Legislazione Giurisprudenza Vedi altre: Sentenze per esteso
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n.11148/1997, proposto da Tuccillo Costruzioni
s.p.a., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa
dall’avv. Giuseppe Abbamonte e dall’avv. Enrico Soprano, ed elettivamente
domiciliata presso lo studio dell’avv. Bruno Ricciardelli in Roma, Via Chiala n.125/d;
contro
- il Consorzio Iricav Uno, in persona del legale rappresentante in carica,
rappresentato e difeso dall’avv. Giuseppe Giuffré, ed elettivamente domiciliato
presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, Via Nicotera n.29;
- la T.A.V. s.p.a., in persona del legale rappresentante in carica,
rappresentata e difesa dall’avv. Luigi Piscitelli e dall’avv. Diego Corapi ed
elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, Via
Flaminia n.318, anche appellante incidentale;
- il Ministero dei trasporti, in persona del Ministro in carica, rappresentato e
difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, e per legge domiciliato presso gli
uffici di quest’ultima, in Roma, Via dei Portoghesi n.12;
- le Ferrovie dello Stato s.p.a., in persona del legale rappresentante in
carica, non costituita in giudizio;
e nei confronti
dell’impresa La Fatrè s.r.l., in persona del legale rappresentante in carica,
non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per il Lazio - sede di Roma, sez.III ter, 6 giugno
1997, n.1250, resa tra le parti.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
visti gli atti di costituzione in giudizio dell’amministrazione statale e delle
società appellate T.A.V. e Consorzio Iricav Uno;
visto l’appello incidentale di T.A.V.;
viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; visti
tutti gli atti della causa;
relatore alla pubblica udienza del 25 marzo 2003 il consigliere Rosanna De
Nictolis e uditi l'avv. Abbamonte e l’avv. Soprano per l’appellante, l'avv.
dello Stato Gabriella Mangia per l’amministrazione appellata, l'avv. Vittorio
Cappuccilli per delega dell’avv. Corapi per TAV s.p.a., l’avv. Alessandro Savini
per delega dell’avv. Giuffré per Iricav Uno;
ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO E DIRITTO
1. La TAV s.p.a., concessionaria della F.S. s.p.a. per la realizzazione della
linea ferroviaria ad alta velocità Milano – Napoli, ha stipulato con il
Consorzio Iricav Uno, general contractor, una convenzione che prevede, per quel
che qui interessa, l’affidamento a imprese terze del 40% delle opere.
In virtù di tale previsione, il Consorzio Iricav indiceva appalto con procedura
ristretta ai sensi della direttiva 93/38/Cee.
In base all’art.3 della convenzione l’aggiudicazione definitiva era subordinata
al gradimento da parte di T.A.V., tramite Italfer Sis Tav, società di ingegneria
incaricata della gestione tecnico – amministrativa del contratto.
Sia il bando che la lettera – invito ribadivano la necessità del gradimento di
T.A.V. al fine dell’aggiudicazione definitiva.
Risultava aggiudicataria provvisoria della gara n.28 la società odierna
appellante.
Con nota 29 ottobre 1996, prot. D.G. 150.5234.6/c T.A.V. comunicava a Iricav Uno
di negare il gradimento all’aggiudicazione definitiva in favore della Tuccillo
costruzioni.
Ciò in quanto alla luce della nota della Prefettura di Napoli 28 giugno 1996, n.2001/TAV,
pur non emergendo cause interdittive prescritte dalla normativa antimafia e pur
non essendovi la prova di tentativi di infiltrazione mafiosa nei confronti della
società Tuccillo, ciò nonostante emergevano sospetti di connessione dell’impresa
con la criminalità organizzata, che inducevano a ritenere la stessa non idonea,
sotto il profilo dei requisiti di affidabilità morale, ad eseguire lavori
nell’ambito della realizzazione del sistema alta velocità.
A sua volta il Consorzio Iricav Uno con nota 11 novembre 1996, prot. CBG/sp/Aco
– 7000 revocava l’aggiudicazione provvisoria in favore della Tucillo Costruzioni
nella gara n.28.
Sia la nota T.A.V. che la nota Iricav, con la consueta formula degli atti
presupposti, venivano impugnate dall’odierna appellante innanzi al T.A.R. del
Lazio.
1.1. Il giudice adito, con la sentenza in epigrafe:
in rito, disattendeva l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dalle
altre parti;
nel merito, respingeva il
ricorso rilevando che:
T.A.V. aveva un potere di approvazione del contratto;
il potere di approvazione del contratto è istituto ancora vigente;
l’approvazione può essere negata anche per ragioni di opportunità inerenti
all’interesse pubblico;
nell’ambito della c.d. cautele antimafia e delle conseguenti preclusioni alla
partecipazione e stipulazione dei contratti pubblici, accanto alle due figure
tipizzate dal d.lgs. n.490/1994 (cause interdittive della contrattazione
connesse a sanzioni penali o misure preventive, e tentativo di infiltrazione
mafiosa), deve riconoscersi l’esistenza della c.d. informativa prefettizia
supplementare atipica (che trova la sua fonte normativa nell’art.2, d.l. n.629/1982,
mai abrogato), consistente in un’informativa prefettizia da cui, pur non
emergendo cause interdittive o la prova certa del tentativo di infiltrazione
mafiosa, risultano comunque elementi di sospetto tali da incidere
sull’affidabilità morale dell’impresa;
l’informativa supplementare atipica è utilizzabile da parte della stazione
appaltante al fine dell’esercizio dei suoi poteri discrezionali di autotutela,
mediante il diniego di affidamento dell’appalto o l’adozione di atti di ritiro
dell’aggiudicazione già avvenuta;
la possibilità di negare l’approvazione del contratto sulla base di gravi motivi
di interesse pubblico (come recita l’art.113, r.d. n.827/1924) consistenti nel
sospetto circostanziato di connessione dell’impresa con la criminalità
organizzata, non incontra ostacoli nel diritto comunitario degli appalti, il
quale non è esaustivo di tutte le possibili cause di esclusione delle imprese
dai pubblici appalti; del resto l’art.8, l. n.109/1994, nel richiamare le cause
di esclusione previste dal diritto comunitario, fa comunque salva la vigente
normativa antimafia.
2. Ha proposto appello la società originaria ricorrente.
T.A.V. a sua volta ha spiegato appello incidentale subordinato, con cui
ripropone l’eccezione di difetto di giurisdizione, che il T.A.R. ha respinto.
Oltre a T.A.V., si sono costituiti Iricav Uno e il Ministero dei trasporti:
tutti i resistenti si oppongono all’accoglimento del gravame.
3. Parte appellante:
contesta l’esistenza in capo a T.A.V. di un potere discrezionale di negare
l’approvazione dei contratti, al di fuori delle cause di esclusione tipizzate
dall’ordinamento;
ritiene che il diniego di gradimento si sia fondato sull’erroneo e inesistente
presupposto del tentativo di infiltrazione mafiosa, espressamente escluso
nell’informativa prefettizia;
nega l’utilizzabilità, nell’ambito delle cautele antimafia, della c.d.
informativa supplementare atipica, essendo le cautele antimafia tipizzate
dell’ordinamento nelle due figure delle cause interdittive e del tentativo di
infiltrazione mafiosa; l’accertamento della sussistenza sia delle cause
interdittive sia del tentativo di infiltrazione sono demandate in via esclusiva
al Prefetto, con esclusione di poteri discrezionali in capo alle stazioni
appaltanti;
aggiunge che anche a voler riconoscere un potere discrezionale della stazione
appaltante di escludere le imprese dai pubblici appalti sulla base della c.d.
informativa supplementare atipica, lo stesso dovrebbero essere riservato alle
pubbliche amministrazioni in senso stretto, e non potrebbe essere esercitato –
come nella specie accaduto – da soggetti privati concessionari
dell’amministrazione;
lamenta che i provvedimenti impugnati sarebbero carenti di adeguata motivazione,
e che il T.A.R. avrebbe inammissibilmente integrato la motivazione medesima dei
provvedimenti;
ritiene in contrasto con il diritto comunitario la possibilità di esclusione
discrezionale delle imprese dai pubblici appalti al di fuori delle cause di
esclusione previste e tipizzate dall’ordinamento comunitario.
4. L’appello principale è infondato.
4.1. Giova, anzitutto, ricostruire il quadro normativo.
L’art.4, d.lgs. n.490/1994 dispone, al co. 1, che “Le pubbliche amministrazioni,
gli enti pubblici e gli altri soggetti di cui all'art.1, devono acquisire le
informazioni di cui al comma 4 prima di stipulare, approvare o autorizzare i
contratti e subcontratti, ovvero prima di rilasciare o consentire le concessioni
o erogazioni indicati nell'allegato 3, il cui valore sia:
a) pari o superiore a quello determinato dalla legge in attuazione delle
direttive comunitarie in materia di opere e lavori pubblici, servizi pubblici e
pubbliche forniture, indipendentemente dai casi di esclusione ivi indicati;
b) superiore a 300 milioni di lire per le concessioni di acque pubbliche o di
beni demaniali per lo svolgimento di attività imprenditoriali, ovvero per la
concessione di contributi, finanziamenti e agevolazioni su mutuo o altre
erogazioni dello stesso tipo per lo svolgimento di attività imprenditoriali;
c) superiore a 200 milioni di lire per l'autorizzazione di subcontratti,
cessioni o cottimi, concernenti la realizzazione di opere o lavori pubblici o la
prestazione di servizi o forniture pubbliche”.
Il successivo co. 4 dispone, nel suo primo periodo, che: “Il prefetto trasmette
alle amministrazioni richiedenti, nel termine massimo di quindici giorni dalla
ricezione della richiesta, le informazioni concernenti la sussistenza o meno, a
carico di uno dei soggetti indicati nelle lettere d) ed e) dell'allegato 4,
delle cause di divieto o di sospensione dei procedimenti indicate nell'allegato
1, nonché le informazioni relative ad eventuali tentativi di infiltrazione
mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o
imprese interessate”.
La norma recata dal co. 4 prevede due tipi di informative c.d. interdittive, che
impediscono la contrattazione:
informazione prefettizia che comunica la sussistenza a carico dei soggetti
responsabili dell’impresa ovvero dei soggetti familiari, anche di fatto,
conviventi nel territorio dello Stato, delle cause di divieto o sospensione dei
procedimenti indicate nell’allegato 1 (vale a dire le cause di divieto,
sospensione, decadenza, previste dall’art.10, l. 31 maggio 1965, n.575);
informazione prefettizia da cui risultino eventuali tentativi di infiltrazione
mafiosa tendenti a condizionare le scelte o gli indirizzi delle società o
imprese interessate.
4.2. La prassi dell’amministrazione sviluppatasi sulla base dell’esegesi delle
norme vigenti, sostenuta dall’elaborazione giurisprudenziale, conosce, infine,
un terzo tipo di informativa, la c.d. informativa supplementare atipica, fondata
sull’accertamento di elementi i quali, pur denotando il pericolo di collegamenti
tra l’impresa e la criminalità organizzata, non raggiungono la soglia di gravità
prevista dall’art.4, d.lgs. n.490/1994, vuoi perché carenti di alcuni requisiti
soggettivi o oggettivi pertinenti alle cause di divieto o sospensione, vuoi
perché non integranti del tutto il tentativo di infiltrazione mafiosa.
La stessa è priva di efficacia interdittiva automatica, ma consente
l’attivazione degli ordinari poteri discrezionali di ritiro del contratto da
parte della stazione appaltante (C. Stato, V, 24 ottobre 2000, n.5710; C. Stato,
IV, 1° marzo 2001, n.1148; C. Stato, VI, 14 gennaio 2002, n.149), laddove tali
poteri siano previsti dall’ordinamento.
Tale potere – dovere di informativa supplementare da parte del Prefetto nei
confronti delle stazioni appaltanti trova, secondo le statuizioni di questo
Consesso, che il Collegio condivide, il suo fondamento: da un lato nell’art.1
septies, d.l. 6 settembre 1982, conv. nella l. 12 ottobre 1982, n.726, a tenore
del quale l’alto commissario antimafia (le cui competenze sono state nelle more
devolute ai Prefetti) può “comunicare alle autorità competenti al rilascio di
licenze, autorizzazioni, concessioni (…) per lo svolgimento di attività
economiche (…) elementi di fatto ed altre indicazioni utili alla valutazione,
nell’ambito della discrezionalità ammessa dalla legge, dei requisiti soggettivi
richiesti (…)”; dall’altro lato, nel principio generale di collaborazione
reciproca, con correlati obblighi di trasmissione di conoscenze, tra le
pubbliche istituzioni.
4.2. Riconosciuta l’esistenza e l’ammissibilità dell’informativa supplementare
atipica, la stessa, come osservato, è utilizzabile discrezionalmente da parte
delle stazioni appaltanti per l’esercizio dei poteri di autotutela previsti
dall’ordinamento, che possono estrinsecarsi in:
diniego di approvazione del contratto;
diniego di aggiudicazione definitiva;
revoca dell’aggiudicazione definitiva;
revoca dell’aggiudicazione provvisoria.
Deve in termini generali riconoscersi il potere dell’amministrazione di ritirare
gli atti di gara per comprovate e motivate ragioni di interesse pubblico.
Tale potere riposa, oltre che sulla disciplina di contabilità generale dello
Stato che consente il diniego di approvazione per motivi di interesse pubblico
(art.113, r.d. n.827/1994), sul principio generale dell’autotutela della
pubblica amministrazione.
Invero, in una prospettiva di ordine generale, occorre considerare che anche
nell’ambito dell’attività diretta alla conclusione degli appalti pubblici trova
ingresso il principio dell’autotutela decisoria, secondo il quale
l’amministrazione può riesaminare, annullare e rettificare gli atti invalidi.
Infatti, il complesso delle regole sull’autotutela ha portata generale,
rappresentando una delle manifestazioni tipiche del potere amministrativo,
direttamente connesso ai criteri costituzionali di imparzialità e buon andamento
della funzione pubblica (C. Stato, V, 3 febbraio 2000, n.661).
Nel settore degli appalti pubblici di lavori, poi, assume particolare rilievo
l’esigenza di assicurare il puntuale rispetto delle regole della concorrenza tra
le imprese, nell’interesse generale alla corretta ed efficace gestione delle
risorse pubbliche, conformemente ai principi enunciati dall’articolo 1 della
legge n.109/1994 (C. Stato, V, 3 febbraio 2000, n.661).
La giurisprudenza di questo Consesso riconosce il potere di ritiro
dell’aggiudicazione di un pubblico appalto – persino dopo la stipulazione del
contratto – in costanza di concrete ed adeguate ragioni di interesse pubblico
(C. Stato, V, 24 ottobre 2000, n.5710; C. Stato, V, 3 febbraio 2000, n.661; C.
Stato, VI, 14 gennaio 2000, n.244).
Il diniego di approvazione del contratto previsto dall’art.113, r.d. n.827/1924,
è applicabile in presenza di un’informativa supplementare atipica, sussistendo
in tal caso ragioni di interesse pubblico che si ricollegano al contenuto
dell’informativa antimafia (C. Stato, V, n.5710/2000; C. Stato, VI, n.149/2002).
4.3. Una volta riconosciuto il potere dell’amministrazione di intervenire in via
di autotutela sugli atti di gara per ragioni di interesse pubblico, tale potere
va riconosciuto non solo alle pubbliche amministrazioni in senso stretto, ma
anche ai soggetti privati che possano essere qualificati come organismi di
diritto pubblico e che, agendo quali concessionari, o contraenti generali della
pubblica amministrazione, siano tenuti ad osservare i procedimenti di evidenza
pubblica per l’affidamento degli appalti.
E, invero, secondo il consolidato orientamento di questo Consesso, da un lato
gli atti delle procedure di evidenza pubblica sono oggettivamente
amministrativi, ancorché posti in essere da stazioni appaltanti formalmente
private; e dall’altro lato queste ultime assurgono, limitatamente agli atti di
gara, ad amministrazioni pubbliche in senso soggettivo (C. Stato, VI, 28 ottobre
1998, n.1478).
Ne consegue che ai soggetti privati tenuti all’osservanza delle procedure di
evidenza pubblica nell’affidare i pubblici appalti, va riconosciuto anche il
potere pubblicistico di autotutela in relazione agli atti di gara, negli stessi
termini in cui spetta alle pubbliche amministrazioni in senso stretto.
4.4. Facendo applicazione di tali principi di diritto al caso di specie, si deve
osservare che, in punto di fatto, l’informativa prefettizia pur non evidenziando
la presenza di cause interdittive o di tentativi di infiltrazione mafiosa, ha
indicato la sussistenza di gravi elementi incidenti sull’idoneità morale
dell’impresa, stante, in particolare, la pendenza a carico dei soci dell’impresa
di procedimento penale per associazione a delinquere di stampo mafioso.
In particolare, dalla nota prefettizia si evince, da un lato, la sottoposizione
a misura cautelare detentiva dei fratelli Tuccillo, non eseguita per latitanza,
e ancorché successivamente annullata, e, dall’altro lato, la richiesta di rinvio
a giudizio per il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso
finalizzata a reati di estorsione nei confronti di cantieri edili. Sicché vi
erano, all’epoca di adozione degli atti impugnati, elementi di sospetto
specifici, riferiti a ipotesi di illeciti penali direttamente connessi al
settore degli appalti di lavori pubblici.
Sulla base di tale informativa, qualificabile come informativa supplementare
atipica, correttamente è stato esercitato il potere di autotutela (mediante
diniego di approvazione e di aggiudicazione definitiva dell’appalto e revoca
dell’aggiudicazione provvisoria), motivato dall’inidoneità morale dell’impresa.
Giova aggiungere, in fatto, che è irrilevante la sopravvenuta assoluzione
dall’imputazione penale, in quanto successiva alla data di adozione dei
provvedimenti (e peraltro non essendo stata dall’appellante depositata la
motivazione della sentenza, ma il solo dispositivo, neppure vi è prova
dell’assoluta estraneità ai fatti penali dei fratelli Tuccillo).
4.5. Né il riconosciuto potere di autotutela dell’amministrazione basato
sull’informativa supplementare atipica contrasta con il diritto comunitario
degli appalti, che, ad avviso dell’appellante, prevederebbe un numero chiuso di
cause di esclusione dagli appalti.
Si deve ritenere che le cause di esclusione dagli appalti previste dal diritto
comunitario, e puntualmente recepite dall’ordinamento interno (art.8, l. n.109/1994;
art.75, d.p.r. n.554/1999; d.lgs. n.158/1995), non sono esaustive e tassative,
potendo i legislatori nazionali prevederne ulteriori a salvaguardia di interessi
pubblici generali diversi da quello della tutela della concorrenza, e fondate su
ragioni di ordine e sicurezza pubblica.
Invero, il trattato di Roma istitutivo della comunità europea, nel sancire la
libera circolazione di servizi, consente l’applicazione delle stesse restrizioni
previste per la libera circolazione dei capitali (art.55), e, in particolare, la
possibilità per gli Stati membri, tra l’altro, di adottare misure giustificate
da motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza (art.58 (73D), § 1, lett.
b)), e purché tali misure non siano un mezzo di discriminazione arbitraria o di
restrizione dissimulata della libertà di circolazione (art.58, § 3).
Sicché, alla luce degli artt.55 e 58 del Trattato di Roma, nell’ordinamento
italiano, ben si giustificano e sono compatibili con la libertà di circolazione
e con la tutela della concorrenza, cause di esclusione dagli appalti che,
sebbene ulteriori rispetto a quelle previste dal diritto comunitario degli
appalti, sono motivate da cautele antimafia, in quanto le stesse hanno il loro
fondamento in ragioni di ordine pubblico e pubblica sicurezza, e, lungi dal
provocare una restrizione della concorrenza, mirano al contrario a garantire
l’esplicazione di una concorrenza sana e avulsa da inquinamenti da parte della
criminalità organizzata.
5. L’appello principale va, in conclusione, respinto.
Ne consegue l’improcedibilità per difetto di interesse dell’appello incidentale.
6. La novità delle questioni (all’epoca della proposizione dell’appello)
giustifica, tuttavia, l’integrale compensazione delle spese di lite.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione sesta), definitivamente
pronunciando sull’appello principale e sull’appello incidentale in epigrafe,
respinge il primo e dichiara improcedibile il secondo.
Compensa interamente tra le parti le spese, i diritti e gli onorari di lite.
Ordina che la pubblica amministrazione dia esecuzione alla presente decisione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 25 marzo 2003, con la
partecipazione di:
Salvatore Giacchetti - Presidente
Alessandro Pajno - Consigliere
Carmine Volpe - Consigliere
Pietro Falcone - Consigliere
Rosanna De Nictolis - Cons. rel. ed est.
1) Il potere dell’amministrazione di intervenire in via di autotutela sugli atti di gara per ragioni di interesse pubblico, tale potere va riconosciuto non solo alle pubbliche amministrazioni in senso stretto, ma anche ai soggetti privati - procedimenti di evidenza pubblica per l’affidamento degli appalti - concessionari, o contraenti generali della pubblica amministrazione. Riconosciuto il potere dell’amministrazione di intervenire in via di autotutela sugli atti di gara per ragioni di interesse pubblico, tale potere va riconosciuto non solo alle pubbliche amministrazioni in senso stretto, ma anche ai soggetti privati che possano essere qualificati come organismi di diritto pubblico e che, agendo quali concessionari, o contraenti generali della pubblica amministrazione, siano tenuti ad osservare i procedimenti di evidenza pubblica per l’affidamento degli appalti. E, invero, secondo il consolidato orientamento di questo Consesso, da un lato gli atti delle procedure di evidenza pubblica sono oggettivamente amministrativi, ancorché posti in essere da stazioni appaltanti formalmente private; e dall’altro lato queste ultime assurgono, limitatamente agli atti di gara, ad amministrazioni pubbliche in senso soggettivo (C. Stato, VI, 28 ottobre 1998, n.1478). Ne consegue che ai soggetti privati tenuti all’osservanza delle procedure di evidenza pubblica nell’affidare i pubblici appalti, va riconosciuto anche il potere pubblicistico di autotutela in relazione agli atti di gara, negli stessi termini in cui spetta alle pubbliche amministrazioni in senso stretto. Conforme: Consiglio di Stato sez. VI, del 6 giugno 2003, sentenza n. 3163. Consiglio di Stato sez. VI, del 5 giugno 2003, sentenza n. 3124
2) Il riconosciuto potere di autotutela dell’amministrazione basato sull’informativa supplementare atipica non contrasta con il diritto comunitario degli appalti - le cause di esclusione dagli appalti previste dal diritto comunitario - il trattato di Roma istitutivo della comunità europea. Né il riconosciuto potere di autotutela dell’amministrazione basato sull’informativa supplementare atipica contrasta con il diritto comunitario degli appalti, che, ad avviso dell’appellante, prevederebbe un numero chiuso di cause di esclusione dagli appalti. Si deve ritenere che le cause di esclusione dagli appalti previste dal diritto comunitario, e puntualmente recepite dall’ordinamento interno (art.8, l. n.109/1994; art.75, d.p.r. n.554/1999; d.lgs. n.158/1995), non sono esaustive e tassative, potendo i legislatori nazionali prevederne ulteriori a salvaguardia di interessi pubblici generali diversi da quello della tutela della concorrenza, e fondate su ragioni di ordine e sicurezza pubblica. Invero, il trattato di Roma istitutivo della comunità europea, nel sancire la libera circolazione di servizi, consente l’applicazione delle stesse restrizioni previste per la libera circolazione dei capitali (art.55), e, in particolare, la possibilità per gli Stati membri, tra l’altro, di adottare misure giustificate da motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza (art.58 (73D), § 1, lett. b)), e purché tali misure non siano un mezzo di discriminazione arbitraria o di restrizione dissimulata della libertà di circolazione (art.58, § 3). Sicché, alla luce degli artt.55 e 58 del Trattato di Roma, nell’ordinamento italiano, ben si giustificano e sono compatibili con la libertà di circolazione e con la tutela della concorrenza, cause di esclusione dagli appalti che, sebbene ulteriori rispetto a quelle previste dal diritto comunitario degli appalti, sono motivate da cautele antimafia, in quanto le stesse hanno il loro fondamento in ragioni di ordine pubblico e pubblica sicurezza, e, lungi dal provocare una restrizione della concorrenza, mirano al contrario a garantire l’esplicazione di una concorrenza sana e avulsa da inquinamenti da parte della criminalità organizzata. Consiglio di Stato sez. VI, del 5 giugno 2003, sentenza n. 3124
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