Legislazione Giurisprudenza Vedi altre: Sentenze per esteso
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente
D E C I S I O N E
sul ricorso iscritto al NRG 8795\1996, proposto da Peta Antonio,
rappresentato e difeso dagli avvocati Vincenzo e Luigi Morrone ed elettivamente
domiciliato presso il dott. Proc. Corrado Morrione (studio Guarino) sito in
Roma, piazza Borghese n. 3;
contro
– Cooperativa Edilizia a r.l. Giove, in persona del legale rappresentante pro
tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Rosario Medici e Nicolò Paoletti
e presso quest’ultimo elettivamente domiciliato in Roma, via B. Tortolini n. 34;
– Amministrazione provinciale di Catanzaro in persona del Presidente pro tempore,
non costituito;
per l'annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria –
Catanzaro – n. 745 del 30 ottobre 1996.
Visto il ricorso in appello;
visto l'atto di costituzione in giudizio della Cooperativa Edilizia Giove;
viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
visti gli atti tutti della causa;
data per letta alla pubblica udienza del 6 maggio 2003 la relazione del
consigliere Vito Poli, uditi gli avvocati Morrone e Marco Paoletto su delega
dell’avv. Nicolò Paoletti;
ritenuto e considerato quanto segue:
F A T T O
1. Con decreto del Presidente dell’amministrazione provinciale di Catanzaro – n.
43 del 27 febbraio 1995 – la Cooperativa Giove veniva autorizzata ad occupare in
via d’urgenza, in vista della futura espropriazione, alcune aree (fra cui quella
nella disponibilità di Antonio Peta), ubicate nel tenimento del comune di
Crotone, per la costruzione di immobili di edilizia economica e popolare.
2. Con ricorso notificato il 21 e 23 ottobre 1996, Antonio Peta proponeva
appello avverso la sentenza del T.A.R. per la Calabria – Catanzaro – n. 745 del
30 ottobre 1996, con cui venivano in parte respinte ed in parte dichiarate
inammissibili le censure proposte avverso il decreto di occupazione d’urgenza.
3. Si costituiva la Cooperativa edilizia Giove deducendo l'infondatezza del
gravame in fatto e diritto.
4. Con ordinanza collegiale n. 117 del 1997, veniva respinta la domanda di
sospensione dell’esecuzione della impugnata sentenza.
5. La causa è passata in decisione all’udienza pubblica del 6 maggio 2003.
D I R I T T O
1. L’appello è infondato e deve essere respinto.
2. Con determinazione del commissario straordinario del comune di Crotone – n.
59 del 13 luglio 1992 – veniva adottata una variante parziale al P.R.G. per
mutare la destinazione di zona (da agricola a residenziale) di una vasta area
pari a circa 10,6 ettari, ubicata nelle immediate vicinanze delle zone di
espansione già utilizzate per l’edilizia economica e popolare.
Nel corpo del provvedimento si dava conto analiticamente delle ragioni di
opportunità ed urgenza che presiedevano all’adozione della variante ed alla
scelta delle aree; in sintesi: esaurimento delle aree disponibili ricompresse
nel piano di zona per l’edilizia economica approvato con deliberazione del c.c.
n. 62 del 21 luglio 1987; esaurimento delle aree destinate dal P.R.G. a edilizia
residenziale a seguito dell’approvazione di piani di lottizzazione
convenzionati; urgente necessità di reperire nuove aree di espansione per
realizzare interventi di edilizia economica e popolare già finanziati; vicinanza
dell’area prescelta alla zona di espansione esaurita già utilizzata per
l’edilizia residenziale pubblica; natura morfologica pianeggiante dell’area
prescelta che non risulta gravata da vincoli di tipo archeologico, paesaggistico
o ambientale; intervenuta acquisizione del favorevole parere geomorfologico del
Genio civile in ordine ai profili antisismici.
3. Con nota del 5 aprile 1993 il comune di Crotone trasmetteva all’Assessorato
all’Urbanistica della Regione Calabria tutta la documentazione inerente la
variante adottata.
4. Con determinazioni commissariali nn. 1 e 2, rispettivamente del 6 agosto 1993
e del 15 novembre 1993, adottate a mente degli artt. 35 e 51, l. n. 865 del
1971, il Comune di Crotone procedeva alla localizzazione degli interventi
costruttivi, alla dichiarazione di pubblica utilità indifferibilità ed urgenza
delle opere ivi previste, nonché all’assegnazione dei lotti in proprietà
superficiaria alle Cooperative edilizie richiedenti.
Venivano altresì fissati i termini di inizio e completamento dei lavori e delle
procedure.
Il comune di Crotone, con deliberazione giuntale n. 1202 del 18 novembre 1994,
provvedeva a riapprovare gli atti della procedura espropriativi.
5. Con deliberazione della giunta regionale n. 4159 del 5 settembre 1994, si
portava a conoscenza del comune di Crotone il parere favorevole reso dal
Servizio strumenti urbanistici (datato 30 giugno 1993) al mutamento di
destinazione urbanistico, contenente anche alcune osservazioni e prescrizioni;
si invitava, pertanto, il comune di Crotone a controdedurre ai sensi dell’art.
3, l. n. 765 del 1967; inoltre si richiedeva il parere della Soprintendenza ai
Beni archeologici.
5. Il comune controdeduceva analiticamente con la nota 19 dicembre 1994.
6. Successivamente, entrate in vigore le leggi regionali n. 16 del 1994 e n. 30
del 1994, l’Assessore al territorio della Regione Calabria – a mezzo nota n.
prot. 824 del 29 novembre 1995 – restituiva gli atti ed elaborati progettuali al
comune di Crotone, essendo maturato il termine per l’approvazione tacita delle
varianti agli strumenti urbanistici in base al sistema disegnato dalle leggi
regionali nn. 16 e 30 del 1994; invitava, altresì, il comune a prendere atto
dell’avvenuta approvazione della variante, ex art. 2, comma 1, l.r. n. 30 del
1994.
7. Con deliberazione n. 29 del 22 aprile 1997, il Consiglio comunale di Crotone
prendeva atto dell’approvazione tacita da parte della Regione Calabria, per
decorso del termine di 180 giorni ex artt. 1 e 2, l.r. n. 16 del 1994 nel testo
modificato dalla l.r. n. 30 del 1994, della variante al P.R.G. adottata con
determinazione del commissario straordinario n. 59 del 13 luglio 1992.
8. Con decreto del Presidente dell’amministrazione provinciale di Catanzaro – n.
43 del 27 febbraio 1995 – la Cooperativa Giove veniva autorizzata ad occupare in
via d’urgenza, in vista della futura espropriazione, alcune aree (fra cui quella
nella disponibilità di Antonio Peta odierno appellante), ubicate nel tenimento
del comune di Crotone, per la costruzione di immobili di edilizia economica e
popolare.
Avverso tale atto è stato proposto ricorso giurisdizionale dal Peta, respinto
con la sentenza n. 745 del 1996, oggetto del presente gravame.
8. Contro l’adozione della variante al P.R.G. e i provvedimenti di
localizzazione, il Peta ha proposto (nel 1994) ricorso straordinario al Capo
dello Stato, ancora pendente.
9. Con decisione di questa sezione, emessa all’odierna camera di consiglio, è
stato respinto l’appello formulato dal Peta nei confronti della sentenza del
T.A.R. della Calabria n. 851 del 2002 che, a sua volta, aveva rigettato
l’impugnativa della presa d’atto comunale in ordine all’intervenuta approvazione
tacita della variante.
10. La sentenza oggetto del presente gravame: a) ha respinto la domanda di
sospensione del giudizio di primo grado per pendenza del ricorso straordinario
nei confronti di atti logicamente presupposti, negando l’applicabilità dell’art.
295 c.p.c. in quanto il ricorso straordinario non costituisce rimedio
giurisdizionale; b) ha dichiarato in parte inammissibile ed in parte infondato
il ricorso di primo grado compensando le spese di giudizio.
11. Prima di scendere all’esame dei singoli mezzi di gravame la sezione osserva
che il Peta, originario ricorrente, ha articolato due gruppi distinti di censure
avverso il decreto di occupazione d’urgenza.
Il primo, si impernia su vizi di invalidità derivata rivenienti dalla
dichiarazione di pubblica utilità indifferibilità ed urgenza contenuta nel
provvedimento di localizzazione; il secondo stigmatizza vizi propri
dell’occupazione di urgenza.
12. Con il primo motivo di appello il Peta ripropone la richiesta di sospensione
del giudizio, ex art. 295 c.p.c., ricorrendo, a suo dire, tutti i presupposti di
applicabilità della norma ivi sancita.
E’ bene premettere subito che ha errato il T.a.r. nel ritenere che la
proposizione di un ricorso straordinario al Capo dello Stato non poteva essere
motivo idoneo di una sospensione del processo per pregiudizialità.
La sospensione del giudizio disciplinata dall’art. 295 c.p.c., in quanto
espressione dell’esigenza di ordine generale di ovviare a possibili contrasti
fra giudicati – e in tale senso immanente nel sistema della giustizia
amministrativa comprensivo del rimedio del ricorso straordinario – trova logica
applicazione anche nel caso di pendenza di controversia promossa con ricorso
straordinario al Capo dello Stato avente contenuto pregiudiziale, atteso il
carattere definitorio della controversia stessa, del relativo provvedimento
giustiziale, insuscettibile di annullamento, revoca o riforma da parte
dell’amministrazione interessata (cfr. ex plurimis sez. V, 13 aprile 1999, n.
406; sez. V, 17 marzo 1998, n. 301; sez. VI, 13 febbraio 1991, n. 92).
12.1. Ciò che invece effettivamente difetta, nel caso di specie, è il rapporto
di antecedenza logico giuridica fra le due controversie (pregiudicante e
pregiudicata), non essendo gli atti impugnati collegati da un rapporto di
pregiudizialità necessaria, tale cioè che la soluzione della controversia
pregiudicata non possa prescindere dalle soluzioni di quello pregiudicario.
Altra cosa è il rapporto di presupposizione, che si verifica allorquando
ciascuno degli atti collegati presenta una propria autonomia contenutistica, ma
l’uno funge da presupposto per l’adozione dell’altro, donde la necessità di una
loro impugnativa disgiunta ed autonoma, di norma (come nel caso di specie)
cronologicamente sfalsata perché correlata ai diversi tempi di emanazione di
ognuno di essi.
Ciò dipende dal fatto che, a differenza del nesso di consecuzione meramente
attuativa, quello di presupposizione investe atti che possono incidere
direttamente, e, ciascuno per la sua parte, nella sfera soggettiva dei
destinatari, richiedendo perciò non solo un’impugnativa autonoma e disgiunta, ma
anche tempestiva, per scongiurare inevitabili decadenze.
Si pone, pertanto, il problema della sorte dell’atto presupponente in caso di
preventivo annullamento dell’atto presupposto.
La sua soluzione dipende, a rigore, dal ruolo che viene assegnato all’atto
presupponente nel modello legale dell’atto presupposto.
Se, infatti, lo si considera come presupposto di legittimità di esso, il suo
venir meno ne comporta l’illegittimità per invalidità derivata.
Se, viceversa, lo si considera presupposto di esistenza di esso, la sua
successiva caducazione lo priva del necessario fondamento comportandone la
nullità – inesistenza per carenza del potere in concreto. In tal caso, la
caducazione dell’atto presupposto travolge anche quello consequenziale,
determinandone l’eliminazione automatica: è il c.d. effetto caducante, derivante
dall’annullamento dell’atto presupposto che si contrappone al c.d. effetto
meramente invalidante. Mentre quest’ultima figura si rinviene allorquando non vi
sia un nesso di presupposizione necessaria ed indefettibile fra i due atti (o
procedimenti), pur costituendo quello presupposto requisito di validità del
successivo (è il caso di scuola dell’atto di nomina del pubblico impiegato
presupposto di validità per l’adozione di una pluralità di atti successivi,
interni ed esterni al rapporto di pubblico impiego), il c.d. effetto caducante
ricorre quando lo stesso atto presupposto sia condizione imprescindibile di
esistenza del solo atto presupponente, la cui sopravvivenza risulta pregiudicata
dall’eliminazione di quello.
E’ il caso classico, in cui rientra la fattispecie odierna, dell’annullamento
della dichiarazione di pubblica utilità indifferibilità ed urgenza che comporta
l’inesistenza – nullità del provvedimento espropriativo e di occupazione
d’urgenza, dando luogo a quella che la più recente giurisprudenza qualifica come
occupazione usurpativa successiva (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 9 luglio 2002, n.
3819; Cass. civ. sez. I, 30 gennaio 2001, n. 1266; 28 marzo 2001, n. 4451; 18
febbraio 2000, n. 1814; Corte europea dei diritti dell’uomo, 30 maggio 2000,
Belvedere).
Il privato inciso non ha alcun interesse ad agire e coltivare censure
discendenti dalla asserita illegittimità del provvedimento presupposto, giacchè,
in virtù del descritto effetto caducante, l’annullamento di quest’ultimo
travolgerebbe automaticamente il decreto di occupazione d’urgenza oggetto del
presente giudizio.
Viceversa il privato ha interesse a contrastare il decreto di occupazione
prospettando vizi propri di tale atto.
Deve escludersi, pertanto, che vi sia un rapporto di pregiudizialità necessaria
fra il giudizio avente ad oggetto la dichiarazione di pubblica utilità,
indifferibilità ed urgenza delle opere ed il successivo decreto di occupazione
d’urgenza preordinato all’esproprio.
In questi termini deve essere modificata la motivazione dell’impugnata sentenza,
resa a sostegno delle statuizioni di rigetto della domanda di sospensione del
giudizio nonchè di reiezione e di inammissibilità delle censure di invalidità
derivata.
13. Per le medesime ragioni devono, coerentemente, essere dichiarati
inammissibili tutte le censure proposte avverso l’altro presupposto impugnato in
sede straordinaria e respinti i riproposti motivi (secondo e terzo in sede di
appello), concernenti l’invalidità derivata del decreto di occupazione oggetto
del presente giudizio.
14. Può passarsi ora all’esame dei mezzi di gravame che reiterano le censure
afferenti a vizi propri del provvedimento di occupazione.
14.1. Palesemente infondato è il quarto motivo.
Non si profila alcuna incompetenza dell’amministrazione provinciale ad adottare
il provvedimento di occupazione d’urgenza, ai sensi dell’art. 106 d.P.R. 24
luglio 1971, n. 616, e dell’art. 27, l.r. n. 18 del 1983.
Tali norme stabiliscono che l’esercizio delle funzioni relative ad
espropriazioni per opere e lavori di interesse regionale è stato trasferito alle
province.
Poiché i programmi costruttivi di edilizia residenziale pubblica per cui è causa
sono stati finanziati dalla Regione Calabria, non v’è ragione per negare che, a
questi fini, le opere da realizzare siano di interesse regionale.
14.2. Anche il quinto motivo, con cui si deduce la violazione da parte del
decreto di occupazione d’urgenza dei termini iniziali fissati per l’attivazione
delle procedure ablatorie, non è accoglibile.
Secondo la prevalente giurisprudenza, infatti, sono da ritenersi essenziali ai
fini di tutela delle posizioni soggettive dei privati solo quelli finali di
completamento delle opere e delle procedure espropriative (cfr. da ultimo sul
carattere meramente ordinatorio dei termini iniziali, Cons. Stato, sez. VI, 30
dicembre 2002, n. 8219).
14.3. Miglior sorte non tocca al sesto ed ultimo mezzo.
Si afferma che sarebbe indispensabile ai fini della legittima emanazione del
decreto di occupazione d’urgenza la preventiva approvazione, da parte della
Regione, della variante al P.R.G.
La tesi è priva di pregio.
Come esattamente rilevato dal primo giudice, lo strumento urbanistico può essere
anche semplicemente adottato ai fini della legittimità della localizzazione ex
art. 51, l. n. 865 cit. e della successiva sequenza procedimentale espropriativa
(cfr. sez. IV, 8 maggio 2000, n. 2643); al punto che è stata ritenuta legittima
l'occupazione d'urgenza di aree oggetto di localizzazione, disposta prima che i
proprietari abbiano potuto formulare le osservazioni al P.E.E.P., nel quale la
localizzazione si iscrive (cfr. sez. IV, 14 marzo 1990, n. 172).
15. Alla stregua delle precisate conclusioni l’appello deve essere respinto.
Le spese di giudizio, regolamentate secondo l’ordinario criterio della
soccombenza, sono liquidate in dispositivo.
P. Q. M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione quarta) definitivamente
pronunziando sul ricorso in appello, meglio in epigrafe indicato, così provvede:
– respinge l'appello proposto, e per
l'effetto conferma la sentenza indicata in epigrafe con le precisazioni di cui
in motivazione;
– condanna Antonio Peta a rifondere in favore della Cooperativa Edilizia a r.l.
Giove , le spese, le competenze e gli onorari del presente grado di giudizio,
che liquida in complessivi euro tremila\00.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 6 maggio 2003, con la
partecipazione dei signori:
Stenio RICCIO – Presidente
Costantino SALVATORE – Consigliere
Dedi Marinella RULLI – Consigliere
Giuseppe CARINCI – Consigliere
Vito POLI – Consigliere, Rel. Estensore
1) Occupazione usurpativa successiva - sequenza procedimentale espropriativa successiva - P.E.E.P. - l’annullamento della dichiarazione di pubblica utilità indifferibilità ed urgenza - inesistenza - nullità del provvedimento espropriativo e di occupazione d’urgenza. Lo strumento urbanistico può essere anche semplicemente adottato ai fini della legittimità della localizzazione ex art. 51, l. n. 865 cit. e della successiva sequenza procedimentale espropriativa (cfr. sez. IV, 8 maggio 2000, n. 2643); al punto che è stata ritenuta legittima l'occupazione d'urgenza di aree oggetto di localizzazione, disposta prima che i proprietari abbiano potuto formulare le osservazioni al P.E.E.P., nel quale la localizzazione si iscrive (cfr. sez. IV, 14 marzo 1990, n. 172). Secondo la prevalente giurisprudenza, infatti, sono da ritenersi essenziali ai fini di tutela delle posizioni soggettive dei privati solo quelli finali di completamento delle opere e delle procedure espropriative (cfr. da ultimo sul carattere meramente ordinatorio dei termini iniziali, Cons. Stato, sez. VI, 30 dicembre 2002, n. 8219). E’ il caso classico, dell’annullamento della dichiarazione di pubblica utilità indifferibilità ed urgenza che comporta l’inesistenza – nullità del provvedimento espropriativo e di occupazione d’urgenza, dando luogo a quella che la più recente giurisprudenza qualifica come occupazione usurpativa successiva (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 9 luglio 2002, n. 3819; Cass. civ. sez. I, 30 gennaio 2001, n. 1266; 28 marzo 2001, n. 4451; 18 febbraio 2000, n. 1814; Corte europea dei diritti dell’uomo, 30 maggio 2000, Belvedere). Consiglio di Stato, Sezione IV, - 30.06.2003, Sentenza n. 3896
2) La sospensione del giudizio disciplinata dall’art. 295 c.p.c. trova logica applicazione anche nel caso di pendenza di controversia promossa con ricorso straordinario al Capo dello Stato avente contenuto pregiudiziale. La sospensione del giudizio disciplinata dall’art. 295 c.p.c., in quanto espressione dell’esigenza di ordine generale di ovviare a possibili contrasti fra giudicati – e in tale senso immanente nel sistema della giustizia amministrativa comprensivo del rimedio del ricorso straordinario – trova logica applicazione anche nel caso di pendenza di controversia promossa con ricorso straordinario al Capo dello Stato avente contenuto pregiudiziale, atteso il carattere definitorio della controversia stessa, del relativo provvedimento giustiziale, insuscettibile di annullamento, revoca o riforma da parte dell’amministrazione interessata (cfr. ex plurimis sez. V, 13 aprile 1999, n. 406; sez. V, 17 marzo 1998, n. 301; sez. VI, 13 febbraio 1991, n. 92). Consiglio di Stato, Sezione IV, - 30.06.2003, Sentenza n. 3896
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