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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
Sui ricorsi riuniti in appello:
1) n. 6775 del 2002, proposto dal Comune di Villaga, in persona del Sindaco pro
tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ivone Cacciavillani, Chiara
Cacciavillani e Luigi Manzi, ed elettivamente domiciliato in Roma, alla via F.
Confalonieri n. 5, presso lo studio dell’avvocato Luigi Manzi,
contro
- la s.p.a. Cementizillo (appellante incidentale), in persona del legale
rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Annamaria
Tassetto, Mario Ettore Verino e Franco Zambelli, ed elettivamente domiciliato in
Roma, alla via Lima n. 15, presso lo studio dell’avvocato Mario Ettore Verino;
- il Distretto minerario di Padova ed il Ministero dell’industria, del commercio
e dell’artigianato, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso
dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in
Roma, alla via dei Portoghesi n. 12,
- la Regione Veneto, in persona del presidente pro tempore della giunta
regionale, rappresentato e difeso dagli avvocati Romano Morra, Guido Barzazi e
Fabio Lorenzoni, ed elettivamente domiciliato in Roma, alla via del Viminale n.
43, presso lo studio dell’avvocato Fabio Lorenzoni,
e nei confronti
- del Ministero per i beni e le attività culturali, in persona del Ministro pro
tempore, rappresentato e difeso dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i
cui uffici è domiciliato in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;
- del Ministero del commercio, industria e artigianato, in persona del Ministro
pro tempore, rappresentato e difeso dalla Avvocatura Generale dello Stato,
presso i cui uffici è domiciliato in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;
- della Soprintendenza per i beni ambientali e artistici di Verona, in persona
del legale rappresentante pro tempore, non costituitosi in giudizio;
- dei signori Mario, Elisabetta e Tomaso Piovene Porto Godi, non costituitisi in
giudizio;
per la parziale riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, Sez. II, 19
marzo 2002, n. 1127, per l’accoglimento dei ricorsi di primo grado n. 962 e n.
1992 del 2000 e per il rigetto del ricorso di primo grado n. 3316 del 2000
(indicato in appello per errore materiale quale n. 3368 del 2000);
2) n. 7349 del 2002, proposto da Italia Nostra-Onlus, dal WWF Associazione
italiana per il World Wide Foud for Nature-Onlus, dal Circolo Legambiente
Volontariato di Vicenza-Onlus, dal Comitato per la difesa di Villaga-Onlus,
dalla Associazione gruppo di azione locale G.a.l. ‘Area Berica’, in persona dei
rispettivi rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dagli avvocati
Gianluigi Ceruti e Alessio Petretti, ed elettivamente domiciliati in Roma, alla
via degli Scipioni n. 268/a, presso lo studio dell’avvocato Alessio Petretti,
contro
- la S.p.A. Cementizillo (appellante incidentale), in persona del legale
rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Annamaria
Tassetto, Mario Ettore Verino e Franco Zambelli, ed elettivamente domiciliato in
Roma, alla via Lima n. 15, presso lo studio dell’avvocato Mario Ettore Verino;
- il Distretto minerario di Padova ed il Ministero dell’industria, del commercio
e dell’artigianato, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso
dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in
Roma, alla via dei Portoghesi n. 12,
- la Regione Veneto, in persona del presidente pro tempore della giunta
regionale, rappresentato e difeso dagli avvocati Romano Morra, Guido Barzazi e
Fabio Lorenzoni, ed elettivamente domiciliato in Roma, alla via del Viminale n.
43, presso lo studio dell’avvocato Fabio Lorenzoni,
e nei confronti
- del Ministero per i beni e le attività culturali, in persona del Ministro pro
tempore, e della Soprintendenza per i beni ambientali e artistici di Verona, in
persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dalla
Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati in Roma,
alla via dei Portoghesi n. 12;
- la Soprintendenza per i beni ambientali e architettonici di Verona, in persona
del legale rappresentante pro tempore, non costituitosi in giudizio;
- il Comune di Villaga, in persona del Sindaco pro tempore, non costituitosi in
giudizio;
- del signor Tomaso Piovene Porto Godi, non costituitosi in giudizio;
per la riforma
del punto 8b la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto,
Sez. II, 19 marzo 2002, n. 1127, e per la dichiarazione di inammissibilità e per
la reiezione del ricorso di primo grado n. 3316 del 2000;
3) n. 10708 del 2002, proposto dai signori Mario e Tomaso Piovene Porto Godi,
rappresentati e difesi dagli avvocati Marino Breganze, Gaetano Berto e Guido
Romanelli, ed elettivamente domiciliati in Roma, alla via Pacuvio n. 34, presso
lo studio dell’avvocato Guido Romanelli,
contro
il Corpo delle miniere, Distretto minerario di Padova, in persona del legale
rappresentante pro tempore, ed il Ministero dell’industria, del commercio e
dell’artigianato, in persona del Ministro pro tempore, rappresentati e difesi
dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati in
Roma, alla via dei Portoghesi n. 12,
e nei confronti
- della s.p.a. Cementizillo (appellante incidentale), in persona del legale
rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Annamaria
Tassetto, Mario Ettore Verino e Franco Zambelli, ed elettivamente domiciliato in
Roma, alla via Lima n. 15, presso lo studio dell’avvocato Mario Ettore Verino;
- del Ministero per i beni e le attività culturali, in persona del Ministro pro
tempore, e della Soprintendenza per i beni ambientali e artistici di Verona, in
persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dalla
Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati in Roma,
alla via dei Portoghesi n. 12;
- della Regione Veneto, in persona del presidente pro tempore della giunta
regionale, rappresentato e difeso dagli avvocati Romano Morra, Guido Barzazi e
Fabio Lorenzoni, ed elettivamente domiciliato in Roma, alla via del Viminale n.
43, presso lo studio dell’avvocato Fabio Lorenzoni,
per la parziale riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, Sez. II, 19
marzo 2002, n. 1127, e per l’accoglimento dei ricorsi di primo grado n. 1907 del
1990 e n. 962 del 2000;
Visti i ricorsi in appello, con i relativi allegati;
Viste le memorie depositate in data 20 settembre 2002, 17 gennaio 2003 2 21
febbraio 2003 nel giudizio n. 6775 del 2002 dal Comune di Villaga;
Vista la memoria contenente un appello incidentale nel giudizio n. 6775 del
2002, depositata in data 3 settembre 2002 dalla s.p.a. Cementizillo, integrata
con memorie depositate in data 24 settembre 2002 e 17 gennaio 2003;
Vista le memorie depositate nel giudizio n. 6775 del 2002 dalla Regione Veneto;
Vista la memoria depositata in data 21 febbraio 2003 dagli appellanti nel
giudizio n. 7349 del 2002;
Viste le memorie depositate dalla s.p.a. Cementizillo nel giudizio n. 7349 in
data 20 settembre 2002 e 17 gennaio 2003, nonché le relative note di udienza;
Vista la memoria di costituzione della Regione Veneto nel giudizio n. 7349 del
2002, depositata in data 17 gennaio 2003;
Viste le memorie depositate dai signori Piovene Godi nel giudizio n. 10708 del
2002, depositate in data 20 e 23 gennaio 2003 e in data 27 febbraio 2003;
Viste le memorie depositate dalla Regione Veneto nel giudizio n. 10708 del 2002,
in data 20 settembre 2002 e 23 gennaio 2003;
Vista la memoria contenente un appello incidentale nel giudizio n. 10708 del
2002, depositata in data 13 gennaio 2003 dalla s.p.a. Cementizillo, integrata
con una memoria depositata in data 17 gennaio 2003 e con note di udienza
depositate in data 21 gennaio 2003;
Vista le nota di costituzione nei giudizi n. 6775 n. 10709 del 2002, depositate
dalla Avvocatura Generale dello Stato in difesa dal Ministero delle attività
produttive e del Ministero per i beni culturali;
Viste le ordinanze con cui la Sezione ha accolto le domande incidentali di
sospensione dell’esecutività della sentenza impugnata, formulate nei giudizi n.
6775 e n. 10708 del 2002, ed ha respinto la domanda incidentale formulata nel
giudizio n. 7349 del 2002;
Visti gli atti tutti del giudizio;
Data per letta la relazione del Consigliere di Stato Luigi Maruotti all’udienza
del 4 marzo 2003;
Uditi gli avvocati Luigi Manzi e Ivone Caccavillani per il Comune di Villaga,
l’avvocato Alessio Petretti per gli appellanti nel giudizio n. 7349 del 2002,
l’avvocato Marino Breganze per i signori Mario e Tomaso Piovene Porto Godi,
l’avvocato dello Stato Fiorilli per il Ministero per i beni e le attività
culturali e per il Ministero delle attività produttive, gli avvocati Mario
Ettore Verino e Franco Zambelli per la s.p.a. Cementizillo e l’avvocato Fabio
Lorenzoni per la Regione Veneto;
Considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
1. Col decreto n. 4 del 9 febbraio 1989, il Distretto Minerario di Padova ha
rilasciato alla S.p.A. Cementizillo una concessione mineraria per la
coltivazione di marna da cemento su un terreno di proprietà dei signori Piovene
Porto Godi, sito nel territorio del Comune di Villaga e sulla collina di
Riveselle.
I signori Piovene Porto Godi hanno impugnato la concessione col ricorso n. 1907
del 1990, proposto al TAR per il Veneto.
2. Il Distretto Minerario, dopo avere autorizzato in data 6 settembre 1990 la
s.p.a. Cementizillo al deposito di una cauzione, col provvedimento n. 22 del 12
settembre 1990 ha sospeso l’esecutività della medesima autorizzazione.
Col ricorso n. 2897 del 1990, la s.p.a. Cementizillo ha impugnato l’atto n. 22
del 12 settembre 1990.
3. Con le delibere n. 897 e 898 dell’8 marzo 1994, la giunta regionale del
Veneto ha annullato un precedente diniego ed ha autorizzato la s.p.a.
Cementizillo a coltivare la miniera, ai fini idrogeologici.
Col ricorso n. 2235 del 1994, il Comune di Villaga ha impugnato tali
provvedimenti, nonché l’autorizzazione n. 4417 del 28 aprile 1994, nel frattempo
rilasciata dal dirigente del Servizio forestale regionale.
4. Col provvedimento n. 1108 del 21 maggio 1999, il Distretto Minerario di
Padova ha approvato il nuovo progetto di coltivazione della miniera e di
ricomposizione ambientale del cantiere.
Tale atto è stato impugnato:
- dal Comune di Villaga, col ricorso n. 962 del 2000, integrato da motivi
aggiunti;
- dai signori Piovene Porto Godi, col ricorso n. 1852 del 2000.
5. Col ricorso n. 1992 del 2000, il Comune di Villaga:
- ha chiesto che sia accertata l’applicabilità, nell’ambito della collina
Riveselle, delle norme di tutela previste per i Colli Berici previste dal titolo
VII delle n.t.a. del Piano territoriale regionale di coordinamento e, in
subordine, ha chiesto l’annullamento della delibera della giunta regionale 10
marzo 2000, n. 710 (di adozione del Piano d’area dei Monti Berici), nella parte
in cui l’art. 21 delle n.t.a. ha riguardato l’apertura di miniere in aree di
rilevante interesse paesistico e ambientale;
- con successivi motivi aggiunti, ha impugnato la delibera della giunta
regionale n. 1711 del 16 giugno 2000, che ha autorizzato l’apertura e
l’esercizio del cantiere minerario, sotto i profili idrogeologici e
paesaggistici, nonché la riduzione della superficie forestale;
6. In data 30 agosto 2000, il Ministero per i beni culturali e ambientali ha
annullato l’autorizzazione paesaggistica n. 1711 del 16 giugno 2000, rilasciata
dalla Regione Veneto per la coltivazione della miniera Riveselle.
Il provvedimento statale di annullamento è stato impugnato:
- dalla s.p.a. Cementizillo, col ricorso n. 3316 del 2000;
- dalla Regione Veneto, col ricorso n. 3368 del 2000.
7. Con la sentenza n. 1127 del 2002, il TAR per il Veneto:
- ha riunito gli otto ricorsi sopra indicati;
- ha respinto i ricorsi n. 1907 del 1990, n. 2235 del 1994, n. 962 del 2000, n.
1852 del 2000 e n. 1992 del 2000;
- ha accolto il ricorso n. 2897 del 1990, proposto dalla s.p.a. Cementizillo, ed
ha annullato il provvedimento n. 22 del 12 settembre 1990, con cui il Distretto
Minerario di Padova ha sospeso gli effetti della precedente autorizzazione
rilasciata in data 6 settembre 1990;
- ha accolto il ricorso n. 3316 del 2000, proposto dalla s.p.a. Cementizillo, ed
ha annullato il provvedimento del Ministero per i beni culturali e ambientali di
data 30 agosto 2000;
- ha dichiarato improcedibile il ricorso n. 3368 del 2000.
8. La sentenza del TAR è stata impugnata:
a) con l’appello n. 6775 del 2000, dal Comune di Villaga, che ha chiesto
l’accoglimento dei ricorsi n. 962 e n. 1992 del 2000 ed il rigetto del ricorso
n. 3368 del 2000;
b) con l’appello n. 7349 del 2002, dalle associazioni indicate in epigrafe, che
hanno chiesto che il ricorso n. 3316 del 2000 sia dichiarato inammissibile
ovvero sia respinto;
c) con l’appello n. 10708 del 2002, dai signori Mario e Tomaso Piovene Porto
Godi, che hanno chiesto l’accoglimento dei ricorsi n. 1907 del 1990 e n. 962 del
2000.
Nel corso dei giudizi, si sono costituite le parti, con gli scritti difensivi
indicati nell’epigrafe della presente decisione.
La S.p.A. Cementizillo ha depositato altresì atti di appello incidentale (nei
giudizi n. 6775 e n. 10708 del 2002), con cui ha eccepito l’inammissibilità dei
ricorsi formulati in primo grado dalle controparti.
Con distinte memorie, le parti hanno approfondito tutte le questioni controverse
ed hanno insistito nelle già formulate conclusioni.
La Sezione ha accolto le domande incidentali di sospensione dell’esecutività
della sentenza impugnata, come formulate dagli appellanti nei giudizi n. 6775 e
n. 10708 del 2002, ed ha respinto la domanda incidentale formulata nel giudizio
n. 7349 del 2002.
9. All’udienza del 4 marzo 2003 le parti hanno illustrato le loro rispettive
posizioni e la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Con la sentenza gravata, il TAR per il Veneto ha riunito e deciso gli otto
ricorsi di primo grado, proposti avverso i provvedimenti regionali e statali
riguardanti un progetto di coltivazione di marna da cemento da estrarre dalla
collina di Riveselle, sita nel territorio del Comune di Villaga.
Con la sentenza impugnata, il TAR:
- ha accolto i ricorsi n. 2897 del 1990 e n. 3316 del 2000, proposti dalla
s.p.a. Cementizillo (ed ha annullato il provvedimento del Distretto Minerario di
Padova n. 22 del 12 settembre 1990, con cui erano stati sospesi gli effetti di
una precedente autorizzazione rilasciata in data 6 settembre 1990, nonché il
provvedimento con cui il Ministero per i beni culturali e ambientali in data 30
agosto 2000 aveva annullato l’autorizzazione paesaggistica, rilasciata dalla
Regione in data 16 giugno 2000);
- ha respinto i ricorsi n. 1907 del 1990, n. 2235 del 1994, n. 962 del 2000, n.
1852 del 2000 e n. 1992 del 2000, proposti contro gli atti abilitativi ottenuti
dalla s.p.a. Cementizillo;
- ha dichiarato improcedibile il ricorso n. 3368 del 2000 (proposto contro il
provvedimento ministeriale del 30 agosto 2000, annullato in accoglimento del
ricorso n. 3316 del 2000).
La sentenza del TAR è stata impugnata dal Comune di Villaga, dalle associazioni
indicate in epigrafe e dai proprietari delle aree interessate dal progetto di
coltivazione, con gli appelli n. 6775, n. 7349 e n. 10708 del 2002.
Anche la s.p.a. Cementizillo ha impugnato la sentenza, con atti di appello
incidentale, depositati nei giudizi n. 6775 e n. 10708 del 2002, con cui ha
chiesto che le censure degli appellanti siano dichiarate inammissibili.
2. I tre appelli in esame vanno riuniti per essere decisi congiuntamente, poiché
sono stati proposti avverso la medesima sentenza.
3. Preliminarmente, ritiene la Sezione che l’appello n. 7349 del 2002 vada
dichiarato inammissibile.
3.1. Con tale gravame, le associazioni ambientalistiche specificate in epigrafe
(di cui alcune “individuate” dal Ministro dell’ambiente, ai sensi dell’art. 13
della legge n. 349 del 1986) hanno impugnato il capo della sentenza con cui il
TAR ha accolto il ricorso n. 3316 del 2000 (proposto dalla s.p.a. Cementizillo
avverso il decreto del Ministero per i beni culturali ed ambientali di data 30
agosto 2000, che ha annullato l’autorizzazione rilasciata dalla Regione Veneto
alla medesima società, con la delibera del 16 giugno 2000, n. 1711).
Esse hanno dedotto che:
- quali associazioni “individuate” e locali aventi la finalità statutaria di
tutelare l’ambiente, sono “titolari di una situazione giuridicamente rilevante
di segno opposto all’interesse fatto valere con il ricorso originario, che
rischia di essere pregiudicata dalla sentenza di prime cure”;
- in quanto legittimate ad impugnare i provvedimenti che comportino
l’alterazione dell’ambiente, potrebbero impugnare (con un atto qualificabile
come appello od opposizione di terzo) anche la sentenza che annulli un
provvedimento amministrativo che impedisca l’alterazione dell’ambiente (quale il
provvedimento statale di annullamento di una autorizzazione paesistica).
3.2. Ad avviso della Sezione, tali osservazioni non sono condivisibili.
L’art. 18, comma 5, della
legge 8 luglio 1986, n. 349 (per il quale “le associazioni individuate in base
all’articolo 13 possono … ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa per
l’annullamento di atti illegittimi”), e il corrispondente art. 17, comma 46,
della legge 15 maggio 1997, n. 127, evidenziano l’intento del legislatore per
cui ogni modifica di qualsiasi parte del territorio nazionale deve basarsi su un
atto amministrativo legittimo (Ad. Plen., 14 dicembre 2001, n. 9; Sez. VI, 26
luglio 2001, n. 4123; Sez. V, 1° dicembre 1999, n. 2030).
Infatti, poiché l’ordinamento vigente non prevede la figura del pubblico
ministero nel processo amministrativo, alle associazioni ‘individuate’ è stato
conferito un rilievo pubblicistico, in quanto esse – unitamente a quelle
legittimate in base ai criteri elaborati dalla giurisprudenza - concorrono, con
i propri ricorsi giurisdizionali, alla concreta affermazione del principio di
legalità.
La richiamata normativa, pur avendo consentito l’impugnazione degli atti che
incidano sull’ambiente, non ha però attribuito anche la legittimazione ad
impugnare senz’altro le sentenze dei Tribunali amministrativi regionali
pronunciate in materia ambientale: l’associazione ambientalista può impugnare la
sentenza che abbia deciso il suo ricorso ed abbia determinato la sua soccombenza
anche parziale.
Qualora tale ricorso sia invece mancato, si applicano i consueti principi
affermati da questo Consiglio circa la legittimazione alla impugnazione delle
sentenze: oltre alla parte soccombente, soltanto la parte necessaria pretermessa
(anche quale controinteressato sopravvenuto e beneficiario del provvedimento
finale o consequenziale) può impugnare la sentenza lesiva (con un atto avente
natura di appello, se ancora pende il relativo termine, o di opposizione di
terzo, se è decorso il termine annuale previsto dall’art. 327 c.p.c.).
E’ invece inammissibile l’appello di chi, non avendo proposto un ricorso di
legittimità pur essendovi legittimato, omissio medio impugni la sentenza che
abbia deciso il ricorso proposto da un soggetto colegittimato (in tal caso, da
un lato rileva l’acquiescenza all’atto impugnabile e dall’altro non è
ravvisabile una soccombenza).
Tale regola si applica anche quando l’appello sia proposto da chi proponga
omissio medio l’appello, dopo non avere impugnato in primo grado – pur essendovi
legittimato - una concessione edilizia ai sensi dell’art. 10 della legge del 6
agosto 1967, n. 765, ovvero un atto che consente l’alterazione dell’ambiente.
Pertanto, così come il vicino che non abbia impugnato la concessione edilizia
non può impugnare la sentenza che abbia respinto il ricorso proposto dall’altro
vicino ricorrente, l’associazione ambientalistica – che non abbia impugnato il
provvedimento che consente l’alterazione dell’ambiente – non può impugnare la
sentenza che abbia respinto il ricorso di chi abbia impugnato il medesimo
provvedimento.
La medesima regola si applica anche se, come è avvenuto nella specie, in primo
grado sia stato accolto il ricorso del beneficiario della autorizzazione
paesistica avverso il provvedimento statale di annullamento della
autorizzazione: l’associazione ambientalistica – non avendo assunto in primo
grado la qualità di parte formale e sostanziale – non è legittimata ad impugnare
la sentenza (ferma restando l’impugnabilità della stessa autorizzazione
paesistica).
La divergente disciplina della legittimazione a proporre il ricorso di primo
grado e l’atto di appello neppure si pone in contrasto col principio di
ragionevolezza, poiché:
- la sussistenza della legittimazione a proporre il ricorso in primo grado della
associazione ambientalistica si fonda sulla esigenza – sopra rilevata - per cui
ogni modifica di qualsiasi parte del territorio nazionale avvenga sulla base di
atti legittimi (avendo il legislatore agevolato – sul piano processuale -
l’annullamento in sede giurisdizionale di quelli illegittimi);
- la mancata previsione della legittimazione della associazione ad appellare le
sentenze rese dal TAR su ricorsi di altri legittimati evidenzia come il
legislatore ritenga che le regole generali del processo – e le iniziative
processuali delle parti soccombenti – siano sufficienti per la eventuale
definizione del giudizio in grado di appello.
Costituisce pertanto uno ius singulare, non suscettibile di applicazione
analogica, la disciplina contenuta nell’art. 83/12 del testo unico approvato per
i giudizi elettorali col d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, il quale – sulla base
del principio della cd. fungibilità dell’azione elettorale - ha espressamente
previsto l’appellabilità delle sentenze di primo grado da parte di “ogni altro
cittadino elettore o diretto interessato”, anche se non abbia proposto il
ricorso originario (Sez. V, 15 febbraio 1994, n. 92; Sez. V, 21 maggio 1982, n.
416; Sez. V, 9 febbraio 1979, n. 83).
4. Passando all’esame degli altri due appelli, per ragioni di ordine logico
vanno esaminate con priorità le censure formulate con i connessi secondo e terzo
motivo dell’appello n. 6775 del 2002, con cui il Comune di Villaga:
- ha riproposto le doglianze contenute nei motivi aggiunti al ricorso di primo
grado n. 1992 del 2000 (proposto avverso la delibera della giunta regionale del
Veneto n. 1711 del 16 giugno 2000, che ha autorizzato la s.p.a. Cementillo ad
aprire il cantiere minerario sotto il profilo “del vincolo idrogeologico,
paesaggistico e della riduzione di superficie forestale”);
- in particolare, ha dedotto che tale provvedimento è stato rilasciato in
violazione dell’art. 34 delle norme tecniche di attuazione del Piano regionale
territoriale di coordinamento (PRTC, approvato con la delibera del consiglio 28
maggio 1992, n. 382), per il quale - fino alla formale approvazione del Piano
d’area dei Monti Berici – non sono consentiti “scavi, movimenti di terreno e di
mezzi suscettibili di alterare l’ambiente con esclusione di quelli necessari
all’esecuzione di opere pubbliche e di sistemazione idraulica”;
- ha criticato la sentenza impugnata, che – nel respingere la corrispondente
censura di primo grado – ha rilevato che il divieto previsto dal medesimo art.
34 non riguarderebbe le miniere e sarebbe oramai privo di effetti dal 10 marzo
2000, data di adozione del Piano d’area.
5. Ritiene la Sezione che tali censure (da trattare unitariamente per la loro
connessione) siano fondate e vadano accolte.
5.1. L’art. 34 del PRTC (recante “direttive, prescrizioni e vincoli per aree di
tutela paesaggistica di interesse regionale e competenza provinciale”) ha
disposto che:
- il Piano “individua altresì le aree di tutela paesaggistica di interesse
regionale soggette a competenza provinciale” (primo comma);
- “si applicano le norme specifiche di tutela, descritte al titolo VII” (secondo
comma);
- il Piano “individua dette aree di tutela paesaggistica di competenza
provinciale nella carta di progetto n. 5” (terzo comma);
- “la Provincia predispone apposite norme con il Piano territoriale provinciale
o con appositi Piani di settore con specifica considerazione dei valori
paesistico-ambientali” (quinto comma);
- “fino all’adozione delle norme specifiche di cui al precedente comma 5, è
vietata la modificazione dell’assetto del territorio nonché qualsiasi opera
edilizia, con esclusione degli interventi di manutenzione ordinaria,
straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non
alterino lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici” (settimo
comma);
- “le norme di tutela si applicano fino all’approvazione delle norme specifiche
di cui al comma 5” (ottavo comma);
- “per ciascuna delle aree di tutela paesaggistica, istituita ai sensi del
presente articolo, viene redatto un Piano ambientale, approvato dal consiglio
regionale”, che tra l’altro determina “i vincoli e le limitazioni che
afferiscono alle diverse aree, nonché la regolamentazione delle attività
consentite” ed è costituito da “norme di attuazione contenenti la specificazione
dei vincoli e delle limitazioni, nonché la regolamentazione delle attività
consentite e l’utilizzazione sociale dei beni ambientali” (decimo comma);
- tra le aree di tutela paesaggistica, per il settore collinare è individuata
quella dei Colli Berici (al cui interno è posta la collina Riveselle, presa in
considerazione nei provvedimenti tutti impugnati in primo grado).
5.2. Da tali disposizioni, emerge che l’art. 34 del PRTC ha inteso salvaguardare
le “aree di tutela paesaggistica” con una pluralità di previsioni, alcune
disposte – in via transitoria - dallo stesso PRTC (e specificamente riportate
nel Titolo VII, sulle “norme specifiche di tutela”) ed altre rimesse a
successive ed eventualmente più dettagliate determinazioni.
L’ottavo comma – nel riferirsi alla “approvazione delle specifiche di cui al
comma 5”- ha stabilito il periodo temporale di applicazione delle norme
specifiche di tutela previste nel titolo VII (previste dello stesso PRTC per le
“aree di tutela paesaggistica” indicate nell’ultima parte dello stesso art. 34 e
nel cui novero rientrano i Colli Berici).
Ciò emerge dalla lettura congiunta dell’ottavo e del secondo comma dell’art. 34,
poiché l’ottavo comma - che nella sua seconda parte si è riferito alla
approvazione delle norme specifiche di cui al quinto comma - nella prima parte
ha disposto che fino a tale approvazione si applicano le norme di tutela di cui
al secondo comma, specificamente previste dal PTCR e “descritte al titolo VII”.
La ratio di tale disposizione è quella di consentire che - senza soluzione di
continuità e con l’approvazione del Piano territoriale provinciale o del Piano
di settore – siano introdotte regole specifiche, sostitutive di quelle previste
nello stesso titolo VII dalla Regione, necessariamente in termini più generali e
in via transitoria.
Il settimo comma ha invece preso in specifica considerazione l’“adozione” di un
Piano territoriale provinciale o Piano di settore: a fini di salvaguardia, sino
a tale formale adozione, esso ha sancito la regola generale del divieto di
modificazione dell’assetto del territorio (per consentire che le scelte e le
determinazioni del Piano d’area – in ogni fase - siano utilmente effettuate,
quando ancora i luoghi non abbiano subito materiali modifiche), consentendo però
la conservazione e la valorizzazione delle opere già assentite ed esistenti (e
cioè gli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento
statico e di restauro conservativo, purché non alterino lo stato dei luoghi e
l’aspetto esteriore degli edifici).
Tali due commi hanno dunque un ben distinto ambito di applicazione, perché
l’ottavo (col suo richiamo al secondo comma) ha rimarcato l’applicabilità delle
norme regionali di tutela (indicate nel titolo VII) fino a quando non siano
approvate le norme più specifiche di tutela, tra l’altro per i Colli Berici,
mentre il settimo, con riferimento alla fase precedente alla relativa adozione,
ha consentito gli interventi edilizi, nei limiti sopra evidenziati.
Ciò comporta che:
- contrariamente a quanto hanno dedotto la s.p.a. Cementizillo e la Regione
Veneto, sino alla approvazione del Piano territoriale provinciale o del Piano di
settore, per i Colli Berici si applicano integralmente le disposizioni previste
nel titolo VII del PTRC e, in particolare, i vari punti indicati al paragrafo
38.
- a seguito della mera adozione del Piano d’area (assimilato al Piano di
settore), disposta con la delibera n. 710 del 10 marzo 2000, per i Colli Berici
non sono venute meno le norme specifiche di tutela contenute nel medesimo titolo
VII (sicché all’art. 21 delle norme tecniche di attuazione del Piano d’area può
essere attribuito rilievo solo a seguito della formale approvazione – anche per
tal parte - del medesimo Piano d’Area).
5.3. Vanno ora presi in esame gli specifici punti del paragrafo 38, di cui il
Comune di Villaga ha dedotto la violazione.
Tra questi, rilevano nel presente giudizio il punto 4, che ha vietato “scavi,
movimenti di terreno e di mezzi, suscettibili di alterare l’ambiente con
esclusione di quelli necessari all’esecuzione di opere pubbliche e di
sistemazione idraulica”, e il punto 5, che ha vietato “l’apertura di nuove cave
e la riapertura di quelle abbandonate o dismesse”.
Ritiene al riguardo la Sezione che – in attesa della formale approvazione delle
specifiche previsioni del Piano di settore o d’area - il paragrafo 38, salvi gli
interventi espressamente da esso consentiti, ha espressamente vietato (senza
alcuna eccezione e senza alcun rilievo degli ambiti delle competenze dello
Stato, della Regione o di altre autorità) ogni modifica dello stato dei luoghi,
tale da compromettere l’effettiva e piena applicazione delle ulteriori
prescrizioni da approvare.
Il punto 4 ha vietato ogni nuovo scavo o movimento di terreno, mentre il
successivo punto 5 – con una norma derogatoria non suscettibile di applicazione
analogica - ha consentito la sola prosecuzione delle cave ancora in esercizio.
In coerenza con il comma 10 dell’art. 34, per il quale il Piano di settore (o
d’area) deve specificamente indicare quali siano le “attività consentite” sulle
“aree di tutela paesaggistica”, per i Colli Berici il paragrafo 38 ha dunque
sancito rigorose e provvisorie norme di tutela, fondate sull’esigenza di
salvaguardare l’integrità delle medesime aree, in attuazione del principio per
cui il Piano territoriale paesistico deve considerare il territorio nella sua
globalità e con riferimento a tutto ciò che possa incidere sull’ambiente.
5.4. Risultano pertanto fondate le censure formulate dal Comune di Villaga con i
motivi aggiunti al ricorso di primo grado n. 1992 del 2000.
Infatti, a seguito della adozione in data 10 marzo 2000 del Piano d’area dei
Colli Berici, con la delibera n. 1711 del 16 giugno 2000 la giunta regionale
(nell’autorizzare la s.p.a. Cementillo ad aprire il cantiere minerario sotto il
profilo “del vincolo idrogeologico, paesaggistico e della riduzione di
superficie forestale”) ha erroneamente ritenuto applicabile l’art. 21 del Piano
d’area adottato, di per sé invece irrilevante sotto il profilo della
determinazione delle attività consentite.
Esso – quale previsione in itinere - sarebbe divenuto applicabile solo a seguito
della approvazione del Piano d’area: nel frattempo, sono rimaste ferme le norme
di tutela previste nel paragrafo 38 del PRTC, con i relativi divieti.
Va pertanto annullata l’autorizzazione rilasciata dalla Regione in data 16
giugno 2000, con assorbimento delle ulteriori censure formulate col ricorso di
primo grado n. 1992 del 2000.
6. L’annullamento in questa sede della medesima autorizzazione regionale
comporta l’irrilevanza delle vicende riguardanti il provvedimento del Ministero
per i beni e le attività culturali, che in data 30 agosto 2000 ha annullato la
medesima autorizzazione ai sensi dell’art. 151 del testo unico 29 ottobre 1999,
n. 490 (per eccesso di potere e per violazione dell’art. 34 del PTCR):
l’annullamento in sede giurisdizionale della autorizzazione paesistica regionale
rende improcedibili le impugnazioni proposte avverso l’atto dello Stato che ne
abbia ravvisato illegittimità in sede amministrativa.
Vanno pertanto dichiarati improcedibili, per carenza di interesse:
- il quarto motivo del medesimo appello n. 6775 del 2002 del Comune di Villaga
(con cui è stata impugnata la sentenza del TAR, per la parte in cui ha annullato
il provvedimento ministeriale del 30 agosto 2000);
- il ricorso di primo grado n. 3316 del 2000 proposto dalla s.p.a. Cementizillo
ed accolto dal TAR, proposto avverso lo stesso provvedimento (ed erroneamente
indicato quale n. 3368 del 2000 a p. 20 dell’appello n. 6775 del 2002 e a p. 7,
rigo 13, della sentenza impugnata), nonché i suoi appelli incidentali, per la
parte in cui hanno riproposto le censure assorbite in primo grado.
Resta invece ferma la dichiarazione di improcedibilità dell’altro ricorso (n.
3368 del 2000 della Regione Veneto) proposto avverso lo stesso provvedimento
statale, sicché non rilevano le deduzioni con cui è stata eccepita la sua
inammissibilità.
7. Va a questo punto esaminato il primo motivo dell’appello n. 6775 del 2002,
con cui il Comune di Villaga ha riproposto le censure già formulate col ricorso
n. 962 del 2000, proposto contro il provvedimento n. 1108 del 21 maggio 1999,
con cui il Distretto minerario di Padova ha approvato il progetto di
coltivazione mineraria e ricomposizione ambientale del cantiere minerario,
presentato dalla s.p.a. Cementizillo.
Il Comune ha dedotto che l’Amministrazione si è limitata a statuire, con un
timbro, il “visto per approvazione”, in assenza di una specifica istruttoria e
in assenza di una specifica motivazione (anche in relazione alla idoneità delle
misure preventive e di emergenza e alla sussistenza dei presupposti per
l’approvazione del progetto, prescritti dagli articoli 41 e seguenti del d.P.R.
n. 128 del 1959).
Tali censure vanno esaminate congiuntamente al secondo motivo dell’appello n.
10708 del 2000, proposto dai proprietari delle aree sulle quali è stata prevista
la coltivazione della marna da cemento.
Essi – con argomentazioni sostanzialmente coincidenti con quelle dedotte dal
Comune e riproduttive del loro ricorso di primo grado n. 1852 del 2000 (indicato
così a p. 7 del gravame e per errore col n. 962 del 2000 alla successiva p. 13)
- hanno lamentato che il provvedimento (determinato a p. 8 con l’indicazione
delle date del 6 luglio 1999 e del 10 aprile 2000), pur avendo approvato un
progetto diverso da quello originario, non contiene una specifica motivazione in
ordine agli interessi in conflitto e non è stato preceduto dal procedimento
disciplinato dagli articoli 10 e seguenti del d.P.R. 18 aprile 1994, n. 382.
8. Ritiene la Sezione che tali censure siano ammissibili e vadano accolte,
perché fondate.
8.1. Va respinta l’eccezione di tardività dell’appello n. 10708 del 2000, come
formulata dalla s.p.a. Cementizillo nei suoi scritti difensivi, fondata sulla
circostanza che esso sarebbe stato proposto dopo il decorso del termine di
sessanta giorni, decorrente dalla proposizione dell’appello n. 6775 del 2002,
proposto dal Comune di Villaga, e dell’appello n. 7349 del 2002, proposto dalle
associazioni ambientalistiche.
Infatti, il termine breve per la proposizione dell’appello comincia a decorrere
dalla notifica della sentenza che il vincitore della lite ha effettuato nei
confronti del soccombente (e non dalla data, eventualmente precedente, in cui
l’appello sia stato proposto da un altro soccombente): la parte che abbia
ricevuto la notifica dell’appello dall’altro soccombente ha l’onere di impugnare
la sentenza in via incidentale qualora voglia evitare di incorrere in
preclusioni a causa della mancata riunione dei giudizi, ma ben può proporre
anche l’appello in forma autonoma ed entro il termine annuale previsto dall’art.
327 c.p.c. (cfr. Sez. V, 3 febbraio 2000, n. 661; Sez. V, 15 marzo 1993, n.
357).
8.2. Vanno altresì respinte le ulteriori eccezioni con cui la s.p.a.
Cementizillo (con i suoi appelli incidentali) ha chiesto che siano dichiarate
inammissibili le censure formulate dai proprietari delle aree e dal Comune di
Villaga.
Sotto un primo profilo, la società ha dedotto che i medesimi proprietari
avrebbero impugnato un atto endo-procedimentale, privo di efficacia lesiva.
Ritiene la Sezione che tale deduzione vada respinta.
Dalla documentazione acquisita risulta che:
- l’ingegnere capo del Distretto minerario ha dapprima approvato il progetto di
coltivazione col decreto n. 1108 del 21 maggio 1999 e poi – con la nota n. 1494
del 6 luglio 1999 - ha trasmesso alla s.p.a. Cementizillo una copia del
programma, “vistato per approvazione ai fini minerari”, aggiungendo che “la
presente approvazione fa comunque salvo l’obbligo di munirsi” degli altri
prescritti titoli abilitativi;
- a seguito della trasmissione di una successiva nota del Distretto di data 10
aprile 2000, i proprietari delle aree hanno avuto notizia della avvenuta
approvazione del progetto, chiedendone l’annullamento.
Ciò comporta che vanno considerati ammissibili il ricorso di primo grado n. 1852
del 2000 e il secondo motivo dell’appello n. 10708 del 2002: i proprietari delle
aree non si sono limitati ad impugnare un atto endo-procedimentale, ma hanno con
sufficiente precisione indicato gli elementi identificativi del provvedimento di
approvazione del progetto, richiamando anche gli estremi della successiva nota
che ne ha comunicato il contenuto.
8.3. Va altresì respinta l’ulteriore eccezione di inammissibilità, proposta
dalla società con i suoi appelli incidentali, per la quale i proprietari delle
aree non avrebbero interesse ad impugnare il programma generale dei lavori di
coltivazione della miniera, perché esso ha natura di atto di natura privata e
comunque non ha una “valenza esterna generale o comunque tale da incidere sui
beni di terzi”.
Infatti, i proprietari hanno impugnato non il programma dei lavori in quanto
tale, bensì il provvedimento di approvazione emesso dal Distretto minerario,
come successivamente comunicato: essi hanno un evidente interesse ad impugnare
il provvedimento che abilita il concessionario ad utilizzare i loro terreni e ad
alterarne lo stato dei luoghi.
Anche il Comune ha interesse ad impugnare il medesimo provvedimento, quale ente
esponenziale che, così come ha rappresentato nel corso del procedimento, agisce
perché resti integra la collina sottoposta al vincolo paesaggistico e facente
parte del proprio territorio.
8.4. Ciò posto, osserva la Sezione che, col decreto n. 1108 del 1999 e col
pedissequo provvedimento n. 1494 del 1999, il Distretto minerario ha assentito -
anche in ordine alla relativa durata - un progetto diverso da quello preso in
considerazione col provvedimento n. 4 del 1989.
Poiché nel frattempo è entrato in vigore il d.P.R. n. 382 del 1994,
l’Amministrazione avrebbe dovuto seguire il procedimento previsto dalla
normativa entrata in vigore medio tempore, comunque motivando in ordine alle
ragioni che hanno indotto a ritenere sussistenti i presupposti richiesti dagli
articoli 41 e seguenti del d.P.R. n. 128 del 1959: il provvedimento, fondandosi
solo su un “vistato per approvazione” e senza ulteriori valutazioni, è affetto
da difetto di motivazione.
Pertanto, in accoglimento del primo motivo dell’appello n. 6775 del 2002 e del
secondo motivo dell’appello n. 10708 del 2002, va annullato il provvedimento n.
1494 del 6 luglio 1999, come comunicato ai proprietari delle aree il successivo
10 aprile 2000.
Restano assorbite tutte le censure formulate dai proprietari avverso il medesimo
provvedimento (dedotte col ricorso di primo grado n. 1852 del 2000 e riproposte
a pp. 14 ss. col secondo motivo dell’appello n. 10708 del 2002).
9. Resta da esaminare il primo motivo dell’appello n. 10708 del 2002, con cui i
medesimi proprietari delle aree hanno riproposto le censure già formulate col
loro ricorso di primo grado n. 1907 del 1990, proposto per l’annullamento del
provvedimento n. 4 del 9 febbraio 1989, che ha rilasciato alla s.p.a.
Cementizillo la concessione mineraria per la durata di quindici anni e per una
estensione di una superficie di oltre 152 ettari.
10. Ritiene la Sezione che tale motivo va dichiarato improcedibile per carenza
di interesse.
Infatti, nel corso dei giudizi pendenti innanzi al TAR, le aree oggetto della
prima concessione n. 4 del 1989 sono state prese in considerazione in ulteriori
atti statali e regionali, anche di programmazione, sicché la società ha
presentato il diverso progetto, poi assentito col provvedimento n. 1494 del
1999.
Pertanto, poiché il provvedimento n. 4 del 1989 ha perso i suoi effetti, non
persiste alcun interesse ad ottenerne l’annullamento.
Non va pertanto esaminata l’eccezione di tardività del ricorso di primo grado n.
1907 del 1990, riproposta in questa sede dalla società col suo appello
incidentale depositato in data 13 gennaio 2003.
11. La presentazione del nuovo progetto - che ha condotto alla approvazione del
Distretto minerario n. 1494 del 1999 e alla autorizzazione idrogeologica e
paesistica m. 1711 del 2000 - comporta la sopravvenuta irrilevanza anche dei
precedenti provvedimenti del Distretto n. 22 del 1990 e della Regione n. 897 e
n. 898 del 1994 (impugnati in primo grado dalla s.p.a. Cementizillo e dal Comune
di Villaga con i ricorsi n. 2897 del 1990 e n. 2235 del 1994 e non rimessi in
discussione in questa sede).
12. Per le ragioni che precedono:
- l’appello n. 7349 del 2002 va dichiarato inammissibile;
- gli appelli incidentali della s.p.a. Cementizillo vanno respinti per le parti
in cui hanno dedotto l’inammissibilità dei ricorsi di primo grado e delle
censure degli appelli n. 6775 e n. 10780 del 2002, mentre vanno dichiarati
improcedibili per le parti in cui hanno riproposto le censure del ricorso n.
3316 del 2000 e non esaminate in primo grado;
- gli appelli n. 6775 e 10708 del 2002 vanno accolti, come in precedenza
specificato.
Per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata:
- vanno dichiarati improcedibili i ricorsi di primo grado n. 1907 del 1990
(proposto dai proprietari delle aree) e n. 3316 del 2000 (proposti dalla s.p.a.
Cementizillo), mentre resta ferma la statuizione di improcedibilità del ricorso
n. 3368 del 2000, già disposta dal TAR;
- vanno accolti i ricorsi n. 962 del 2000 e n. 1992 del 2000 (proposti dal
Comune di Villaga e come integrati con i motivi aggiunti) e n. 1852 del 2000
(proposto dai proprietari delle aree).
Per l’effetto, vanno annullati l’autorizzazione regionale 16 giugno 2000, n.
1711, e il provvedimento del Distretto minerario di Padova 6 luglio 1999, n.
1494.
Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese e gli onorari dei
due gradi del giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta):
- riunisce gli appelli n. 6775, n. 7349 e n. 10708 del 2002;
- dichiara inammissibile l’appello n. 7349 del 2002;
- accoglie gli appelli n. 6775 del 2002 e n. 10708 del 2002 e respinge gli
appelli incidentali della s.p.a. Cementizillo, nei sensi indicati in
motivazione;
- dichiara improcedibili i ricorsi di primo grado n. 1907 del 2000 e n. 3316 del
2000, ferma restando l’improcedibilità del ricorso n. 3368 del 2000, già
disposta dal TAR;
- accoglie i ricorsi di primo grado n. 962 del 2000, n. 1992 del 2000 e n. 1852
del 2000 e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata annulla
l’autorizzazione regionale 16 giugno 2000, n. 1711, e il provvedimento del
Distretto minerario di Padova n. 1188 del 21 maggio 1999, come formalizzato con
l’atto 6 luglio 1999, n. 1494.
Compensa tra le parti le spese e gli onorari dei due gradi del giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dalla Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio tenutasi il giorno 4 marzo 2003,
presso la sede del Consiglio di Stato, Palazzo Spada, con l’intervento dei
signori:
Mario Egidio SCHINAIA Presidente
Sergio SANTORO Consigliere
Alessandro PAJNO Consigliere
Luigi MARUOTTI Consigliere Est.
Chiarenza MILLEMAGGI COGLIANI Consigliere
1) La legittimazione ad impugnare in materia ambientale - limiti - associazione ambientalista - soggetto colegittimato - principio della cd. fungibilità dell’azione. L’art. 18, comma 5, della legge 8 luglio 1986, n. 349 (per il quale “le associazioni individuate in base all’articolo 13 possono… ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa per l’annullamento di atti illegittimi”), e il corrispondente art. 17, comma 46, della legge 15 maggio 1997, n. 127, evidenziano l’intento del legislatore per cui ogni modifica di qualsiasi parte del territorio nazionale deve basarsi su un atto amministrativo legittimo (Ad. Plen., 14 dicembre 2001, n. 9; Sez. VI, 26 luglio 2001, n. 4123; Sez. V, 1° dicembre 1999, n. 2030). Infatti, poiché l’ordinamento vigente non prevede la figura del pubblico ministero nel processo amministrativo, alle associazioni ‘individuate’ è stato conferito un rilievo pubblicistico, in quanto esse – unitamente a quelle legittimate in base ai criteri elaborati dalla giurisprudenza - concorrono, con i propri ricorsi giurisdizionali, alla concreta affermazione del principio di legalità. La richiamata normativa, pur avendo consentito l’impugnazione degli atti che incidano sull’ambiente, non ha però attribuito anche la legittimazione ad impugnare senz’altro le sentenze dei Tribunali amministrativi regionali pronunciate in materia ambientale: l’associazione ambientalista può impugnare la sentenza che abbia deciso il suo ricorso ed abbia determinato la sua soccombenza anche parziale. Qualora tale ricorso sia invece mancato, si applicano i consueti principi affermati da questo Consiglio circa la legittimazione alla impugnazione delle sentenze: oltre alla parte soccombente, soltanto la parte necessaria pretermessa (anche quale controinteressato sopravvenuto e beneficiario del provvedimento finale o consequenziale) può impugnare la sentenza lesiva (con un atto avente natura di appello, se ancora pende il relativo termine, o di opposizione di terzo, se è decorso il termine annuale previsto dall’art. 327 c.p.c.). E’ invece inammissibile l’appello di chi, non avendo proposto un ricorso di legittimità pur essendovi legittimato, omissio medio impugni la sentenza che abbia deciso il ricorso proposto da un soggetto colegittimato (in tal caso, da un lato rileva l’acquiescenza all’atto impugnabile e dall’altro non è ravvisabile una soccombenza). Tale regola si applica anche quando l’appello sia proposto da chi proponga omissio medio l’appello, dopo non avere impugnato in primo grado – pur essendovi legittimato - una concessione edilizia ai sensi dell’art. 10 della legge del 6 agosto 1967, n. 765, ovvero un atto che consente l’alterazione dell’ambiente. Pertanto, così come il vicino che non abbia impugnato la concessione edilizia non può impugnare la sentenza che abbia respinto il ricorso proposto dall’altro vicino ricorrente, l’associazione ambientalistica – che non abbia impugnato il provvedimento che consente l’alterazione dell’ambiente – non può impugnare la sentenza che abbia respinto il ricorso di chi abbia impugnato il medesimo provvedimento. La medesima regola si applica anche se, come è avvenuto nella specie, in primo grado sia stato accolto il ricorso del beneficiario della autorizzazione paesistica avverso il provvedimento statale di annullamento della autorizzazione: l’associazione ambientalistica – non avendo assunto in primo grado la qualità di parte formale e sostanziale – non è legittimata ad impugnare la sentenza (ferma restando l’impugnabilità della stessa autorizzazione paesistica). La divergente disciplina della legittimazione a proporre il ricorso di primo grado e l’atto di appello neppure si pone in contrasto col principio di ragionevolezza, poiché: - la sussistenza della legittimazione a proporre il ricorso in primo grado della associazione ambientalistica si fonda sulla esigenza – sopra rilevata - per cui ogni modifica di qualsiasi parte del territorio nazionale avvenga sulla base di atti legittimi (avendo il legislatore agevolato – sul piano processuale - l’annullamento in sede giurisdizionale di quelli illegittimi); - la mancata previsione della legittimazione della associazione ad appellare le sentenze rese dal TAR su ricorsi di altri legittimati evidenzia come il legislatore ritenga che le regole generali del processo – e le iniziative processuali delle parti soccombenti – siano sufficienti per la eventuale definizione del giudizio in grado di appello. Costituisce pertanto uno ius singulare, non suscettibile di applicazione analogica, la disciplina contenuta nell’art. 83/12 del testo unico approvato per i giudizi elettorali col d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, il quale – sulla base del principio della cd. fungibilità dell’azione elettorale - ha espressamente previsto l’appellabilità delle sentenze di primo grado da parte di “ogni altro cittadino elettore o diretto interessato”, anche se non abbia proposto il ricorso originario (Sez. V, 15 febbraio 1994, n. 92; Sez. V, 21 maggio 1982, n. 416; Sez. V, 9 febbraio 1979, n. 83). Consiglio di Stato Sez. VI, - 6 giugno 2003, sentenza n. 3165
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