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 Massime della sentenza

  

 

Consiglio di Stato, Sezione IV, 29 luglio 2003, sentenza n. 4352.

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente
 

D E C I S I O N E


sul ricorso in appello iscritto al NRG 2499 dell’anno 2002 proposto dal PREFETTO DI BARI – COMMISSARIO DELEGATO PER L’EMERGENZA RIFIUTI NELLA REGIONE PUGLIA, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliata ope legis in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
c o n t r o
TERRUSI FRANCESCO, rappresentato e difeso dall’avv. Giuseppe A. Fanelli, con il quale è elettivamente domiciliato in Roma, via Nicotera, n. 29 (presso lo studio dell’avv. Antonelli);
e
COMUNE DI CASTELLANETA, in persona del Commissario straordinario in carica, rappresentato e difeso dall’avv. Antonio Pancallo, con il quale è elettivamente domiciliato in Roma, via Ugo Bassi, n. 3 (presso lo studio dell’avv. Ennio Mazzocco);
per l’annullamento
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Puglia, sede di Lecce, sez. I^, n. 212 del 25 gennaio 2002;
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Terrusi Francesco e del Comune di Castellaneta;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti di causa;
Relatore alla pubblica udienza del 18 marzo 2003 il consigliere Carlo Saltelli;
Uditi gli avvocati Ennio Mazzocco su delega dell’avv. A. Pancallo e l’Avvocato dello Stato Bachetti;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.


F A T T O


Con ricorso notificato il 7 agosto 2000 il sig. Francesco Terrusi, nella asserita qualità di titolare di impresa agricola e conduttore da oltre trent’anni del fondo con uliveto di piante secolari ricadente nel Comune di Castellaneta, contrada Olivella, di proprietà della Congregazione del S.S. Sacramento di Castellaneta, chiedeva al Tribunale amministrativo regionale della Puglia, sede di Lecce, l’annullamento: 1) del decreto di occupazione d’urgenza n. 74 del 17 luglio 2000 del predetto fondo per la costruzione del centro di raccolta, prima lavorazione e stoccaggio dei materiali provenienti dalle raccolte differenziate comunali, con annessa linea di selezione dei rifiuti indifferenziati, e di tutti gli atti presupposti, consequenziali e/o connessi, fra cui in particolare 2) della delibera della Giunta comunale di Castellaneta n. 543 del 7 settembre 1998, di approvazione del progetto per la costruzione del predetto centro di selezione rifiuti e linea di compostaggio; 3) della delibera della Giunta Comunale di Castellaneta n. 294 del 19 giugno 2000, di riapprovazione del progetto e dei connessi termini per l’espropriazione; 4) del decreto del Commissario delegato per l’emergenza rifiuti nella regione Puglia n. 474 del 17 novembre 1999; 5) dell’ordinanza del predetto Commissario n. 6 del 23 luglio 1997, avente ad oggetto: “Attivazione e sviluppo della raccolta differenziata delle frazioni di vetro e di plastica contenute nei rifiuti solidi urbani prodotti nei comuni della provincia di Taranto”.


Con tre articolati motivi di censura il ricorrente lamentava, sia nei riguardi del decreto di occupazione, sia nei riguardi dei provvedimenti di approvazione del progetto di opera pubblica da realizzare, innanzitutto, di non aver mai ricevuto la comunicazione di avvio del procedimento e di non aver pertanto potuto partecipare al procedimento di scelta dell’area; rilevava, poi, che, in violazione dell’articolo 13 della legge 25 giugno 1865, n. 2359, nella delibera della Giunta comunale di Castellaneta n. 294 del 19 giugno 2000 non erano stati fissati i termini per l’inizio ed il compimento delle espropriazioni e dei lavori, non potendo a tanto supplire la generica indicazione della durata massima dell’occupazione fissata in cinque anni a decorrere dalla data di immissione nel possesso; aggiungeva, infine, che l’opera da realizzare non solo si trovava ad una distanza dal centro abitato inferiore a quella indicata nel Piano per lo smaltimento dei rifiuti approvato con delibera del Consiglio regionale della Puglia n. 251 del 30 giugno 1993, ma ricadeva anche in un’area vincolata sia sotto il profilo idrogeologico, sia in relazione alla legge n. 431 del 1985.


Con atto notificato il 15 settembre 2000 il ricorrente proponeva motivi aggiunti, deducendo che con nota del 22 aprile 1989 l’Ispettorato Dipartimentale delle foreste di Taranto aveva escluso la possibilità di utilizzare l’area in questione per una discarica di I categoria per rifiuti solidi urbani proprio per l’esistenza del vincolo idrogeologico, così che anche la realizzazione di un impianto di compostaggio doveva considerarsi incompatibile con la predetta natura dell’area; rilevava, inoltre, che, in violazione delle disposizioni contenute nelle leggi regionali n. 27/85 e n. 37/98, nonché nella legge n. 1 del 1978, la delibera di approvazione del progetto (la quale, localizzando l’opera su di un’area destinata a pubblico servizio, comportava una variante al piano regolatore) non solo non era stata trasmessa alla Regione per la relativa approvazione, per quanto non era stata neppure pubblicata presso la segreteria del Comune, per la sua approvazione secondo il procedimento semplificato; aggiungeva, infine, per un verso, che l’impugnato decreto di occupazione (la cui emanazione spettava al Commissario delegato e non al dirigente dell’ufficio tecnico del Comune di Castellaneta) non precisava l’esatta porzione di fondo interessata alla procedura ablatoria.


Con altro atto notificato il 10 ottobre 2000 l’interessato spiegava ulteriori motivi aggiunti, impugnando l’ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 2557 del 30 aprile 1997 che, a suo avviso, in violazione dell’articolo 5 della legge 24 febbraio 1992, n. 225, non aveva puntualmente delimitato l’ampio potere di deroga conferito al Commissario straordinario che, a sua volta, nei provvedimenti concretamente emanati non aveva mai indicato le norme effettivamente derogate.


L’adito Tribunale, nella resistenza del Commissario delegato e del Comune di Castellaneta, con la sentenza n. 212 del 25 gennaio 2002, riconosciuta la legittimazione ad agire del ricorrente, accoglieva il ricorso, ritenendo fondata ed assorbente la censura relativa alla dedotta violazione dell’articolo 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241, annullava tutti i provvedimenti relativi all’approvazione del progetto di opera pubblica per la cui realizzazione era stata disposta l’occupazione del fondo (precisando che la pronuncia non interessava l’ordinanza n. 6 del 23 settembre 1997), respingeva gli altri motivi di censura proposti nei confronti dell’O.P.C.M. n. 2257 del 30 aprile 1997 e disponeva la reintegra del ricorrente nel possesso del fondo, stante l’illegittimità derivata dal verbale di immissione nel possesso e dalla redazione dello stato di consistenza, non essendo stata ex adverso provata la asserita irreversibile trasformazione del fondo.


Avverso tale statuizione ha proposto appello con atto notificato il 15 marzo 2002 l’Amministrazione statale straordinaria, chiedendone la riforma alla stregua di tre ordini di censure, con le quali ha eccepito:


– l’inammissibilità del ricorso di primo grado per carenza di legittimazione ad agire del sig. Francesco Terrusi, di cui non era stata provata, contrariamente a quanto ritenuto dai primi giudici, la asserita qualità di affittuario del fondo in questione e l’attualità della sua condizione di conduttore dello stesso;


– l’infondatezza del motivo accolto, sia perché l’Amministrazione non poteva neppure conoscere l’esistenza dell’asserito rapporto di affitto intercorrente tra il sig. Terrusi e la ditta proprietaria (ciò non risultando da alcun atto scritto e tanto meno da un documento pubblico), sia perché la notoria situazione di emergenza relativa ai rifiuti nella regione Puglia integrava i presupposti di fatto, in presenza dei quali non sussisteva l’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento, ai sensi dell’articolo 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241;


– l’erroneità della pronuncia nella parte in cui aveva disposto la reintegra nel possesso del ricorrente, in quanto questi, non avendo provato la propria qualità di conduttore del fondo, non poteva neppure agire in reintegra, ai sensi dell’articolo 1168 C.C.; ciò senza contare che la predetta azione di reintegra era inammissibile per la già intervenuta irreversibile trasformazione del fondo stesso.


Si è costituito in giudizio il Comune di Castellaneta che ha sostanzialmente aderito alle tesi dell’amministrazione appellante.


Si è costituito in giudizio anche il sig. Terrusi, il quale ha dedotto l’inammissibilità e l’infondatezza dell’avverso appello, del quale ha chiesto il rigetto.


Con ordinanza n. 1705 del 7 maggio 2002 è stata accolta l’istanza incidentale di sospensione dell’esecutività della sentenza impugnata.


D I R I T T O


I. E’ controversa la legittimità dei provvedimenti (decreto del commissario straordinario per l’emergenza rifiuti nella regione Puglia n. 474 del 17 novembre 1999 e le delibere della Giunta comunale di Castellaneta n. 543 del 7 settembre 1998 e n. 294 del 19 giugno 2000) con i quali è stata disposta la realizzazione del Centro di raccolta, prima lavorazione e stoccaggio dei materiali provenienti dalle raccolte differenziate comunali, con annessa linea di selezione dei rifiuti indifferenziati, nonché del decreto n. 74 del 17 luglio 2000 del dirigente dell’ufficio tecnico del Comune di Castellaneta, con cui è stata disposta l’occupazione d’urgenza dell’area occorrente.


Il Prefetto di Bari, Commissario delegato per l’emergenza rifiuti nella regione Puglia, ha chiesto la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Puglia, sede di Lecce, sez. I, n. 212 del 25 gennaio 2002 che, accogliendo il ricorso proposto dal sig. Francesco Terrusi, qualificatosi affittuario e coltivatore diretto del fondo occupato, ha annullato i predetti atti impugnati per la mancata comunicazione all’interessato dell’avvio del procedimento ablatorio: ad avviso dell’amministrazione appellante, il ricorso originario, oltre a dover essere dichiarato inammissibile per difetto di legittimazione ad agire dell’originario ricorrente, era infondato, non sussistendo nel caso di specie la dedotta violazione dell’articolo 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241.


L’appellato si è costituito in giudizio ed ha chiesto il rigetto dell’appello, deducendone l’inammissibilità e l’infondatezza; anche il Comune di Castellaneta si è costituito in giudizio, aderendo all’appello proposto dall’amministrazione statale.


II. Al riguardo la Sezione osserva quanto segue.


II. 1. Devono essere preliminarmente affrontate due questioni preliminari, relative in particolare a profili di irricevibilità ed inammissibilità dell’appello proposto.


II. 1.1. In ordine al profilo della ricevibilità (che, in quanto attinente alla regolarità dei presupposti processuali non necessita, per essere rilevata, di apposita eccezione, potendo essere rilevata anche d’ufficio, sul punto C.d.S., sez. IV, 6 marzo 1996, n. 292), la Sezione osserva che l’appello in esame, notificato il 15 marzo 2002, è stato depositato il 2 aprile 2002, oltre il termine dimidiato di 15 giorni come stabilito dall’articolo 23 bis della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, introdotto dall’articolo 4 della legge 21 luglio 2000, n. 205 (nella cui fattispecie – lettera b – ricade la controversia in questione).


Tuttavia giova evidenziare che l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la decisione n. 5 del 31 maggio 2002, nel chiarire come “la nuova disciplina introdotta con l’articolo 4 della legge n. 205 del 2000, nel sostituire, mettendola a regime, nell’ambito delle nuove disposizioni in materia di giustizia amministrativa, la speciale disciplina a suo tempo dettata limitatamente ai giudizi in materia di opere pubbliche e di pubblica utilità e con riferimento ai provvedimenti dell’autorità delle telecomunicazioni, abbia mantenuto la portata generale della regola del dimezzamento di tutti i termini processuali (riferibili, quindi, anche al termine per il deposito del ricorso in appello), salvo le eccezioni a tale regola generale espressamente indicate”, ha dato sostanzialmente atto delle obiettive difficoltà e ambiguità della predetta disposizione, che – del resto – avevano giustificato l’ordinanza di rimessione della questione alla Adunanza Plenaria.


Sulla base di tale autorevole indirizzo giurisprudenziale può essere allora riconosciuto nella fattispecie in esame (perfezionatasi prima della citata decisione) l’errore scusabile, il cui beneficio può essere concesso d’ufficio, prescindendo da qualsiasi istanza di parte (C.d.S., sez. IV, 12 marzo 2001, n. 1407).


II. 1.2. Nel costituirsi in giudizio l’appellato ha eccepito l’inammissibilità del gravame dall’amministrazione statale straordinaria, in quanto rivolto ad ottenere, attraverso la riforma della impugnata sentenza, lo scrutinio di legittimità di provvedimenti posti in essere esclusivamente dall’amministrazione comunale di Castellaneta che, a sua volta, benché evocata nel giudizio di primo grado e soccombente non aveva provveduto alla dovuta impugnazione, rendendo definitiva al riguardo la statuizione.


L’assunto non può essere condiviso.


Come risulta dalla documentazione in atti con l’ordinanza della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Protezione Civile – n. 6557 del 30 aprile 1997, nel prorogare al 31 dicembre 1997 lo stato di emergenza relativo alla situazione socio – economico – ambientale determinatasi nella regione Puglia a causa dei rifiuti, fu stabilito all’articolo 5, comma 2, che il Commissario delegato, per lo svolgimento delle sue funzioni, avrebbe potuto avvalersi, quali enti attuatori, dei Comuni interessati alla realizzazione delle opere ricadenti nei propri comuni.


Il decreto n. 474 del 17 novembre 1999 del predetto Commissario delegato, recante “Approvazione del Centro di raccolta, prima lavorazione e stoccaggio dei materiali provenienti dalle raccolte differenziati comunali, con annessa linea di selezione dei rifiuti indifferenziati, in territorio del Comune di Castellaneta – Finanziamento dell’intervento per un importo di lire 3.600.000.000”, dopo aver approvato il predetto progetto (art. 1, comma 2), individuava il Comune di Castellaneta quale ente attuatore, proprio ai sensi dell’articolo 5, comma 2, della ricordata O.P.C.M. n. 2557 del 30 aprile 1997 (art. 1, comma 3).


La delibera n. 294 de 19 giugno 2000, con la quale il Comune di Castellaneta provvedeva a riapprovare ai fini della procedura espropriativa il predetto progetto esecutivo, ha come atto presupposto proprio il predetto decreto n. 474 del 17 novembre 1999 e ne costituisce una modalità esecutiva, in relazione alla funzione di ente attuatore.


Pertanto l’asserito vulnus della posizione dell’appellato (riferito alla dedotta violazione delle garanzie partecipative, sulla cui fondatezza si dirà in seguito) può essere giuridicamente collegato soltanto al più volte citato provvedimento commissariale (decreto n. 474 del 17 novembre 1999), essendo la delibera della Giunta municipale n. 543 del 7 settembre 1998 un mero atto programmatico e programmatorio (privo pertanto di autonoma lesività) rispetto all’attività provvedimentale del commissario ed avendo, poi, la successiva delibera della Giunta municipale n. 29 del 19 giugno 2000, mero valore esecutivo del provvedimento commissariale.


Sussiste pertanto un vincolo di presupposizione necessaria tra quest’ultimo e la più volte citata delibera della Giunta municipale di Castellaneta n. 294 del 19 giugno 2000, con la conseguenza che solo l’illegittimità del provvedimento commissariale travolgerebbe la seconda, rendendola inutile, mentre non può predicarsi la situazione inversa.


Tale relazione giustifica e sorregge l’impugnazione proposta dall’Amministrazione statale straordinaria e rende del tutto irrilevante, ai fini dell’ammissibilità del gravame, la circostanza che il Comune di Castellaneta non abbia impugnato la sentenza per reclamare la legittimità dei propri provvedimenti: l’accertamento della legittimità del decreto n. 474 del 17 novembre 1999, unica essendo la censura di violazione del principio delle garanzie procedimentali nei confronti di tutte le ricordate deliberazioni, è idoneo a sostenere la legittimità anche della delibera della Giunta municipale di Castellaneta n. 294 del 19 giugno 2000.


Ciò consente, inoltre, di superare i dubbi sulla legittimità della posizione processuale in questo grado di giudizio del Comune di Castellaneta,la cui costituzione, integrando gli estremi di un intervento ad adiuvandum, avrebbe dovuto essere considerata altrimenti inammissibile (C.d.S., sez. V, 18 dicembre 2000, n. 6769; 26 giugno 1996, n. 806).


II. 2. Così risolte le questioni preliminari può passarsi all’esame dei motivi di gravame, riguardo ai quali la fondatezza della doglianza relativa alla pretesa violazione dell’articolo 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241, esime la Sezione dall’analisi della eccepita inammissibilità del ricorso di primo grado per difetto di legittimazione ad agire del ricorrente.


II. 2.1. Sotto un primo profilo, giova evidenziare che l’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento, così come delineato dall’articolo 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241, si colloca, com’è noto, nell’ambito di una nuova visione dei rapporti tra pubblica amministrazione e cittadini, imperniata sul principio della democraticità delle decisioni, quale strumento indispensabile per il pieno ed efficace perseguimento dell’interesse pubblico con il minimo sacrificio possibile degli interessi dei privati, così concretamente trovando attuazione i principi di legalità, buon andamento ed imparzialità dell’azione amministrativa sanciti dall’articolo 97 della Costituzione.


In tale ottica, infatti, la comunicazione di avvio del procedimento è finalizzata a consentire la partecipazione del soggetto “direttamente interessato” all’azione amministrativa, il quale può rappresentare con memorie, osservazioni e controdeduzioni quegli elementi di fatto (di cui l’amministrazione può non essere a conoscenza) per adottare un “giusto” provvedimento (C.d.S., sez. V, 28 maggio 2001, n. 2884), un provvedimento cioè capace di esprimere il giusto contemperamento degli opposti interessi (pubblici e privati) in gioco.


Se questo è l’aspetto fisiologico del dipanarsi dell’azione amministrativa, lo stesso articolo 7 della legge 7 agosto 1990 n. 241, ammette la deroga al delineato obbligo di comunicazione (e quindi al diritto di partecipazione) allorquando “sussistano ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento”: la giurisprudenza amministrativa ha già avuto modo di delimitare i concreti limiti in cui è da considerare legittima la deroga all’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento, precisando che le ragioni dell’urgenza devono essere enunciate nel provvedimento e motivate sinteticamente con riferimento ad esigenze di tutela immediata dell’interesse pubblico (C.d.S., sez. VI, 8 aprile 2002, n. 1901) e che esse devono essere qualificate dal pericolo di immediata compromissione dell’interesse pubblico (C.d.S., sez. VI, 3 ottobre 2000, n. 5267); è stato altresì evidenziato che una obiettiva situazione di emergenza, consistente nella esigenza di tutela della salute pubblica e dell’integrità dell’ambiente, consente di soprassedere dall’invio della comunicazione di avvio del procedimento.


Orbene, ad avviso della Sezione, nel caso di specie, sussistevano proprio le ragioni di urgenza che escludevano la operatività dell’obbligo in capo all’amministrazione statale straordinaria di comunicare agli interessati l’avvio del procedimento per la realizzazione dell’opera in questione.


Non è infatti revocabile in dubbio che la realizzazione nel Comune di Castellaneta del Centro di raccolta, prima lavorazione e stoccaggio dei materiali proveniente dalle raccolte comunali differenziate, con annessa linea di selezione dei rifiuti indifferenziati, si inserisce nell’ambito delle misure eccezionali adottate dal Commissario delegato, appositamente nominato dal governo, previa dichiarazione dello stato di calamità da parte del Consiglio dei Ministri, proprio per fronteggiare l’emergenza rifiuti nella regione Puglia.


La straordinarietà di tale situazione, per la quale, come risulta dalla documentazione in atti, allo stesso commissario delegato erano stati conferiti poteri eccezionali e derogatori, ha imposto l’adozione di provvedimenti altrettanto straordinari, eccezionali ed urgenti, tali da escludere del tutto legittimamente l’applicazione della normativa ordinaria ed in particolare dell’articolo 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241, stante la necessità di provvedere urgentemente e senza alcun indugio per evitare la compromissione di rilevantissimi interessi pubblici, quali l’igiene e la salute pubblica, altrimenti esposti a nocumento gravissimo.


Né può, per contro, obiettarsi che l’urgenza di provvedere sarebbe contraddetta dal notevole lasso di tempo intercorso tra la delibera della Giunta municipale n. 543 del 7 settembre 1998 del Comune di Castellaneta (recante la prima approvazione del progetto dei lavori di cui si tratta) ed il decreto di occupazione del fondo (n. 74 del 17 luglio 2000): è sufficiente rilevare al riguardo che la ricordata delibera n. 543 del 7 settembre 1998 conteneva soltanto l’approvazione di un progetto generale, sollecitato dallo stesso Commissario delegato, per consentire l’effettiva ed adeguata soluzione dei problemi esistenti; come già delineato, poi, il predetto progetto è stato approvato, con i poteri derogatori, dal commissario delegato col decreto n. 474 del 17 novembre 1999 che ne ha attribuito l’attuazione al Comune di Castellaneta, il quale – a sua volta – ha dovuto riapprovare il progetto ai fini della procedura espropriativa (e per il relativo appalto dei lavori) nell’ambito della quale è intervenuto il decreto di occupazione d’urgenza.


Tale tempistica, resasi necessaria per il rispetto dei principi generali in tema di rapporti tra enti, rende giustizia della assoluta celerità del procedimento e prova, d’altra parte, proprio la esistenza di quella necessaria esigenza di celerità che non sarebbe stata possibile, con grave vulnus degli interessi pubblici in gioco, qualora si fosse ritenuto applicabile l’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento.


II. 2.2. Sotto altro concorrente profilo deve, poi, rilevarsi che l’obbligo in capo all’amministrazione di comunicare l’avvio del procedimento riguarda, proprio ai sensi del più volte ricordato articolo 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241, i soggetti nei cui confronti il provvedimento è destinato ad avere effetti diretti ovvero quelli, ovviamente diversi dai primi, che possono ricevere un pregiudizio, semprechè si tratti di soggetti individuati o facilmente individuabili.


Orbene, anche a voler prescindere dall’esaminare la questione se, nel caso di specie, l’originario ricorrente, nella sua asserita qualità di affittuario e/o coltivatore diretto e conduttore del fondo, possa essere considerato diretto destinatario del provvedimento (questione che – a ben vedere – finisce per rifluire in quella relativa alla verifica della sua legittimazione ad agire), è facile rilevare che il sig. Terrusi non era in ogni caso soggetto individuato o facilmente individuabile: infatti, come si evince dalla documentazione in atti e dalla stessa difficoltosa ricostruzione della posizione legittimante operata dai primi giudici, non solo l’Amministrazione non era a conoscenza del rapporto contrattuale esistente tra il predetto e la ditta proprietaria del fondo, per quanto non è stata fornita alcuna prova documentale dell’esistenza di quel contratto e della sua opponibilità a terzi.


Pertanto nel caso di specie, proprio per tali decisive circostanze di fatto, non era esigibile dall’Amministrazione l’obbligo di comunicare all’appellato l’avvio del procedimento relativo alla realizzazione sul fondo in questione del contestato Centro di raccolta e compostaggio.


II. 2.3. Per completezza devono essere brevemente esaminati i motivi assorbiti dalla decisione di primo grado, che l’appellato ha riproposto espressamente con l’apposita memoria di costituzione.


Giova al riguardo premettere che con la decisione impugnata i primi giudici hanno espressamente respinto tutti i motivi sollevati nei confronti dell’O.P.C.M. n. 2557 del 30 aprile 1997, riconoscendone la piena legittimità: tale autonomo capo della sentenza non è stato impugnato, rimanendo così preclusa ogni indagine sulla latitudine dei poteri derogatori attribuiti al Commissario delegato e concretamente da questi esercitati.


Ciò posto, poiché l’articolo 1, comma 7, della predetta O.P.C.M. n. 2557 del 30 aprile 1997 stabilisce che l’approvazione dei progetti da parte del Commissario delegato sostituisce ad ogni effetto visti, pareri, autorizzazioni e concessioni di organi regionali, provinciali e comunali, e costituisce, ove occorra, variante allo strumento urbanistico generale e comporta la dichiarazione di pubblica utilità, urgenza e indifferibilità dei lavori, tutte le censure sollevate in primo grado circa la pretesa necessità della variante urbanistica, l’incompatibilità dell’area ad ospitare un centro di raccolta e compostaggio per l’esistenza di vincoli idrogeologici e paesistici, l’asserito contrasto col piano per lo smaltimento dei rifiuti, approvato dal Consiglio regionale della Puglia con la delibera n. 251 del 30 giugno 1993, sono infondate.


Quanto poi alla dedotta violazione dei termini per l’inizio ed il compimento dei lavori, la Sezione rileva che essa non sussiste, in quanto:


– nel decreto n. 474 del 17 novembre 1999 il Commissario delegato nell’attribuire al Comune di Castellaneta l’attuazione del progetto in questione, ha disposto, per un verso, che il Comune era tenuto ad assicurare il completamento dei lavori entro 240 giorni dall’avvenuto inizio dei lavori (art. 3, comma 2, lett. c), e, per altro verso, che, in caso di indisponibilità dei suoli il Comune doveva garantire l’acquisizione delle aree oggetto di intervento, mediante procedura di esproprio;


– proprio per tale ultimo profilo è stata adottata la delibera n. 294 del 19 giugno 2000 con la quale la Giunta Municipale del Comune di Castellaneta ha fissato in cinque anni la durata dell’occupazione, così implicitamente determinando il termine delle espropriazioni, in quanto è ivi espressamente dato atto che “i beni oggetto della presente procedura saranno acquisiti mediante regolare procedura di espropriazione”.


Infine correttamente il decreto di occupazione d’urgenza risulta emanato dal dirigente dell’Ufficio tecnico del Comune di Castellaneta, ente attuatore del progetto.


III. In conclusione l’appello deve essere accolto e, per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza, deve essere respinto il ricorso proposto in primo grado dal sig. Francesco Terrusi.


Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.


P. Q. M.


Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando, sull’appello proposto dal Prefetto di Bari – Commissario delegato per l’emergenza rifiuti nella Regione Puglia – avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Puglia, sede di Lecce, sezione I, n. 212 del 25 gennaio 2002, così provvede:


– accoglie l’appello e, per l’effetto, in riforma della impugnata sentenza, respinge il ricorso proposto in primo grado dal signor Francesco Terrusi.
– condanna quest’ultimo al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio liquidate in complessivi Euro 5.000 (cinquemila).


Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 18 marzo 2003, dal Consiglio di Stato in sede

giurisdizionale – Sezione Quarta – con la partecipazione dei signori:
BARBAGALLO Giuseppe – Presidente f.f.
ANASTASI Antonino – Consigliere
CARINCI Giuseppe – Consigliere
SALTELLI Carlo – Consigliere, est.
RUSSO Nicola – Consigliere
 

M A S S I M E

 

Sentenza per esteso

 

1) L’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento - legge 7 agosto 1990, n. 241 - finalità - rapporti tra pubblica amministrazione e cittadini - principio della democraticità delle decisioni - i principi di legalità - articolo 97 della Costituzione - la partecipazione del soggetto “direttamente interessato” all’azione amministrativa - memorie, osservazioni e controdeduzioni - deroga all’obbligo di comunicazione. L’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento, così come delineato dall’articolo 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241, si colloca, com’è noto, nell’ambito di una nuova visione dei rapporti tra pubblica amministrazione e cittadini, imperniata sul principio della democraticità delle decisioni, quale strumento indispensabile per il pieno ed efficace perseguimento dell’interesse pubblico con il minimo sacrificio possibile degli interessi dei privati, così concretamente trovando attuazione i principi di legalità, buon andamento ed imparzialità dell’azione amministrativa sanciti dall’articolo 97 della Costituzione. In tale ottica, infatti, la comunicazione di avvio del procedimento è finalizzata a consentire la partecipazione del soggetto “direttamente interessato” all’azione amministrativa, il quale può rappresentare con memorie, osservazioni e controdeduzioni quegli elementi di fatto (di cui l’amministrazione può non essere a conoscenza) per adottare un “giusto” provvedimento (C.d.S., sez. V, 28 maggio 2001, n. 2884), un provvedimento cioè capace di esprimere il giusto contemperamento degli opposti interessi (pubblici e privati) in gioco. Se questo è l’aspetto fisiologico del dipanarsi dell’azione amministrativa, lo stesso articolo 7 della legge 7 agosto 1990 n. 241, ammette la deroga al delineato obbligo di comunicazione (e quindi al diritto di partecipazione) allorquando “sussistano ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento”: la giurisprudenza amministrativa ha già avuto modo di delimitare i concreti limiti in cui è da considerare legittima la deroga all’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento, precisando che le ragioni dell’urgenza devono essere enunciate nel provvedimento e motivate sinteticamente con riferimento ad esigenze di tutela immediata dell’interesse pubblico (C.d.S., sez. VI, 8 aprile 2002, n. 1901) e che esse devono essere qualificate dal pericolo di immediata compromissione dell’interesse pubblico (C.d.S., sez. VI, 3 ottobre 2000, n. 5267); è stato altresì evidenziato che una obiettiva situazione di emergenza, consistente nella esigenza di tutela della salute pubblica e dell’integrità dell’ambiente, consente di soprassedere dall’invio della comunicazione di avvio del procedimento. Orbene, ad avviso della Sezione, nel caso di specie, sussistevano proprio le ragioni di urgenza che escludevano la operatività dell’obbligo in capo all’amministrazione statale straordinaria di comunicare agli interessati l’avvio del procedimento per la realizzazione dell’opera in questione. Consiglio di Stato, Sezione IV, 29 luglio 2003, sentenza n. 4352

 

2) Errore scusabile - concesso d’ufficio. L’errore scusabile, il cui beneficio può essere concesso d’ufficio, prescindendo da qualsiasi istanza di parte (C.d.S., sez. IV, 12 marzo 2001, n. 1407). Consiglio di Stato, Sezione IV, 29 luglio 2003, sentenza n. 4352

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