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Legislazione  giurisprudenza                                                      Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso


 

 Massime della sentenza

 

 

Consiglio Stato, Sezione V, del 14 gennaio 2003, sentenza n. 87.

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Quinta Sezione ha pronunciato la seguente

decisione

sul ricorso in appello n. 9310/2000 proposto dal Comune di Ostuni, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. Pietro Quinto ed elettivamente domiciliato presso Gian Marco Grez in Roma, Lungotevere Flaminio n.46;

contro

La Pineta s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Gabriella Spata ed elettivamente domiciliata presso il Cav. Luigi Gardin in Roma, Via L. Mantegazza n.24;

per l’annullamento

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Sez. di Lecce, n.3140/00 in data 7.6/7.7.2000;

Visto l’atto di appello con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione della Pineta s.r.l.;

Viste le memorie difensive depositate dalle parti;

Visti gli atti tutti della causa;

Alla pubblica udienza del 22 ottobre 2002, relatore il consigliere Carlo Deodato, uditi i difensori delle parti;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

 

FATTO

Con ricorso proposto dinanzi al T.A.R. della Puglia, Sez. di Lecce, La Pineta s.r.l. denunciava l’illegittimità del silenzio serbato dal Comune di Ostuni in ordine alla propria diffida, in data 20.11.1998, intesa ad ottenere il rilascio delle concessioni edilizie in sanatoria, richieste con istanza del 24.3.1992, in esecuzione della decisione del Presidente della Repubblica del 10.3.1998 con cui, in accoglimento del ricorso straordinario proposto dalla società ricorrente, erano stati annullati i dinieghi di sanatoria opposti dall’Ente resistente alla predetta domanda.

Contestualmente all’accertamento dell’illegittimità del silenzio-rifiuto, La Pineta s.r.l. domandava la declaratoria della spettanza a sé dell’assenso alle concessioni edilizie di cui all’istanza del 24.3.92 e la condanna dell’Amministrazione Comunale al risarcimento dei danni.

Non si costituiva in giudizio il Comune di Ostuni.

Con ordinanza n.222/99 il T.A.R. concedeva la misura cautelare richiesta dalla ricorrente e con successivo provvedimento camerale del 15.7.99, preso atto della persistente inottemperanza dell’Amministrazione al primo ordine giurisdizionale, nominava un Commissario ad acta che provvedeva a rilasciare alla ricorrente la concessione in sanatoria per le opere realizzate sui lotti G19 e G20 e la concessione per i lavori di completamento, a condizione della previa acquisizione dell’autorizzazione prevista dall’art.151 del Decreto Legislativo n.490 del 1999.

Con la decisione n.3140/2000 in data 7.6/7.7.2000 il T.A.R. accoglieva tutte le domande proposte dalla ricorrente e, per l’effetto, dichiarava l’illegittimità del silenzio-rifiuto, confermava definitivamente i provvedimenti adottati dal Commissario ad acta, accertava la spettanza alla società istante delle concessioni edilizie richieste con la domanda del 24.3.92 e condannava il Comune di Ostuni al risarcimento dei danni patiti dalla società La Pineta in conseguenza dell’illegittima inibizione, per il tempo di circa otto anni, dell’esercizio dello jus aedificandi, stabilendo, al contempo, i criteri per la determinazione del quantum ai sensi dell’art.35 D. Lgs. n.80/1998.

Avverso tale decisione proponeva rituale appello il Comune di Ostuni, contestando la correttezza della statuizione impugnata relativamente al capo confermativo dei provvedimenti adottati dal Commissario ad acta ed a quello di condanna al risarcimento dei danni e domandandone l’annullamento.

Resisteva La Pineta, rilevando l’infondatezza, in fatto ed in diritto, dell’appello ed invocandone la reiezione.

Alla pubblica udienza del 22 ottobre 2002 il ricorso veniva trattenuto in decisione.

DIRITTO

1.- Prima di procedere alla disamina delle singole questioni sollevate con il ricorso appare opportuno ribadire che, con la decisione appellata, è stata accertata l’illegittimità del silenzio-rifiuto, sono stati confermati i provvedimenti adottati dal Commissario ad acta, nominato per l’attuazione dell’ordinanza cautelare, è stata dichiarata la spettanza a “La Pineta s.r.l.” delle concessioni edilizie richieste con istanza del 24.3.1992 ed è stato condannato il Comune di Ostuni al risarcimento dei danni patiti dalla società ricorrente in conseguenza dell’illecita inibizione dell’esercizio del suo diritto a costruire, secondo i criteri di determinazione del quantum debeatur contestualmente stabiliti ai sensi dell’art.35 D. Lgs. n.80/98.

Come si vede, la statuizione impugnata si compone di diversi capi che, per la diversità dei presupposti accertamenti e del relativo contenuto dispositivo, vanno giudicati tra loro autonomi ai fini della definizione della materia controversa nel giudizio d’appello.

Chiarita, infatti, l’indipendenza delle distinte statuizioni contenute nella sentenza appellata, occorre rilevare che il capo della decisione relativo all’accertata illegittimità del silenzio-rifiuto opposto dall’Amministrazione all’istanza presentata da “La Pineta” in data 24.3.92 non è stato specificamente impugnato dall’Ente ricorrente e che, quindi, lo stesso deve intendersi passato in giudicato ai sensi dell’art.329 II comma c.p.c., per acquiescenza parziale.

Le medesime considerazioni possono essere svolte con riguardo all’accertamento relativo alla spettanza delle concessioni edilizie sotto il profilo della compatibilità urbanistica dei progetti originariamente sottoposti all’approvazione comunale (e successivamente rifiutata con provvedimenti definitivamente annullati).

Rileva, al riguardo, il Collegio che, nel caso di contestuale pronuncia su più domande che, ancorchè connesse, presentano una valenza sostanziale autonoma e risultano, perciò, fondate su censure od argomenti tra loro indipendenti, il principio del limitato effetto devolutivo dell’appello (tantum devolutum quantum appellatum) esige che con l’atto di impugnazione vengano specificamente criticate tutte le parti della decisione riferibili alle questioni relative ad ognuna delle domande e che l’omessa esplicita contestazione con l’appello di uno o più capi implica, in applicazione del II comma dell’art.329 c.p.c., l’acquiescenza alle parti non impugnate (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 10 settembre 1999, n.1434).

Posto, pertanto, che, nel caso di specie, le questioni della illegittimità del silenzio-rifiuto e della spettanza dei titoli edilizi, sotto il profilo della compatibilità urbanistica dei relativi progetti, si appalesano del tutto indipendenti dalle contestazioni rivolte contro il capo della conferma dei provvedimenti del Commissario ad acta e contro quello di condanna al risarcimento dei danni e che, nei riguardi delle parti della motivazione con cui il silenzio è stato giudicato illegittimo e le concessioni edilizie sono state ritenute atti dovuti, in quanto compatibili con il P.R.G., non risulta formulata alcuna specifica critica nell’atto di appello, gli anzidetti capi della decisione impugnata devono ritenersi passati in giudicato o, comunque, estranei al thema decidendum dell’appello, circoscritto, come noto, alla cognizione delle questioni dedotte dall’appellante mediante l’enunciazione di specifici motivi (Cons. Stato, Sez. IV, 25 luglio 2001, n.4077).

Nell’atto di appello vengono, invece, specificamente criticate le statuizioni relative ai provvedimenti adottati dal Commissario ad acta nella fase cautelare del giudizio di primo grado ed alla pretesa risarcitoria formulata da “La Pineta”.

2.- Il primo capo della decisione investito dall’impugnazione viene criticato sia con riferimento alla dedotta inammissibilità dell’esecuzione dell’ordinanza cautelare con le forme del giudizio di ottemperanza sia con riguardo alla contestata legittimità delle determinazioni attuative assunte dal Commissario ad acta.

2.1- Sotto il primo profilo, il Comune appellante lamenta l’irritualità della nomina del Commissario ad acta per l’esecuzione dell’ordinanza cautelare e della successiva conferma, con la sentenza, dei provvedimenti da quello adottati, sostenendo che la possibilità di procedere all’attuazione delle ordinanze cautelari, rimaste ineseguite, con le modalità stabilite dall’art.27 c.1 numero 4) del R.D. 26 giugno 1924, n.1054 è stata introdotta nell’ordinamento dall’art.3 L. 21 luglio 2000, n.205, che ha modificato l’art.21 c.14 L. n.1034/71, e, quindi, successivamente alla pronuncia della sentenza qui appellata, con la conseguenza che al momento dell’adozione degli atti controversi difettava qualsiasi disposizione normativa che autorizzasse l’utilizzo del peculiare strumento di tutela in questione.

La doglianza è infondata.

L’ammissibilità dell’adozione da parte del Giudice Amministrativo di provvedimenti propulsivi che assicurino l’attuazione dell’ordinanza di sospensione e, quindi, la produzione dei connessi effetti satisfattivi, ancorchè in via interinale, dell’interesse azionato era stata, infatti, riconosciuta ed affermata da un consolidato orientamento giurisprudenziale (cfr. ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, ord. n.2167 del 16 novembre 1999) anche prima che la riforma processuale del 2000 estendesse espressamente alla fase cautelare la tutela esecutiva del giudizio di ottemperanza.

2.2- Il Comune ricorrente contesta, comunque, anche il merito delle determinazioni assunte dal Commissario ad acta assumendo, in particolare, l’illegittimità del rilascio della concessione relativa alla realizzazione dei lavori di completamento, in difetto della preventiva autorizzazione paesaggistica ed a condizione del conseguimento di tale assenso.

Il motivo è infondato e va disatteso.

Deve, anzitutto, rilevarsi, in fatto, che il nulla osta di cui all’art.151 D. Lgs. n.490/99 è stato rilasciato dal dirigente del settore urbanistico della Regione Puglia con delibera n.151 del 22 maggio 2000 (e cioè quattro giorni dopo l’adozione da parte del Commissario ad acta della concessione edilizia nella specie contestata) e che con nota n.15545/00 dell’8 giugno 2000 la Soprintendenza per i beni ambientali della Puglia ha comunicato di non aver rilevato nel progetto alcun elemento che potesse indurla ad annullare l’assenso paesaggistico regionale.

Da tali risultanze documentali emerge, dunque, che, nel caso di specie, l’autorizzazione paesaggistica è stata rilasciata prima dell’inizio dell’attività edilizia assentita e che, quindi, non si discute della validità di un assenso a costruire sprovvisto, in assoluto, del nulla osta ambientale ma solo della necessità che il secondo titolo sia conseguito preventivamente al rilascio del primo provvedimento, pena l’illegittimità di quest’ultimo.

Tale tesi non appare condivisibile.

E’ stato, infatti, affermato, con orientamento qui condiviso, che il provvedimento relativo alla concessione edilizia e quello relativo al nulla osta ambientale sono tra loro autonomi ed indipendenti, realizzando interessi distinti e fondandosi su presupposti diversi, e che, quindi, il rilascio della prima non risulta condizionato dalla previa emanazione del secondo (Cons. Stato, Sez. VI, 19 giugno 2001, n.3242).

Si è, inoltre, chiarito, in coerenza con il predetto principio, che il nulla osta regionale costituisce un mero requisito di efficacia (e non, dunque, un presupposto di legittimità) della concessione edilizia, nel senso che solo la realizzazione dell’opera assentita con quest’ultima, in zona soggetta a vincolo paesaggistico, postula il previo conseguimento dell’assenso ambientale (Cons. Stato, Sez. VI, 20 novembre 2000, n.6193).

E’solo la legittima esecuzione dell’attività edilizia ad essere condizionata dal rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, e non anche, come infondatamente sostenuto dal ricorrente, l’adozione della concessione.

Diversamente opinando, peraltro, si perverrebbe all’inaccettabile conseguenza di giudicare illegittima una concessione edilizia espressamente condizionata al conseguimento del nulla osta regionale, quando questo è stato rilasciato prima dell’inizio dei lavori assentiti.

Appare, in definitiva, chiaro che, nella situazione appena descritta, risultano compiutamente soddisfatti tutti gli interessi pubblici sottesi alla normativa edilizia ed ambientale di riferimento, puntualmente valutati dagli organi rispettivamente competenti e ritenuti compatibili con l’intervento assentito, e che solo un eventuale diniego di autorizzazione paesaggistica avrebbe potuto fondare un giudizio di inefficacia (non di illegittimità) della concessione edilizia in questione.

Va, quindi, negata ogni fondatezza alle censure rivolte contro i provvedimenti adottati dal Commissario ad acta e la conseguente conferma degli stessi con la sentenza.

3.- L’Ente appellante critica, inoltre, il capo della decisione con il quale è stata riconosciuta la responsabilità dell’Amministrazione per violazione dell’interesse pretensivo a conseguire le concessioni edilizie ripetutamente ed illegittimamente rifiutate ed è stato conseguentemente condannato il Comune di Ostuni al risarcimento dei danni sofferti dalla società “La Pineta” per l’illecita inibizione dell’esercizio del diritto a costruire nel periodo compreso tra il 25.5.92 (data di scadenza del termine per provvedere sull’istanza originaria) ed il 18.5.2000 (data di adozione delle concessioni edilizie da parte del Commissario ad acta).

Le contestazioni svolte nell’appello con riguardo all’accoglimento della pretesa risarcitoria formulata dall’originaria ricorrente risultano circoscritte a due profili: l’affermata non imputabilità all’Amministrazione di tutto il periodo di ritardo indicato dal T.A.R. ai fini della determinazione del pregiudizio risarcibile e la dedotta insussistenza della lesione dello jus aedificandi in considerazione del difetto della necessaria condizione dell’autorizzazione paesaggistica (in questo caso per le concessioni edilizie originariamente richieste e non per quella, precedentemente esaminata, alla realizzazione dei lavori di completamento).

3.1- Il secondo argomento, ancorchè esposto per ultimo nel ricorso, merita di essere esaminato per primo in quanto logicamente antecedente.

Con tale censura, infatti, si contesta che dai dinieghi di rilascio delle concessioni edilizie richieste da “La Pineta”, ancorchè illegittimi, sia derivata, in concreto, una violazione del diritto a costruire.

Sulla base del rilievo del mancato conseguimento da parte dell’interessata della necessaria autorizzazione paesaggistica, l’Ente ricorrente sostiene, al riguardo, che l’annullamento dei dinieghi opposti alla richiesta di concessioni edilizie non implicava il riconoscimento vincolato ed automatico dello jus aedificandi.

L’esercizio di quest’ultimo, infatti, secondo la prospettazione del ricorrente, risultava, comunque, condizionato al preventivo assenso regionale (di compatibilità ambientale) sicchè, a fronte della restituzione di un potere discrezionale dell’Amministrazione, l’accertamento dell’illecita compressione del diritto a costruire, posto a base della statuizione di condanna contestata, deve ritenersi erroneo in quanto riferito alla lesione di un interesse pretensivo finalizzato al conseguimento di un bene della vita la cui spettanza risulta dubbia e non prevedibile con ragionevole certezza.

Assume, in definitiva, il Comune appellante che la mancanza dell’assenso paesaggistico costituisce elemento ostativo alla ricognizione incidentale della fondatezza della pretesa sostanziale azionata dalla società interessata e, quindi, alla verifica in capo all’Amministrazione di un’obbligazione risarcitoria per la lesione del relativo interesse pretensivo al conseguimento dei titoli necessari all’esercizio dello jus aedificandi.

Occorre, al riguardo, chiarire i limiti ed il contenuto dell’indagine riservata al Giudice Amministrativo investito di una pretesa risarcitoria fondata, come nel caso di specie, sull’affermata violazione di un interesse pretesivo.

Se, invero, risulta astrattamente corretta, ai fini della delibazione della domanda risarcitoria, la prospettazione, contenuta nell’atto d’appello, della necessaria valutazione della spettanza del bene della vita (nella specie l’attività edilizia) connesso all’interesse pretensivo leso dall’azione amministrativa giudicata illegittima (cfr. Cass., SS. UU., n.500/99), l’ammissibilità e la praticabilità di siffatta verifica, ai fini del riconoscimento dell’illecito aquiliano, vanno concretamente controllate con riferimento alla natura, vincolata o meno (e, quindi, surrogabile o meno), dell’azione amministrativa ritenuta illegittima.

Ove, infatti, la valutazione sottesa alla determinazione amministrativa assunta come lesiva risulti vincolata, può giudicarsi ammissibile (anzi doverosa), ai fini che qui interessano, la valutazione della concreta idoneità del provvedimento ad impedire il conseguimento del bene della vita, e della connessa utilità economica, effettivamente spettante all’interessato.

Là dove, viceversa, l’apprezzamento riservato all’Amministrazione risulti caratterizzato da valutazioni discrezionali, deve reputarsi preclusa al Giudice la delibazione della spettanza del bene della vita correlato all’interesse pretensivo leso (verificandosi, altrimenti, un’inammissibile sostituzione dell’organo giudiziario a quello amministrativo, per legge unicamente competente a compiere quella valutazione), con la conseguenza che in queste ultime ipotesi ci si dovrà riferire a diversi parametri ai fini della verifica della sussistenza di tutti gli elementi costitutivi dell’illecito e della determinazione del pregiudizio risarcibile.

In coerenza con i parametri di giudizio appena descritti, si deve rilevare che nel caso in questione non può in alcun modo dubitarsi della fondatezza della pretesa sostanziale (intesa ad ottenere i titoli necessari all’esercizio dello jus aedificandi) avanzata da “La Pineta” con le istanze di concessione in sanatoria ripetutamente respinte e rifiutate dall’Amministrazione Comunale di Ostuni.

Posto, infatti, che l’accertamento giurisdizionale relativo alla compatibilità urbanistica dei progetti presentati dalla società interessata non risulta contestato dall’appellante e che, quindi, la verifica relativa alla spettanza delle concessioni edilizie deve ritenersi definitivamente ed irrevocabilmente acquisita, la contestazione svolta in appello circa la mancanza dell’autorizzazione paesaggistica, che, in effetti, risulterebbe preclusiva del riconoscimento della spettanza del titolo a costruire in zona vincolata, va disattesa in quanto fondata su un presupposto falso.

Mentre, infatti, il Comune ha dedotto a sostegno della censura in esame il difetto del nulla osta ambientale, il rilascio di tale assenso risulta, invece, puntualmente documentato dalla società appellata mediante la produzione (cfr. doc. 3 del fascicolo di parte) della delibera della Giunta Regionale della Puglia n.5272 del 6 agosto 1992 con cui è stata concessa l’autorizzazione prevista dall’art.7 L. n.1497/39 e dall’art.31 L.R. n.56/80 a realizzare l’intervento progettato da “La Pineta” nei lotti G/19 e G/20 della lottizzazione in questione.

Ne consegue che all’originaria ricorrente spettava senz’altro, sotto il duplice profilo della compatibilità urbanistica e di quella ambientale dei progetti presentati, il titolo sostanziale a realizzare i relativi interventi edilizi, di talchè appare corretto l’accertamento compiuto dai primi Giudici circa la sussistenza dei presupposti per l’esercizio dello jus aedificandi e, quindi, in ordine all’illecita lesione di tale posizione soggettiva, per mezzo dell’adozione di atti (illegittimamente) preclusivi del compimento dell’attività costruttiva.

Né vale ad inficiare tale convincimento l’argomento, introdotto dall’appellante solo nella memoria del 5 ottobre 2002, relativo alla sopravvenuta inefficacia dell’autorizzazione paesaggistica, conseguita alla scadenza del termine quinquennale ed all’omessa rinnovazione del nulla osta su istanza dell’interessata, posto che il ritardo cagionato dall’Amministrazione nel riconoscimento (poi giudicato doveroso) del titolo a realizzare l’intervento edilizio non può in alcun modo risolversi in danno del privato che aveva tempestivamente e diligentemente conseguito l’assenso regionale, idoneo a consentire, sotto il profilo della compatibilità ambientale, la relativa attività edilizia, successivamente divenuto inefficace solo a causa delle illegittime determinazioni negative assunte dal Comune e dei tempi occorrenti per la loro rimozione in via giurisdizionale.

3.2- Con altro argomento, il ricorrente nega l’addebitabilità a sé di tutto il periodo di illecita inibizione dello jus aedificandi considerato dal T.A.R. ai fini della determinazione del pregiudizio risarcibile.

Mentre, infatti, i primi Giudici hanno individuato il suddetto periodo a far data dalla presentazione dell’istanza diretta ad ottenere le concessioni in sanatoria (rectius: dalla scadenza del termine per provvedere su tale domanda) e fino all’adozione dei provvedimenti satisfattivi da parte del Commissario ad acta, il Comune nega l’ascrivibilità a propria responsabilità dei ritardi conseguiti alla definizione del ricorso straordinario al Capo dello Stato ed all’omessa attivazione da parte dell’interessata del più celere strumento previsto dall’art.4 commi 5 e 6 L. n.493/93.

A ben vedere, le ragioni difensive appena illustrate vanno qualificate come eccezioni, opposte all’azione risarcitoria svolta in primo grado da “La Pineta”, formulate ai sensi dell’art.1227 II comma c.c.; con esse, infatti, l’odierno ricorrente si propone chiaramente di conseguire una riduzione della misura del pregiudizio risarcibile in ragione dell’accertamento della non ascrivibilità a sé del periodo utilizzato dalla società danneggiata per ottenere la tutela richiesta con i diversi strumenti del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica e di quello giurisdizionale avverso il conseguente silenzio-rifiuto.

Assume, in sostanza, l’Ente ricorrente che il tempo occorso per la definizione dei predetti ricorsi non può essere addebitato a sé, ai fini risarcitori, in quanto il conseguente ritardo nel conseguimento delle concessioni edilizie avrebbe potuto essere evitato dalla società danneggiata mediante l’attivazione diligente di diversi strumenti di tutela.

L’istituto al quale sono stati ricondotti gli argomenti difensivi considerati (previsto e regolato dall’art.1227 II comma c.c.) impone, com’è noto, al creditore danneggiato un vero e proprio obbligo di attivarsi, nei limiti dell’ordinaria diligenza, per evitare le conseguenze patrimoniali dannose e sanziona l’inosservanza di tale dovere escludendo dall’ambito della risarcibilità i danni che avrebbero potuto essere attivati con la diligente osservanza del precetto.

Qualificando tale strumento di difesa come eccezione in senso stretto, la giurisprudenza civile ha, in proposito, stabilito che incombe al debitore, e cioè all’autore dell’illecito, l’onere di provare, con il dovuto rigore, che il creditore-danneggiato avrebbe potuto evitare una parte del pregiudizio patrimoniale, usando l’ordinaria diligenza (cfr. ex multis, Cass. Civ. Sez. Lav., 20 novembre 2001, 14592).

Per negare qualsiasi fondatezza ai motivi in esame, appare, quindi, sufficiente osservare che, nel caso di specie, il Comune ricorrente si è limitato ad affermare la non imputabilità a sé del tempo occorso per la definizione dei ricorsi proposti dalla società danneggiata, senza, tuttavia, dimostrare se ed in che misura l’eventuale attivazione di diversi e più celeri strumenti di tutela (a dire il vero difficilmente immaginabili) avrebbe potuto ridurre il ritardo con cui sono stati, infine, rilasciati i titoli edilizi dal Commissario ad acta.

A ben vedere, in ogni caso, le ragioni allegate dal Comune a sostegno delle proprie eccezioni si risolvono nella contestazione alla società danneggiata di avere tempestivamente, ed utilmente, attivato gli strumenti di tutela amministrativa e giurisdizionale apprestati dall’ordinamento per l’eliminazione degli atti ritenuti illegittimi e lesivi dei suoi interessi, e non, quindi, di avere negligentemente atteso l’aggravamento delle conseguenze dannose dell’operato del Comune.

Sennonché, il tempo occorrente per la definizione di un giudizio tempestivamente azionato dal danneggiato, proprio al fine di ottenere l’accertamento dell’illecito, non può in alcun modo risolversi in danno del creditore e servire alla riduzione del risarcimento ai sensi dell’art.1227 II comma c.c., posto che in tale condotta non è ravvisabile alcuna negligente inerzia nella (doverosa) conservazione del patrimonio (Cass. Civ., Sez. Lav., 29 maggio 1995, n.5993).

Quanto all’omessa attivazione del peculiare strumento di tutela amministrativa apprestato dall’art.4 commi 5 e 6 L. n.493/93 contro il silenzio serbato dall’Amministrazione Comunale a fronte di una domanda intesa ad ottenere una concessione edilizia, è sufficiente rilevare che non vi è alcuna prova che la predetta iniziativa avrebbe condotto ad un risultato parimenti utile e più celere di quello conseguito con la proposizione del ricorso al T.A.R. contro il silenzio-rifiuto e che, comunque, quest’ultimo si presentava ex ante assistito da maggiori garanzie di efficacia, in ragione della sua natura giurisdizionale e del diverso grado di forza dei provvedimenti al suo esito adottati.

3.3- Deve, da ultimo, rilevarsi che la sussistenza degli altri elementi costitutivi dell’illecito aquiliano accertato dai primi Giudici (e segnatamente la colpa dell’Amministrazione ed il danno) non risultano specificamente contestati nell’atto di appello e che, quindi, la relativa verifica deve ritenersi definitivamente compiuta con la decisione impugnata.

Quanto, in particolare, alla determinazione dei criteri per la liquidazione del danno ai sensi dell’art.35 D. Lgs. n.80/98, rileva il Collegio che la relativa contestazione, contenuta nell’ultima parte del ricorso, va giudicata inammissibile in quanto genericamente svolta.

Dalla lettura delle poche righe dell’atto di impugnazione dedicate alla censura della determinazione dei criteri di liquidazione del quantum, infatti, non è dato comprendere quali parametri stabiliti dal T.A.R. sono stati contestati dal ricorrente né le ragioni per le quali gi stessi sono stati ritenuti erroneamente dettati, sicchè non risulta assolto l’onere di specificazione dei motivi di appello, per come definito da costante giurisprudenza (cfr. ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 21 giugno 2001, n.3318).

Se, poi, si intendesse leggere la citazione di un precedente asseritamente contrario (Cons. Stato, Sez. VI, 2 giugno 2000, n.3177) come la contestazione del riconoscimento di tutte le voci di danno diverse da quella, accertata nella decisione citata, relativa all’incremento dei costi di costruzione nel tempo trascorso dal diniego illegittimo al rilascio della concessione, è sufficiente rilevare che nel caso di specie l’attività edilizia illecitamente impedita dall’Amministrazione aveva pacificamente finalità commerciali sicchè appare del tutto corretta la determinazione di criteri comprensivi anche del pregiudizio patrimoniale sofferto dalla società odierna appellata in dipendenza del mancato rispetto degli obblighi contrattuali assunti con i promettenti acquirenti e della conseguente perdita di guadagno (costituita dall’omessa, tempestiva alienazione degli immobili).

4.- Alle considerazioni che precedono consegue la reiezione dell’appello.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, respinge il ricorso indicato in epigrafe;

condanna il Comune di Ostuni a rifondere alla società appellata le spese processuali che liquida in complessivi Euro 3.000,00 (tremila);

ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

 

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 22 ottobre 2002, con l'intervento dei signori:

AGOSTINO ELEFANTE - Presidente

CORRADO ALLEGRETTA - Consigliere

PAOLO BUONVINO - Consigliere

FRANCESCO D’OTTAVI - Consigliere

CARLO DEODATO - Consigliere Estensore

 

L'ESTENSORE                         IL PRESIDENTE                                  IL SEGRETARIO

f.to Carlo Deodato                     f.to Agostino Elefante                           f.to Luciana Franchini

 

 

 

 

 

M A S S I M E

 

Sentenza per esteso

 

1) Natura del provvedimento relativo alla concessione edilizia e quello relativo al nulla osta ambientale - il nulla osta regionale costituisce un mero requisito di efficacia (e non, dunque, un presupposto di legittimità) della concessione edilizia - la legittima esecuzione dell’attività edilizia è condizionata dal rilascio dell’autorizzazione paesaggistica. E’ stato, infatti, affermato, con orientamento qui condiviso, che il provvedimento relativo alla concessione edilizia e quello relativo al nulla osta ambientale sono tra loro autonomi ed indipendenti, realizzando interessi distinti e fondandosi su presupposti diversi, e che, quindi, il rilascio della prima non risulta condizionato dalla previa emanazione del secondo (Cons. Stato, Sez. VI, 19 giugno 2001, n.3242). Si è, inoltre, chiarito, in coerenza con il predetto principio, che il nulla osta regionale costituisce un mero requisito di efficacia (e non, dunque, un presupposto di legittimità) della concessione edilizia, nel senso che solo la realizzazione dell’opera assentita con quest’ultima, in zona soggetta a vincolo paesaggistico, postula il previo conseguimento dell’assenso ambientale (Cons. Stato, Sez. VI, 20 novembre 2000, n.6193). E’solo la legittima esecuzione dell’attività edilizia ad essere condizionata dal rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, e non anche, come infondatamente sostenuto dal ricorrente, l’adozione della concessione. Diversamente opinando, peraltro, si perverrebbe all’inaccettabile conseguenza di giudicare illegittima una concessione edilizia espressamente condizionata al conseguimento del nulla osta regionale, quando questo è stato rilasciato prima dell’inizio dei lavori assentiti. Appare, in definitiva, chiaro che, nella situazione appena descritta, risultano compiutamente soddisfatti tutti gli interessi pubblici sottesi alla normativa edilizia ed ambientale di riferimento, puntualmente valutati dagli organi rispettivamente competenti e ritenuti compatibili con l’intervento assentito, e che solo un eventuale diniego di autorizzazione paesaggistica avrebbe potuto fondare un giudizio di inefficacia (non di illegittimità) della concessione edilizia in questione. Va, quindi, negata ogni fondatezza alle censure rivolte contro i provvedimenti adottati dal Commissario ad acta e la conseguente conferma degli stessi con la sentenza. Consiglio di Stato, V Sezione del 14 gennaio 2003 sentenza n. 87

2) Risarcimento danni - criteri di liquidazione del quantum - l’onere di specificazione dei motivi di appello - caso di incremento dei costi di costruzione nel tempo trascorso dal diniego illegittimo al rilascio della concessione. Dalla lettura delle poche righe dell’atto di impugnazione dedicate alla censura della determinazione dei criteri di liquidazione del quantum, infatti, non è dato comprendere quali parametri stabiliti dal T.A.R. sono stati contestati dal ricorrente né le ragioni per le quali gi stessi sono stati ritenuti erroneamente dettati, sicchè non risulta assolto l’onere di specificazione dei motivi di appello, per come definito da costante giurisprudenza (cfr. ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 21 giugno 2001, n.3318). Se, poi, si intendesse leggere la citazione di un precedente asseritamente contrario (Cons. Stato, Sez. VI, 2 giugno 2000, n.3177) come la contestazione del riconoscimento di tutte le voci di danno diverse da quella, accertata nella decisione citata, relativa all’incremento dei costi di costruzione nel tempo trascorso dal diniego illegittimo al rilascio della concessione, è sufficiente rilevare che nel caso di specie l’attività edilizia illecitamente impedita dall’Amministrazione aveva pacificamente finalità commerciali sicchè appare del tutto corretta la determinazione di criteri comprensivi anche del pregiudizio patrimoniale sofferto dalla società odierna appellata in dipendenza del mancato rispetto degli obblighi contrattuali assunti con i promettenti acquirenti e della conseguente perdita di guadagno (costituita dall’omessa, tempestiva alienazione degli immobili). Nello stesso senso: C.d.S., Sez. V, 14/01/2003 n. 88. Consiglio di Stato, V Sezione del 14 gennaio 2003 sentenza n. 87

 

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