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Legislazione  giurisprudenza                                                      Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso


 

 Massime della sentenza

 

 

Consiglio di Stato, Sezione IV - 18 febbraio 2003 - Sentenza n. 880

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente


D E C I S I O N E


Sul ricorso N.2662/2002, proposto dalla società Syrom 90 S.p.A., rappresentata e difesa dai prof.ri Giuseppe Stancanelli e Romano Corsinovi, ed elettivamente domiciliata in Roma, presso lo studio del dott. Gian Marco Grez, lungotevere Flaminio n.46;
contro
Il Comune di Vinci, in persona del sindaco pro-tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Fausto Falorni ed elettivamente domiciliato in Roma, presso lo studio dell'avv. A. Placidi, Lungotevere Flaminio, n. 46 - Pal. IV;
e nei confronti
del sig. Francesco Pluchino, rappresentato e difeso dagli avv.ti Rino Gracili, Enza Mannise ed elettivamente domiciliato in Roma, presso lo studio dell'avv. M. Mellaro, P.zza S,. Andrea della Valle, n. 3;
per l’annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana n. 2187, del 21 dicembre 2001;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’avv. Falorni e dell’avv. Gracili;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Vista la decisione istruttoria della Sezione n. 6274/2002 del 12 novembre 2002 e la documentazione depositata in esecuzione di essa;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla pubblica udienza del 10 dicembre 2002 il consigliere Raffaele Maria De Lipsis, e uditi altresì l’avv. Stancanelli per l’appellante, l’avv. Falorni per il Comune e l’avv.. Gracili per il controinteressato;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO


Con sentenza n. 2187 del 21 dicembre 2001 il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana, Sez. II°, respingeva il ricorso proposto dalle società Syrom 90 S.p.A. e Polymat avverso l’ordinanza n. 14/4 del 3 febbraio 2000, con la quale il responsabile del 4° servizio del Comune di Vinci aveva ingiunto alle citate società – ai sensi dell’art. 217 del Testo Unico delle leggi sanitarie - di presentare un piano di bonifica acustica dei loro impianti siti nel predetto territorio, in grado di riportare la rumorosità complessiva degli stessi entro i limiti di 3 dB in orario notturno ed entro i 5 dB in orario diurno.


Appellano la predetta decisione le soccombenti società, deducendo i seguenti motivi di gravame:


1) “Falsa applicazione dell’art.2, comma 3, lett. b), della legge 26 ottobre 1995, n. 447, in relazione al D.P.C.M. dell’1 marzo 1991 e all’art. 8 del D.M. 14 novembre 1997.


Falsa applicazione dell’art.2, comma 6, del D.P.C.M. 1 marzo 1991: violazione di legge”.


Contrariamente a quanto ritenuto dal T.A.R., il criterio del “valore limite differenziale”, di cui all’art.6, secondo comma, del D.P.C.M. 1 marzo 1991, adottato dall’ARPAT nei rilevamenti effettuati nel caso di specie e riportato nell’impugnata ordinanza, non sarebbe applicabile fino al momento in cui non si sia proceduto, da parte dei Comuni, alla c.d. “zonizzazione” del territorio comunale.


Inoltre, sarebbe, altresì, errata la contrapposizione effettuata dai primi giudici tra “sorgenti sonore fisse” e “sorgenti sonore mobili” e, comunque, per interpretare correttamente la citata disposizione, si dovrebbe fare riferimento alla zona in cui si trova la sorgente sonora e non a quella vicina dove il rumore si propaga.


Infine, nella specie, poiché la zona dove sono ubicati gli stabilimenti in questione è industriale, quella dove sorge l’abitazione del sig. Pluchino avrebbe dovuto essere lasciata a spazio libero ovvero a sufficiente distanza dalla prima. Pertanto, la situazione creatasi sarebbe dipesa da una errata pianificazione urbanistica dei due comuni confinanti (Vinci e Cerreto Guidi), che non si sarebbero correttamente coordinati tra di loro.


2) “Falsa applicazione degli artt. 1 e 2 del D.M. 11 dicembre 1996 in relazione all’art. 3 dello stesso D.M.: Violazione di legge”.


Contrariamente a quanto sostenuto dal TAR nella gravata decisione, l’inpianto in questione sarebbe da considerarsi “a ciclo continuo produttivo”, secondo la definizione indicata nell’art. 2 del D.M. 11 dicembre 1966, in quanto esso presenterebbe “ caratteristiche tali da consentirne la fermata produttiva nel fine settimana, ma non quella giornaliera di otto ore”.


Inoltre, le appellanti contestano anche l’interpretazione effettuata dai primi giudici con riferimento alle condizioni di sussistenza affinchè un impianto industriale possa essere definito a ciclo continuo, sostenendo che le condizioni all’uopo previste dal citato art.2 del D.M. del 1966 e, cioè, l’attività ininterrotta, pena la conseguenza di danni gravi all’impianto, e l’applicazione di contratti collettivi di lavoro “sulle ventiquattro ore per cicli settimanali”, andrebbero considerate come “ condizioni alternative e non aggiuntive “, con la conseguenza che il ricorrere di una sola di esse sarebbe sufficiente a qualificare l’impianto “ a ciclo produttivo continuo”. E poiché, nella specie, l’impianto de quo sarebbe regolato da contratti collettivi nazionali di lavoro “ sulle ventiquattro ore per cicli settimanali”, sarebbe pienamente dimostrato che l’impianto stesso rientrerebbe nella menzionata definizione del citato art.2.


3) “Eccesso di potere per sviamento di potere”.


Viene reiterato il motivo di gravame articolato nel ricorso introduttivo con riferimento a quella parte dell’ordinanza impugnata in cui si afferma che” la rumorosità dell’impianto in questione risulta da anni di estrema gravità per l’igiene pubblica”. Il richiamo all’igiene pubblica sarebbe falso e tendenzioso, atteso che la zona limitrofa in cui è situata l’abitazione del sig. Pluchino sarebbe agricola e, quindi, non destinata alla residenza, per cui alcuna incidenza della contestata immissione si verificherebbe sulla “igiene pubblica”.


Lo sviamento risulterebbe direttamente dall’atto impugnato, in quanto lo scopo reale della Pubblica Amministrazione sarebbe stato quello di favorire il sig. Pluchino ed i suoi congiunti, unica “ popolazione vicina” di cui si parla nell’ordinanza.


Resisteva al ricorso il controinteressato, il quale- premesso di essere un coltivatore diretto residente, dal 1967, in una casa colonica nel comune di Cerreto Guidi al confine con il comune di Vinci- contestava analiticamente le censure e le affermazioni delle ricorrenti società, sostenendo, in particolare che:


a) ai sensi del combinato disposto dell’art. 6 del D.P.C.M. del 1991 e 4 del D.P.C.M. 14 novembre 1997, il criterio del limite differenziale si applicherebbe anche in assenza di zonizzazione del territorio da un punto di vista acustico;


b) il rumore (e, quindi, il limite differenziale) andrebbe misurato nella zona in cui esso è udibile e, quindi, dalla sua abitazione e non dalla zona in cui si trova lo stabilimento;


c) le aziende appellanti non potrebbero considerarsi a ciclo produttivo continuo, ai fini dell’esclusione del criterio differenziale, come chiarito dall’ARPAT, e la relazione prodotta dalle interessate – in quanto documento di parte (peraltro presentata solo in secondo grado)- non sarebbe, ex se, probante del contrario.


c) l’inquinamento acustico, nonostante le sentenze favorevoli conseguite dall’interessato in sede civile, persisteva, con grave danno alla salute.


Si costituiva anche il comune di Vinci, che insisteva per la legittimità della contestata ordinanza, adottata su precisi presupposti di fatto e pareri tecnici (A.S.L. ed A.R.P.A.T.) e concludeva per la reiezione dell’appello.


In esecuzione dell’adempimento istruttorio disposto con la menzionata decisione n. 5274/2002, tutte le parti depositavano ulteriori memorie e note difensive, ribadendo le rispettive tesi difensive.


DIRITTO


1) Come diffusamente evidenziato in narrativa, la controversia all’esame del Collegio s’incentra sulla legittimità di una attività industriale di produzione di nastro adesivo, localizzata da oltre venti anni nel comune di Vinci, sotto il profilo del suo possibile inquinamento acustico per eccedenza di immissioni sonore provenienti dagli stabilimenti e ritenute dannose per la salute dell’odierno resistente, abitante con la famiglia in una casa colonica posta oltre il confine comunale e precisamente nel territorio di un altro comune, quello di Cerreto Guidi.


In particolare, le contestazioni rivolte agli impianti delle società originarie ricorrenti e odierne appellanti con il provvedimento di “bonifica acustica” impugnato in primo grado riguardano il superamento dei valori limite differenziali- normativamente disciplinati dalla legge quadro sull’inquinamento acustico 26 ottobre 1995, n.447 e dai D.P.C.M 1 marzo 1991 (art.6) e 14 novembre 1997 (art. 4), che hanno introdotto i “valori limite differenziali di immissione”- e non anche il superamento dei valori assoluti.


Al riguardo, come affermato nella decisione di questa Sezione n.6274/2002, del 12 novembre 2002, il sistema previsto dall’art. 6 della richiamata legge n. 447/1995 presuppone il preventivo azzonamento acustico del territorio comunale ed è onere del Comune predisporre i c.d. piani di zonizzazione, con un preciso contenuto tecnico stabilito dalla citata normativa e con una particolare attenzione a quelle specifiche situazioni di fatto che- come nel caso di specie- meritano, principalmente a cagione della loro vetustà e delle possibili conseguenze dannose alla salute, di essere valutate e disciplinate in maniera non illogica.


Orbene, nella situazione in cui il comune di Vinci ha operato, non è stato ancora adottato alcun piano di zonizzazione acustica, strumento necessario ad individuare sia quelle aree sulle quali possono essere consentiti più elevati strumenti di rumorosità ovvero gli spazi necessari a garantire un adeguato abbattimento del rumore stesso, in relazione alle sorgenti sonore presenti ed ai livelli di rumorosità da esse prodotte, sia le eventuali “fasce-cuscinetto” tra zone diversamente classificate.


D’altra parte, proprio l’art. 4 della menzionata legge n.447/1995 prevede esplicitamente che le regioni – nel fissare con legge i criteri di classificazione da rispettarsi da parte dei comuni- devono stabilire “ il divieto di contatto diretto di aree, anche appartenenti a comuni confinanti, quando tali valori si discostano in misura superiore a 5dBA di livello sonoro equivalente misurato secondo i criteri stabiliti dal D.P.C.M. 1° marzo 1991”, stabilendo altresì, che “qualora nell’individuazione delle aree nelle zone già urbanizzate non sia possibile rispettare tale vincolo a causa di preesistenti destinazioni d’uso, si prevede l’adozione dei piani di risanamento di cui all’art. 7”, piani che, peraltro, debbono essere approvati dal consiglio comunale.


Pertanto, nella specie, per verificare effettivamente quali possano essere gli effettivi limiti di rumorosità che dovranno essere rispettati dagli operatori, appare necessario la preventiva predisposizione della zonizzazione acustica, allo stato mancante.


2) Quanto sopra premesso e ribadito che la definitiva soluzione della questione di cui trattasi potrà raggiungersi soltanto all’esito dell’adozione del menzionato strumento di pianificazione territoriale, occorre, ora, stabilire se l’impianto in questione abbia o meno la caratteristica di “ impianto a ciclo produttivo continuo”, come affermato dalle odierne appellanti, contrariamente all’assunto contenuto nell’ordinanza impugnata.


Stabilisce l’art. 2 del richiamato D.M. 11 dicembre 1996 che: “si intende per impianto a ciclo produttivo continuo:a) quello in cui non è possibile interrompere l’attività senza provocare danni all’impianto stesso, pericolo di incidenti o alterazioni del prodotto o per necessità di continuità finalizzata a garantire l’erogazione di un servizio pubblico essenziale;


b) quello il cui esercizio è regolato da contratti collettivi nazionali di lavoro o da norme di legge, sulle ventiquattro ore per cicli settimanali, fatte salve le esigenze di manutenzione”.


Bisogna, quindi esaminare se i menzionati presupposti - la cui sussistenza non è prevista in via cumulativa ma alternativa, nel senso che basterebbe la vigenza di uno soltanto di essi per identificare la categoria dell’impianto (cfr., al riguardo, la citata decisione di questa Sezione n.6274/2002) - siano o meno posseduti dagli stabilimenti colpiti dalla contestata ordinanza.


2.1) In ordine al possesso del requisito sub a), esso è stato già escluso da questa Sezione con la citata sentenza n.6274/2002, atteso che- come correttamente rilevato dal T.A.R. sulla base di quanto risultato dagli accertamenti tecnici compiuti dalla A.S.L. e dalla A.R.P.A.T. - nella specie, “l’unico impianto funzionante realmente di continuo è la centrale termica, oltre che - in particolari periodi dell’anno- la centrale frigorifera”.


Pertanto, lo stabilimento in questione non può essere ricondotto, sotto l’esaminato profilo alla menzionata tipologia dell’impianto a ciclo continuo, con particolare riferimento alla “impossibilità di interrompere l’attività produttiva senza provocare danni all’impianto stesso”.


2.2) Per quanto concerne, invece, il secondo dei predetti requisiti, relativo alla vigenza, nel caso di specie, di un contratto collettivo nazionale di lavoro, contenente disposizioni relative ai lavoratori impiegati con il sistema delle “ventiquattro ore per cicli settimanali”, esso - a parere del Collegio - può ritenersi provato a seguito della specifica istruttoria disposta per accertare la sussistenza o meno della suddetta circostanza di fatto.


Invero, dai documenti depositati, anche in udienza (C.C.N.L. relativo agli addetti dell’industria della gomma, cavi elettrici ed affini nonché industria delle materie plastiche; verbali di accordo tra la R.S.U. e l’Azienda ed accordo tra il Consiglio di fabbrica e l’Azienda), risulta chiaramente quanto segue:


a) le previsioni del C.C.N.L. per i lavoratori dell’industria della gomma e della plastica- ancorchè non sembrino disciplinare in maniera automatica e diretta il lavoro sulle ventiquattro ore per cicli settimanali- consentono, tuttavia, di organizzare, negli stabilimenti de quibus, il lavoro a ciclo continuo, quale scelta di specie dell’imprenditore, da concordare con le rappresentanze sindacali;


b) tale scelta industriale di ricorrere al “ciclo continuo”, specie nei reparti “recupero solventi” e “spalmatura” (maggiormente interessati dalla contestata ordinanza di bonifica acustica), risulta effettuata soventemente, attraverso specifici accordi sindacali tra Azienda e parti sociali;


c) la mancanza di un tempestivo aggiornamento dei predetti accordi - il cui contenuto, peraltro, difficilmente potrebbe essere considerato obsoleto nel caso di specie - non induce a ritenere che il “minimum” di modalità di svolgimento del “ciclo continuo” nei citati reparti estrusione e spalmatura non sia in concreto sempre applicabile.


Pertanto, ritiene il Collegio che – contrariamente all’assunto delle odierne parti controinteressate - gli impianti delle società appellanti possono essere considerati a ciclo produttivo continuo. Ne consegue che, ancorchè privi del primo requisito contemplato nell’art. 2 del D.M. 11 dicembre 1996 (impossibilità di interruzione dell’attività produttiva senza provocare danni all’impianto), gli stabilimenti in questione posseggono, comunque, il secondo dei requisiti previsti dal citato art. 2 (applicazione nei loro confronti dei contratti collettivi di lavoro sulle ventiquattro ore per cicli settimanali) e ciò li esonera- allo stato - dal rispetto dei limiti di inquinamento acustico, fissati dalla vigente normativa per la generalità degli altri impianti industriali ed in particolare dal rispetto del criterio del “limite differenziale” fissato dai D.P.C.M. 1 marzo 1991 e 14 novembre 1997.


3) E’ evidente, poi, che, allorquando il Comune interessato avrà provveduto all’azzonamento acustico del territorio comunale, con l’adozione dell’apposito strumento necessario ad individuare le eventuali aree sulle quali garantire un adeguato abbattimento del rumore, la situazione de qua potrà essere valutata e disciplinata in maniera diversa.


4) Alla luce delle su esposte considerazioni, l’appello va accolto e, per l’effetto, va annullata l’impugnata sentenza.


Sussistono, tuttavia, giusti motivi per compensare interamente tra le parti le spese del presente grado di giudizio.


P.Q.M.


Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sez. IV), definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe, lo accoglie e, per l’effetto, annulla l’impugnata sentenza.


Compensa integralmente tra le parti le spese del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma dalla Sezione IV del Consiglio di Stato, nella camera di consiglio del 10 dicembre 2002, con l'inter-
vento dei signori:
Gaetano TROTTA - Presidente
Costantino SALVATORE -Consigliere
Raffaele Maria De Lipsis - Consigliere estensore
Marinella DEDI RULLI - Consigliere
Carlo SALTELLI - Consigliere


 

M A S S I M E

 

Sentenza per esteso

 

1) Inquinamento acustico - il divieto di contatto diretto di aree - zone già urbanizzate - il provvedimento di “bonifica acustica” - il superamento dei valori limite differenziali normativamente disciplinati dalla legge quadro sull’inquinamento acustico - i c.d. piani di zonizzazione - vetustà degli impianti e delle possibili conseguenze dannose alla salute. L’art. 4 della legge n.447/1995 prevede esplicitamente che le regioni -nel fissare con legge i criteri di classificazione da rispettarsi da parte dei comuni- devono stabilire “il divieto di contatto diretto di aree, anche appartenenti a comuni confinanti, quando tali valori si discostano in misura superiore a 5dBA di livello sonoro equivalente misurato secondo i criteri stabiliti dal D.P.C.M. 1° marzo 1991”, stabilendo altresì, che “qualora nell’individuazione delle aree nelle zone già urbanizzate non sia possibile rispettare tale vincolo a causa di preesistenti destinazioni d’uso, si prevede l’adozione dei piani di risanamento di cui all’art. 7”, piani che, peraltro, debbono essere approvati dal consiglio comunale. (Nella specie, le contestazioni rivolte agli impianti delle società con il provvedimento di “bonifica acustica” impugnato in primo grado riguardano il superamento dei valori limite differenziali- normativamente disciplinati dalla legge quadro sull’inquinamento acustico 26 ottobre 1995, n.447 e dai D.P.C.M 1 marzo 1991 (art.6) e 14 novembre 1997 (art. 4), che hanno introdotto i “valori limite differenziali di immissione”- e non anche il superamento dei valori assoluti). Il sistema previsto dall’art. 6 dai D.P.C.M 1 marzo 1991 presuppone il preventivo azzonamento acustico del territorio comunale ed è onere del Comune predisporre i c.d. piani di zonizzazione, con un preciso contenuto tecnico stabilito dalla citata normativa e con una particolare attenzione a quelle specifiche situazioni di fatto che -come nel caso di specie- meritano, principalmente a cagione della loro vetustà e delle possibili conseguenze dannose alla salute, di essere valutate e disciplinate in maniera non illogica. Consiglio di Stato Sezione IV, - 18 febbraio 2003 - Sentenza n. 880

 

2) Definizione di “impianto a ciclo produttivo continuo” - presupposti - la tesi dell’alternatività presupposti (e non la sussistenza cumulativa). L’esatta interpretazione dell’art. 2 del D.M. 11 dicembre 1996, che contiene la definizione di “impianto a ciclo produttivo continuo”, stabilisce citata la disposizione: “si intende per impianto a ciclo produttivo continuo:a) quello in cui non è possibile interrompere l’attività senza provocare danni all’impianto stesso, pericolo di incidenti o alterazioni del prodotto o per necessità di continuità finalizzata a garantire l’erogazione di un servizio pubblico essenziale; b) quello il cui esercizio è regolato da contratti collettivi nazionali di lavoro o da norme di legge, sulle ventiquattro ore per cicli settimanali, fatte salve le esigenze di manutenzione”. Sul punto, affermano i primi giudici che, ai fini della corretta definizione di uno stabilimento industriale come “impianto a ciclo continuo”, le condizioni previste dal citato art. 2 del D.M.del 1996 debbano sussistere entrambe. Sostengono, invece, le società ricorrenti che i menzionati presupposti sono tra loro alternativi, nel senso che basterebbe la sussistenza di uno di essi per identificare l’impianto nella categoria in questione. La tesi dell’alternatività dei citati presupposti merita di essere condivisa. Induce a tale conclusione l’interpretazione logico-letterale della disposizione in esame. Invero, appare agevole ritenere che alla lett. a) del menzionato art. 2 sono state considerate alcune situazioni tecniche (interruzione d’attività provocante danni all’impianto, mancata continuità d’esercizio finalizzata all’erogazione di un servizio pubblico essenziale, ecc.), la cui possibile evenienza vale a qualificare indirettamente l’impianto di riferimento quale “impianto a ciclo produttivo continuo”; mentre, con la lett. b) dello stesso articolo, si è inteso completare la fattispecie, stabilendo che in tutte le ipotesi in cui si applica all’esercizio il contratto collettivo nazionale di lavoro “ sulle ventiquattro ore per cicli settimanali”, per ciò stesso, in maniera diretta ed automatica, l’impianto sia da ritenere a ciclo produttivo continuo. Stabilita l’alternatività (e non la sussistenza cumulativa) dei menzionati presupposti, bisogna, ora, esaminare se i medesimi siano posseduti dallo stabilimento colpito dall’ordinanza contestata. (Nella specie a parere del Collegio è stato escluso l’impianto de quo, atteso che come correttamente rilevato dal T.A.R. sulla base di quanto risultato dagli accertamenti tecnici compiuti dalla A.S.L. e dalla A.R.P.A.T., “l’unico impianto funzionante realmente di continuo è la centrale termica, oltre che- in particolari periodi dell’anno- la centrale frigorifera”). Consiglio di Stato Sezione IV, - 18 febbraio 2003 - Sentenza n. 880


3) Il criterio del limite differenziale - limiti di applicazione - lavoro a ciclo continuo - rappresentanze sindacali. Ai sensi del combinato disposto degli articoli 6 del DPCM 1 marzo 1991 e 4 del DPCM 14 novembre 1997, il criterio del limite differenziale non si applica, allorquando le previsioni del C.C.N.L. per i lavoratori dell’industria della gomma e della plastica- seppure non disciplinanti in maniera automatica e diretta il lavoro sulle ventiquattro ore per cicli settimanali- consentono, tuttavia, di organizzare, nei relativi stabilimenti, il lavoro a ciclo continuo, quale scelta di specie dell’imprenditore, da concordare con appositi accordi con le rappresentanze sindacali. Consiglio di Stato Sezione IV, - 18 febbraio 2003 - Sentenza n. 880
 

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