AmbienteDiritto.it                                                                                     Copyright © Ambiente Diritto.it

Legislazione  giurisprudenza                                                      Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso


 

 Massime della sentenza

 

 

Consiglio di Stato, Sezione IV del 4 febbraio 2003, sentenza n. 566

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente

D E C I S I O N E

sul ricorso in appello proposto dalla S.n.c. Mingozzi Umberto e Figli, rappresentata e difesa dagli avv.ti Francesco Paolucci e Rolando Roffi coi quali elettivamente domicilia in Roma Viale Angelico n. 103 (studio avv. M. Letizia);

contro

il Comune di Bologna, in persona del sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli avv.ti Gian Alberto Ferrerio, Fabio Michetti e Giorgio Stella Richter, e presso lo studio dell’ultimo domiciliato in Roma Via Orti della Farnesina n. 126;

per l'annullamento

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia Romagna – sede di Bologna - I sez. 9 febbraio 1994 n. 72;

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Vista la memoria di costituzione del Comune di Bologna;

Vista la memoria prodotta dagli appellanti;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore alla pubblica Udienza del 29 ottobre 2002 il Consigliere Antonino Anastasi; uditi gli avvocati Letizia, per delega dell’avv. Paolucci, e G. Stella Richter;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.

FATTO

La Società oggi appellante ha impugnato avanti al TAR Bologna gli atti di adozione ed approvazione di piano particolareggiato relativo ai comparti 4 e 6 del vigente P.R.G. del comune di Bologna ( Via Zanardi, Via Benazza e Quartiere Navile), atti comportanti variante non essenziale del detto Piano, deducendone l’illegittimità per incompetenza, violazione di legge ed eccesso di potere sotto il profilo dell’illogicità, contraddittorietà e del difetto di motivazione.

La sentenza in epigrafe indicata, con la quale il Tribunale ha rigettato il ricorso, è qui impugnata dalla Società che ne chiede l’integrale riforma deducendo, sotto il profilo della violazione la violazione di legge, che illegittimamente la variante in questione non sarebbe stata sottoposta ad espressa approvazione regionale.

In subordine l’appellante prospetta la illegittimità costituzionale dell’art. 3 lett. a) della legge regionale n. 46 del 1988, il quale consente di prescindere da detta approvazione espressa nel caso di varianti non sostanziali.

Sotto diversa prospettiva l’appellante lamenta che l’Amministrazione comunale, prima di procedere all’adozione del piano particolareggiato, non ha invitato i proprietari delle aree interessate a procedere alla realizzazione di un piano di iniziativa privata.

Infine l’appellante deduce la mancata comunicazione dell’avvio del procedimento.

Si è costituito il Comune di Bologna insistendo con articolata memoria per il rigetto dell’appello.

All’Udienza del 29 ottobre 2002 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

L’ appello non è fondato.

Con il primo motivo, rubricato alla violazione di legge, l’appellante deduce che illegittimamente il piano particolareggiato per cui è controversia, comportando variante al vigente P.R.G. del comune di Bologna, non è stato sottoposto all’espressa approvazione della Regione.

Il mezzo è infondato.

L’art. 3 coma 1 lett. a) della legge regionale 8.11.1988 n. 46 stabilisce infatti che gli strumenti urbanistici attuativi i quali comportino varianti di carattere non sostanziale al Piano regolatore generale siano trasmessi , prima dell’approvazione, alla Giunta regionale, la quale può formulare nel termine di trenta giorni osservazioni, peraltro vincolanti per le Amministrazioni comunali.

Nel caso in esame, che il piano particolareggiato abbia comportato una variante non sostanziale, limitandosi a marginali rettifiche delle perimetrazioni, risulta evidente dalla documentazione acquisita in prime cure, dalla quale si evince che la suddetta variante comporta soltanto l’inclusione nello strumento attuativo di un’area contigua e di limitata estensione, all’interno della quale insiste la proprietà dell’appellante.

In tale contesto, che l’area di proprietà della Società sia passata da destinazione agricola ( ARA 1, normata dall’art. 86 N.T.A.) a zona di verde urbano territoriale ( CVT) destinata alla creazione di aree verdi boscate ed attrezzate e dunque suscettibile di procedura espropriativa, costituisce circostanza fattuale non rilevante a precludere l’applicazione della procedura semplificata di approvazione prevista dalla citata disposizione al caso di specie, in cui, come peraltro dimostrato dal Tribunale, il piano attuativo comporta obiettivamente rettifiche marginali delle perimetrazioni delle aree interessate.

Né l’appellante è nel giusto laddove pretende di dimostrare il carattere essenziale della variante sotto il profilo soggettivo, in quanto incidente su consolidate posizioni giuridiche dei proprietari delle aree interessate.

La giurisprudenza ha infatti da tempo segnalato che non può ritenersi qualificato l’interesse del privato proprietario correlato ad una precedente previsione urbanistica che consenta un utilizzo dell'area in modo più proficuo: in questo caso, infatti, viene in considerazione una aspettativa generica del privato alla non reformatio in pejus delle destinazioni di zona, cedevole dinanzi alla discrezionalità del potere pubblico di pianificazione urbanistica, per ragioni analoghe a quelle per cui il divieto della reformatio in pejus è un criterio del tutto inidoneo, atteso il difetto di qualsivoglia copertura costituzionale, a vincolare il Legislatore . ( cfr. Ap. 22.12.1999 n. 24).

Quanto alla questione di legittimità costituzionale del citato art. 3 legge reg. n. 46 del 1988 prospettata per contrasto con i principi desumibili dalla normativa statale, che riserva alla Regione l’approvazione delle varianti adottate in sede comunale, essa è manifestamente infondata.

In effetti, l’art. 3 non sottrae alla Regione il controllo sugli strumenti attuativi che comportano variante non sostanziale, ma, all’evidente fine di semplificazione e buon andamento dell’attività amministrativa, comprime lo spatium deliberandi riservato all’Ente regionale entro un termine ristretto, decorso il quale la variante stessa si intende approvata in virtù del formarsi di una sorta di silenzio assenso: ora, se si tiene presente da un lato che il principio del controllo regionale è comunque rispettato, e dall’altro che a norma di legge le osservazioni eventualmente formulate dalla Regione hanno carattere vincolante per il comune interessato, appare evidente la manifesta infondatezza del dubbio prospettato dall’appellante.

Inammissibile per la sua assoluta genericità è il secondo motivo, col quale si addebita alla sentenza impugnata il vizio di difetto di motivazione, per omessa considerazione delle censure dedotte col secondo motivo del ricorso di primo grado.

In effetti, avendo la sentenza impugnata rigettato il motivo predetto ( relativo alla mancata previa sollecitazione dell’intervento attuativo privato) sulla scorta di considerazioni ampie e motivate, l’appellante, stante l'obbligo di specificità dei motivi sancito dall'art. 6 n. 3 R.D. 17 agosto 1907 n. 642, aveva l'onere di confutare, anche se in modo sommario, le argomentazioni svolte nella sentenza impugnata, dalle quali non sono scindibili le conclusioni raggiunte dal giudice di primo grado ( cfr. V Sez. 16.3.1999 n. 256).

Del tutto infondato è il terzo motivo, col quale si lamenta il mancato coinvolgimento della Società proprietaria nel procedimento di approvazione del Piano.

Ed in effetti, ai sensi dell'art. 13 L. 7 agosto 1990 n. 241, le disposizioni contenute nel capo III della legge medesima - relative alla partecipazione del privato al procedimento amministrativo - non si applicano nei confronti dell'attività della Pubblica amministrazione diretta all'emanazione di alcuni atti, tra cui quelli di pianificazione e programmazione – fra i quali va ovviamente compreso il Piano particolareggiato - per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione.

Sulla scorta delle considerazioni che precedono, l’appello va dunque respinto.

Le spese del grado seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, respinge l’appello.

Condanna l’appellante al pagamento delle spese di questo grado del giudizio, che liquida forfettariamente in Euro 3000,00 ( tremila//00).

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

 

Così deciso in Roma, il 29 ottobre 2002 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, nella Camera di Consiglio con l'intervento dei Signori:

Paolo SALVATORE Presidente

Dedi RULLI Consigliere

Antonino ANASTASI Consigliere, est.

Vito POLI Consigliere

Fabio CINTIOLI Consigliere

 

 

M A S S I M E

 

Sentenza per esteso

 

1) PRG - l’interesse del privato proprietario - discrezionalità del potere pubblico di pianificazione urbanistica - reformatio in pejus. Non può ritenersi qualificato l’interesse del privato proprietario correlato ad una precedente previsione urbanistica che consenta un utilizzo dell'area in modo più proficuo: in questo caso, infatti, viene in considerazione una aspettativa generica del privato alla non reformatio in pejus delle destinazioni di zona, cedevole dinanzi alla discrezionalità del potere pubblico di pianificazione urbanistica, per ragioni analoghe a quelle per cui il divieto della reformatio in pejus è un criterio del tutto inidoneo, atteso il difetto di qualsivoglia copertura costituzionale, a vincolare il Legislatore. ( cfr. Ap. 22.12.1999 n. 24). Consiglio di Stato, Sezione IV del 4 febbraio 2003, sentenza n. 566

2) La partecipazione del privato al procedimento amministrativo - PRG - limiti. Ai sensi dell'art. 13 L. 7 agosto 1990 n. 241, le disposizioni contenute nel capo III della legge medesima - relative alla partecipazione del privato al procedimento amministrativo - non si applicano nei confronti dell'attività della Pubblica amministrazione diretta all'emanazione di alcuni atti, tra cui quelli di pianificazione e programmazione – fra i quali va ovviamente compreso il Piano particolareggiato - per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione. Consiglio di Stato, Sezione IV del 4 febbraio 2003, sentenza n. 566
 

Per ulteriori approfondimenti ed altre massime vedi il canale:  Giurisprudenza