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Legislazione  giurisprudenza                                                      Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso


 

 Massime della sentenza

 

 

Consiglio di Stato, Sezione V - 14 febbraio 2003 - Sentenza n. 808

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Quinta Sezione ANNO 2002 ha pronunciato la seguente
 

decisione


sul ricorso in appello n. 3497/2002 proposto da Terranova Antonia e Montaruli Filomena, rappresentate e difese dall’Avv. Giasi Antonio ed elettivamente domiciliate presso il Cav. Luigi Gardin in Roma, Via L. Mantegazza n.24;
Contro
il Comune di Altamura, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito;
E NEI CONFRONTI DI
Loviglio Raffaele, rappresentato e difeso dall’Avv. Pappalepore Luigi ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. G. Zaccaria in Roma, V.le Mazzini n.131;
per l’annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Puglia, Sez. Seconda, n.336/2002 del 18 gennaio 2002;
Visto l’atto di appello con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Loviglio Raffaele;
Vista la memoria difensiva di Loviglio Raffaele;
Visti gli atti tutti della causa;
Alla camera di consiglio del 22 ottobre 2002, relatore il consigliere Carlo Deodato, uditi i difensori delle parti, come da verbale d’udienza;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
 

FATTO E DIRITTO


1.- Con la sentenza appellata veniva respinto il ricorso proposto da Terranova Antonia e Montaruli Filomena, ai sensi dell’art.21 bis L. n.1034/71, dinanzi al T.A.R. della Puglia, inteso a conseguire la declaratoria dell’illegittimità del silenzio serbato dal Comune di Altamura in ordine all’atto di significazione e diffida notificato in data 18 luglio 2001, e diretto ad ottenere l’adozione dei provvedimenti repressivi della condotta asseritamente fraudolenta con la quale Loviglio Raffaele, conduttore di un immobile concessogli in locazione dalle ricorrenti, aveva conseguito una concessione edilizia in sanatoria.


Il T.A.R. negava la peculiare forma di tutela invocata dalle ricorrenti, sulla base del decisivo rilievo dell’insussistenza di un obbligo a provvedere su istanze dirette a stimolare l’esercizio del potere di autotutela, giudicando quest’ultimo riservato in via esclusiva alla scelta discrezionale dell’Amministrazione.


2.- Avverso tale pronuncia reiettiva proponevano appello le originarie ricorrenti, contestando la correttezza del convincimento ivi espresso in merito all’insussistenza di un obbligo di provvedere sulla propria diffida, assumendo, in particolare, che quest’ultima era diretta all’adozione di provvedimenti sanzionatori vincolati (e non discrezionali) e concludendo per la riforma della decisione impugnata.


Resisteva il Loviglio, negando la sussistenza dei presupposti stabiliti dall’art.21 bis L. n.1034/71 per la concessione della peculiare forma di tutela ivi contemplata e domandando la reiezione del ricorso.


Non si è costituito, invece, il Comune di Altamura.


Nella camera di consiglio del 22 ottobre 2002 il ricorso veniva trattenuto in decisione.


3.- Le parti controvertono in ordine alla legittimità del silenzio serbato dall’Amministrazione Comunale di Altamura in riferimento all’atto di significazione e diffida notificatole dalle ricorrenti il 18 luglio 2001.


La natura della controversia impone una preliminare definizione dei limiti e del contenuto della cognizione riservata al Giudice Amministrativo nell’ambito del procedimento speciale previsto e regolato dall’art.21 bis L. n.1034/71.


Com’è noto, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, specificamente investita della questione, ha chiarito (cfr. decisione n.1 del 9 gennaio 2002) che il giudizio introdotto con ricorso avverso il silenzio dell’Amministrazione, secondo le modalità del suddetto rito speciale, deve intendersi circoscritto al solo accertamento dell’illegittimità dell’inerzia dell’Amministrazione e non anche esteso alla disamina della fondatezza della pretesa sostanziale del privato.


Con la medesima decisione è stato, inoltre, precisato che la verifica dell’illegittimità del silenzio postula il preliminare accertamento della violazione dell’obbligo di provvedere, ravvisabile nelle ipotesi nelle quali l’Amministrazione sia rimasta inadempiente al dovere di concludere il procedimento con un provvedimento espresso, nei casi in cui esso consegua obbligatoriamente ad una istanza ovvero debba essere iniziato d’ufficio, secondo il precetto contenuto nell’art. 2 c.1 L. 7 agosto 1990, n.241.


4.- Così chiarito l’ambito del potere cognitivo riservato al Giudice nel rito speciale di cui all’art.21 bis L. n.1034/71, occorre verificare la ricorrenza, nel caso di specie, delle condizioni necessarie per la concessione della tutela invocata dalle ricorrenti.


Come già rilevato, il T.A.R. ha negato l’illegittimità dell’inerzia del Comune intimato, ritenendo, in sostanza, che un’istanza diretta ad ottenere l’esercizio dei poteri di autotutela non sia idonea a determinare un obbligo di provvedere in capo all’Amministrazione.


Le appellanti criticano tale giudizio, sostenendo che la diffida rimasta inevasa fosse, in realtà, diretta a provocare l’adozione di provvedimenti obbligatori e vincolati (non, dunque, discrezionali) e che, quindi, l’inerzia opposta dall’Amministrazione dovesse reputarsi illegittima.


5.- L’appello è fondato e merita accoglimento.


Pur potendosi astrattamente condividere l’assunto dei primi Giudici in ordine all’inconfigurabilità di un obbligo di provvedere su un’istanza intesa a sollecitare l’esercizio dei poteri di autotutela (effettivamente connotato da un’ampia discrezionalità sull’an della relativa attività provvedimentale), deve, invero, osservarsi che dall’esame dell’atto di significazione e diffida rimasto nella specie inevaso si ricava univocamente che, nonostante l’indicazione dei “provvedimenti di annullamento e revoca” tra quelli richiesti all’Amministrazione, le istanti non intendevano tanto (o, meglio, non solo) provocare la rimozione d’ufficio della concessione in sanatoria rilasciata al controinteressato ma, soprattutto, stimolare l’adozione dei doverosi provvedimenti sanzionatori previsti dagli artt.40 e 45 della L. n.47/85 per i casi in cui la domanda di condono debba ritenersi dolosamente infedele.


Adducendo, infatti, nell’istanza la falsità della dichiarazione relativa al tempo dell’ultimazione delle opere abusive a sostegno della richiesta dei doverosi provvedimenti consequenziali, le odierne ricorrenti hanno, infatti, evidentemente inteso provocare l’attivazione da parte del Comune degli strumenti sanzionatori previsti dalla L.n.47/85 per le domande di sanatoria fondate su dichiarazioni mendaci.


Non v’è dubbio, inoltre, che l’adozione dei provvedimenti repressivi contemplati dalla legge citata costituisce un vero e proprio obbligo per l’Amministrazione, sicchè, nella ricorrenza dei presupposti prima indicati, non residua alcun margine di discrezionalità in ordine all’applicazione delle sanzioni (Cons. Stato, Sez. V, 24.3.1998, n.345).


Ne consegue che l’atto di significazione e diffida, a fronte del quale l’Amministrazione è rimasta inerte, deve ritenersi idoneo a costituire un obbligo di provvedere, in quanto diretto a stimolare l’esercizio di un potere imposto obbligatoriamente al Comune dalla legge.


Né rileva, in senso contrario, che tale potestà dev’essere esercitata d’ufficio e non su istanza del privato, posto che l’art.2 L. n.241/90 equipara tali due situazioni, ai fini della configurabilità dell’obbligo di concludere il procedimento con un provvedimento espresso.


Ne consegue che la circostanza che il procedimento attivabile d’ufficio sia stato, di fatto, iniziato con un'istanza del privato non esonera, ovviamente, l’Amministrazione dal dovere di concluderlo con un provvedimento espresso e non esclude la connessa legittimazione dell’interessato a conseguire la peculiare forma di tutela apprestata dall’art.21 bis L. n.1034/71.


6.- Né, da ultimo, l’illegittimità della condotta omissiva dell’Amministrazione può escludersi sulla base del rilievo di un precedente pronunciamento su analoga istanza delle interessate.


Dall’analisi del contenuto della nota n.6400 in data 5.4.2001 del Dirigente della Ripartizione Tecnica si evince, infatti, chiaramente che la stessa assolve una funzione meramente interlocutoria e soprassessoria e che, quindi, alla stessa non può riconoscersi alcuna valenza provvedimentale, di talchè, anche tenuto conto di tale comunicazione, l’obbligo di provvedere in conformità alle specifiche allegazioni delle istanze deve ritenersi inosservato.


7.- Si deve, pertanto, dichiarare l’illegittimità del silenzio-rifiuto serbato dal Comune appellato con riferimento all’istanza sopra indicata.


In accoglimento dell’appello ed in riforma della decisione impugnata, va, quindi, ordinato al Comune di Altamura, in applicazione dell’art.21 bis L. n.1034/71, di provvedere nel termine di trenta giorni dalla comunicazione o dalla notificazione della presente decisione sull’atto di significazione e diffida in data 16 luglio 2001.


Sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese processuali.


P.Q.M.


Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, accoglie il ricorso indicato in epigrafe e, in riforma della decisione appellata, ordina al Comune di Altamura di provvedere, entro il termine di trenta giorni dalla comunicazione o dalla notificazione della presente decisione, sull’atto di significazione e diffida notificato il 18 luglio 2001;


dichiara compensate le spese processuali;


ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 22 ottobre 2002, con l'intervento dei signori:
AGOSTINO ELEFANTE - Presidente
CORRADO ALLEGRETTA - Consigliere
PAOLO BUONVINO - Consigliere
FRANCESCO D’OTTAVI - Consigliere
CARLO DEODATO - Consigliere Estensore



L'ESTENSORE                            IL PRESIDENTE                                       IL SEGRETARIO
f.to Carlo Deodato                        f.to Agostino Elefante                                f.to Luciana Franchini

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 14 febbraio 2003
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
 

 

M A S S I M E

 

Sentenza per esteso

 

1) Il giudizio introdotto con ricorso avverso il silenzio dell’Amministrazione deve intendersi circoscritto al solo accertamento dell’illegittimità dell’inerzia dell’Amministrazione e non anche esteso alla disamina della fondatezza della pretesa sostanziale del privato - la verifica dell’illegittimità del silenzio - l’obbligo di provvedere. L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, ha chiarito (cfr. decisione n.1  del 9 gennaio 2002) che il giudizio introdotto con ricorso avverso il silenzio dell’Amministrazione, secondo le modalità del suddetto rito speciale, deve intendersi circoscritto al solo accertamento dell’illegittimità dell’inerzia dell’Amministrazione e non anche esteso alla disamina della fondatezza della pretesa sostanziale del privato. Con la medesima decisione è stato, inoltre, precisato che la verifica dell’illegittimità del silenzio postula il preliminare accertamento della violazione dell’obbligo di provvedere, ravvisabile nelle ipotesi nelle quali l’Amministrazione sia rimasta inadempiente al dovere di concludere il procedimento con un provvedimento espresso, nei casi in cui esso consegua obbligatoriamente ad una istanza ovvero debba essere iniziato d’ufficio, secondo il precetto contenuto nell’art. 2 c.1 L. 7 agosto 1990, n.241. Consiglio di Stato, Sezione V - 14 febbraio 2003 - Sentenza n. 808

 

2) La domanda di condono dolosamente infedele - la falsità della dichiarazione relativa al tempo dell’ultimazione delle opere abusive - diritto d’accesso - la rimozione d’ufficio della concessione in sanatoria rilasciata - strumenti sanzionatori su dichiarazioni mendaci - obbligatorietà di adottare provvedimenti repressivi da parte del Comune - l’atto di significazione e diffida - inerzia dell’Amministrazione - l’obbligo di concludere il procedimento con un provvedimento espresso - l’illegittimità del silenzio-rifiuto. In ordine all’inconfigurabilità di un obbligo di provvedere su un’istanza intesa a sollecitare l’esercizio dei poteri di autotutela (effettivamente connotato da un’ampia discrezionalità sull’an della relativa attività provvedimentale), deve, invero, osservarsi che dall’esame dell’atto di significazione e diffida rimasto nella specie inevaso si ricava univocamente che, nonostante l’indicazione dei “provvedimenti di annullamento e revoca” tra quelli richiesti all’Amministrazione, le istanti non intendevano tanto (o, meglio, non solo) provocare la rimozione d’ufficio della concessione in sanatoria rilasciata al controinteressato ma, soprattutto, stimolare l’adozione dei doverosi provvedimenti sanzionatori previsti dagli artt.40 e 45 della L. n.47/85 per i casi in cui la domanda di condono debba ritenersi dolosamente infedele. Adducendo, infatti, nell’istanza la falsità della dichiarazione relativa al tempo dell’ultimazione delle opere abusive a sostegno della richiesta dei doverosi provvedimenti consequenziali, le odierne ricorrenti hanno, infatti, evidentemente inteso provocare l’attivazione da parte del Comune degli strumenti sanzionatori previsti dalla L.n.47/85 per le domande di sanatoria fondate su dichiarazioni mendaci. L’adozione dei provvedimenti repressivi contemplati dalla legge citata costituisce un vero e proprio obbligo per l’Amministrazione, sicchè, nella ricorrenza dei presupposti prima indicati, non residua alcun margine di discrezionalità in ordine all’applicazione delle sanzioni (Cons. Stato, Sez. V, 24.3.1998, n.345). Ne consegue che l’atto di significazione e diffida, a fronte del quale l’Amministrazione è rimasta inerte, deve ritenersi idoneo a costituire un obbligo di provvedere, in quanto diretto a stimolare l’esercizio di un potere imposto obbligatoriamente al Comune dalla legge. Né rileva, in senso contrario, che tale potestà dev’essere esercitata d’ufficio e non su istanza del privato, posto che l’art.2 L. n.241/90 equipara tali due situazioni, ai fini della configurabilità dell’obbligo di concludere il procedimento con un provvedimento espresso. Ne consegue che la circostanza che il procedimento attivabile d’ufficio sia stato, di fatto, iniziato con un'istanza del privato non esonera, ovviamente, l’Amministrazione dal dovere di concluderlo con un provvedimento espresso e non esclude la connessa legittimazione dell’interessato a conseguire la peculiare forma di tutela apprestata dall’art.21 bis L. n.1034/71. Né, da ultimo, l’illegittimità della condotta omissiva dell’Amministrazione può escludersi sulla base del rilievo di un precedente pronunciamento su analoga istanza delle interessate. Con riferimento all’istanza in oggetto si deve, pertanto, dichiarare l’illegittimità del silenzio-rifiuto serbato dal Comune appellato. Consiglio di Stato, Sezione V - 14 febbraio 2003 - Sentenza n. 808


 

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