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 Massime della sentenza

  

 

Consiglio di Stato, Sezione IV, 29 luglio 2003, sentenza n. 4351 .

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente
 

D E C I S I O N E


sul ricorso in appello N. 64/1994, proposto da Soc. Casa Via Buonarroti, rappresentata e difesa dall’avv. Giuseppe Lavatola, presso lo stesso elettivamente domiciliata in Roma, via Costabella n. 23;
contro
Regione Lazio, in persona del Presidente della Giunta regionale p.t.;
Commissariato di Governo nella Regione Lazio, Commissione di controllo, in persona del legale rappresentante p.t.;
Comune di Roma, in persona del legale rappresentante p.t.;
per l'annullamento
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sez. I ter, n. 1351 del 1992, che ha respinto il ricorso proposto dall’appellante avverso la determinazione 30 giugno 1987 della Commissione statale di controllo sugli atti della regione Lazio; la deliberazione della G.R. del Lazio 28 aprile 1987; ogni altro atto coordinato o connesso ai summenzionati e seguenti;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Vista la memoria prodotta dall’appellante;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla pubblica udienza del 29 aprile 2003 il Consigliere Anna Leoni;
uditi gli Avvocati ……………………………………………
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:


F A T T O


1. Con ricorso in appello, notificato in data 13 dicembre 1993, viene impugnata la sentenza n. 1352/92, emessa inter partes dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio, Sez. I ter, che ha respinto il ricorso proposto avverso la determinazione 30 giugno 1987 della Commissione statale di controllo sugli atti della regione Lazio, portante annullamento parziale della deliberazione della G.R. del Lazio n. 2282/1987, avente per oggetto “Piano territoriale paesistico, Ambito territoriale n. 15, Marcigliana” in Comune di Roma; la deliberazione della G.R. del Lazio 28 aprile 1987 n. 2282 avente per oggetto “Piano territoriale paesistico, Ambito territoriale n. 15, Marcigliana”; ogni altro atto coordinato o connesso ai summenzionati e seguenti.


2. La società appellante è proprietaria di una vasta area sita nel Comune di Roma , località Marcigliana, della superficie complessiva di mq. 416.130.


3. Tale area è destinata dal vigente Piano regolatore generale in parte, per circa mq. 228.400, a zona G, sottozona G4 (case con orto e giardino con indice di fabbricabilità territoriale pari a 0,20 mc/mq; parte, per circa mq. 168.400, a zona H, sottozona H2 (agricola con indice di fabbricabilità pari a 0,03 mc/mq e lotto minimo di 2 ha), parte, per circa mq. 19.000, a zona H., sottozona H1 (agricolo con indice di fabbricabilità pari a 0,03 mc 7 mq e lotto minimo di 1 ha.


4. Con delibera di Giunta regionale n. 2282 del 28/4/87, la Regione Lazio ha adottato il Piano territoriale paesistico, Ambito territoriale n. 15 “Marcigliana” in Comune di Roma, sottoponendo l’area della ricorrente a vicolo di tutela paesaggistica.


5. Il suddetto provvedimento è stato impugnato dall’odierna appellante avanti al Tribunale amministrativo regionale del Lazio con ricorso n. 750/88, nel quale venivano articolati otto motivi (il primo riguardante i vizi dell’atto della Commissione governativa di controllo; il secondo riguardante la illegittimità del P.T.P. per essere stato deliberato tardivamente; dal terzo sino all’ottavo, per vizi del P.T.P. e della relativa delibera di adozione).


6. Il Tribunale amministrativo, dopo aver riunito il ricorso ad altri tre per ragioni di connessione e dopo aver dichiarato non rilevante la censura di cui al quarto mezzo (in quanto riguardante il provvedimento della Commissione di controllo, laddove il Piano territoriale paesistico ha natura immediatamente lesiva, ancorché solo adottato), ha respinto i ricorsi, sulla scorta delle seguenti argomentazioni:


a) infondatezza delle censure di tardività dei provvedimenti di adozione dei piani territoriali paesistici (adottati tutti oltre la data del 31/12/86), in quanto il suddetto termine non avrebbe carattere perentorio, dal momento che è previsto un potere statale di sostituzione in caso di inutile decorso dello stesso nell’inerzia delle regioni e in quanto il potere in parola non potrebbe considerarsi esercitabile “ad tempus”, essendo temporalmente illimitato e destinato a riproporsi ogni qualvolta sia necessario;


b) infondatezza dei motivi che censurano la violazione da parte del Piano territoriale paesistico della pianificazione urbanistica e della correlativa autonomia degli enti locali comunali, in quanto, non essendo normativamente individuata una gerarchia precisa fra i vari provvedimenti che incidono sul governo e sull’assetto del territorio, tale gerarchia andrebbe ricercata nella natura stessa dei vari provvedimenti pianificatori e sarebbe indubitabile che il piano territoriale paesistico, esprimendo vincoli di carattere generico, costituisca un prius, sia temporale sia logico, rispetto alla pianificazione urbanistica che, programmando lo sviluppo del territorio, a quei vincoli dovrebbe necessariamente aderire;


c) infondatezza della censura di violazione dell’art. 128 Cost. in ordine alla privazione degli enti locali di un potere urbanistico pieno, per le alterazioni imposte ad esso dalla programmazione paesistica, in quanto gli enti resterebbero comunque titolari del potere in tutta la sua ampiezza, dovendo solo rispettare i vincoli (esterni al sistema urbanistico vero e proprio) che una programmazione di rango diverso impone loro;


d) infondatezza delle censure che criticano la ricomprensione delle aree di interesse dell’appellante nel piano territoriale paesistico, in quanto dette aree, già ricomprese nella vincolistica paesistica di cui ai provvedimenti conseguenti al decreto ministeriale 21 settembre 1984, richiamati in essere dall’art.1 quinquies della L. n. 431 del 1985, sarebbero per effetto di tale normativa che imponeva la redazione, da parte delle Regioni o, in alternativa, da parte dello Stato, di appositi piani, sicuramente ricomprese nelle aree soggette a vincolo paesistico, senza che possa essere richiamata sul punto la normativa di cui al DPR n. 616/77;


e) infondatezza delle censure riguardanti il vincolo di inedificabilità assoluta introdotto dai provvedimenti impugnati sulle aree di proprietà dei ricorrenti, in quanto la determinazione dei vincoli imposti sulle varie aree è in funzione diretta alla necessità di tutela dei beni che si ritrovano in esse e la medesima determinazione, essendo prevista dall’ordinamento, non potrebbe essere, per ciò solo, illegittima;


f) infondatezza delle censure tendenti a dimostrare che i provvedimenti impugnati, contenendo anche beni individuali, avrebbero dovuto in ogni caso essere preceduti da un provvedimento amministrativo che individuasse negli stessi la specifica qualità di beni sottoponibili a vincolo, in quanto nella specie non si è proceduto alla individuazione di specifiche aree di pregio, ma alla individuazione di una intera zona, alla quale, nel suo insieme, è stato assegnato il titolo di zona tutelabile;


g) infondatezza delle censure dirette a criticare l’esistenza, nella zona, di un doppio vincolo, quello di tutela archeologica e quello di tutela paesistica;


h) infondatezza delle censure che criticano l’inserimento in zone agricole e di alto valore paesaggistico delle aree della ricorrente, in quanto l’individuazione dei piani territoriali paesistici con la determinazione delle specie territoriali avrebbe carattere generale e complessivo;


i) infondatezza della previsione di emanazione di una successiva normativa di dettaglio, non opponendosi a ciò ostacoli normativi;


j) infondatezza delle censure di difetto di istruttoria e di carenza di istruttoria;


k) infondatezza della censura di incompetenza della Giunta regionale all’adozione della dichiarazione di notevole interesse pubblico, in quanto diversa è la natura del provvedimento di imposizione del vincolo paesistico, che è vicenda tecnica collegata con la rilevazione di esso fatta dalla commissione provinciale, da quella del piano territoriale paesistico, che è, invece, alla stregua di qualsiasi atto di pianificazione territoriale, atto generale di natura programmatoria: se per ques’ultimo è evidente la competenza del Consiglio regionale, altrettanto non sarebbe per l’atto di imposizione del vincolo, che è atto di natura particolare e ricognitiva;


l) infondatezza della censura di illegittimità derivata del Piano territoriale paesistico per illegittimità della delibera di adozione del vincolo, in quanto sono stati ritenuti infondati tutti i motivi che censuravano la deliberazione suddetta.


7. Con il ricorso in appello all’esame del Collegio la Società chiede l’annullamento della sentenza, deducendo i seguenti motivi di appello:


7.1. Violazione e falsa applicazione degli artt. 16 L. 29/6/39 n. 1497 e 23 R.D. 3/6/1940 n. 1357. Incostituzionalità per violazione dell’art. 128 Cost.
Violazione e falsa applicazione della L. n. 431 del 1985, in particolare dell’art. 1, co. 1, della L. n. 1497/39. Eccesso di potere per carenza dei presupposti e difetto di motivazione.


Viene denunciata la erroneità della sentenza (motivi IV, VI e VII) nella parte in cui non ha ritenuto illegittima l’imposizione del vincolo di inedificabilità assoluta imposto dal P.T.P., in contrasto con le previsioni del P.R.G. precedentemente adottato.


La stretta connessione esistente fra le diverse normative di disciplina e tutela del territorio e del paesaggio imporrebbe, in caso di contrasto fra esigenze urbanistiche ed esigenze paesaggistiche, di comparare fra loro le diverse esigenze al fine di addivenire ad una soluzione ponderata degli interessi configgenti: nella fattispecie, al contrario, le valutazioni del P.T.P., successive a quelle del P.R.G., non sarebbero sorrette da adeguata motivazione, né terrebbero in alcun conto le previsioni dello strumento urbanistico generale.


Ciò anche in violazione dell’art.9 R.D. n. 1357/45 circa la necessità di conciliare, per quanto è possibile, l’interesse pubblico con l’interesse privato.
La decisione del T.A.R. avrebbe mostrato di far propria una concezione del P.T.P. come di uno strumento di tipo proibitivo, in funzione penalizzante rispetto alla programmazione urbanistica.


Al contrario, sia la L. n. 1497/39 sia la L. n. 431/85 non porrebbero alcun vincolo di inedificabilità, bensì richiederebbero che le modificazioni del territorio nelle zone protette dalle menzionate leggi siano preventivamente autorizzate, oltre che dall’autorità comunale, altresì dalla Regione o, in via sostitutiva, dal Ministero dei beni culturali.


Il P.T.P. si inserirebbe, quindi, nella disciplina dettata dalle leggi menzionate, come disciplina d’uso preventiva e predeterminata del territorio sottoposto a vincolo generico e non certo come strumento per porre vincoli di intangibilità assoluta dei luoghi, dovendo, anzi, dare adeguata valutazione anche degli aspetti urbanistico – edilizi, specie se scaturenti da una precedente disciplina del P.R.G.


Nel caso di specie, tali criteri sarebbero stati sovvertiti, avendo la regione sostanzialmente imposto dei vincoli di inedificabilità assoluta.


Erronea, poi, sarebbe la sentenza nella parte in cui considera prioritaria la valutazione a livello paesistico, in quanto gli interessi paesistici, nella specie, sarebbero già stati adeguatamente vagliati e tutelati dal P.R.G. in base alle già richiamate esigenze di coordinamento fra elementi urbanistici e paesaggistici.


Ove si ritenesse che il P.T.P. possa intervenire dettando prescrizioni in contrasto con il P.R.G., si prospetta questione di illegittimità costituzionale degli artt. 5 L. n. 1497/39, 23 R.D. n. 1357/40 e 1 bis L. n. 431/85, per contrasto con gli artt. 97 e 128 Cost.


7.2. Violazione e falsa applicazione dell’art. 1 co. 1 e dell’art. 1 quater della L. n. 431/85, nonché della L. n. 1497/39, della L. n. 1089/85, del T.U. n. 1775/33 sulle acque ed impianti elettrici e del R.D. n. 3267/23.


Incompetenza, eccesso di potere per errore e falsità di presupposti, difetto di istruttoria e di motivazione (motivo V del ricorso di I grado).


Non sarebbero stati svolti i necessari incombenti preliminari previsti per i beni archeologici, le foreste, i boschi e le acque pubbliche (art. 1 L. n. 431 del 1985).


Invero, per tali beni è prevista la previa individuazione tramite apposito provvedimento amministrativo.


Al contrario il P.T.P. avrebbe illegittimamente assoggettato a vincolo un’intera zona ed erronea sarebbe, sul punto, la sentenza impugnata che ne ha ritenuto la legittimità.


7.3. Violazione e falsa applicazione dell’art. 1 co. 1 della L. n. 431/85, nonché della L. n. 1089/39.


Eccesso di potere per carenza dei presupposti, difetto di motivazione, genericità e perplessità manifesta (motivo VIII del ricorso di I grado).


Viene censurata la sentenza nella parte in cui ha ritenuto legittima la coesistenza, sul medesimo territorio, di un duplice vincolo, paesaggistico ed archeologico, senza previa individuazione e senza specifica indicazione.


8. Le Amministrazioni intimate non si sono costituite in giudizio.


9. L’appellante ha depositato memoria illustrativa, ad ulteriore illustrazione delle proprie ragioni.


Nella stessa è stata evidenziata l’ininfluenza, nella fattispecie, della sopravvenienza, nelle more, della L. reg. n. 24/98 di approvazione dei Piani territoriali paesistici, essendo la fattispecie limitata alla fase di adozione del P.T.P., alla luce delle sentenze nn. 225 e 226 del 1999 della Corte costituzionale.


In subordine, è stata prospettata la questione di costituzionalità della L. n. 24/98 sotto i profili di violazione degli artt. 97 e 117 Cost., di violazione della regola di riserva di amministrazione per contrasto con norme di principio, di violazione dell’art. 3 Cost., anche con riferimento ad un uso distorto del potere legislativo e di violazione dell’art.24, nonché di violazione del giusto procedimento.


10. All’udienza del 29 aprile 2003 l’appello è stato trattenuto per la decisione.


D I R I T T O


1. L’appello è rivolto avverso la sentenza n. 1351/92 della Sez. I Ter del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, che ha rigettato, previa riunione ad altri tre ricorsi, il ricorso presentato dalla società odierna appellante in tema di “Piano territoriale paesistico, Ambito territoriale n. 15, Marcigliana” in Comune di Roma.


2. Con la prima delle articolate censure l’appellante fa dipendere la prospettata erroneità della sentenza impugnata dalla ritenuta violazione e falsa applicazione degli artt. 16 L. n. 1497/39 e 23 R.D. n. 1357/40, dalla violazione dell’art. 128 Cost., dalla violazione e falsa applicazione L. n. 431/85 e da eccesso di potere sotto diversi profili, in quanto le norme indicate non consentirebbero al pianificatore regionale di porre prescrizioni di inedificabilità assoluta, immediatamente vincolanti per i privati, essendo il relativo potere programmatorio limitato alla formulazione di indirizzi e direttive per la formazione e revisione degli strumenti urbanistici da parte del Comune.


Attesa la stretta connessione fra le diverse normative in materia di disciplina e di tutela del territorio e del paesaggio, in caso di contrasto fra le stesse andrebbero di volta in volta comparate le diverse esigenze al fine di addivenire ad una soluzione ponderata degli interessi configgenti: il che, nella fattispecie, non sarebbe accaduto, nonostante la preesistenza al Piano territoriale paesistico, del P.R.G. che comprendeva previsioni contrastanti con quelle del piano paesistico successivamente adottato.


Va, in proposito, evidenziato che con l’entrata in vigore della L. n. 431 del 1985, è stato individuato un complesso eterogeneo di beni e di aree, ritenute dallo stesso legislatore di particolare interesse ambientale, in ragione delle loro specificità.


Tuttavia, tale ricognizione legislativa dei vincoli paesistici, che di per sé determina una inedificabilità relativa, in quanto l’attività trasformazione urbanistica ed edilizia, in tale ambito, è comunque subordinata ad autorizzazione (art. 7 L. n. 1497/39) è destinata a coesistere con il sistema che riserva la individuazione dei beni a valenza ambientale e paesaggistica all’apposito procedimento di cui alla legge n. 1497 del 1939.


Attualmente tale potere è riservato alle regioni in forza della delega conferita con l’art. 82 del D.P.R. n. 616 del 1977, che consente tuttavia all’autorità statale di concorrere nell’esercizio della relativa funzione, anche per quanto attiene alla individuazione di bellezze naturali meritevoli di tutela (cfr. Corte cost., n. 94/1985; Cons. St., VI Sez., n. 740/90).


E’ nota la differenza fra piano paesistico e piano urbanistico territoriale: il primo è finalizzato alla protezione delle bellezze naturali e più precisamente alla fase di pianificazione della tutela delle zone dichiarate di particolare interesse sotto il profilo paesaggistico, al fine di programmare la salvaguardia dei valori paesistico- ambientali con strumenti idonei ad assicurare il superamento dell’episodicità, inevitabilmente connessa a semplici ed isolati interventi autorizzatori (cfr. Cons. Stato, VI Sez., n. 25/01; n. 450/94; n. 29/93).


Il piano paesistico costituisce, pertanto, uno strumento di attuazione e specificazione del contenuto precettivo del vincolo paesaggistico, mediante l’individuazione delle incompatibilità assolute e dei criteri e dei parametri di valutazione delle incompatibilità relative, condizionando, prevalentemente in negativo, la successiva attività di pianificazione del territorio vincolato anche sotto il profilo urbanistico (cfr. Cons. St., VI Sez. n. 25/01; Corte cost. n. 417/95; Cons. St., II Sez., n. 548/98).


Al contrario, il piano urbanistico territoriale, pur avendo anche valenza paesistico – ambientale, non presuppone necessariamente un preesistente vincolo e può anche riguardare ambiti non vincolati (cfr. Cons. St., VI Sez., n. 25/01 cit.).


Nel caso all’esame, la ricomprensione dei terreni di proprietà dell’appellante nell’ambito della categoria di beni qualificati di interesse paesaggistico è intervenuta non in forza delle previsioni della L. n. 431 del 1985, ma proprio in dipendenza di deliberazioni regionali adottate con delibera di Giunta n. 2282 del 1987.


In tale contesto, privo di fondamento è la censura dell’appellante rivolta a sostenere la esclusione dal vincolo dei propri terreni a destinazione edificatoria in quanto ricompresi come tali in zone dello strumento urbanistico del Comune di Roma.


Occorre, invero, osservare come i piani territoriali paesistici di cui all’art. 5 della L. n. 1497/39, nati come unico strumento di regolazione dei beni assoggettati a vincolo panoramico, nel corso degli anni sono stati attratti nell’orbita urbanistica: ne costituisce riprova l’art. 1 del D.P.R. n. 8 del 1972 in base al quale, in sede di trasferimento alle regioni delle funzioni in materia urbanistica, sono state trasferite anche le funzioni concernenti l’adozione e l’approvazione dei piani paesistici.


La successiva legge n. 431 del 1985 li ha posti, poi, su un piano di assoluta equivalenza con i piani territoriali urbanistici, sicchè tale riconosciuta reciproca integrazione di strumenti pianificatori può dar luogo, in determinate situazioni, ad imposizioni di condizionamenti alla sottostante programmazione urbanistica comunale in grado di risolversi, per il loro contenuto totalmente vincolante, in veri e propri vincoli di inedificabilità, con effetti giuridici indirettamente proiettati sulle posizioni dei privati.


Del resto, dalla elencazione del contenuto del piano paesistico, quale risulta dall’art. 23 R.D. n. 1357/40, si evince la possibilità di limitare il diritto dei privati di utilizzazione dei beni vincolati, sino al punto di consentire anche l’esclusione dell’edificazione quando essa risulti in grado di compromettere la conservazione dei valori paesaggistici ed ambientali presidiati dal vincolo (cfr. Cass. II Sez. n. 1512/82; Cons. St., IV Sez., n. 682/92).


Consegue dalla impostazione su riportata che il piano paesistico territoriale ben può individuare i beni che siano ritenuti meritevoli di tutela, né si può ritenere che nel dettare la disciplina di tutela primaria, posto che si muove su un livello sovraordinato alla programmazione urbanistica, debba tener conto delle modifiche che questa ultima deve necessariamente subire per assicurare al paesaggio una tutela tale da non essere incisa nel tempo da singole scelte di gestione del territorio, che comunque trovano nella pianificazione di rango superiore un limite e un indirizzo.


Fissata entro tali limiti la portata del piano paesistico territoriale, appare evidente la manifesta infondatezza della sollevata questione di legittimità costituzionale degli artt. 5 L. n. 1497/39, 23 R.D. n. 1357/40 e 1 bis L. n. 431/85 per contrasto con gli artt. 97 e 128 Cost.


3. Con il secondo motivo di appello viene, in sostanza, criticata la sentenza nella parte in cui, disattendendo il relativo motivo del ricorso originario, non avrebbe ritenuto sussistenti le censure di mancato svolgimento dei necessari incombenti preliminari previsti per i beni archeologici, le foreste, i boschi e le acque pubbliche.


Il motivo non può essere condiviso.


Invero, lo strumento predisposto dall’art. 5 della L. n. 1497/39 (e richiamato dall’art. 1 bis della L. n. 431 del 1985) per il compito di tutela del paesaggio della Repubblica, previsto fra i principi fondamentali della nostra Costituzione (cfr. Corte cost., sentt. nn. 151, 152 e 153 del 1986) attiene ad una fase diversa e successiva da quella di imposizione del vincolo paesaggistico cui la censura fa riferimento, e cioè alla fase di pianificazione della tutela delle zone dichiarate di particolare interesse sotto il profilo paesaggistico, al fine di programmare la salvaguardia dei valori paesistico- ambientali di tali zone con strumenti idonei ad assicurare il superamento dell’episodicità inevitabilmente connessa ai semplici interventi autorizzatori (cfr. Cons. Stato, VI Sez., n. 873/92).


Il piano, infatti, riguarda le località incluse negli elenchi dei nn. 3 e 4 dell’art. 1 della L. n. 1497 del 1939 (le cd. bellezze di insieme ex art. 10 R.D. n. 1357 del 1940) ed obbedisce alla scopo di “impedire che le aree di quelle località siano utilizzate in modo pregiudizievole alla bellezza panoramica”.


Il piano paesistico si collega, pertanto, espressamente alla protezione di determinate bellezze naturali specificamente individuate ed è volto a disciplinare ulteriormente l’operatività del vincolo paesistico di cui alla L. n. 1497/39 (cfr. Corte cost., n. 327/90; Cons. St., VI Sez., n. 873/92 cit.).


Invece, molto diversa è la procedura di imposizione del vincolo sulle bellezze individuali e diverso è, altresì, il momento di insorgenza del vincolo.


4. Con il terzo motivo di ricorso viene, infine, censurata la sentenza del T.A.R. per aver ritenuto la legittimità della coesistenza, sulle medesime aree, di vincoli di tutela orientata e paesaggistica e di vincoli archeologici.


Anche tale motivo non può essere condiviso.


Si richiamano, in proposito, le considerazioni già svolte sub 3) in motivazione per ribadire che il piano paesistico si ricollega alla protezione di determinate bellezze naturali specificamente individuate ed è volto a disciplinare ulteriormente l’operatività del vincolo paesistico di cui alla L. n. 1497/39: appare evidente, pertanto, che il piano paesistico suppone l’esistenza e la permanenza del vincolo paesaggistico (cfr. dec. N. 873 cit.), come pure di eventuali altri vincoli, precedentemente imposti, di finalità concorrente, quale quello di carattere archeologico di cui alla L. n. 1089 del 1939, insistenti nelle medesime zone, sicchè la relativa adozione non può, in ogni caso, comportare il venir meno di tali vincoli.


5. Le considerazioni svolte portano inevitabilmente alla reiezione dell’appello. Tale conclusione rende, peraltro, irrilevanti le questioni di legittimità costituzionale sollevate dall’appellante in memoria, relativamente alla L. reg. n. 24/98 di approvazione dei piani territoriali paesistici, sollevate in subordine nell’ipotesi in cui il Collegio non intendesse aderire a quanto affermato nelle sentenze della Corte cost. nn. 225 e 226 del 1999, con riferimento alla legge quadro n. 394/91 sui parchi, sulla non ostatività della legge al sindacato del giudice amministrativo sugli atti amministrativi posti a base della legge stessa.


Presupposto delle sentenze citate è, invero, che vi siano sentenze del giudice amministrativo di accoglimento con annullamento del piano adottato, in grado di rimuovere totalmente o parzialmente il contenuto del piano adottato, ancorché approvato con legge, presupposto insussistente nella fattispecie, attesa la reiezione del gravame.


(La legge regionale interviene, secondo le citate sentenze della Corte, esclusivamente sulla approvazione del piano e non vale né come conversione dell’atto contenente la sostanziale programmazione pianificatoria, né come forma di validazione legislativa, né come sanatoria del piano stesso, né fa assumere al complesso del piano valore di legge).


6. In conclusione, in conferma della sentenza appellata, deve essere respinto il ricorso introduttivo del giudizio.


P. Q. M.


Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione IV – definitivamente pronunciando in ordine all’appello indicato in epigrafe, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.


Compensa tra le parti le spese e gli onorari di giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, il 29 aprile 2003 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, nella Camera di Consiglio con l'intervento dei Signori:
Paolo SALVATORE – Presidente
Livia BARBERIO CORSETTI – Consigliere
Antonino ANASTASI – Consigliere
Anna LEONI – Consigliere, estensore
Paolo TROIANO – Consigliere
 

M A S S I M E

 

Sentenza per esteso

 

1) Il compito di tutela del paesaggio della Repubblica fra i principi fondamentali della nostra Costituzione - la programmazione della salvaguardia dei valori paesistico-ambientali - il piano paesistico - la procedura di imposizione del vincolo sulle bellezze individuali. Lo strumento predisposto dall’art. 5 della L. n. 1497/39 (e richiamato dall’art. 1 bis della L. n. 431 del 1985) per il compito di tutela del paesaggio della Repubblica, previsto fra i principi fondamentali della nostra Costituzione (cfr. Corte cost., sentt. nn. 151, 152 e 153 del 1986) attiene ad una fase diversa e successiva da quella di imposizione del vincolo paesaggistico cui la censura fa riferimento, e cioè alla fase di pianificazione della tutela delle zone dichiarate di particolare interesse sotto il profilo paesaggistico, al fine di programmare la salvaguardia dei valori paesistico- ambientali di tali zone con strumenti idonei ad assicurare il superamento dell’episodicità inevitabilmente connessa ai semplici interventi autorizzatori (cfr. Cons. Stato, VI Sez., n. 873/92). Il piano paesistico, infatti, riguarda le località incluse negli elenchi dei nn. 3 e 4 dell’art. 1 della L. n. 1497 del 1939 (le cd. bellezze di insieme ex art. 10 R.D. n. 1357 del 1940) ed obbedisce alla scopo di “impedire che le aree di quelle località siano utilizzate in modo pregiudizievole alla bellezza panoramica”. Il piano paesistico si collega, pertanto, espressamente alla protezione di determinate bellezze naturali specificamente individuate ed è volto a disciplinare ulteriormente l’operatività del vincolo paesistico di cui alla L. n. 1497/39 (cfr. Corte cost., n. 327/90; Cons. St., VI Sez., n. 873/92 cit.). Invece, molto diversa è la procedura di imposizione del vincolo sulle bellezze individuali e diverso è, altresì, il momento di insorgenza del vincolo. Consiglio di Stato, Sezione IV, 29 luglio 2003, sentenza n. 4351

 

2) La individuazione di bellezze naturali e paesaggistiche meritevoli di tutela - inedificabilità relativa - ricognizione legislativa dei vincoli paesistici - l’attività trasformazione urbanistica ed edilizia - potere riservato alle regioni - delega. Con l’entrata in vigore della L. n. 431 del 1985, è stato individuato un complesso eterogeneo di beni e di aree, ritenute dallo stesso legislatore di particolare interesse ambientale, in ragione delle loro specificità. Tuttavia, tale ricognizione legislativa dei vincoli paesistici, che di per sé determina una inedificabilità relativa, in quanto l’attività trasformazione urbanistica ed edilizia, in tale ambito, è comunque subordinata ad autorizzazione (art. 7 L. n. 1497/39) è destinata a coesistere con il sistema che riserva la individuazione dei beni a valenza ambientale e paesaggistica all’apposito procedimento di cui alla legge n. 1497 del 1939. Attualmente tale potere è riservato alle regioni in forza della delega conferita con l’art. 82 del D.P.R. n. 616 del 1977, che consente tuttavia all’autorità statale di concorrere nell’esercizio della relativa funzione, anche per quanto attiene alla individuazione di bellezze naturali meritevoli di tutela (cfr. Corte cost., n. 94/1985; Cons. St., VI Sez., n. 740/90). Consiglio di Stato, Sezione IV, 29 luglio 2003, sentenza n. 4351
 

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