioni di interesse pubblico che si ricollegano al contenuto dell’informativa antimafia (C. Stato, V, n.5710/2000; C. Stato, VI, n.149/2002).


4.3. Una volta riconosciuto il potere dell’amministrazione di intervenire in via di autotutela sugli atti di gara per ragioni di interesse pubblico, tale potere va riconosciuto non solo alle pubbliche amministrazioni in senso stretto, ma anche ai soggetti privati che possano essere qualificati come organismi di diritto pubblico e che, agendo quali concessionari, o contraenti generali della pubblica amministrazione, siano tenuti ad osservare i procedimenti di evidenza pubblica per l’affidamento degli appalti.


E, invero, secondo il consolidato orientamento di questo Consesso, da un lato gli atti delle procedure di evidenza pubblica sono oggettivamente amministrativi, ancorché posti in essere da stazioni appaltanti formalmente private; e dall’altro lato queste ultime assurgono, limitatamente agli atti di gara, ad amministrazioni pubbliche in senso soggettivo (C. Stato, VI, 28 ottobre 1998, n.1478).


Ne consegue che ai soggetti privati tenuti all’osservanza delle procedure di evidenza pubblica nell’affidare i pubblici appalti, va riconosciuto anche il potere pubblicistico di autotutela in relazione agli atti di gara, negli stessi termini in cui spetta alle pubbliche amministrazioni in senso stretto.


4.4. Facendo applicazione di tali principi di diritto al caso di specie, si deve osservare che, in punto di fatto, l’informativa prefettizia pur non evidenziando la presenza di cause interdittive o di tentativi di infiltrazione mafiosa, ha indicato la sussistenza di gravi elementi incidenti sull’idoneità morale dell’impresa, stante, in particolare, la pendenza a carico dei soci dell’impresa di procedimento penale per associazione a delinquere di stampo mafioso.


In particolare, dalla nota prefettizia si evince, da un lato, la sottoposizione a misura cautelare detentiva dei fratelli Tuccillo, non eseguita per latitanza, e ancorché successivamente annullata, e, dall’altro lato, la richiesta di rinvio a giudizio per il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso finalizzata a reati di estorsione nei confronti di cantieri edili. Sicché vi erano, all’epoca di adozione degli atti impugnati, elementi di sospetto specifici, riferiti a ipotesi di illeciti penali direttamente connessi al settore degli appalti di lavori pubblici.


Sulla base di tale informativa, qualificabile come informativa supplementare atipica, correttamente è stato esercitato il potere di autotutela (mediante diniego di approvazione e di aggiudicazione definitiva dell’appalto e revoca dell’aggiudicazione provvisoria), motivato dall’inidoneità morale dell’impresa.


Giova aggiungere, in fatto, che è irrilevante la sopravvenuta assoluzione dall’imputazione penale, in quanto successiva alla data di adozione dei provvedimenti (e peraltro non essendo stata dall’appellante depositata la motivazione della sentenza, ma il solo dispositivo, neppure vi è prova dell’assoluta estraneità ai fatti penali dei fratelli Tuccillo).


4.5. Né il riconosciuto potere di autotutela dell’amministrazione basato sull’informativa supplementare atipica contrasta con il diritto comunitario degli appalti, che, ad avviso dell’appellante, prevederebbe un numero chiuso di cause di esclusione dagli appalti.


Si deve ritenere che le cause di esclusione dagli appalti previste dal diritto comunitario, e puntualmente recepite dall’ordinamento interno (art.8, l. n.109/1994; art.75, d.p.r. n.554/1999; d.lgs. n.158/1995), non sono esaustive e tassative, potendo i legislatori nazionali prevederne ulteriori a salvaguardia di interessi pubblici generali diversi da quello della tutela della concorrenza, e fondate su ragioni di ordine e sicurezza pubblica.


Invero, il trattato di Roma istitutivo della comunità europea, nel sancire la libera circolazione di servizi, consente l’applicazione delle stesse restrizioni previste per la libera circolazione dei capitali (art.55), e, in particolare, la possibilità per gli Stati membri, tra l’altro, di adottare misure giustificate da motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza (art.58 (73D), § 1, lett. b)), e purché tali misure non siano un mezzo di discriminazione arbitraria o di restrizione dissimulata della libertà di circolazione (art.58, § 3).


Sicché, alla luce degli artt.55 e 58 del Trattato di Roma, nell’ordinamento italiano, ben si giustificano e sono compatibili con la libertà di circolazione e con la tutela della concorrenza, cause di esclusione dagli appalti che, sebbene ulteriori rispetto a quelle previste dal diritto comunitario degli appalti, sono motivate da cautele antimafia, in quanto le stesse hanno il loro fondamento in ragioni di ordine pubblico e pubblica sicurezza, e, lungi dal provocare una restrizione della concorrenza, mirano al contrario a garantire l’esplicazione di una concorrenza sana e avulsa da inquinamenti da parte della criminalità organizzata.


5. L’appello principale va, in conclusione, respinto.


Ne consegue l’improcedibilità per difetto di interesse dell’appello incidentale.


6. La novità delle questioni (all’epoca della proposizione dell’appello) giustifica, tuttavia, l’integrale compensazione delle spese di lite.


P.Q.M.


Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione sesta), definitivamente pronunciando sull’appello principale e sull’appello incidentale in epigrafe, respinge il primo e dichiara improcedibile il secondo.


Compensa interamente tra le parti le spese, i diritti e gli onorari di lite.


Ordina che la pubblica amministrazione dia esecuzione alla presente decisione.


Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 25 marzo 2003, con la partecipazione di:
Salvatore Giacchetti - Presidente
Alessandro Pajno - Consigliere
Carmine Volpe - Consigliere
Pietro Falcone - Consigliere
Rosanna De Nictolis - Cons. rel. ed est.

 

M A S S I M E

 

Sentenza per esteso

 

1) Il potere dell’amministrazione di intervenire in via di autotutela sugli atti di gara per ragioni di interesse pubblico, tale potere va riconosciuto non solo alle pubbliche amministrazioni in senso stretto, ma anche ai soggetti privati - procedimenti di evidenza pubblica per l’affidamento degli appalti - concessionari, o contraenti generali della pubblica amministrazione. Riconosciuto il potere dell’amministrazione di intervenire in via di autotutela sugli atti di gara per ragioni di interesse pubblico, tale potere va riconosciuto non solo alle pubbliche amministrazioni in senso stretto, ma anche ai soggetti privati che possano essere qualificati come organismi di diritto pubblico e che, agendo quali concessionari, o contraenti generali della pubblica amministrazione, siano tenuti ad osservare i procedimenti di evidenza pubblica per l’affidamento degli appalti. E, invero, secondo il consolidato orientamento di questo Consesso, da un lato gli atti delle procedure di evidenza pubblica sono oggettivamente amministrativi, ancorché posti in essere da stazioni appaltanti formalmente private; e dall’altro lato queste ultime assurgono, limitatamente agli atti di gara, ad amministrazioni pubbliche in senso soggettivo (C. Stato, VI, 28 ottobre 1998, n.1478). Ne consegue che ai soggetti privati tenuti all’osservanza delle procedure di evidenza pubblica nell’affidare i pubblici appalti, va riconosciuto anche il potere pubblicistico di autotutela in relazione agli atti di gara, negli stessi termini in cui spetta alle pubbliche amministrazioni in senso stretto. Conforme: Consiglio di Stato sez. VI, del 6 giugno 2003, sentenza n. 3163. Consiglio di Stato sez. VI, del 5 giugno 2003, sentenza n. 3124

 

2) Il riconosciuto potere di autotutela dell’amministrazione basato sull’informativa supplementare atipica non contrasta con il diritto comunitario degli appalti - le cause di esclusione dagli appalti previste dal diritto comunitario - il trattato di Roma istitutivo della comunità europea. Né il riconosciuto potere di autotutela dell’amministrazione basato sull’informativa supplementare atipica contrasta con il diritto comunitario degli appalti, che, ad avviso dell’appellante, prevederebbe un numero chiuso di cause di esclusione dagli appalti. Si deve ritenere che le cause di esclusione dagli appalti previste dal diritto comunitario, e puntualmente recepite dall’ordinamento interno (art.8, l. n.109/1994; art.75, d.p.r. n.554/1999; d.lgs. n.158/1995), non sono esaustive e tassative, potendo i legislatori nazionali prevederne ulteriori a salvaguardia di interessi pubblici generali diversi da quello della tutela della concorrenza, e fondate su ragioni di ordine e sicurezza pubblica. Invero, il trattato di Roma istitutivo della comunità europea, nel sancire la libera circolazione di servizi, consente l’applicazione delle stesse restrizioni previste per la libera circolazione dei capitali (art.55), e, in particolare, la possibilità per gli Stati membri, tra l’altro, di adottare misure giustificate da motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza (art.58 (73D), § 1, lett. b)), e purché tali misure non siano un mezzo di discriminazione arbitraria o di restrizione dissimulata della libertà di circolazione (art.58, § 3). Sicché, alla luce degli artt.55 e 58 del Trattato di Roma, nell’ordinamento italiano, ben si giustificano e sono compatibili con la libertà di circolazione e con la tutela della concorrenza, cause di esclusione dagli appalti che, sebbene ulteriori rispetto a quelle previste dal diritto comunitario degli appalti, sono motivate da cautele antimafia, in quanto le stesse hanno il loro fondamento in ragioni di ordine pubblico e pubblica sicurezza, e, lungi dal provocare una restrizione della concorrenza, mirano al contrario a garantire l’esplicazione di una concorrenza sana e avulsa da inquinamenti da parte della criminalità organizzata. Consiglio di Stato sez. VI, del 5 giugno 2003, sentenza n. 3124

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