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Legislazione giurisprudenza Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso
Consiglio di Stato, Sezione V del 5 febbraio 2003, sentenza n. 585
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Quinta Sezione ANNO 1999 ha pronunciato la seguente
DECISIONE
Sul ricorso in appello n. 9468/1999 proposto da LASME s.r.l. e della BANCA PER IL LEASING ITALEASE s.p.a. in persona dei legali rappresentanti rappresentate e difese dall’avv. Giuseppe Minieri ed elettivamente domiciliate in Roma presso la Segreteria della Sezione;
Contro
Il Comune di Melfi in persona del Sindaco in carica rappresentato e difeso dall’avv. Donatello Genovese ed elettivamente domiciliato in Roma presso lo studio dell’avv. Filippo Lattanzi in via Pierluigi da Palestrina n. 47;
per l’annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata n. 158/1999;
Visto il ricorso con i relativi allegati ;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Melfi;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
data per letta alla pubblica udienza del 29 ottobre 2002 la relazione del Consigliere dottor Goffredo Zaccardi e uditi, altresì, gli avvocati delle parti come da verbale di udienza; Ritenuto in fatto e diritto quanto segue :
FATTO
Con l’appello qui in esame le Società appellanti impugnano la sentenza indicata in epigrafe nella parte in cui ha respinto i ricorsi proposti in primo grado per ottenere l’accertamento della infondatezza della pretesa del Comune di Melfi al pagamento da parte delle appellanti di quanto dovuto ai sensi dell’articolo 3 della legge 47/1985 per il ritardato versamento dei contributi di urbanizzazione da esse dovuti in relazione al rilascio in loro favore di una concessione edilizia per la realizzazione di un impianto nell’area industriale di Melfi. La sentenza ha, inoltre, accolto il motivo di incompetenza degli organi di governo dell’Ente ad adottare le determinazioni in ordine all’applicazione delle sanzioni in materia edilizia ma tale capo della sentenza non è stato sottoposto a gravame. Comunque dall’eventuale accoglimento della tesi di parte appellante, di accertamento della infondatezza della richiesta dei maggiori oneri a tenore dell’art. 3 della legge 47/1985, deriva la piena soddisfazione della pretesa azionata dalle appellanti vertendosi in materia di giurisdizione esclusiva.
Le appellanti deducono, in sintesi, le seguenti censure articolate in un unico motivo: a) i maggiori importi conseguenti all’applicazione dell’art. 3 della legge 47/1985 non sarebbero dovuti in quanto il Comune di Melfi non ha costituito in mora le appellanti, né ha richiesto il pagamento dei contributi ammessi a rateizzazione e non corrisposti al momento del rilascio della concessione edilizia, né ha escusso la fideiussione prestata con rinuncia espressa al “beneficium excussionis” a garanzia del pagamento degli importi rateizzati. Da tale comportamento deriverebbe la violazione dell’obbligo del creditore di agire secondo correttezza e buona fede, sancito dall’art. 1175 del codice civile e da altre disposizioni che richiamano nell’attuazione dei rapporti obbligatori il principio di buona fede, obbligo che impone di svolgere tutte quelle attività che il creditore può compiere agevolmente ed idonee a rendere meno gravosa la posizione del debitore ai fini dell’adempimento dell’obbligazione. Sarebbe, pertanto, imputabile al Comune intimato il maggior onere dovuto in esito all’applicazione dell’art. 3 della legge 47/1985; b) il Comune avrebbe indotto le Società appellanti a non corrispondere alle scadenze stabilite gli importi dovuti per gli oneri di urbanizzazione manifestando, con varie comunicazioni, perplessità e dubbi sulla doverosità della corresponsione degli stessi da parte delle appellanti; c) la richiesta degli interessi legali sui ratei versati tardivamente avanzata dal Comune di Melfi e soddisfatta dalle appellanti comporterebbe l’implicito riconoscimento della inapplicabilità del regime di cui all’art. 3 della legge 47/1985;d) in via subordinata si dovrebbe riconoscere la deduzione dagli importi pretesi dal Comune in applicazione della norma citata di quanto versato a titolo di interessi.
Il Comune di Melfi si è costituito confutando le tesi difensive delle appellanti e chiedendo la reiezione dell’appello.
DIRITTO
1) L’appello è, ad avviso Collegio, meritevole di accoglimento.
A) Appare fondata, ed assorbente di ogni altra considerazione di merito, la censura svolta nella prima parte dell’unico articolato motivo di ricorso con cui parte appellante ha dedotto la violazione da parte del Comune di Melfi dei basilari doveri di correttezza cui è tenuto il creditore per rendere meno gravosa la posizione del debitore nell’adempiere all’obbligazione. E’ utile precisare in punto di fatto che le Società appellanti, per il rilascio di una concessione edilizia per la realizzazione di un impianto industriale, hanno corrisposto la metà del contributo dovuto per oneri di urbanizzazione immediatamente mentre la parte residua è stata rateizzata in più rate da versare nei successivi due anni. Fin dall’inizio le Società attuali appellanti hanno contestato la doverosità dei versamenti ritenendo che l’opificio dovesse essere realizzato secondo lo speciale regime di esenzione stabilito dalle leggi sul Mezzogiorno e lo stesso Comune con vari atti ha manifestato perplessità sulla specifica questione. All’esito di un giudizio articolato in due fasi, primo e secondo grado, il Consiglio di Stato ha, invece, affermato la legittimità della pretesa e le Società appellanti ha provveduto a corrispondere quanto dovuto ed, inoltre, a richiesta del Comune di Melfi, gli interessi per il ritardo nel pagamento della quota di oneri che era stata rateizzata. Si controverte nel presente giudizio della applicazione dell’art. 3 della legge 47/1985 che prevede, in relazione al ritardo nel pagamento dei contributi o delle singole rate, un aumento percentuale di quanto dovuto (20%, 50% e 100% a seconda che il pagamento intervenga nei 120, 180 e 240 giorni successivi alla scadenza). E’ necessario ancora puntualizzare che fin dal momento del rilascio della concessione le Società appellanti hanno consegnato al Comune di Melfi una fideiussione in cui espressamente era prevista la rinuncia al “beneficium excussionis” ed inoltre l’obbligo del fideiussore di versare al Comune quanto richiesto in termini brevi previo un semplice avviso al garantito e senza il riconoscimento al garantito di alcuna facoltà di svolgere eccezioni sul pagamento. Si trattava, quindi, di una obbligazione di garanzia del tutto autonoma rispetto al rapporto creditore - debitore principale. Sulla base di tali presupposti di fatto al Comune sarebbe stata sufficiente la semplice richiesta al fideiussore - iniziativa non gravosa né esposta a rischi di sorta - per conseguire il pagamento di quanto dovuto anche in pendenza del giudizio nel quale si stava accertando la doverosità della corresponsione degli oneri di cui trattasi. Con tale iniziativa il Comune avrebbe evitato un consistente aggravamento della posizione debitoria delle Società appellanti conseguendo tempestivamente le risorse necessarie per far fronte agli oneri derivanti dalla realizzazione delle opere di urbanizzazione a carico dell’Amministrazione comunale. Deve, pertanto, imputare a questa sua inerzia ed al suo comportamento, dopo due note (risalenti all’inizio del 1993) in cui manifestava dubbi sull’obbligo di corrispondere i contributi in questione non ha attivato alcuna iniziativa per ottenere quanto era previsto nelle concessioni edilizie né dall’obbligato principale né dal fideiussore. Tale comportamento poteva essere ben letto da parte delle Società appellanti, secondo buona fede, come significativo della volontà di non procedere nella pretesa di applicare l’art. 3 della legge 47/1985 in attesa della decisione del Consiglio di Stato cui si è fatto cenno. Ciò, in particolare, perché nella concessione edilizia si era fatta esplicitamente salva l’applicazione di tale norma e l’inerzia di cui si è detto assumeva un valore inequivoco nel senso di rinunciare almeno temporaneamente alla clausola suddetta .Ritenere di potersi avvalere del disposto dell’art .3 della legge 47/1985 a distanza di tempo ed in presenza delle circostanze di fatto qui sinteticamente ricordate non è, oggettivamente, corrispondente ad un comportamento secondo buona fede. Si concreta in base alle considerazioni che precedono la violazione del dovere di correttezza di cui all’art. 1175 del codice civile e si mostra la fondatezza della censura qui esaminata anche con riguardo al richiamo effettuato nell’atto introduttivo di questa fase del giudizio all’art. 1227, secondo comma ,del codice civile che pone a carico del creditore i danni che avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza.
B) E’ utile ancora chiarire che non sono convincenti gli argomenti addotti dal giudice di primo grado per sostenere che nessun obbligo specifico incombeva sul Comune di Melfi perché trattandosi di obbligazione “ portable” doveva essere adempiuta al domicilio del creditore (art. 1182 del codice civile) e che per tali obbligazioni non è necessaria la costituzione in mora del debitore quando essendo stabilito un termine lo stesso è scaduto inutilmente(art. 1219 del codice civile). Il dovere di agire secondo correttezza e buona fede non è assolto solo con il compimento di atti previsti in specifiche disposizioni di legge ma si deve realizzare anche con comportamenti non individuati dal legislatore ma che in relazione alle singole situazioni di fatto siano necessari per evitare l’aggravamento della posizione del debitore (Cass. 5 novembre 1999 n. 12310). Non è perciò sufficiente sostenere, così come ha fatto il primo giudice, che nessun obbligo normativamente previsto era posto a carico del creditore nel caso di specie, ma si deve indagare se nell’esercizio dell’obbligo di cooperare con il debitore per il puntuale adempimento dell’obbligazione il creditore non abbia omesso atti e comportamenti che, senza essere particolarmente disagevoli, potevano tuttavia rendere meno gravosa la posizione del debitore. L’indagine, come si è visto sub A) porta a concludere che nel caso in esame il Comune di Melfi non ha fatto quanto era possibile e necessario per evitare il prodursi di danni ulteriori per le Società appellanti. In proposito si deve aggiungere che il comportamento complessivo delle parti secondo buona fede costituisce una fonte di integrazione degli obblighi delle parti stesse (Cass. 8 febbraio 1999 n. 1078) e che con riguardo al caso di specie l’atteggiamento del Comune di Melfi ha oggettivamente introdotto un elemento di incertezza e di attesa che ha concorso a determinare il mancato pagamento alle scadenze stabilite da parte delle Società appellanti delle rate del contributo per oneri di urbanizzazione.
C) Non è necessario approfondire in questa sede la natura (sanzionatoria o risarcitoria) della obbligazione nascente dall’applicazione dell’art. 3 della legge 47/1985: è pacifico che si tratti di una obbligazione “ex lege” alla quale si rendono applicabili tutte le disposizioni di principio in materia di obbligazioni e tanto basta, come si è visto, per la definizione della controversia.
D) Nessun valore ha, poi, il richiamo alla automaticità della applicazione dell’art. 3 della legge 47/1985: una volta che si sia accertato che non vi è stato inadempimento imputabile all’obbligato l’art. 3 in questione non è applicabile “tout-court”. Inconferenti sono, altresì, i richiami contenuti nella sentenza appellata al regime delle obbligazioni tributarie che corrispondono, come è noto, a principi propri ed esclusivi del regime fiscale, tipicamente a fattispecie esclusiva, validi solo nell’ambito del regime stesso. Nè, infine, ha pregio, sostenere che imponendo al creditore nel caso di specie l’obbligo di escutere il fideiussore si eluderebbe l’obiettivo della legge e si vanificherebbe l’apparato sanzionatorio del citato art. 3 della legge 47/1985. E’ evidente, infatti, che il pagamento da parte del fideiussore degli oneri dovuti se soddisfa il Comune creditore non libera il soggetto garantito nel rapporto interno con il garante e determina effetti contrattuali ben precisi voluti dalle parti secondo cui, di norma, il garantito deve poi rifondere il garante di quanto egli abbia versato in sua sostituzione. In ogni caso, non sussiste alcun apprezzabile interesse pubblico a limitare la autonomia delle parti del contratto di fideiussione a convenire un regolamento di interessi che consenta, secondo la causa tipica di tale contratto, una più sicura soddisfazione della posizione creditoria del Comune.
E) Alla stregua delle considerazioni che precedono il Collegio ritiene di aderire e confermare il precedente indirizzo della Sezione manifestato con sentenza n. 1001/1995 ritenendo superata la decisione n. 1001/1995 cui si richiama parte appellata a sostegno delle sue ragioni.
2) L’appello indicato in epigrafe è accolto con riforma della sentenza appellata ed accertamento della infondatezza della pretesa del Comune di Melfi a pretendere la corresponsione dei contributi richiesti a tenore dell’art. 3 della legge 47/1985. Sussistono, tuttavia, motivi per la compensazione delle spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sul ricorso in appello di cui in epigrafe lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata accoglie i ricorsi di primo grado ed accerta la infondatezza della pretesa del Comune di Melfi al pagamento degli importi richiesti in applicazione dell’art. 3 della legge 47/1985.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso, addì 29 ottobre 2002, in camera di consiglio con l’intervento di:
Claudio Varrone Presidente
Corrado Allegretta Consigliere
Goffredo Zaccardi Consigliere Estensore
Aldo Fera Consigliere
Claudio Marchitiello Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE IL SEGRETARIO IL DIRIGENTE
F.to Goffredo Zaccardi F.to Claudio Varrone F.to Lino Bernardini F.to Antonio Natale
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
il.... .......05.02.2003...............
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
1) Contributo per oneri di urbanizzazione - il dovere di agire secondo correttezza e buona fede - evitare l’aggravamento della posizione del debitore. Il dovere di agire secondo correttezza e buona fede non è assolto solo con il compimento di atti previsti in specifiche disposizioni di legge ma si deve realizzare anche con comportamenti non individuati dal legislatore ma che in relazione alle singole situazioni di fatto siano necessari per evitare l’aggravamento della posizione del debitore (Cass. 5 novembre 1999 n. 12310). Non è perciò sufficiente sostenere, così come ha fatto il primo giudice, che nessun obbligo normativamente previsto era posto a carico del creditore nel caso di specie, ma si deve indagare se nell’esercizio dell’obbligo di cooperare con il debitore per il puntuale adempimento dell’obbligazione il creditore non abbia omesso atti e comportamenti che, senza essere particolarmente disagevoli, potevano tuttavia rendere meno gravosa la posizione del debitore. (Nel caso in esame il Comune di Melfi non ha fatto quanto era possibile e necessario per evitare il prodursi di danni ulteriori per le Società appellanti. In proposito si deve aggiungere che il comportamento complessivo delle parti secondo buona fede costituisce una fonte di integrazione degli obblighi delle parti stesse (Cass. 8 febbraio 1999 n. 1078) e che con riguardo al caso di specie l’atteggiamento del Comune di Melfi ha oggettivamente introdotto un elemento di incertezza e di attesa che ha concorso a determinare il mancato pagamento alle scadenze stabilite da parte delle Società appellanti delle rate del contributo per oneri di urbanizzazione). Conforme: Consiglio di Stato, Sezione V del 5 febbraio 2003, sentenze nn. 584; 583; 582; 581; 580; 579; 578; 577; 576; 575; 574; 573; 572; 571. Consiglio di Stato, Sezione V del 5 febbraio 2003, sentenza n. 585
2) Urbanistica - l’art. 3 della legge 47/1985 - l’obbligo di escutere il fideiussore - contratto di fideiussione - posizione creditoria del Comune. Non è necessario approfondire in questa sede la natura (sanzionatoria o risarcitoria) della obbligazione nascente dall’applicazione dell’art. 3 della legge 47/1985: è pacifico che si tratti di una obbligazione “ex lege” alla quale si rendono applicabili tutte le disposizioni di principio in materia di obbligazioni e tanto basta, come si è visto, per la definizione della controversia. Nessun valore ha, poi, il richiamo alla automaticità della applicazione dell’art. 3 della legge 47/1985: una volta che si sia accertato che non vi è stato inadempimento imputabile all’obbligato l’art. 3 in questione non è applicabile “tout-court”. Inconferenti sono, altresì, i richiami contenuti nella sentenza appellata al regime delle obbligazioni tributarie che corrispondono, come è noto, a principi propri ed esclusivi del regime fiscale, tipicamente a fattispecie esclusiva, validi solo nell’ambito del regime stesso. Nè, infine, ha pregio, sostenere che imponendo al creditore nel caso di specie l’obbligo di escutere il fideiussore si eluderebbe l’obiettivo della legge e si vanificherebbe l’apparato sanzionatorio del citato art. 3 della legge 47/1985. E’ evidente, infatti, che il pagamento da parte del fideiussore degli oneri dovuti se soddisfa il Comune creditore non libera il soggetto garantito nel rapporto interno con il garante e determina effetti contrattuali ben precisi voluti dalle parti secondo cui, di norma, il garantito deve poi rifondere il garante di quanto egli abbia versato in sua sostituzione. In ogni caso, non sussiste alcun apprezzabile interesse pubblico a limitare la autonomia delle parti del contratto di fideiussione a convenire un regolamento di interessi che consenta, secondo la causa tipica di tale contratto, una più sicura soddisfazione della posizione creditoria del Comune. Conforme: Consiglio di Stato, Sezione V del 5 febbraio 2003, sentenze nn. 584; 583; 582; 581; 580; 579; 578; 577; 576; 575; 574; 573; 572; 571. Consiglio di Stato, Sezione V del 5 febbraio 2003, sentenza n. 585
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