Legislazione Giurisprudenza Vedi altre: Sentenze per esteso
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la
seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n. 4217 del 1998, proposto dal Ministero per i
beni e le attività culturali, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato
e difeso dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è
domiciliato in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;
contro
i signori Olindo Martucci e Antonia Parpan, rappresentati e difesi dagli
avvocati Piergiorgio Alberti e Claudio Pesce ed elettivamente domiciliati in
Roma, al Lungotevere Michelangelo n. 9, presso lo studio di Gian Marco Grez;
e nei confronti
della Regione Liguria, in persona del presidente pro tempore della giunta
regionale, non costituitosi in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria, Sez. I, 30
ottobre 1997, n. 370, e per la reiezione del ricorso di primo grado n. 1569 del
1993;
Visto il ricorso in appello, con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dei signori Martucci e Parpan,
depositato in data 23 luglio 1998 e integrato con note d’udienza, depositate in
data 27 maggio 2003;
Visti gli atti tutti del giudizio;
Data per letta la relazione del Consigliere di Stato Luigi Maruotti all’udienza
del 27 maggio 2003;
Uditi l’avvocato dello Stato Cesaroni per il Ministero appellante e l’avvocato
Stancanelli per gli appellati, su delega dell’avvocato Piergiorgio Alberti;
Considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
1. I signori Olindo Martucci e Antonia Parpan hanno chiesto alla Regione Liguria
il rilascio di una autorizzazione paesaggistica in sanatoria, in relazione ad
alcuni lavori di ristrutturazione e di ampliamento di un fabbricato rurale, sito
in località Scravè del Comune di Imperia.
Col provvedimento n. 10 del 25 gennaio 1993, l’assessore all’urbanistica della
Regione Liguria ha accolto la domanda ed ha rilasciato l’autorizzazione in
sanatoria.
Il Ministero per i beni culturali ed ambientali, con decreto di data 27 aprile
1993, ha annullato l’autorizzazione in sanatoria.
2. Col ricorso n. 1569 del 1993, proposto al TAR per la Liguria, i signori
Martucci e Parpan hanno impugnato il decreto ministeriale e ne hanno chiesto
l’annullamento.
Il TAR, con la sentenza n. 370 del 1997, ha accolto il ricorso ed ha annullato
il decreto ministeriale.
3. Col gravame in esame, il Ministero per i beni culturali ed ambientali ha
chiesto che, in riforma della sentenza impugnata, il ricorso di primo grado sia
respinto.
Gli appellati si sono costituiti in giudizio ed hanno chiesto che l’appello sia
respinto.
Con le note di udienza depositate in data 27 maggio 2003, gli appellati hanno
illustrato le questioni controverse ed hanno insistito nelle già formulate
conclusioni.
4. Alla udienza del 27 maggio 2003 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Nel presente giudizio, è controversa la legittimità del decreto di data 27
aprile 1993, con cui il Ministero per i beni culturali ed ambientali ha
annullato l’autorizzazione paesaggistica n. 10 del 25 gennaio 1993, rilasciata
dall’assessore all’urbanistica della Regione Liguria in favore degli odierni
appellati, in relazione ad alcuni lavori di ristrutturazione e di ampliamento di
un fabbricato rurale, sito in località Scravè del Comune di Imperia.
Con la sentenza impugnata, il TAR per la Liguria ha accolto il ricorso degli
interessati ed ha annullato il decreto ministeriale.
Il particolare, il TAR ha rilevato che:
- vi sarebbe stata la violazione dell’art. 82 del decreto legislativo 24 luglio
1977, n. 16 (come integrato dalla legge 8 agosto 1985, n. 431), poiché il
decreto, anche se emanato entro il termine di sessanta giorni dal ricevimento
dell’autorizzazione in sanatoria, è stato notificato dopo la sua scadenza;
- il Ministero, in assenza di una adeguata istruttoria e di una valutazione
degli interessi coinvolti, non avrebbe potuto negare la sussistenza del potere
di autorizzare in sanatoria le opere realizzate in violazione del vincolo
paesaggistico.
2. Col primo motivo del gravame, il Ministero per i beni culturali ed ambientali
ha dedotto che le vicende che riguardano la notifica del provvedimento di
annullamento non rilevano per verificare il rispetto del termine sancito
dall’art. 82, nono comma, del decreto legislativo n. 616 del 1977.
Tali censure sono fondate e vanno accolte.
Per la costante giurisprudenza di questo Consiglio, che il collegio condivide e
fa propria, il termine perentorio di sessanta giorni riguarda l’esercizio del
potere di annullamento e non anche la successiva fase della comunicazione o
della notificazione (Ad. Plen., 22 luglio 1999, n. 20; Sez. VI, 6 luglio 2000,
n. 3793; Sez. VI, 24 maggio 2000, n. 3010; Sez. VI, 28 gennaio 2000, n. 403;
Sez. VI, 15 dicembre 1999, n. 2073; Sez. VI, 1° dicembre 1999, n. 2069; Se. VI,
3 novembre 1999, n. 1693; Sez. IV, 4 dicembre 1998, n. 1734; Sez. VI, 17 giugno
1998, n. 967; Sez. VI, 9 aprile 1998, n. 460; Sez. VI, 19 luglio 1996, n. 968;
Sez. VI, 22 febbraio 1995, n. 207).
Infatti, l’art. 82, nono comma, del decreto legislativo n. 616 del 1977 ha
disciplinato un provvedimento che, secondo i principi generali, è immediatamente
efficace e non ha natura recettizia: l’espressione «può annullare in ogni caso»
va intesa nel senso che il termine di sessanta giorni si riferisce alla
emanazione dell’atto di annullamento, in quanto esso produce immediatamente i
suoi effetti.
3. Col secondo motivo, il Ministero ha dedotto che il decreto del 27 aprile 1993
ha legittimamente annullato l’autorizzazione in sanatoria di data 25 gennaio
1993, poiché questa è stata rilasciata in mera applicazione dell’art. 7, senza
tenere conto della normativa riguardante la riduzione in pristino o
l’applicazione della sanzione amministrativa.
Ritiene la Sezione che anche tale censura sia fondata e vada accolta.
3.1. Va premesso che, in assenza di una normativa espressa in materia, la più
recente giurisprudenza (cfr. Ad. Gen., 11 aprile 2002, n. 4; Sez. VI, 19 giugno
2001, n. 3242; Sez. VI, 9 ottobre 2000, n. 5373) ha precisato che il potere di
autorizzazione in sanatoria (per gli abusi commessi su aree sottoposte al
vincolo paesistico) va esercitato tenendo conto dei seguenti principi:
- l’Amministrazione delegata (o subdelegata) deve verificare la mancata
produzione di effetti pregiudizievoli in relazione allo stato dei luoghi
antecedente all’edificazione;
- costituisce onere dell’interessato la dimostrazione dell’assenza dell’impatto
negativo, con la produzione della documentazione relativa alla situazione
precedente dei luoghi, per consentire la comparazione con la situazione venutasi
a verificare a seguito dell’abuso;
- poiché l’autorizzazione in sanatoria non costituisce un “equipollente
perfetto” dell’autorizzazione preventiva (poiché è stato commesso un fatto
illecito, punito con la sanzione prevista dall’art. 15 della legge n. 1497 del
1939), l’Amministrazione deve valutare la consistenza del pregiudizio ambientale
e valutare se sia il caso di disporre la demolizione dell’opera abusiva, ovvero
di disporre la sanzione equivalente alla maggiore somma tra il danno arrecato e
il profitto conseguito mediante la commessa trasgressione.
Sulla base di tale giurisprudenza (che la Sezione condivide e fa propria), si
deve ritenere che in base al diritto vivente il rilascio della autorizzazione
paesaggistica in sanatoria si caratterizza per le seguenti peculiarità
procedimentali:
- l’interessato ha l’onere di produrre tutta la documentazione volta a comparare
l’attuale stato dei luoghi con quello originario, prima che l’abuso avesse
luogo;
- l’Amministrazione, nel valutare motivatamente l’istanza e la documentazione
prodotta, o ritiene che il pregiudizio cagionato non possa condurre
all’accoglimento della domanda di sanatoria (e allora deve disporre la
reintegrazione dello stato dei luoghi) oppure, previa istruttoria sul danno
arrecato e sul profitto conseguito mediante la commessa trasgressione, può
rilevare la compatibilità paesistica di quanto realizzato, contestualmente
irrogando la prescritta sanzione.
3.2. Ciò posto, la Sezione rileva che, nel caso di specie, l’autorizzazione
rilasciata in sanatoria in data 25 gennaio 1993 non ha comparato, rispetto alla
situazione antecedente all’abuso, quella venutasi a verificare, né ha rilevato
la consistenza del pregiudizio arrecato ai valori paesistici e ambientali (non
essendo sufficiente la mera prescrizione di alcune misure volte a razionalizzare
la struttura dell’edificio).
Essa non ha neppure rilevato se in sede amministrativa sia stata esibita la
documentazione necessaria per effettuare tale comparazione.
Inoltre, il medesimo provvedimento si è limitato a disporre la sanatoria sotto
il profilo paesaggistico, ai sensi dell’art. 7 della legge n. 1497 del 1939,
senza contestualmente disporre la prescritta sanzione, rispetto alla quale è
anche mancata l’istruttoria.
Ciò comporta che, come ha legittimamente evidenziato il decreto ministeriale del
27 aprile 1993, l’autorizzazione rilasciata in sanatoria in data 25 gennaio 1993
risulta viziata da violazione di legge ed eccesso di potere: essa non ha
valutato i fatti complessivamente accaduti e si è illegittimamente limitata a
rilasciare, ora per allora, una autorizzazione in sanatoria ex art. 7, senza
esercitare il potere in sanatoria che, nell’attuale sistema, postula specifiche
e coessenziali attività istruttorie, valutative e sanzionatorie.
4. Per le ragioni che precedono, in accoglimento dell’appello e in riforma della
sentenza impugnata, va respinto il ricorso di primo grado, restando salvo il
potere della Regione di riesaminare l’istanza degli interessati, nel rispetto
dei principi concernenti la sanatoria degli abusi commessi su aree sottoposte a
vincolo paesistico.
Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese e gli onorari dei
due gradi del giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) accoglie l’appello n. 4217 del 1998 e, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado n. 1569 del 1993.
Compensa tra le parti le spese e gli onorari dei due gradi del giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dalla Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio tenutasi il giorno 27 maggio
2003, presso la sede del Consiglio di Stato, Palazzo Spada, con l’intervento dei
signori:
Giorgio GIOVANNINI Presidente
Luigi MARUOTTI Consigliere Est.
Carmine VOLPE Consigliere
Giuseppe MINICONE Consigliere
Guido SALEMI Consigliere
1) Il rilascio della autorizzazione in sanatoria (per gli abusi commessi su aree sottoposte al vincolo paesistico) - condizioni - peculiarità procedimentali - l’autorizzazione in sanatoria non costituisce un “equipollente perfetto” dell’autorizzazione preventiva - mancata produzione di effetti pregiudizievoli in relazione allo stato dei luoghi antecedente all’edificazione - assenza dell’impatto negativo - pregiudizio ambientale - la demolizione dell’opera abusiva - sanzione equivalente alla maggiore somma tra il danno arrecato e il profitto - la reintegrazione dello stato dei luoghi. In assenza di una normativa espressa in materia, la più recente giurisprudenza (cfr. Ad. Gen., 11 aprile 2002, n. 4; Sez. VI, 19 giugno 2001, n. 3242; Sez. VI, 9 ottobre 2000, n. 5373) ha precisato che il potere di autorizzazione in sanatoria (per gli abusi commessi su aree sottoposte al vincolo paesistico) va esercitato tenendo conto dei seguenti principi: - l’Amministrazione delegata (o subdelegata) deve verificare la mancata produzione di effetti pregiudizievoli in relazione allo stato dei luoghi antecedente all’edificazione; - costituisce onere dell’interessato la dimostrazione dell’assenza dell’impatto negativo, con la produzione della documentazione relativa alla situazione precedente dei luoghi, per consentire la comparazione con la situazione venutasi a verificare a seguito dell’abuso; - poiché l’autorizzazione in sanatoria non costituisce un “equipollente perfetto” dell’autorizzazione preventiva (poiché è stato commesso un fatto illecito, punito con la sanzione prevista dall’art. 15 della legge n. 1497 del 1939), l’Amministrazione deve valutare la consistenza del pregiudizio ambientale e valutare se sia il caso di disporre la demolizione dell’opera abusiva, ovvero di disporre la sanzione equivalente alla maggiore somma tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la commessa trasgressione. Sulla base di tale giurisprudenza (che la Sezione condivide e fa propria), si deve ritenere che in base al diritto vivente il rilascio della autorizzazione paesaggistica in sanatoria si caratterizza per le seguenti peculiarità procedimentali: - l’interessato ha l’onere di produrre tutta la documentazione volta a comparare l’attuale stato dei luoghi con quello originario, prima che l’abuso avesse luogo; - l’Amministrazione, nel valutare motivatamente l’istanza e la documentazione prodotta, o ritiene che il pregiudizio cagionato non possa condurre all’accoglimento della domanda di sanatoria (e allora deve disporre la reintegrazione dello stato dei luoghi) oppure, previa istruttoria sul danno arrecato e sul profitto conseguito mediante la commessa trasgressione, può rilevare la compatibilità paesistica di quanto realizzato, contestualmente irrogando la prescritta sanzione. Consiglio di Stato, Sezione VI - 21 luglio 2003, sentenza n. 4192
2) Autorizzazione paesaggistica - annullamento - l’esercizio del potere di annullamento - il termine perentorio di sessanta giorni - fase della comunicazione o della notificazione. Per la costante giurisprudenza di questo Consiglio, che il collegio condivide e fa propria, il termine perentorio di sessanta giorni riguarda l’esercizio del potere di annullamento e non anche la successiva fase della comunicazione o della notificazione (Ad. Plen., 22 luglio 1999, n. 20; Sez. VI, 6 luglio 2000, n. 3793; Sez. VI, 24 maggio 2000, n. 3010; Sez. VI, 28 gennaio 2000, n. 403; Sez. VI, 15 dicembre 1999, n. 2073; Sez. VI, 1° dicembre 1999, n. 2069; Se. VI, 3 novembre 1999, n. 1693; Sez. IV, 4 dicembre 1998, n. 1734; Sez. VI, 17 giugno 1998, n. 967; Sez. VI, 9 aprile 1998, n. 460; Sez. VI, 19 luglio 1996, n. 968; Sez. VI, 22 febbraio 1995, n. 207). Infatti, l’art. 82, nono comma, del decreto legislativo n. 616 del 1977 ha disciplinato un provvedimento che, secondo i principi generali, è immediatamente efficace e non ha natura recettizia: l’espressione «può annullare in ogni caso» va intesa nel senso che il termine di sessanta giorni si riferisce alla emanazione dell’atto di annullamento, in quanto esso produce immediatamente i suoi effetti. Consiglio di Stato, Sezione VI - 21 luglio 2003, sentenza n. 4192
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