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Legislazione  giurisprudenza                                                      Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso


 

 Massime della sentenza

 

 

Consiglio di Stato, Sez. VI - 31 gennaio 2003 - Sentenza n. 482

 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello proposto dalla ditta Sira, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Vincenzo Diurni, Nicola Simonelli e Maria Clelia Curci, ed elettivamente domiciliata presso il primo in Roma, Viale dei Bastioni di Michelangelo n.5/a;

contro

il Ministero delle finanze, Dipartimento delle dogane e delle imposte dirette, Direzione centrale dei servizi doganali e Ministero delle risorse agricole, alimentari e forestali; Direzione generale delle politiche comunitarie e internazionali, Divisione delle materie grasse, in persona dei rispettivi rappresentanti pro tempore, costituitisi in giudizio, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato e domiciliati presso la stessa in Roma, Via dei Portoghesi n.12;

per l’annullamento

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sezione II, n.1187/1999;

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio delle amministrazioni appellate;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Alla pubblica udienza del 18-10-2002 relatore il Consigliere Roberto Chieppa.

Uditi, l’Avv. Peraino per delega dell’Avv. Simonelli e l’Avv. dello Stato De Bellis;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO

Con il ricorso in appello in epigrafe la ditta Sira ha chiesto l’annullamento della sentenza n.1187/1999 con la quale il Tar del Lazio ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto avverso l’atto n.4397 del 3.9.97, con cui il Dipartimento delle dogane e delle imposte indirette del Ministro delle finanze aveva respinto l’istanza della ricorrente diretta all’autorizzazione alla produzione in Italia di miscele di olio di oliva ed olio di semi al fine dell’esportazione nei soli mercati extraeuropei.

L’appello viene proposto per i seguenti motivi:

1) omessa pronuncia del Tar, che non ha esaminato il ricorso con cui si chiedeva la disapplicazione dell’art.23 de R.D.L. 15 ottobre 1925 n.2033;

2) violazione dell’art.34 del Trattato della Comunità

Europea;

3) violazione degli artt.35 e 36 del Trattato della Comunità Europea o comunque illegittimità costituzionale del menzionato art.23;

4) carenza di motivazione dell’impugnato provvedimento.

L’amministrazione intimata si è costituita in giudizio, chiedendo la reiezione dell’appello.

Con ordinanza istruttoria n.1250/2002 questa Sezione richiedeva alle amministrazioni appellate la seguente documentazione:

a) il parere espresso dal Ministero delle politiche agricole e richiamato nell’impugnata nota del Ministero delle finanze, Div. XI, n.4397 del 3.9.97, relativa al diniego di autorizzazione alla produzione e commercializzazione all’estero di miscele di olio di oliva e di olio di semi, chiesta dalla ditta appellante;

b) una relazione circa lo stato delle procedure pendenti presso la Commissione CE in ordine alla possibilità di produzione di miscele di olio di oliva ed olio di semi, cui fa riferimento la nota del Ministero delle finanze, Div. XI, n.9600424/SPAC.ID del 19.4.96, con l’indicazione delle ragioni per le quali la Commissione è stata sollecitata a prevedere il divieto di produzione e commercializzazione per tutti i paesi membri (tutela della salute, o del consumatore o altre ragioni, quali ad esempio la tutela delle tradizioni e dei prodotti tipici ecc. – v. sent. Corte Giust. 14.7.88 C – 90/86 e Corte Cost. n.443/97), esprimendo comunque la posizione dello Stato italiano sul punto;

c) ogni altro elemento utile ai fini del decidere.

Espletata l’istruttoria, all’odierna udienza la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Con la sentenza impugnata il Tar ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto dalla ditta Sira, rilevando che l’impugnativa era diretta ad ottenere una verifica in astratto del valore precettivo delle disposizioni che regolano il settore della produzione e del commercio dell'olio di oliva e degli oli vegetali, senza che vi fosse alcuna lesione in atto all'attività di impresa esercitata dalla ricorrente.

L'appellante contesta tale statuizione, rilevando come la propria originaria istanza fosse diretta ad ottenere l'autorizzazione alla produzione in Italia di miscele di olio di oliva ed olio di semi al fine dell’esportazione nei soli mercati extraeuropei e come l'impugnata nota del Ministero abbia respinto tale domanda sulla base della vigenza dell'articolo 23 del R.D.L. n.2033/1925.

Il motivo è fondato.

L'oggetto del presente giudizio, infatti, è costituito non da un’astratta verifica della disciplina applicabile al settore della produzione e del commercio degli oli, ma dall'accertamento della fondatezza della pretesa avanzata dalla ditta ricorrente al fine di produrre in Italia e commercializzare all'estero miscele di oli; tale possibilità è stata negata dall'amministrazione appellata con l'impugnata nota, che non ha quindi valore meramente ricognitivo della normativa vigente, ma costituisce diniego della domanda proposta.

Del resto, in presenza di una norma interna della cui compatibilità con il diritto comunitario la ricorrente dubita, appare ragionevole che la ditta abbia rivolto un'istanza in tal senso al Ministero con possibilità di contestare in sede giurisdizionale la risposta negativa; altrimenti, applicando il ragionamento del giudice di primo grado, l'unica possibilità di tutela per la ricorrente sarebbe stata quella di iniziare la produzione delle miscele di oli, attendendo l'eventuale applicazione di sanzioni per contestare il divieto in sede giurisdizionale.

2. Si deve quindi passare ad esaminare il merito del ricorso.

Innanzitutto si rileva l'infondatezza della censura concernente il difetto di motivazione, in quanto l'impugnata nota fonda il diniego sul carattere assoluto del divieto previsto dal citato articolo 23.

3. Si ricorda che tale disposizione prevede espressamente il divieto “di preparare e smerciare miscele di olio di oliva con altri oli vegetali commestibili”.

La norma è chiara nello stabilire che nel nostro paese è

vietata sia la produzione che la commercializzazione di tali miscele di olio, contrastando con il chiaro dato letterale l'interpretazione della ricorrente, secondo cui la disposizione deve essere in testa nel senso di divieto di produzione al solo fine della commercializzazione in Italia.

Ricade quindi nel divieto anche la condotta oggetto dell’istanza della ditta Sira (produzione in Italia di miscele di olio di oliva ed olio di semi al fine dell’esportazione nei soli mercati extraeuropei).

4. Deve a questo punto di essere verificata la compatibilità di tali divieto con la disciplina comunitaria e con i principi costituzionali.

Riguardo il primo punto, appare opportuno riassumere il contenuto delle risultanze istruttorie (note 2.5.2002 e 21.7.2000 del Ministero delle politiche agricole; nota Commissione Europea del 14.9.2000; relazione della Commissione sulla proposta di regolamento del Consiglio sulla materia; nota Commissione Europea del 27.12.1995).

La questione della produzione e della commercializzazione delle miscele di oli è stata da tempo portata all'esame degli organi comunitari.

Allo stato, manca una disciplina uniforme a livello comunitario: a fronte di alcuni paesi in cui la produzione e la commercializzazione di miscele di oli è consentita, nella maggior parte dei paesi produttori di olio di oliva (Italia, Spagna, Grecia e Portogallo, oltre al non produttore Belgio) vige un divieto assoluto.

La posizione dell'Italia, al pari di quella degli altri produttori, è di difendere il mantenimento a livello nazionale del divieto delle miscele, richiedendo anzi che lo stesso venga esteso a tutto il territorio comunitario.

La Commissione U.E. ha affermato la facoltà degli stati membri di mantenere una normativa nazionale che impedisce la produzione e il commercio delle miscele di oli sul mercato interno e sta studiando la possibilità di introdurre una nuova normativa.

Gli organi comunitari sono quindi consapevoli del divieto vigente in Italia e non hanno ritenuto di dover intervenire, ritenendo accettabile l'attuale situazione, che comunque non necessita di essere modificata sino ad introdurre un divieto generalizzato delle miscele fra oli di oliva e di semi.

Dagli atti di fonte comunitaria trasmessi emerge che il divieto previsto in alcuni paesi si fonda sulle difficoltà di controlli miranti all'individuazione quantitativa dell'olio di oliva presente nella miscela, in assenza di un metodo analitico che consenta di dosare la percentuale (unica possibilità di controllo è costituita dalla verifica indiretta della contabilità delle imprese).

Secondo gli organi comunitari, le obbiettivi difficoltà dei controlli non possono giustificare l'introduzione a livello comunitario di un divieto assoluto delle miscele di oli diversi, potendo le stesse essere commercializzate con chiara indicazione, apposta sull'etichetta, della loro composizione e natura.

Pertanto, si osserva che gli organi comunitari hanno, allo stato, adottato una soluzione di compromesso, consistente nel non intervento, al fine di circoscrivere al mercato interno i divieti vigenti nei paesi produttori e di non penalizzare gli operatori comunitari che in altri stati membri producono e commercializzano le miscele di oli.

La stessa nota della Commissione U.E. del 27.12.1995, invocata dalla ricorrente, si limita ad affermare che “nulla osta a che miscele di olio di oliva e di oli di semi prodotte in stabilimenti situati sul territorio dell'Unione siano successivamente esportate”; il che è cosa diversa dall’affermare l’illegittimità di un eventuale divieto (infatti, nella stessa nota viene espressamente menzionato il divieto assoluto vigente in Italia, con riserva da parte della Commissione di valutarne la compatibilità con il diritto comunitario; tale compatibilità è stata successivamente valutata in senso positivo, come già detto e come risulta dall'assenza di iniziative al riguardo).

Ciò premesso, si rileva che il diniego impugnato dalla ditta Sira si fonda su una disposizione esaminata dagli organi comunitari e ritenuta per il momento compatibile con la disciplina comunitaria.

È vero che la Commissione U.E. sembra voler circoscrivere la portata dei divieti al solo fine del consumo interno, ma è altrettanto vero che la stessa Commissione ha ammesso che sulla questione delle miscele di oli gli stati produttori possano adottare una disciplina più restrittiva.

Sulla base di tali considerazioni devono ritenersi infondate le censure inerenti la violazione degli ex articoli 34, 35 e 36 del Trattato U.E..

Infatti, anche volendo considerare il divieto di cui al citato articolo 23 come misura equivalente ad una restrizione del commercio tra gli stati membri, detta misura è mantenuta vigente nel nostro ordinamento non solo al fine di preservare la qualità e la tradizione della produzione locale di olio di oliva, ma soprattutto allo scopo della tutela della salute dei consumatori, come sottolineato anche nell'ultima memoria dell'Avvocatura dello Stato con riferimento all’assenza di un metodo di controllo idoneo a quantificare i componenti delle miscele di oli.

Peraltro, la pretesa azionata dalla ditta Sira non attiene direttamente ad una questione di diritto comunitario, in quanto la ricorrente lamenta l'impossibilità di produrre in Italia miscele di oli al fine della commercializzazione in paesi extra europei.

Si osserva comunque che la normativa italiana non discrimina tra produttori nazionali e produttori stranieri, prevedendo un divieto applicabile in Italia nei confronti di tutti gli operatori interessati che svolgano la propria attività sul territorio nazionale (v. Corte Giust. CE, 24.11.1993, C 267-268/1991, Keck, in cui è affermato che non può costituire ostacolo diretto o indiretto agli scambi commerciali tra stati membri l'assoggettamento di prodotti esteri a disposizioni nazionali, sempre che tali disposizioni valgano nei confronti di tutti gli operatori interessati).

5. La questione non può quindi essere posta neanche sotto il profilo dell’illegittimità costituzionale della norma per una “discriminazione a contrario”, in quanto la fattispecie qui in esame è ben diversa dal caso della pasta prodotta con miscele di grano tenero e grano duro, già affrontato dalla Corte di Giustizia e dalla nostra Corte Costituzionale.

In quel caso il divieto vigente in Italia di produrre paste con miscele di grano tenero e di grano duro venne ritenuto dalla Corte di Giustizia incompatibile con le norme del Trattato, perché finalizzato alla protezione delle caratteristiche qualitative proprie della tradizione nazionale, inidonee a giustificare la permanenza del divieto; mentre le esigenze di tutela del consumatore (scopo di garantire la qualità della pasta) non sono state ritenute tali da giustificare un divieto anziché una misura più proporzionata, quale una corretta etichettatura (Corte Giust., 14.7.1998, C 90/86, Zoni).

In quell’occasione la Corte di Giustizia ha però precisato che la questione veniva in gioco con riguardo all'estensione della legge italiana sulle paste alimentari ai prodotti di importazione e che il diritto comunitario non esige che il legislatore abroghi la legge per quanto attiene ai produttori di pasta stabiliti sul territorio italiano.

Tale ultima affermazione dimostra come l’odierna fattispecie, che riguarda proprio un produttore di olio stabilito sul territorio italiano, non costituisce questione di diritto comunitario.

Con riguardo alla posizione dei produttori interni di pasta è intervenuta successivamente la Corte Costituzionale, rilevando come l'impossibilità di applicare il divieto egualitariamente nei confronti di tutta la produzione commercializzata in Italia, si risolve in uno svantaggio competitivo e, in ultima analisi, in una vera e propria discriminazione in danno delle imprese nazionali (Corte Cost., n.443 del 30.12.1997).

Di conseguenza, la disparità di trattamento tra imprese nazionali e imprese comunitarie, seppure è irrilevante per il diritto comunitario, non lo è per il diritto costituzionale italiano.

La disposizione interna è stata quindi dichiarata incostituzionale, tenuto conto che deroghe al principio di libera circolazione dei beni possono essere giustificate, ai sensi dell’art.30 del Trattato U.E. sulla base di specificati motivi di interesse pubblico, tra i quali assumono preminente rilievo, in materia di circolazione di prodotti alimentari, la tutela della salute umana e, nell'interpretazione della giurisprudenza comunitaria, la tutela dei consumatori. Tra tali esigenze non rientra anche quella di protezione di tradizioni alimentari, su cui si fondava la norma sulla produzione della pasta.

A differenza del caso della pasta, nella fattispecie in esame innanzi tutto non è intervenuta alcuna pronuncia del giudice comunitario circa l'incompatibilità con la disciplina comune del divieto previsto dall'articolo 23 del RDL n.2033/1925, ed anzi la commissione U.E., che ben conosce la nostra norma interna, non ha ritenuto di intraprendere alcuna iniziativa (non sussiste quindi alcuna disparità di trattamento tra imprese nazionali e imprese estere, applicandosi nei confronti di entrambe il divieto).

Inoltre, come già detto, la ratio del divieto non si fonda su esigenze di tutela delle tradizioni alimentari, ma è basata proprio su uno di quei motivi di interesse pubblico (tutela della salute e del consumatore), che possono giustificare un intervento più rigoroso dei singoli stati membri.

In precedenza si è infatti sottolineato come l'impossibilità di procedere a controlli diretti sulla composizione delle miscele di oli costituisce un pericolo per il consumatore solo in parte evitabile con un’appropriata etichettatura, che comunque lascia irrisolto il problema di non poter verificare eventuali condotte non corrette delle imprese.

6. In conclusione, la pretesa della ditta Sira di produrre in Italia miscele di olio di oliva ed olio di semi al fine dell’esportazione nei soli mercati extraeuropei si pone in contrasto con il divieto contenuto nell'articolo 23 del RDL n.2033/1925; tale divieto non è incompatibile con la disciplina comunitaria quanto meno con riferimento alla sua applicazione nel mercato italiano, non trattandosi comunque di questione di diritto comunitario quella sollevata dalla ricorrente, impresa nazionale, che vuole esportare le miscele di oli in paesi extra europei. Infine la norma non pone alcun problema di costituzionalità alla luce delle precedenti considerazioni.

Quindi, definitivamente pronunciando sull'appello in esame, deve essere respinto il ricorso di primo grado, in parziale riforma della sentenza impugnata, che aveva dichiarato l’inammissibilità del ricorso.

Ricorrono giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta,. pronunciando sul ricorso in appello in epigrafe, respinge il ricorso proposto in primo grado, in parziale riforma della sentenza impugnata.

Compensa tra le parti le spese del giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, il 18 ottobre 2002, dal Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale - Sez.VI -, riunito in Camera di Consiglio, con l'intervento dei Signori:

Mario Egidio SCHINAIA Presidente

Luigi MARUOTTI Consigliere

Pietro FALCONE Consigliere

Giuseppe ROMEO Consigliere

Roberto CHIEPPA Consigliere Est.

 

M A S S I M E

 

Sentenza per esteso

 

1) Diniego di autorizzazione alla produzione in Italia e commercializzazione all’estero di miscele di olio di oliva e di olio di semi - pericolo per il consumatore - tutela della salute e del consumatore - la disciplina comunitaria e i principi costituzionali. La disparità di trattamento tra imprese nazionali e imprese comunitarie, seppure è irrilevante per il diritto comunitario, non lo è per il diritto costituzionale italiano (Corte Cost., n.443 del 30.12.1997). La disposizione interna è stata quindi dichiarata incostituzionale, tenuto conto che deroghe al principio di libera circolazione dei beni possono essere giustificate, ai sensi dell’art.30 del Trattato U.E. sulla base di specificati motivi di interesse pubblico, tra i quali assumono preminente rilievo, in materia di circolazione di prodotti alimentari, la tutela della salute umana e, nell'interpretazione della giurisprudenza comunitaria, la tutela dei consumatori. (Tra tali esigenze, tuttavia, non rientra anche quella di protezione di tradizioni alimentari, su cui si fondava la norma sulla produzione della pasta). La ratio del divieto non si fonda su esigenze di tutela delle tradizioni alimentari, ma è basata proprio su uno di quei motivi di interesse pubblico (tutela della salute e del consumatore), che possono giustificare un intervento più rigoroso dei singoli stati membri. (Nella specie, dietro il parere espresso dal Ministero delle politiche agricole e richiamato nell’impugnata nota del Ministero delle finanze, Div. XI, n.4397 del 3.9.97, è stato espresso il diniego di autorizzazione alla produzione e commercializzazione all’estero di miscele di olio di oliva e di olio di semi, inoltre, si è sottolineato come l'impossibilità di procedere a controlli diretti sulla composizione delle miscele di oli costituisce un pericolo per il consumatore solo in parte evitabile con un’appropriata etichettatura, che comunque lascia irrisolto il problema di non poter verificare eventuali condotte non corrette delle imprese). Consiglio di Stato, Sez. VI - 31 gennaio 2003 - Sentenza n. 482

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