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 Massime della sentenza

 

 

Consiglio di Stato, Sezione V - 19 febbraio 2003 - Sentenza n. 913

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Quinta Sezione ANNO 2002 ha pronunciato la seguente
 

decisione


sul ricorso in appello n.4554/2002 proposto dal Comune di Torino, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli Avv.ti Maria Antonietta Caldo, Maria Lacognata e Massimo Colarizi ed elettivamente domiciliato presso quest’ultimo in Roma, Via Panama n.12;
contro
la Maelga s.s., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Guido Francesco Romanelli, Riccardo Ludogoroff e Vittorio Barosio ed elettivamente domiciliata presso il primo in Roma, Via Cosseria n.5;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, Sez. I, n.834/02 in data 10.4/15.4.02;
Visto l’atto di appello con i relativi allegati;
Visti l’atto di costituzione in giudizio della Maelga s.s.;
Viste le memorie difensive delle parti;
Visti gli atti tutti della causa;
Alla pubblica udienza del 13 dicembre 2002, relatore il consigliere Carlo Deodato, uditi i difensori delle parti, come da verbale d’udienza;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
 

FATTO


Con la sentenza appellata veniva annullato, in accoglimento del ricorso proposto dalla Maelga s.s. dinanzi al T.A.R. per il Piemonte, il provvedimento del 12 ottobre 2001 con il quale il Comune di Torino aveva negato la concessione edilizia richiesta dalla società istante in data 1 agosto 2000.


Avverso tale decisione proponeva rituale appello il Comune di Torino, criticando la correttezza del giudizio di illegittimità formulato dai primi giudici, sotto entrambi i profili a quel fine apprezzati, ed invocando la riforma della sentenza impugnata.


Resisteva la Maelga, contestando la fondatezza delle censure dedotte a sostegno dell’appello, ribadendo la sussistenza dei vizi rilevati dal T.A.R. e domandando la reiezione del ricorso.


Le parti illustravano ulteriormente le loro tesi mediante memorie difensive.


Alla pubblica udienza del 13 dicembre 2002 il ricorso veniva trattenuto in decisione.
 

DIRITTO


1.- E’ controversa la legittimità del provvedimento prot. n. 2000/1/12151 in data 12 ottobre 2001 con il quale il Comune di Torino ha negato una concessione edilizia richiesta dalla società Malga sulla base del rilievo della riconducibilità dell’area interessata dall’attività costruttiva entro l’ambito applicativo dell’art.30, V comma, lett.b), L.R. n.56/77, che contempla un divieto generale di nuove costruzioni in zone del tipo di quella in questione.


Con la decisione appellata, il T.A.R. ha giudicato illegittimo tale atto sia in quanto insufficientemente motivato sia in quanto carente della necessaria verifica istruttoria della compatibilità geomorfologica dell’intervento edilizio progettato dalla società ricorrente.


Il Comune di Torino contesta la sussistenza di entrambi i vizi riscontrati dal T.A.R. ed assunti a sostegno della pronuncia appellata.


2.- Con il primo motivo viene, quindi, criticata la decisione impugnata nella parte in cui è stato accertato il vizio di difetto di motivazione.


Assume, in proposito, l’Ente appellante che, contrariamente a quanto ritenuto dai primi giudici, la motivazione del provvedimento controverso contiene la specifica indicazione delle ragioni giudicate ostative al rilascio del titolo e, in particolare, delle disposizioni, regolamentari e legislative, impeditive dell’intervento edilizio che la società istante intendeva realizzare.


La doglianza è fondata.


Dalla lettura del diniego impugnato in primo grado si ricava, invero, chiaramente che l’Amministrazione ha negato l’assenso a costruire in esito ad un iter logico puntualmente esplicitato nell’atto.


Nella motivazione del provvedimento si dà, infatti, chiaramente conto che l’attività edilizia progettata dalla Maelga è stata reputata contrastante con il punto 3 dell’analisi dei dissesti dello studio geologico parte di collina, allegato alle N.U.E.A. del P.R.G., e che, quindi, in applicazione dell’art.30 c.5 L.R. n.56/77 (richiamato dalla predetta disposizione regolamentare), è stato ritenuto vietato ogni intervento costruttivo nelle aree del tipo di quella in questione.


Come si vede, dall’esame testuale della parte motiva dell’atto è dato comprendere agevolmente la natura del contrasto con la vigente disciplina urbanistico-edilizia, ritenuto dall’Amministrazione preclusivo del rilascio del titolo, sicchè, in presenza di una così esplicita esternazione delle ragioni di fatto e di diritto che hanno determinato l’assunzione dell’atto, non pare in alcun modo configurabile il vizio di difetto di motivazione, erroneamente riscontrato dai primi giudici.


3.- Con la seconda censura si critica, invece, la decisione appellata nella parte in cui è stato ritenuto illegittimo il provvedimento in quanto non preceduto, come, viceversa, giudicato doveroso, da una specifica indagine istruttoria circa l’idoneità dell’area, secondo i suoi caratteri geomorfologici, ad ospitare nuovi insediamenti.


La questione può essere illustrata nei termini che seguono.


Nel P.R.G. originariamente adottato dal Comune di Torino erano state previste, per la zona collinare, cinque classi di edificabilità ed il terreno di proprietà della Maelga, classificato, secondo un diverso indice di stabilità, come 5b, apparteneva alla classe 3 - edificabilità condizionata – sicchè, in applicazione di tale disciplina, l’attività edilizia nella zona in questione non poteva ritenersi radicalmente preclusa.


Sennonché, in sede di approvazione del P.R.G., la Regione Piemonte, con delibera G.R. in data 21.4.95 n.3-45091, aveva inserito d’ufficio, al punto 3 dell’allegato studio geologico parte di collina - analisi dei dissesti, la previsione, espressamente qualificata prevalente su altre, difformi prescrizioni del Piano, per cui a tutte le aree comprese nelle classi di stabilità 4, 5, 6 e 7, tra le quali rientra pacificamente quella della Maelga, si applica l’art.30 c.5 L.R. n.56/77, che vieta ogni intervento edilizio nelle aree “soggette a dissesto, a pericolo di valanghe o di alluvioni o che comunque presentino caratteri geomorfologici che la rendano inidonea a nuovi insediamenti”.


Così delineata la disciplina, legislativa e regolamentare, di riferimento, si deve, ancora, rilevare che il T.A.R. ha escluso che il richiamo dell’art.30 L.R. n.56/77, ad opera del punto 3 dello studio geologico, implicasse un divieto assoluto di edificabilità ed ha, invece, ritenuto che l’applicazione della norma regionale imponesse all’Amministrazione una verifica in concreto circa la pericolosità idrogeologica del terreno interessato dalla costruzione, giudicando, quindi, illegittimo il diniego adottato in mancanza di quella necessaria indagine istruttoria.


Il Comune appellante critica il convincimento espresso dai primi giudici, denunciando il carattere illogico e contraddittorio della lettura del combinato disposto delle disposizioni regolamentari e legislative sopra indicate, assunta dal T.A.R. a fondamento del giudizio di illegittimità del diniego.


La società appellata difende, di contro, l’esegesi preferita dal T.A.R., ribadendo la necessità di una verifica in concreto, nelle aree con classificazione di instabilità pari alla propria, della compatibilità geomorfologica dell’intervento edilizio da assentire.


Si deve, anzitutto, rilevare che, per effetto della modifica d’ufficio del punto n.3 dell’allegato studio geologico, il regime edificatorio del terreno della Maelga non è più quello di area ad edificabilità condizionata, secondo il punto 7.3 del medesimo allegato, ma, in virtù della clausola di prevalenza introdotta dalla Regione, quello costituito dal combinato disposto dell’anzidetto punto n.3 e dall’art.30 c.5 lett.b) L.R. n.56/77, sicchè non pare in alcun modo invocabile la difforme disciplina contenuta nel P.R.G. adottato dal Comune di Torino (e definitivamente sostituita dalle modifiche introdotte in sede di sua approvazione).


Così chiarita la disciplina di riferimento, osserva il Collegio che l’indagine ermeneutica circa il contenuto precettivo da assegnare alla disposizione legislativa regionale richiamata non può prescindere dal rilievo che le aree alle quali la stessa va applicata risultano già classificate come instabili dal vigente strumento urbanistico comunale, sicchè la lettura del divieto di cui all’art.30 L.R. n.56/77 dev’essere orientata da tale presupposta qualificazione delle zone che, in forza del punto n.3 dell’allegato, sono state assoggettate a quel regime.


Appare, allora, agevole rilevare che, se è vero che il divieto contenuto nell’art.30 L.R. n.56/77 esige, per la sua operatività, un’indagine specifica circa la pericolosità idrogeologica del terreno interessato dall’attività edilizia, non altrettanto può dirsi per le ipotesi, quale quella in esame, nelle quali la qualificazione dell’area come instabile è già stata compiuta in via preventiva ed astratta in sede di formazione della disciplina urbanistica ed edilizia comunale.


In quest’ultimo caso, infatti, la verifica dell’incompatibilità di nuove costruzioni con i caratteri geomorfologici dell’area è già stata effettuata dal Comune, con la conseguenza che il rinvio alla ricordata disposizione regionale non può che intendersi come riferito al divieto di edilificabilità nelle zone assoggettate a quella disciplina (e precedentemente classificate come instabili dal COmune), atteso che il precetto contenuto nella norma richiamata risulta integrato e completato, come già evidenziato, dalla preventiva definizione in via amministrativa della situazione di fatto che impedisce la realizzazione di nuovi insediamenti.


Una diversa lettura della disciplina considerata risulterebbe, inoltre, priva di senso, finendo per privare di ogni utilità ed efficacia la modifica introdotta d’ufficio in sede di approvazione del P.R.G., che si risolverebbe in una superflua ripetizione, per talune classi di instabilità, dell’obbligo di un’indagine istruttoria circa le condizioni del terreno o, peggio, nel riconoscimento dell’ammissibilità dell’attività edilizia in aree nelle quali, secondo la disciplina contenuta nella versione originaria del Piano, era vietato ogni intervento.


Risulta, quindi, chiaro che l’opzione ermeneutica prescelta dal T.A.R. va rifiutata in quanto contraria al canone ermeneutico che impedisce una lettura che assegni alla disposizione un contenuto precettivo privo di efficacia ed utilità o, addirittura, contrastante con le sue finalità, nella specie chiaramente identificabili nella restrizione delle possibilità edificatorie nelle aree che presentino rischi di tenuta idrogeologica, secondo gli studi già compiuti dallo stesso Comune.


Anche sotto il profilo considerato, in definitiva, il diniego di concessione edilizia impugnato in primo grado dalla società Maelga va riconosciuto legittimo ed immune dal vizio di difetto di istruttoria erroneamente riscontrato dal Tribunale piemontese.


4.- Alle considerazioni che precedono conseguono l’accoglimento dell’appello del Comune di Torino e, in riforma della sentenza appellata, la reiezione del ricorso in primo grado.


5.- Sussistono, tuttavia, giusti motivi per la compensazione tra le parti delle spese processuali di entrambi i gradi di giudizio.
 

P.Q.M.


Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, accoglie il ricorso indicato in epigrafe e, in riforma della decisione appellata, respinge il ricorso proposto in primo grado dalla Maelga s.a.s.;
dichiara compensate le spese processuali di entrambi i gradi di giudizio;
ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
 

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 13 dicembre 2002, con l'intervento dei signori:
GIUSEPPE FARINA - Presidente
PAOLO BUONVINO - Consigliere
GOFFREDO ZACCARDI - Consigliere
CLAUDIO MARCHITIELLO - Consigliere
CARLO DEODATO - Consigliere Estensore
 

L'ESTENSORE                                     IL PRESIDENTE F.F.                                    IL DIRIGENTE
F.to Carlo Deodato                                F.to Giuseppe Farina                                     F.to Antonio Natale


DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 19 febbraio 2003
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)



 

M A S S I M E

 

Sentenza per esteso

 

1) E’ legittimo il diniego di concessione edilizia giustificato dalla pericolosità idrogeologica del terreno interessato dall’attività edilizia - il divieto contenuto nell’art.30 L.R. n.56/77 (Piemonte) - la verifica dell’incompatibilità di nuove costruzioni con i caratteri geomorfologici dell’area - la modifica introdotta d’ufficio in sede di approvazione del P.R.G.. Il divieto contenuto nell’art. 30 L.R. n.56/77 esige, per la sua operatività, un’indagine specifica circa la pericolosità idrogeologica del terreno interessato dall’attività edilizia, non altrettanto può dirsi per le ipotesi, quale quella in esame, nelle quali la qualificazione dell’area come instabile è già stata compiuta in via preventiva ed astratta in sede di formazione della disciplina urbanistica ed edilizia comunale. In quest’ultimo caso, infatti, la verifica dell’incompatibilità di nuove costruzioni con i caratteri geomorfologici dell’area è già stata effettuata dal Comune, con la conseguenza che il rinvio alla ricordata disposizione regionale non può che intendersi come riferito al divieto di edilificabilità nelle zone assoggettate a quella disciplina (e precedentemente classificate come instabili dal COmune), atteso che il precetto contenuto nella norma richiamata risulta integrato e completato, come già evidenziato, dalla preventiva definizione in via amministrativa della situazione di fatto che impedisce la realizzazione di nuovi insediamenti. Una diversa lettura della disciplina considerata risulterebbe, inoltre, priva di senso, finendo per privare di ogni utilità ed efficacia la modifica introdotta d’ufficio in sede di approvazione del P.R.G., che si risolverebbe in una superflua ripetizione, per talune classi di instabilità, dell’obbligo di un’indagine istruttoria circa le condizioni del terreno o, peggio, nel riconoscimento dell’ammissibilità dell’attività edilizia in aree nelle quali, secondo la disciplina contenuta nella versione originaria del Piano, era vietato ogni intervento. Consiglio di Stato Sezione V, - 19 febbraio 2003 - Sentenza n. 913 

 

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