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Legislazione  giurisprudenza                                                      Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso


 

 Massime della sentenza

 

 

Consiglio di Stato, Sezione V - 25 gennaio 2003 - sentenza n. 352

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Quinta Sezione ANNO 2002 ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello n. 107/02, proposto da Tekno Costruzioni s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avv. Vittorio Faraone, ed elettivamente domiciliata in Roma, v. Tacito n. 50 (studio Buccico),

contro

il Comune di Policoro, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli avv.ti Giuseppe Franchino e Francesco Calculli, ed elettivamente domiciliato in Roma, v.le delle Milizie n. 76 (studio Donnangelo e Botzios),

per l’annullamento

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata 14 novembre 2001, n. 781, resa inter partes, con la quale è stato respinto il ricorso proposto dall’attuale appellante avverso il provvedimento della Giunta Municipale n. 502, in data 14 dicembre 2000, recante la revoca dell’aggiudicazione provvisoria in suo favore dell’appalto dei lavori urgenti di difesa e protezione delle opere relative al lido di Policoro, nonché avverso la determinazione del 13 dicembre 2000, n. 199, adottata dal dirigente dell’Ufficio Tecnico Comunale quale responsabile del procedimento.

Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione comunale intimata;

Visti gli atti tutti della causa;

Vista l’ordinanza n. 929, in data 8 marzo 2002, con cui è stata rigettata l’istanza di sospensione dell’esecuzione della sentenza di primo grado;

Visto il dispositivo della decisione in epigrafe, n. 378, pubblicato in data 11 luglio 2002;

Relatore alla pubblica udienza del 9 luglio 2002 il Consigliere Gerardo Mastrandrea; uditi i difensori delle parti come da verbale di udienza;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.

FATTO

1. Con ricorso proposto dinanzi al TAR lucano, l’intestata società impugnava gli atti relativi alla revoca dell’aggiudicazione provvisoria, disposta in suo favore dal Comune di Policoro, dei lavori urgenti di difesa e protezione delle opere relative al lido della medesima località.

La revoca contestata in prime cure recava la seguente motivazione: “dopo aver accertato attraverso l’acquisizione del certificato del casellario giudiziale, il non possesso, da parte dell’aggiudicatario, dei requisiti di cui all’articolo 17, comma 1, lettere c) e l), del DPR 34/2000”.

2. Il TAR adito respingeva il ricorso in quanto infondato nel merito, non senza peraltro disattendere l’eccezione di inammissibilità sollevata dalla parte resistente, circa la mancata notifica del ricorso ai presunti controinteressati (il Tribunale, al riguardo, ha avuto buon gioco nell’osservare che l’impugnativa era limitata alla revoca dell’aggiudicazione provvisoria disposta in favore della Tekno dal Comune di Policoro, atto rispetto al quale non erano ravvisabili controinteressati in senso tecnico).

Con la sentenza impugnata, il Tribunale di prima istanza rilevava la congruità e sufficienza del corredo motivazionale, nonché osservava che dal tenore letterale del bando risultava evidente che non erano ammesse sentenze di condanna di qualsiasi natura, anche patteggiate, sicché, in mancanza di una impugnazione in parte qua del bando, non potevano essere prese in considerazione le argomentazioni di parte ricorrente circa la diversa natura delle condanne per patteggiamento. Tutte le sentenze di condanna, e quindi anche quelle patteggiate, concludevano i primi giudici, dovevano essere dichiarate, onde consentire alla commissione di gara di essere informata e di garantire la par condicio dei partecipanti.

3. La Tekno Costruzioni ha interposto l’appello in trattazione avverso la prefata pronunzia, della quale ha chiesto l’annullamento siccome erronea, essendo l’Amministrazione comunale incorsa in vari vizi di violazione di legge e di eccesso di potere.

4. L’Amministrazione comunale di Policoro si è costituita in giudizio per resistere all’appello, del quale ha eccepito l’inammissibilità per carenza di interesse, oltre ad aver controdedotto nel merito delle lagnanze.

Con ordinanza della Sezione n. 929, in data 8 marzo 2002, è stata rigettata l’istanza di sospensione dell’efficacia della sentenza di primo grado.

Alla pubblica udienza del 9 luglio 2002 il ricorso in appello è stato introitato per la decisione.

DIRITTO

1. L’appello deve essere rigettato.

Con deliberazione di Giunta n. 502, in data 14 dicembre 2000, prendendo atto della determinazione n. 000199 del 13 dicembre 2000, adottata dal dirigente U.T.C., quale responsabile del procedimento di gara (entrambi i provvedimenti sono stati impugnati con il ricorso di prime cure), il Comune di Policoro disponeva la revoca dell’aggiudicazione provvisoria dell’appalto di lavori di cui si discute in favore della ditta appellante.

Il tutto avveniva in seguito all’accertamento, da parte del suddetto organo tecnico, che i riscontri certificativi chiesti al Casellario Giudiziale presso il Tribunale di Matera, relativamente al legale rappresentante, avevano dato un esito (la certificazione veniva rilasciata il 6 settembre 2000) di pregresse condanne penali rilevanti per la moralità professionale dell’impresa concorrente, in contrasto con quanto dichiarato ed auto-certificato in sede di gara e con le previsioni dell’art. 17 del DPR 34/2000.

La certificazione rilasciata dal Casellario Giudiziale su richiesta della stazione appaltante (e quindi di una Pubblica Amministrazione), al fine di verificare la veridicità delle situazioni autocertificate in sede di gara (i cui esiti, come è noto, non possono essere sovvertiti dalla certificazione rilasciata in data 3 agosto 2000 dal medesimo Casellario su istanza della parte privata, recante la dicitura “Nulla”, atteso che a norma dell’art. 175 c.p. per reati non particolarmente gravi può essere concesso il beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, spedito a richiesta di privati), recava, in effetti, a carico del legale rappresentante, una pronunzia di “patteggiamento” (rectius applicazione della pena, £ 1.120.000 di multa, su richiesta delle parti) per il reato di turbata libertà degli incanti (art. 353 c.p.), commesso in data 11 ottobre 1991, oltre ad una pronunzia decretale del G.I.P. presso la Pretura di Matera, esecutiva il 21 gennaio 1995 e relativa ad un reato contravvenzionale di violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, costata al suddetto rappresentante l’inflizione di un’ammenda di £ 250.000, assolta in data 14 febbraio 1996.

Ritenuto dunque sussistente il mancato possesso di alcuni dei requisiti di ordine generale previsti dal bando e dall’art. 17, comma 1, lettere c) e l), del DPR 34/2000, l’Amministrazione comunale si è determinata nel senso revocatorio contestato.

2. Il predetto art. 17, comma 1, richiede effettivamente, alla lettera c), tra i requisiti di ordine generale per la qualificazione delle imprese, l’”inesistenza di sentenze definitive di condanna passate in giudicato ovvero di sentenze di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’art. 444 c.p.p. a carico del titolare, del legale rappresentante, dell’amministratore o del direttore tecnico per reati che incidono sulla moralità professionale”.

Il bando della gara per pubblico incanto di cui si verte si limitava a prevedere tra la documentazione a necessario corredo della domanda di partecipazione alla gara, alle lettere A2) e A3), rispettivamente: la dichiarazione del legale rappresentante dell’impresa concorrente (e degli altri soggetti indicati nel comma terzo dell’art. 17), attestante il possesso dei requisiti d’ordine generale di cui alle lettere a-b-c dell’art. 17 del DPR 34/2000; la dichiarazione sostitutiva di atto notorio resa dal legale rappresentante dell’impresa concorrente, dalla quale risulti che l’impresa possiede i requisiti d’ordine generale di cui alle lettere d-e-f-g-h-i-l-m del citato art. 17, con firma autenticata ovvero con allegata fotocopia di valido documento di riconoscimento.

Con il ricorso di prime cure la ditta appellante non si è gravata avverso la normativa di gara, che peraltro, come accennato, ha fatto pedissequa applicazione delle disposizioni regolamentari generali sopra riportate.

3. Ciò posto, nel dispiegarsi non certo particolarmente lineare delle deduzioni e delle controdeduzioni formulate dalle parti contrapposte, prevalgono in questa sede considerazioni circa il merito delle doglianze riproposte dall’appellante, che orientano il Collegio nel senso di un responso di rigetto del gravame in epigrafe, in disparte i sollevati aspetti della sua ammissibilità.

Non giova all’appellante, ed in questo può concordarsi in pieno con le argomentazioni dei primi giudici, concentrare non lievi sforzi nel delineare le peculiarità della natura e della disciplina dell’istituto del “patteggiamento”, che non avrebbe secondo i più autorevoli dicta giurisprudenziali le caratteristiche proprie di una sentenza di condanna, stante il profilo negoziale che lo caratterizza e la conseguente carenza di quella piena valutazione dei fatti e delle prove che costituisce, nel giudizio ordinario, la premessa necessaria per l’applicazione della pena.

Di fronte, infatti, ad una previsione così chiara e stringente della normativa speciale di gara, non impugnata, non disapplicabile ed in linea peraltro con la disciplina generale regolamentare di riferimento, da cui emergeva la rilevanza di giudicati di condanna di qualsiasi genere, anche in base a patteggiamento, in caso di reati che incidessero sulla moralità professionale, residuano unicamente due elementi, entrambi decisivi nel condurre il Collegio a formulare un responso di rigetto:

a) la circostanza incontestabile che la ditta concorrente non ha reso, violando i principi di correttezza, trasparenza e par condicio, una auto-dichiarazione veritiera, come accertato in base alla certificazione acquisita dalla stazione appaltante, circa il possesso dei requisiti di cui all’art. 17, comma 1, lettere c) e l) (anche se nel secondo caso si potrebbe discutere in merito alla gravità della violazione delle normativa antinfortunistica), senza che si possa dare rilievo, alla stregua anche delle secche prescrizioni del bando, all’avvenuta estinzione del reato di cui alla pena patteggiata per decorso del termine quinquennale ex art. 445, comma 2, c.p.p. (lo stesso appellante riporta, peraltro, un recente pronunciamento della Suprema Corte in sede penale secondo il quale l’estinzione di ogni effetto penale non trova applicazione in relazione all’eliminazione dell’iscrizione della sentenza nel casellario giudiziale, dal momento che l’iscrizione nel casellario giudiziale non rientra tra gli effetti penali della condanna). Come di recente ha avvertito la Sezione, in sede di procedura di gara d’appalto di opere pubbliche costituisce dichiarazione non veritiera, e quindi legittima causa di esclusione dalla gara e non aggiudicazione dell’appalto, quella nella quale l’impresa concorrente omette di indicare, in sede di dichiarazione concernente le eventuali sentenze penali riportate, una sentenza patteggiata ai sensi dell’art. 444 c.p.p. (Cons. Stato, V, 6 giugno 2002, n. 3183);

b) l’indiscutibile, specifica, oggettiva ed assorbente attinenza del reato di turbativa d’asta alla moralità professionale, seppur da valutarsi con riferimento concreto alla procedura di gara in questione.

4. I provvedimenti impugnati in prime cure, peraltro congruamente motivati e quindi sufficientemente atti a rendere ripercorribile l’iter logico seguito dall’Amministrazione, risultano in definitiva immuni dalle censure dedotte dalla Tekno Costruzioni in quanto adottati nello scrupoloso rispetto delle norme di gara.

5. Ne consegue la reiezione dell’appello.

Le spese di lite, relativamente al presente grado di giudizio, possono essere, nondimeno, compensate tra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sul ricorso in appello in epigrafe, lo rigetta.

Spese del presente grado di giudizio compensate tra le parti.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

 

Così deciso in Roma, il 9 luglio 2002, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), in camera di consiglio, con l'intervento dei seguenti Magistrati:

Agostino Elefante Presidente

Francesco D’Ottavi Consigliere

Aniello Cerreto Consigliere

Nicolina Pullano Consigliere

Gerardo Mastrandrea Consigliere est.

 

L'ESTENSORE                                       IL PRESIDENTE                                       IL SEGRETARIO

f.to Gerardo Mastrandrea                         f.to Agostino Elefante                                f.to Giuseppe Testa

 

 

 

 

 

M A S S I M E

 

Sentenza per esteso

 

1) Natura e disciplina dell’istituto del “patteggiamento” - revoca dell’aggiudicazione della gara - normativa speciale di gara - i principi di correttezza, trasparenza e par condicio - requisiti - certificazione - auto-dichiarazione veritiera - violazione delle normativa antinfortunistica - reato di turbativa d’asta. Non giova all’appellante, ed in questo può concordarsi in pieno con le argomentazioni dei primi giudici, concentrare non lievi sforzi nel delineare le peculiarità della natura e della disciplina dell’istituto del “patteggiamento”, che non avrebbe secondo i più autorevoli dicta giurisprudenziali le caratteristiche proprie di una sentenza di condanna, stante il profilo negoziale che lo caratterizza e la conseguente carenza di quella piena valutazione dei fatti e delle prove che costituisce, nel giudizio ordinario, la premessa necessaria per l’applicazione della pena. Di fronte, infatti, ad una previsione così chiara e stringente della normativa speciale di gara, non impugnata, non disapplicabile ed  in linea peraltro con la disciplina generale regolamentare di riferimento, da cui emergeva la rilevanza di giudicati di condanna di qualsiasi genere, anche in base a patteggiamento, in caso di reati che incidessero sulla moralità professionale, residuano unicamente due elementi, entrambi decisivi nel condurre il Collegio a formulare un responso di rigetto: a) la circostanza incontestabile che la ditta concorrente non ha reso, violando i principi di correttezza, trasparenza e par condicio, una auto-dichiarazione veritiera, come accertato in base alla certificazione acquisita dalla stazione appaltante, circa il possesso  dei requisiti di cui all’art. 17, comma 1, lettere c) e l) (anche se nel secondo caso si potrebbe discutere in merito alla gravità della violazione delle normativa antinfortunistica), senza che si possa dare rilievo,  alla stregua anche delle secche prescrizioni del bando, all’avvenuta estinzione del reato di cui alla pena patteggiata per decorso del termine quinquennale ex art. 445, comma 2, c.p.p. (lo stesso appellante riporta, peraltro, un recente pronunciamento della Suprema Corte in sede penale secondo il quale l’estinzione di ogni effetto penale non trova applicazione in relazione all’eliminazione dell’iscrizione della sentenza nel casellario giudiziale, dal momento che l’iscrizione nel casellario giudiziale non rientra tra gli effetti penali della condanna). Come di recente ha avvertito la Sezione, in sede di procedura di gara d’appalto di opere pubbliche costituisce dichiarazione non veritiera, e quindi legittima causa di esclusione dalla gara e non aggiudicazione dell’appalto, quella nella quale l’impresa concorrente omette di indicare, in sede di dichiarazione concernente le eventuali sentenze penali riportate, una sentenza patteggiata ai sensi dell’art. 444 c.p.p. (Cons. Stato, V, 6 giugno 2002, n. 3183); b) l’indiscutibile, specifica, oggettiva ed assorbente attinenza del reato di turbativa d’asta alla moralità professionale, seppur da valutarsi con riferimento  concreto alla procedura di gara in questione. Pertanto, risultano legittimi gli atti relativi alla revoca dell’aggiudicazione provvisoria. Consiglio di Stato, Sezione V - 25 gennaio 2003 - sentenza n. 352
 

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