Legislazione Giurisprudenza Vedi altre: Sentenze per esteso
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente
D E C I S I O N E
sul ricorso in appello N. 64/1994, proposto da Soc. Casa Via Buonarroti,
rappresentata e difesa dall’avv. Giuseppe Lavatola, presso lo stesso
elettivamente domiciliata in Roma, via Costabella n. 23;
contro
Regione Lazio, in persona del Presidente della Giunta regionale p.t.;
Commissariato di Governo nella Regione Lazio, Commissione di controllo, in
persona del legale rappresentante p.t.;
Comune di Roma, in persona del legale rappresentante p.t.;
per l'annullamento
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sez. I ter, n.
1351 del 1992, che ha respinto il ricorso proposto dall’appellante avverso la
determinazione 30 giugno 1987 della Commissione statale di controllo sugli atti
della regione Lazio; la deliberazione della G.R. del Lazio 28 aprile 1987; ogni
altro atto coordinato o connesso ai summenzionati e seguenti;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Vista la memoria prodotta dall’appellante;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla pubblica udienza del 29 aprile 2003 il Consigliere Anna Leoni;
uditi gli Avvocati ……………………………………………
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
F A T T O
1. Con ricorso in appello, notificato in data 13 dicembre 1993, viene impugnata
la sentenza n. 1352/92, emessa inter partes dal Tribunale amministrativo
regionale del Lazio, Sez. I ter, che ha respinto il ricorso proposto avverso la
determinazione 30 giugno 1987 della Commissione statale di controllo sugli atti
della regione Lazio, portante annullamento parziale della deliberazione della
G.R. del Lazio n. 2282/1987, avente per oggetto “Piano territoriale paesistico,
Ambito territoriale n. 15, Marcigliana” in Comune di Roma; la deliberazione
della G.R. del Lazio 28 aprile 1987 n. 2282 avente per oggetto “Piano
territoriale paesistico, Ambito territoriale n. 15, Marcigliana”; ogni altro
atto coordinato o connesso ai summenzionati e seguenti.
2. La società appellante è proprietaria di una vasta area sita nel Comune di
Roma , località Marcigliana, della superficie complessiva di mq. 416.130.
3. Tale area è destinata dal vigente Piano regolatore generale in parte, per
circa mq. 228.400, a zona G, sottozona G4 (case con orto e giardino con indice
di fabbricabilità territoriale pari a 0,20 mc/mq; parte, per circa mq. 168.400,
a zona H, sottozona H2 (agricola con indice di fabbricabilità pari a 0,03 mc/mq
e lotto minimo di 2 ha), parte, per circa mq. 19.000, a zona H., sottozona H1
(agricolo con indice di fabbricabilità pari a 0,03 mc 7 mq e lotto minimo di 1
ha.
4. Con delibera di Giunta regionale n. 2282 del 28/4/87, la Regione Lazio ha
adottato il Piano territoriale paesistico, Ambito territoriale n. 15
“Marcigliana” in Comune di Roma, sottoponendo l’area della ricorrente a vicolo
di tutela paesaggistica.
5. Il suddetto provvedimento è stato impugnato dall’odierna appellante avanti al
Tribunale amministrativo regionale del Lazio con ricorso n. 750/88, nel quale
venivano articolati otto motivi (il primo riguardante i vizi dell’atto della
Commissione governativa di controllo; il secondo riguardante la illegittimità
del P.T.P. per essere stato deliberato tardivamente; dal terzo sino all’ottavo,
per vizi del P.T.P. e della relativa delibera di adozione).
6. Il Tribunale amministrativo, dopo aver riunito il ricorso ad altri tre per
ragioni di connessione e dopo aver dichiarato non rilevante la censura di cui al
quarto mezzo (in quanto riguardante il provvedimento della Commissione di
controllo, laddove il Piano territoriale paesistico ha natura immediatamente
lesiva, ancorché solo adottato), ha respinto i ricorsi, sulla scorta delle
seguenti argomentazioni:
a) infondatezza delle censure di tardività dei provvedimenti di adozione dei
piani territoriali paesistici (adottati tutti oltre la data del 31/12/86), in
quanto il suddetto termine non avrebbe carattere perentorio, dal momento che è
previsto un potere statale di sostituzione in caso di inutile decorso dello
stesso nell’inerzia delle regioni e in quanto il potere in parola non potrebbe
considerarsi esercitabile “ad tempus”, essendo temporalmente illimitato e
destinato a riproporsi ogni qualvolta sia necessario;
b) infondatezza dei motivi che censurano la violazione da parte del Piano
territoriale paesistico della pianificazione urbanistica e della correlativa
autonomia degli enti locali comunali, in quanto, non essendo normativamente
individuata una gerarchia precisa fra i vari provvedimenti che incidono sul
governo e sull’assetto del territorio, tale gerarchia andrebbe ricercata nella
natura stessa dei vari provvedimenti pianificatori e sarebbe indubitabile che il
piano territoriale paesistico, esprimendo vincoli di carattere generico,
costituisca un prius, sia temporale sia logico, rispetto alla pianificazione
urbanistica che, programmando lo sviluppo del territorio, a quei vincoli
dovrebbe necessariamente aderire;
c) infondatezza della censura di violazione dell’art. 128 Cost. in ordine alla
privazione degli enti locali di un potere urbanistico pieno, per le alterazioni
imposte ad esso dalla programmazione paesistica, in quanto gli enti resterebbero
comunque titolari del potere in tutta la sua ampiezza, dovendo solo rispettare i
vincoli (esterni al sistema urbanistico vero e proprio) che una programmazione
di rango diverso impone loro;
d) infondatezza delle censure che criticano la ricomprensione delle aree di
interesse dell’appellante nel piano territoriale paesistico, in quanto dette
aree, già ricomprese nella vincolistica paesistica di cui ai provvedimenti
conseguenti al decreto ministeriale 21 settembre 1984, richiamati in essere
dall’art.1 quinquies della L. n. 431 del 1985, sarebbero per effetto di tale
normativa che imponeva la redazione, da parte delle Regioni o, in alternativa,
da parte dello Stato, di appositi piani, sicuramente ricomprese nelle aree
soggette a vincolo paesistico, senza che possa essere richiamata sul punto la
normativa di cui al DPR n. 616/77;
e) infondatezza delle censure riguardanti il vincolo di inedificabilità assoluta
introdotto dai provvedimenti impugnati sulle aree di proprietà dei ricorrenti,
in quanto la determinazione dei vincoli imposti sulle varie aree è in funzione
diretta alla necessità di tutela dei beni che si ritrovano in esse e la medesima
determinazione, essendo prevista dall’ordinamento, non potrebbe essere, per ciò
solo, illegittima;
f) infondatezza delle censure tendenti a dimostrare che i provvedimenti
impugnati, contenendo anche beni individuali, avrebbero dovuto in ogni caso
essere preceduti da un provvedimento amministrativo che individuasse negli
stessi la specifica qualità di beni sottoponibili a vincolo, in quanto nella
specie non si è proceduto alla individuazione di specifiche aree di pregio, ma
alla individuazione di una intera zona, alla quale, nel suo insieme, è stato
assegnato il titolo di zona tutelabile;
g) infondatezza delle censure dirette a criticare l’esistenza, nella zona, di un
doppio vincolo, quello di tutela archeologica e quello di tutela paesistica;
h) infondatezza delle censure che criticano l’inserimento in zone agricole e di
alto valore paesaggistico delle aree della ricorrente, in quanto
l’individuazione dei piani territoriali paesistici con la determinazione delle
specie territoriali avrebbe carattere generale e complessivo;
i) infondatezza della previsione di emanazione di una successiva normativa di
dettaglio, non opponendosi a ciò ostacoli normativi;
j) infondatezza delle censure di difetto di istruttoria e di carenza di
istruttoria;
k) infondatezza della censura di incompetenza della Giunta regionale
all’adozione della dichiarazione di notevole interesse pubblico, in quanto
diversa è la natura del provvedimento di imposizione del vincolo paesistico, che
è vicenda tecnica collegata con la rilevazione di esso fatta dalla commissione
provinciale, da quella del piano territoriale paesistico, che è, invece, alla
stregua di qualsiasi atto di pianificazione territoriale, atto generale di
natura programmatoria: se per ques’ultimo è evidente la competenza del Consiglio
regionale, altrettanto non sarebbe per l’atto di imposizione del vincolo, che è
atto di natura particolare e ricognitiva;
l) infondatezza della censura di illegittimità derivata del Piano territoriale
paesistico per illegittimità della delibera di adozione del vincolo, in quanto
sono stati ritenuti infondati tutti i motivi che censuravano la deliberazione
suddetta.
7. Con il ricorso in appello all’esame del Collegio la Società chiede
l’annullamento della sentenza, deducendo i seguenti motivi di appello:
7.1. Violazione e falsa applicazione degli artt. 16 L. 29/6/39 n. 1497 e 23 R.D.
3/6/1940 n. 1357. Incostituzionalità per violazione dell’art. 128 Cost.
Violazione e falsa applicazione della L. n. 431 del 1985, in particolare
dell’art. 1, co. 1, della L. n. 1497/39. Eccesso di potere per carenza dei
presupposti e difetto di motivazione.
Viene denunciata la erroneità della sentenza (motivi IV, VI e VII) nella parte
in cui non ha ritenuto illegittima l’imposizione del vincolo di inedificabilità
assoluta imposto dal P.T.P., in contrasto con le previsioni del P.R.G.
precedentemente adottato.
La stretta connessione esistente fra le diverse normative di disciplina e tutela
del territorio e del paesaggio imporrebbe, in caso di contrasto fra esigenze
urbanistiche ed esigenze paesaggistiche, di comparare fra loro le diverse
esigenze al fine di addivenire ad una soluzione ponderata degli interessi
configgenti: nella fattispecie, al contrario, le valutazioni del P.T.P.,
successive a quelle del P.R.G., non sarebbero sorrette da adeguata motivazione,
né terrebbero in alcun conto le previsioni dello strumento urbanistico generale.
Ciò anche in violazione dell’art.9 R.D. n. 1357/45 circa la necessità di
conciliare, per quanto è possibile, l’interesse pubblico con l’interesse
privato.
La decisione del T.A.R. avrebbe mostrato di far propria una concezione del
P.T.P. come di uno strumento di tipo proibitivo, in funzione penalizzante
rispetto alla programmazione urbanistica.
Al contrario, sia la L. n. 1497/39 sia la L. n. 431/85 non porrebbero alcun
vincolo di inedificabilità, bensì richiederebbero che le modificazioni del
territorio nelle zone protette dalle menzionate leggi siano preventivamente
autorizzate, oltre che dall’autorità comunale, altresì dalla Regione o, in via
sostitutiva, dal Ministero dei beni culturali.
Il P.T.P. si inserirebbe, quindi, nella disciplina dettata dalle leggi
menzionate, come disciplina d’uso preventiva e predeterminata del territorio
sottoposto a vincolo generico e non certo come strumento per porre vincoli di
intangibilità assoluta dei luoghi, dovendo, anzi, dare adeguata valutazione
anche degli aspetti urbanistico – edilizi, specie se scaturenti da una
precedente disciplina del P.R.G.
Nel caso di specie, tali criteri sarebbero stati sovvertiti, avendo la regione
sostanzialmente imposto dei vincoli di inedificabilità assoluta.
Erronea, poi, sarebbe la sentenza nella parte in cui considera prioritaria la
valutazione a livello paesistico, in quanto gli interessi paesistici, nella
specie, sarebbero già stati adeguatamente vagliati e tutelati dal P.R.G. in base
alle già richiamate esigenze di coordinamento fra elementi urbanistici e
paesaggistici.
Ove si ritenesse che il P.T.P. possa intervenire dettando prescrizioni in
contrasto con il P.R.G., si prospetta questione di illegittimità costituzionale
degli artt. 5 L. n. 1497/39, 23 R.D. n. 1357/40 e 1 bis L. n. 431/85, per
contrasto con gli artt. 97 e 128 Cost.
7.2. Violazione e falsa applicazione dell’art. 1 co. 1 e dell’art. 1 quater
della L. n. 431/85, nonché della L. n. 1497/39, della L. n. 1089/85, del T.U. n.
1775/33 sulle acque ed impianti elettrici e del R.D. n. 3267/23.
Incompetenza, eccesso di potere per errore e falsità di presupposti, difetto di
istruttoria e di motivazione (motivo V del ricorso di I grado).
Non sarebbero stati svolti i necessari incombenti preliminari previsti per i
beni archeologici, le foreste, i boschi e le acque pubbliche (art. 1 L. n. 431
del 1985).
Invero, per tali beni è prevista la previa individuazione tramite apposito
provvedimento amministrativo.
Al contrario il P.T.P. avrebbe illegittimamente assoggettato a vincolo un’intera
zona ed erronea sarebbe, sul punto, la sentenza impugnata che ne ha ritenuto la
legittimità.
7.3. Violazione e falsa applicazione dell’art. 1 co. 1 della L. n. 431/85,
nonché della L. n. 1089/39.
Eccesso di potere per carenza dei presupposti, difetto di motivazione,
genericità e perplessità manifesta (motivo VIII del ricorso di I grado).
Viene censurata la sentenza nella parte in cui ha ritenuto legittima la
coesistenza, sul medesimo territorio, di un duplice vincolo, paesaggistico ed
archeologico, senza previa individuazione e senza specifica indicazione.
8. Le Amministrazioni intimate non si sono costituite in giudizio.
9. L’appellante ha depositato memoria illustrativa, ad ulteriore illustrazione
delle proprie ragioni.
Nella stessa è stata evidenziata l’ininfluenza, nella fattispecie, della
sopravvenienza, nelle more, della L. reg. n. 24/98 di approvazione dei Piani
territoriali paesistici, essendo la fattispecie limitata alla fase di adozione
del P.T.P., alla luce delle sentenze nn. 225 e 226 del 1999 della Corte
costituzionale.
In subordine, è stata prospettata la questione di costituzionalità della L. n.
24/98 sotto i profili di violazione degli artt. 97 e 117 Cost., di violazione
della regola di riserva di amministrazione per contrasto con norme di principio,
di violazione dell’art. 3 Cost., anche con riferimento ad un uso distorto del
potere legislativo e di violazione dell’art.24, nonché di violazione del giusto
procedimento.
10. All’udienza del 29 aprile 2003 l’appello è stato trattenuto per la
decisione.
D I R I T T O
1. L’appello è rivolto avverso la sentenza n. 1351/92 della Sez. I Ter del
Tribunale amministrativo regionale del Lazio, che ha rigettato, previa riunione
ad altri tre ricorsi, il ricorso presentato dalla società odierna appellante in
tema di “Piano territoriale paesistico, Ambito territoriale n. 15, Marcigliana”
in Comune di Roma.
2. Con la prima delle articolate censure l’appellante fa dipendere la
prospettata erroneità della sentenza impugnata dalla ritenuta violazione e falsa
applicazione degli artt. 16 L. n. 1497/39 e 23 R.D. n. 1357/40, dalla violazione
dell’art. 128 Cost., dalla violazione e falsa applicazione L. n. 431/85 e da
eccesso di potere sotto diversi profili, in quanto le norme indicate non
consentirebbero al pianificatore regionale di porre prescrizioni di
inedificabilità assoluta, immediatamente vincolanti per i privati, essendo il
relativo potere programmatorio limitato alla formulazione di indirizzi e
direttive per la formazione e revisione degli strumenti urbanistici da parte del
Comune.
Attesa la stretta connessione fra le diverse normative in materia di disciplina
e di tutela del territorio e del paesaggio, in caso di contrasto fra le stesse
andrebbero di volta in volta comparate le diverse esigenze al fine di addivenire
ad una soluzione ponderata degli interessi configgenti: il che, nella
fattispecie, non sarebbe accaduto, nonostante la preesistenza al Piano
territoriale paesistico, del P.R.G. che comprendeva previsioni contrastanti con
quelle del piano paesistico successivamente adottato.
Va, in proposito, evidenziato che con l’entrata in vigore della L. n. 431 del
1985, è stato individuato un complesso eterogeneo di beni e di aree, ritenute
dallo stesso legislatore di particolare interesse ambientale, in ragione delle
loro specificità.
Tuttavia, tale ricognizione legislativa dei vincoli paesistici, che di per sé
determina una inedificabilità relativa, in quanto l’attività trasformazione
urbanistica ed edilizia, in tale ambito, è comunque subordinata ad
autorizzazione (art. 7 L. n. 1497/39) è destinata a coesistere con il sistema
che riserva la individuazione dei beni a valenza ambientale e paesaggistica
all’apposito procedimento di cui alla legge n. 1497 del 1939.
Attualmente tale potere è riservato alle regioni in forza della delega conferita
con l’art. 82 del D.P.R. n. 616 del 1977, che consente tuttavia all’autorità
statale di concorrere nell’esercizio della relativa funzione, anche per quanto
attiene alla individuazione di bellezze naturali meritevoli di tutela (cfr.
Corte cost., n. 94/1985; Cons. St., VI Sez., n. 740/90).
E’ nota la differenza fra piano paesistico e piano urbanistico territoriale: il
primo è finalizzato alla protezione delle bellezze naturali e più precisamente
alla fase di pianificazione della tutela delle zone dichiarate di particolare
interesse sotto il profilo paesaggistico, al fine di programmare la salvaguardia
dei valori paesistico- ambientali con strumenti idonei ad assicurare il
superamento dell’episodicità, inevitabilmente connessa a semplici ed isolati
interventi autorizzatori (cfr. Cons. Stato, VI Sez., n. 25/01; n. 450/94; n.
29/93).
Il piano paesistico costituisce, pertanto, uno strumento di attuazione e
specificazione del contenuto precettivo del vincolo paesaggistico, mediante
l’individuazione delle incompatibilità assolute e dei criteri e dei parametri di
valutazione delle incompatibilità relative, condizionando, prevalentemente in
negativo, la successiva attività di pianificazione del territorio vincolato
anche sotto il profilo urbanistico (cfr. Cons. St., VI Sez. n. 25/01; Corte
cost. n. 417/95; Cons. St., II Sez., n. 548/98).
Al contrario, il piano urbanistico territoriale, pur avendo anche valenza
paesistico – ambientale, non presuppone necessariamente un preesistente vincolo
e può anche riguardare ambiti non vincolati (cfr. Cons. St., VI Sez., n. 25/01
cit.).
Nel caso all’esame, la ricomprensione dei terreni di proprietà dell’appellante
nell’ambito della categoria di beni qualificati di interesse paesaggistico è
intervenuta non in forza delle previsioni della L. n. 431 del 1985, ma proprio
in dipendenza di deliberazioni regionali adottate con delibera di Giunta n. 2282
del 1987.
In tale contesto, privo di fondamento è la censura dell’appellante rivolta a
sostenere la esclusione dal vincolo dei propri terreni a destinazione
edificatoria in quanto ricompresi come tali in zone dello strumento urbanistico
del Comune di Roma.
Occorre, invero, osservare come i piani territoriali paesistici di cui all’art.
5 della L. n. 1497/39, nati come unico strumento di regolazione dei beni
assoggettati a vincolo panoramico, nel corso degli anni sono stati attratti
nell’orbita urbanistica: ne costituisce riprova l’art. 1 del D.P.R. n. 8 del
1972 in base al quale, in sede di trasferimento alle regioni delle funzioni in
materia urbanistica, sono state trasferite anche le funzioni concernenti
l’adozione e l’approvazione dei piani paesistici.
La successiva legge n. 431 del 1985 li ha posti, poi, su un piano di assoluta
equivalenza con i piani territoriali urbanistici, sicchè tale riconosciuta
reciproca integrazione di strumenti pianificatori può dar luogo, in determinate
situazioni, ad imposizioni di condizionamenti alla sottostante programmazione
urbanistica comunale in grado di risolversi, per il loro contenuto totalmente
vincolante, in veri e propri vincoli di inedificabilità, con effetti giuridici
indirettamente proiettati sulle posizioni dei privati.
Del resto, dalla elencazione del contenuto del piano paesistico, quale risulta
dall’art. 23 R.D. n. 1357/40, si evince la possibilità di limitare il diritto
dei privati di utilizzazione dei beni vincolati, sino al punto di consentire
anche l’esclusione dell’edificazione quando essa risulti in grado di
compromettere la conservazione dei valori paesaggistici ed ambientali presidiati
dal vincolo (cfr. Cass. II Sez. n. 1512/82; Cons. St., IV Sez., n. 682/92).
Consegue dalla impostazione su riportata che il piano paesistico territoriale
ben può individuare i beni che siano ritenuti meritevoli di tutela, né si può
ritenere che nel dettare la disciplina di tutela primaria, posto che si muove su
un livello sovraordinato alla programmazione urbanistica, debba tener conto
delle modifiche che questa ultima deve necessariamente subire per assicurare al
paesaggio una tutela tale da non essere incisa nel tempo da singole scelte di
gestione del territorio, che comunque trovano nella pianificazione di rango
superiore un limite e un indirizzo.
Fissata entro tali limiti la portata del piano paesistico territoriale, appare
evidente la manifesta infondatezza della sollevata questione di legittimità
costituzionale degli artt. 5 L. n. 1497/39, 23 R.D. n. 1357/40 e 1 bis L. n.
431/85 per contrasto con gli artt. 97 e 128 Cost.
3. Con il secondo motivo di appello viene, in sostanza, criticata la sentenza
nella parte in cui, disattendendo il relativo motivo del ricorso originario, non
avrebbe ritenuto sussistenti le censure di mancato svolgimento dei necessari
incombenti preliminari previsti per i beni archeologici, le foreste, i boschi e
le acque pubbliche.
Il motivo non può essere condiviso.
Invero, lo strumento predisposto dall’art. 5 della L. n. 1497/39 (e richiamato
dall’art. 1 bis della L. n. 431 del 1985) per il compito di tutela del paesaggio
della Repubblica, previsto fra i principi fondamentali della nostra Costituzione
(cfr. Corte cost., sentt. nn. 151, 152 e 153 del 1986) attiene ad una fase
diversa e successiva da quella di imposizione del vincolo paesaggistico cui la
censura fa riferimento, e cioè alla fase di pianificazione della tutela delle
zone dichiarate di particolare interesse sotto il profilo paesaggistico, al fine
di programmare la salvaguardia dei valori paesistico- ambientali di tali zone
con strumenti idonei ad assicurare il superamento dell’episodicità
inevitabilmente connessa ai semplici interventi autorizzatori (cfr. Cons. Stato,
VI Sez., n. 873/92).
Il piano, infatti, riguarda le località incluse negli elenchi dei nn. 3 e 4
dell’art. 1 della L. n. 1497 del 1939 (le cd. bellezze di insieme ex art. 10
R.D. n. 1357 del 1940) ed obbedisce alla scopo di “impedire che le aree di
quelle località siano utilizzate in modo pregiudizievole alla bellezza
panoramica”.
Il piano paesistico si collega, pertanto, espressamente alla protezione di
determinate bellezze naturali specificamente individuate ed è volto a
disciplinare ulteriormente l’operatività del vincolo paesistico di cui alla L.
n. 1497/39 (cfr. Corte cost., n. 327/90; Cons. St., VI Sez., n. 873/92 cit.).
Invece, molto diversa è la procedura di imposizione del vincolo sulle bellezze
individuali e diverso è, altresì, il momento di insorgenza del vincolo.
4. Con il terzo motivo di ricorso viene, infine, censurata la sentenza del
T.A.R. per aver ritenuto la legittimità della coesistenza, sulle medesime aree,
di vincoli di tutela orientata e paesaggistica e di vincoli archeologici.
Anche tale motivo non può essere condiviso.
Si richiamano, in proposito, le considerazioni già svolte sub 3) in motivazione
per ribadire che il piano paesistico si ricollega alla protezione di determinate
bellezze naturali specificamente individuate ed è volto a disciplinare
ulteriormente l’operatività del vincolo paesistico di cui alla L. n. 1497/39:
appare evidente, pertanto, che il piano paesistico suppone l’esistenza e la
permanenza del vincolo paesaggistico (cfr. dec. N. 873 cit.), come pure di
eventuali altri vincoli, precedentemente imposti, di finalità concorrente, quale
quello di carattere archeologico di cui alla L. n. 1089 del 1939, insistenti
nelle medesime zone, sicchè la relativa adozione non può, in ogni caso,
comportare il venir meno di tali vincoli.
5. Le considerazioni svolte portano inevitabilmente alla reiezione dell’appello.
Tale conclusione rende, peraltro, irrilevanti le questioni di legittimità
costituzionale sollevate dall’appellante in memoria, relativamente alla L. reg.
n. 24/98 di approvazione dei piani territoriali paesistici, sollevate in
subordine nell’ipotesi in cui il Collegio non intendesse aderire a quanto
affermato nelle sentenze della Corte cost. nn. 225 e 226 del 1999, con
riferimento alla legge quadro n. 394/91 sui parchi, sulla non ostatività della
legge al sindacato del giudice amministrativo sugli atti amministrativi posti a
base della legge stessa.
Presupposto delle sentenze citate è, invero, che vi siano sentenze del giudice
amministrativo di accoglimento con annullamento del piano adottato, in grado di
rimuovere totalmente o parzialmente il contenuto del piano adottato, ancorché
approvato con legge, presupposto insussistente nella fattispecie, attesa la
reiezione del gravame.
(La legge regionale interviene, secondo le citate sentenze della Corte,
esclusivamente sulla approvazione del piano e non vale né come conversione
dell’atto contenente la sostanziale programmazione pianificatoria, né come forma
di validazione legislativa, né come sanatoria del piano stesso, né fa assumere
al complesso del piano valore di legge).
6. In conclusione, in conferma della sentenza appellata, deve essere respinto il
ricorso introduttivo del giudizio.
P. Q. M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione IV – definitivamente
pronunciando in ordine all’appello indicato in epigrafe, lo respinge e, per
l’effetto, conferma la sentenza impugnata.
Compensa tra le parti le spese e gli onorari di giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, il 29 aprile 2003 dal Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale, Sezione Quarta, nella Camera di Consiglio con l'intervento dei
Signori:
Paolo SALVATORE – Presidente
Livia BARBERIO CORSETTI – Consigliere
Antonino ANASTASI – Consigliere
Anna LEONI – Consigliere, estensore
Paolo TROIANO – Consigliere
1) Il compito di tutela del paesaggio della Repubblica fra i principi fondamentali della nostra Costituzione - la programmazione della salvaguardia dei valori paesistico-ambientali - il piano paesistico - la procedura di imposizione del vincolo sulle bellezze individuali. Lo strumento predisposto dall’art. 5 della L. n. 1497/39 (e richiamato dall’art. 1 bis della L. n. 431 del 1985) per il compito di tutela del paesaggio della Repubblica, previsto fra i principi fondamentali della nostra Costituzione (cfr. Corte cost., sentt. nn. 151, 152 e 153 del 1986) attiene ad una fase diversa e successiva da quella di imposizione del vincolo paesaggistico cui la censura fa riferimento, e cioè alla fase di pianificazione della tutela delle zone dichiarate di particolare interesse sotto il profilo paesaggistico, al fine di programmare la salvaguardia dei valori paesistico- ambientali di tali zone con strumenti idonei ad assicurare il superamento dell’episodicità inevitabilmente connessa ai semplici interventi autorizzatori (cfr. Cons. Stato, VI Sez., n. 873/92). Il piano paesistico, infatti, riguarda le località incluse negli elenchi dei nn. 3 e 4 dell’art. 1 della L. n. 1497 del 1939 (le cd. bellezze di insieme ex art. 10 R.D. n. 1357 del 1940) ed obbedisce alla scopo di “impedire che le aree di quelle località siano utilizzate in modo pregiudizievole alla bellezza panoramica”. Il piano paesistico si collega, pertanto, espressamente alla protezione di determinate bellezze naturali specificamente individuate ed è volto a disciplinare ulteriormente l’operatività del vincolo paesistico di cui alla L. n. 1497/39 (cfr. Corte cost., n. 327/90; Cons. St., VI Sez., n. 873/92 cit.). Invece, molto diversa è la procedura di imposizione del vincolo sulle bellezze individuali e diverso è, altresì, il momento di insorgenza del vincolo. Consiglio di Stato, Sezione IV, 29 luglio 2003, sentenza n. 4351
2) La individuazione di bellezze naturali e paesaggistiche meritevoli di tutela - inedificabilità relativa - ricognizione legislativa dei vincoli paesistici - l’attività trasformazione urbanistica ed edilizia - potere riservato alle regioni - delega. Con l’entrata in vigore della L. n. 431 del 1985, è stato individuato un complesso eterogeneo di beni e di aree, ritenute dallo stesso legislatore di particolare interesse ambientale, in ragione delle loro specificità. Tuttavia, tale ricognizione legislativa dei vincoli paesistici, che di per sé determina una inedificabilità relativa, in quanto l’attività trasformazione urbanistica ed edilizia, in tale ambito, è comunque subordinata ad autorizzazione (art. 7 L. n. 1497/39) è destinata a coesistere con il sistema che riserva la individuazione dei beni a valenza ambientale e paesaggistica all’apposito procedimento di cui alla legge n. 1497 del 1939. Attualmente tale potere è riservato alle regioni in forza della delega conferita con l’art. 82 del D.P.R. n. 616 del 1977, che consente tuttavia all’autorità statale di concorrere nell’esercizio della relativa funzione, anche per quanto attiene alla individuazione di bellezze naturali meritevoli di tutela (cfr. Corte cost., n. 94/1985; Cons. St., VI Sez., n. 740/90). Consiglio di Stato, Sezione IV, 29 luglio 2003, sentenza n. 4351
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