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 Massime della sentenza

  

 

Consiglio di Stato, Sezione IV, - 30.06.2003, Sentenza n. 3896 .

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente


D E C I S I O N E


sul ricorso iscritto al NRG 8795\1996, proposto da Peta Antonio, rappresentato e difeso dagli avvocati Vincenzo e Luigi Morrone ed elettivamente domiciliato presso il dott. Proc. Corrado Morrione (studio Guarino) sito in Roma, piazza Borghese n. 3;
contro
– Cooperativa Edilizia a r.l. Giove, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Rosario Medici e Nicolò Paoletti e presso quest’ultimo elettivamente domiciliato in Roma, via B. Tortolini n. 34;
– Amministrazione provinciale di Catanzaro in persona del Presidente pro tempore, non costituito;
per l'annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria – Catanzaro – n. 745 del 30 ottobre 1996.
Visto il ricorso in appello;
visto l'atto di costituzione in giudizio della Cooperativa Edilizia Giove;
viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
visti gli atti tutti della causa;
data per letta alla pubblica udienza del 6 maggio 2003 la relazione del consigliere Vito Poli, uditi gli avvocati Morrone e Marco Paoletto su delega dell’avv. Nicolò Paoletti;
ritenuto e considerato quanto segue:


F A T T O


1. Con decreto del Presidente dell’amministrazione provinciale di Catanzaro – n. 43 del 27 febbraio 1995 – la Cooperativa Giove veniva autorizzata ad occupare in via d’urgenza, in vista della futura espropriazione, alcune aree (fra cui quella nella disponibilità di Antonio Peta), ubicate nel tenimento del comune di Crotone, per la costruzione di immobili di edilizia economica e popolare.


2. Con ricorso notificato il 21 e 23 ottobre 1996, Antonio Peta proponeva appello avverso la sentenza del T.A.R. per la Calabria – Catanzaro – n. 745 del 30 ottobre 1996, con cui venivano in parte respinte ed in parte dichiarate inammissibili le censure proposte avverso il decreto di occupazione d’urgenza.


3. Si costituiva la Cooperativa edilizia Giove deducendo l'infondatezza del gravame in fatto e diritto.


4. Con ordinanza collegiale n. 117 del 1997, veniva respinta la domanda di sospensione dell’esecuzione della impugnata sentenza.


5. La causa è passata in decisione all’udienza pubblica del 6 maggio 2003.


D I R I T T O


1. L’appello è infondato e deve essere respinto.


2. Con determinazione del commissario straordinario del comune di Crotone – n. 59 del 13 luglio 1992 – veniva adottata una variante parziale al P.R.G. per mutare la destinazione di zona (da agricola a residenziale) di una vasta area pari a circa 10,6 ettari, ubicata nelle immediate vicinanze delle zone di espansione già utilizzate per l’edilizia economica e popolare.


Nel corpo del provvedimento si dava conto analiticamente delle ragioni di opportunità ed urgenza che presiedevano all’adozione della variante ed alla scelta delle aree; in sintesi: esaurimento delle aree disponibili ricompresse nel piano di zona per l’edilizia economica approvato con deliberazione del c.c. n. 62 del 21 luglio 1987; esaurimento delle aree destinate dal P.R.G. a edilizia residenziale a seguito dell’approvazione di piani di lottizzazione convenzionati; urgente necessità di reperire nuove aree di espansione per realizzare interventi di edilizia economica e popolare già finanziati; vicinanza dell’area prescelta alla zona di espansione esaurita già utilizzata per l’edilizia residenziale pubblica; natura morfologica pianeggiante dell’area prescelta che non risulta gravata da vincoli di tipo archeologico, paesaggistico o ambientale; intervenuta acquisizione del favorevole parere geomorfologico del Genio civile in ordine ai profili antisismici.


3. Con nota del 5 aprile 1993 il comune di Crotone trasmetteva all’Assessorato all’Urbanistica della Regione Calabria tutta la documentazione inerente la variante adottata.


4. Con determinazioni commissariali nn. 1 e 2, rispettivamente del 6 agosto 1993 e del 15 novembre 1993, adottate a mente degli artt. 35 e 51, l. n. 865 del 1971, il Comune di Crotone procedeva alla localizzazione degli interventi costruttivi, alla dichiarazione di pubblica utilità indifferibilità ed urgenza delle opere ivi previste, nonché all’assegnazione dei lotti in proprietà superficiaria alle Cooperative edilizie richiedenti.
Venivano altresì fissati i termini di inizio e completamento dei lavori e delle procedure.


Il comune di Crotone, con deliberazione giuntale n. 1202 del 18 novembre 1994, provvedeva a riapprovare gli atti della procedura espropriativi.


5. Con deliberazione della giunta regionale n. 4159 del 5 settembre 1994, si portava a conoscenza del comune di Crotone il parere favorevole reso dal Servizio strumenti urbanistici (datato 30 giugno 1993) al mutamento di destinazione urbanistico, contenente anche alcune osservazioni e prescrizioni; si invitava, pertanto, il comune di Crotone a controdedurre ai sensi dell’art. 3, l. n. 765 del 1967; inoltre si richiedeva il parere della Soprintendenza ai Beni archeologici.


5. Il comune controdeduceva analiticamente con la nota 19 dicembre 1994.


6. Successivamente, entrate in vigore le leggi regionali n. 16 del 1994 e n. 30 del 1994, l’Assessore al territorio della Regione Calabria – a mezzo nota n. prot. 824 del 29 novembre 1995 – restituiva gli atti ed elaborati progettuali al comune di Crotone, essendo maturato il termine per l’approvazione tacita delle varianti agli strumenti urbanistici in base al sistema disegnato dalle leggi regionali nn. 16 e 30 del 1994; invitava, altresì, il comune a prendere atto dell’avvenuta approvazione della variante, ex art. 2, comma 1, l.r. n. 30 del 1994.


7. Con deliberazione n. 29 del 22 aprile 1997, il Consiglio comunale di Crotone prendeva atto dell’approvazione tacita da parte della Regione Calabria, per decorso del termine di 180 giorni ex artt. 1 e 2, l.r. n. 16 del 1994 nel testo modificato dalla l.r. n. 30 del 1994, della variante al P.R.G. adottata con determinazione del commissario straordinario n. 59 del 13 luglio 1992.


8. Con decreto del Presidente dell’amministrazione provinciale di Catanzaro – n. 43 del 27 febbraio 1995 – la Cooperativa Giove veniva autorizzata ad occupare in via d’urgenza, in vista della futura espropriazione, alcune aree (fra cui quella nella disponibilità di Antonio Peta odierno appellante), ubicate nel tenimento del comune di Crotone, per la costruzione di immobili di edilizia economica e popolare.


Avverso tale atto è stato proposto ricorso giurisdizionale dal Peta, respinto con la sentenza n. 745 del 1996, oggetto del presente gravame.
8. Contro l’adozione della variante al P.R.G. e i provvedimenti di localizzazione, il Peta ha proposto (nel 1994) ricorso straordinario al Capo dello Stato, ancora pendente.


9. Con decisione di questa sezione, emessa all’odierna camera di consiglio, è stato respinto l’appello formulato dal Peta nei confronti della sentenza del T.A.R. della Calabria n. 851 del 2002 che, a sua volta, aveva rigettato l’impugnativa della presa d’atto comunale in ordine all’intervenuta approvazione tacita della variante.


10. La sentenza oggetto del presente gravame: a) ha respinto la domanda di sospensione del giudizio di primo grado per pendenza del ricorso straordinario nei confronti di atti logicamente presupposti, negando l’applicabilità dell’art. 295 c.p.c. in quanto il ricorso straordinario non costituisce rimedio giurisdizionale; b) ha dichiarato in parte inammissibile ed in parte infondato il ricorso di primo grado compensando le spese di giudizio.


11. Prima di scendere all’esame dei singoli mezzi di gravame la sezione osserva che il Peta, originario ricorrente, ha articolato due gruppi distinti di censure avverso il decreto di occupazione d’urgenza.


Il primo, si impernia su vizi di invalidità derivata rivenienti dalla dichiarazione di pubblica utilità indifferibilità ed urgenza contenuta nel provvedimento di localizzazione; il secondo stigmatizza vizi propri dell’occupazione di urgenza.


12. Con il primo motivo di appello il Peta ripropone la richiesta di sospensione del giudizio, ex art. 295 c.p.c., ricorrendo, a suo dire, tutti i presupposti di applicabilità della norma ivi sancita.


E’ bene premettere subito che ha errato il T.a.r. nel ritenere che la proposizione di un ricorso straordinario al Capo dello Stato non poteva essere motivo idoneo di una sospensione del processo per pregiudizialità.


La sospensione del giudizio disciplinata dall’art. 295 c.p.c., in quanto espressione dell’esigenza di ordine generale di ovviare a possibili contrasti fra giudicati – e in tale senso immanente nel sistema della giustizia amministrativa comprensivo del rimedio del ricorso straordinario – trova logica applicazione anche nel caso di pendenza di controversia promossa con ricorso straordinario al Capo dello Stato avente contenuto pregiudiziale, atteso il carattere definitorio della controversia stessa, del relativo provvedimento giustiziale, insuscettibile di annullamento, revoca o riforma da parte dell’amministrazione interessata (cfr. ex plurimis sez. V, 13 aprile 1999, n. 406; sez. V, 17 marzo 1998, n. 301; sez. VI, 13 febbraio 1991, n. 92).


12.1. Ciò che invece effettivamente difetta, nel caso di specie, è il rapporto di antecedenza logico giuridica fra le due controversie (pregiudicante e pregiudicata), non essendo gli atti impugnati collegati da un rapporto di pregiudizialità necessaria, tale cioè che la soluzione della controversia pregiudicata non possa prescindere dalle soluzioni di quello pregiudicario.


Altra cosa è il rapporto di presupposizione, che si verifica allorquando ciascuno degli atti collegati presenta una propria autonomia contenutistica, ma l’uno funge da presupposto per l’adozione dell’altro, donde la necessità di una loro impugnativa disgiunta ed autonoma, di norma (come nel caso di specie) cronologicamente sfalsata perché correlata ai diversi tempi di emanazione di ognuno di essi.


Ciò dipende dal fatto che, a differenza del nesso di consecuzione meramente attuativa, quello di presupposizione investe atti che possono incidere direttamente, e, ciascuno per la sua parte, nella sfera soggettiva dei destinatari, richiedendo perciò non solo un’impugnativa autonoma e disgiunta, ma anche tempestiva, per scongiurare inevitabili decadenze.


Si pone, pertanto, il problema della sorte dell’atto presupponente in caso di preventivo annullamento dell’atto presupposto.


La sua soluzione dipende, a rigore, dal ruolo che viene assegnato all’atto presupponente nel modello legale dell’atto presupposto.


Se, infatti, lo si considera come presupposto di legittimità di esso, il suo venir meno ne comporta l’illegittimità per invalidità derivata.


Se, viceversa, lo si considera presupposto di esistenza di esso, la sua successiva caducazione lo priva del necessario fondamento comportandone la nullità – inesistenza per carenza del potere in concreto. In tal caso, la caducazione dell’atto presupposto travolge anche quello consequenziale, determinandone l’eliminazione automatica: è il c.d. effetto caducante, derivante dall’annullamento dell’atto presupposto che si contrappone al c.d. effetto meramente invalidante. Mentre quest’ultima figura si rinviene allorquando non vi sia un nesso di presupposizione necessaria ed indefettibile fra i due atti (o procedimenti), pur costituendo quello presupposto requisito di validità del successivo (è il caso di scuola dell’atto di nomina del pubblico impiegato presupposto di validità per l’adozione di una pluralità di atti successivi, interni ed esterni al rapporto di pubblico impiego), il c.d. effetto caducante ricorre quando lo stesso atto presupposto sia condizione imprescindibile di esistenza del solo atto presupponente, la cui sopravvivenza risulta pregiudicata dall’eliminazione di quello.


E’ il caso classico, in cui rientra la fattispecie odierna, dell’annullamento della dichiarazione di pubblica utilità indifferibilità ed urgenza che comporta l’inesistenza – nullità del provvedimento espropriativo e di occupazione d’urgenza, dando luogo a quella che la più recente giurisprudenza qualifica come occupazione usurpativa successiva (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 9 luglio 2002, n. 3819; Cass. civ. sez. I, 30 gennaio 2001, n. 1266; 28 marzo 2001, n. 4451; 18 febbraio 2000, n. 1814; Corte europea dei diritti dell’uomo, 30 maggio 2000, Belvedere).


Il privato inciso non ha alcun interesse ad agire e coltivare censure discendenti dalla asserita illegittimità del provvedimento presupposto, giacchè, in virtù del descritto effetto caducante, l’annullamento di quest’ultimo travolgerebbe automaticamente il decreto di occupazione d’urgenza oggetto del presente giudizio.


Viceversa il privato ha interesse a contrastare il decreto di occupazione prospettando vizi propri di tale atto.


Deve escludersi, pertanto, che vi sia un rapporto di pregiudizialità necessaria fra il giudizio avente ad oggetto la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza delle opere ed il successivo decreto di occupazione d’urgenza preordinato all’esproprio.


In questi termini deve essere modificata la motivazione dell’impugnata sentenza, resa a sostegno delle statuizioni di rigetto della domanda di sospensione del giudizio nonchè di reiezione e di inammissibilità delle censure di invalidità derivata.


13. Per le medesime ragioni devono, coerentemente, essere dichiarati inammissibili tutte le censure proposte avverso l’altro presupposto impugnato in sede straordinaria e respinti i riproposti motivi (secondo e terzo in sede di appello), concernenti l’invalidità derivata del decreto di occupazione oggetto del presente giudizio.


14. Può passarsi ora all’esame dei mezzi di gravame che reiterano le censure afferenti a vizi propri del provvedimento di occupazione.


14.1. Palesemente infondato è il quarto motivo.


Non si profila alcuna incompetenza dell’amministrazione provinciale ad adottare il provvedimento di occupazione d’urgenza, ai sensi dell’art. 106 d.P.R. 24 luglio 1971, n. 616, e dell’art. 27, l.r. n. 18 del 1983.


Tali norme stabiliscono che l’esercizio delle funzioni relative ad espropriazioni per opere e lavori di interesse regionale è stato trasferito alle province.


Poiché i programmi costruttivi di edilizia residenziale pubblica per cui è causa sono stati finanziati dalla Regione Calabria, non v’è ragione per negare che, a questi fini, le opere da realizzare siano di interesse regionale.


14.2. Anche il quinto motivo, con cui si deduce la violazione da parte del decreto di occupazione d’urgenza dei termini iniziali fissati per l’attivazione delle procedure ablatorie, non è accoglibile.


Secondo la prevalente giurisprudenza, infatti, sono da ritenersi essenziali ai fini di tutela delle posizioni soggettive dei privati solo quelli finali di completamento delle opere e delle procedure espropriative (cfr. da ultimo sul carattere meramente ordinatorio dei termini iniziali, Cons. Stato, sez. VI, 30 dicembre 2002, n. 8219).


14.3. Miglior sorte non tocca al sesto ed ultimo mezzo.


Si afferma che sarebbe indispensabile ai fini della legittima emanazione del decreto di occupazione d’urgenza la preventiva approvazione, da parte della Regione, della variante al P.R.G.


La tesi è priva di pregio.


Come esattamente rilevato dal primo giudice, lo strumento urbanistico può essere anche semplicemente adottato ai fini della legittimità della localizzazione ex art. 51, l. n. 865 cit. e della successiva sequenza procedimentale espropriativa (cfr. sez. IV, 8 maggio 2000, n. 2643); al punto che è stata ritenuta legittima l'occupazione d'urgenza di aree oggetto di localizzazione, disposta prima che i proprietari abbiano potuto formulare le osservazioni al P.E.E.P., nel quale la localizzazione si iscrive (cfr. sez. IV, 14 marzo 1990, n. 172).


15. Alla stregua delle precisate conclusioni l’appello deve essere respinto.


Le spese di giudizio, regolamentate secondo l’ordinario criterio della soccombenza, sono liquidate in dispositivo.


P. Q. M.


Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione quarta) definitivamente pronunziando sul ricorso in appello, meglio in epigrafe indicato, così provvede:

– respinge l'appello proposto, e per l'effetto conferma la sentenza indicata in epigrafe con le precisazioni di cui in motivazione;
– condanna Antonio Peta a rifondere in favore della Cooperativa Edilizia a r.l. Giove , le spese, le competenze e gli onorari del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi euro tremila\00.


Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.


Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 6 maggio 2003, con la partecipazione dei signori:
Stenio RICCIO – Presidente
Costantino SALVATORE – Consigliere
Dedi Marinella RULLI – Consigliere
Giuseppe CARINCI – Consigliere
Vito POLI – Consigliere, Rel. Estensore

 

M A S S I M E

 

Sentenza per esteso

 

1) Occupazione usurpativa successiva - sequenza procedimentale espropriativa successiva - P.E.E.P. - l’annullamento della dichiarazione di pubblica utilità indifferibilità ed urgenza - inesistenza - nullità del provvedimento espropriativo e di occupazione d’urgenza. Lo strumento urbanistico può essere anche semplicemente adottato ai fini della legittimità della localizzazione ex art. 51, l. n. 865 cit. e della successiva sequenza procedimentale espropriativa (cfr. sez. IV, 8 maggio 2000, n. 2643); al punto che è stata ritenuta legittima l'occupazione d'urgenza di aree oggetto di localizzazione, disposta prima che i proprietari abbiano potuto formulare le osservazioni al P.E.E.P., nel quale la localizzazione si iscrive (cfr. sez. IV, 14 marzo 1990, n. 172). Secondo la prevalente giurisprudenza, infatti, sono da ritenersi essenziali ai fini di tutela delle posizioni soggettive dei privati solo quelli finali di completamento delle opere e delle procedure espropriative (cfr. da ultimo sul carattere meramente ordinatorio dei termini iniziali, Cons. Stato, sez. VI, 30 dicembre 2002, n. 8219). E’ il caso classico, dell’annullamento della dichiarazione di pubblica utilità indifferibilità ed urgenza che comporta l’inesistenza – nullità del provvedimento espropriativo e di occupazione d’urgenza, dando luogo a quella che la più recente giurisprudenza qualifica come occupazione usurpativa successiva (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 9 luglio 2002, n. 3819; Cass. civ. sez. I, 30 gennaio 2001, n. 1266; 28 marzo 2001, n. 4451; 18 febbraio 2000, n. 1814; Corte europea dei diritti dell’uomo, 30 maggio 2000, Belvedere). Consiglio di Stato, Sezione IV, - 30.06.2003, Sentenza n. 3896

 

2) La sospensione del giudizio disciplinata dall’art. 295 c.p.c. trova logica applicazione anche nel caso di pendenza di controversia promossa con ricorso straordinario al Capo dello Stato avente contenuto pregiudiziale. La sospensione del giudizio disciplinata dall’art. 295 c.p.c., in quanto espressione dell’esigenza di ordine generale di ovviare a possibili contrasti fra giudicati – e in tale senso immanente nel sistema della giustizia amministrativa comprensivo del rimedio del ricorso straordinario – trova logica applicazione anche nel caso di pendenza di controversia promossa con ricorso straordinario al Capo dello Stato avente contenuto pregiudiziale, atteso il carattere definitorio della controversia stessa, del relativo provvedimento giustiziale, insuscettibile di annullamento, revoca o riforma da parte dell’amministrazione interessata (cfr. ex plurimis sez. V, 13 aprile 1999, n. 406; sez. V, 17 marzo 1998, n. 301; sez. VI, 13 febbraio 1991, n. 92). Consiglio di Stato, Sezione IV, - 30.06.2003, Sentenza n. 3896

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