Legislazione Giurisprudenza Vedi altre: Sentenze per esteso
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Quinta Sezione ANNO 2002 ha pronunciato la seguente
DECISIONE
Sul ricorso n. 7137/02 R.G. proposto da Pizzolo Angelo, Pizzolo Giuliano
e Pizzolo Ernesto, rappresentati e difesi dagli Avv. Eugenio Lequaglie e Mario
Sanino ed elettivamente domiciliati presso lo studio del secondo in Roma, viale
Parioli n. 180,
CONTRO
- Frigo Vito, rappresentato e difeso dagli Avv. Luigi Pasetto e Luigi Manzi, ed
elettivamente domiciliato presso lo studio del secondo in Roma, via Federico
Confalonieri n. 5;
nonché nei confronti di
- Comune di San Bonifacio, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e
difeso dagli Avv. Giovanni Sala e Nicolò Paoletti, ed elettivamente domiciliato
presso lo studio del secondo in Roma, Via Tortolini n. 34, appellante principale
nelle forme dell’appello incidentale;
PER L'ANNULLAMENTO
della sentenza resa dal T.A.R. per il Veneto, sezione Seconda, n. 3070/02, in
data 27.6.2002, con la quale è stato accolto il ricorso proposto da Frigo Vito.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visto l’appello principale nelle forme dell’appello incidentale presentato dal
Comune di S.Bonifacio;
Visto l’atto di costituzione in giudizio delle appellate;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Nominato relatore il Consigliere Michele Corradino;
Uditi alla pubblica udienza del 15 aprile 2003 gli avv.ti Sanino, Manzi e
Paoletti;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
F A T T O
Con ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, sezione
seconda, il sig. Vito Frigo, il quale, in qualità di proprietario di un immobile
confinante con quello di Pizzolo Angelo, Pizzolo Giuliano e Pizzolo Ernesto,
chiedeva l’annullamento della concessione edilizia n. 8655/98/01 rilasciata dal
Comune di S. Bonifacio in data 12.9.01 con la quale i sigg. Pizzolo venivano
autorizzati a compiere lavori di ristrutturazione del loro immobile, adibito a
deposito, mediante demolizione e successiva ricostruzione, e di realizzazione di
un piano interrato.
L’adito Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, seconda sezione, con
sentenza in forma abbreviata ai sensi dell’art. 9 della legge n. 205/2000, n.
3070/2002, accoglieva il ricorso ed annullava la concessione edilizia, sulla
base della considerazione che nella specie doveva applicarsi la normativa
dettata in ordine all’edilizia condonata che, avendo natura di norma specifica,
prevaleva sulla generale normativa sulla ristrutturazione urbanistica, imponendo
il rispetto, nell’ipotesi in esame, della normativa di zona.
Avverso la predetta decisione proponevano rituale appello Angelo, Giuliano ed
Ernesto Pizzolo, assumendo, nel merito, l’erroneità della sentenza, sotto
diversi profili:
- Violazione e/o erronea applicazione dell’art. 26 L. 1034/71, come modificata
dalla legge 205/2000, perché emanata in forma semplificata in mancanza dei
presupposti di legge;
- Acquiescenza del ricorrente al provvedimento impugnato, con conseguente
inammissibilità o improcedibilità del ricorso di primo grado;
- Violazione e/o falsa applicazione della normativa posta dalle N.T.A. del
P.R.G. del Comune di S.Bonifacio. Difetto e/o illogicità nella motivazione;
- Violazione ed erronea applicazione di altre norme tecniche di attuazione del
P.R.G. del Comune di S. Bonifacio con riferimento alle normative sulle distanze
da edifici di altezza inferiore ai tre metri.
Proponeva, altresì, appello principale, nelle forme dell’appello incidentale, il
Comune di S. Bonifacio, deducendo anch’esso, nel merito, l’erroneità della
sentenza per violazione e/o falsa applicazione della normativa posta dalle
N.T.A. del P.R.G. del Comune di S. Bonifacio e per illogicità e insufficienza
della motivazione;
I Pizzolo, con l’adesione del Comune di San Bonifacio, chiedevano, altresì, con
il medesimo ricorso, in via preliminare e cautelare, la sospensione
dell’esecutività della sentenza impugnata.
Il Consiglio di Stato, con ordinanza del 11.10.2002, ha accolto l’istanza
cautelare, sospendendo l’efficacia della sentenza impugnata.
Si è costituito Vito Frigo per resistere all’appello.
Con memoria depositata in vista dell'udienza l’appellante ha insistito nelle
proprie conclusioni.
Alla pubblica udienza del 15 aprile 2003 la causa è stata chiamata e trattenuta
per la decisione, come da verbale.
D I R I T T O
1. Con il primo motivo di ricorso, gli appellanti deducono la violazione e/o
erronea applicazione dell’art. 26 della l. 1034/71, come modificata dalla legge
205/2000, perché la sentenza è stata emanata in forma semplificata in mancanza
dei presupposti di legge, sollevando, eventualmente, questione di
costituzionalità di tale norma.
Rilevano che la sentenza in forma semplificata è stata emanata in assenza del
presupposto, richiesto dalla legge, della “completezza del contraddittorio”,
ritenendo soddisfatto tale requisito non con la semplice rituale notificazione
all’amministrazione resistente ed ai controinteressati, ma con la effettiva
partecipazione di tali soggetti all’udienza cautelare in cui è stata pronunciata
la sentenza.
Sul punto, basta osservare come la giurisprudenza del Consiglio di Stato (Sez.
VI, n. 546 del 20.01.2002, sez. IV, n. 3929 del 12.07.2002 e n. 3931 del
12.07.2001), ha più volte precisato che la valida costituzione nel giudizio di
primo grado si ha con la rituale intimazione delle parti interessate.
Né il Collegio ritiene meritevole di accoglimento la richiesta di sospensione
del giudizio con rimessione alla Corte Costituzionale di suddetta normativa per
la violazione degli artt. 24, 103 e 113 Cost., in relazione al diritto di
difesa, all’effettività della tutela giurisdizionale, e all’obbligo di
motivazione, posto che la giurisprudenza ha, più volte, sancito la legittimità
costituzionale della sentenza emessa in forma semplificata. Infatti, la Corte
Costituzionale (cfr. Corte Cost., 10 novembre 1999, n. 427) ha già affermato che
la sentenza, ancorché succintamente motivata, è idonea a definire un giudizio a
cognizione piena, non essendovi alcuna reciproca interdipendenza tra
semplificazione della motivazione e sommarietà della cognizione, e la
giurisprudenza amministrativa (cfr., per tutte, Cons.Stato, sez. V, n. 268 del
26.01.2001) ha ribadito che la semplificazione della motivazione, nei casi
speciali previsti dalla legge, è strumentale all’esigenza di garantire una
ragionevole durata del processo ai sensi dell’art. 111, comma 2°, Cost., essendo
compatibile con il principio di effettività della tutela giurisdizionale.
2. Con il secondo motivo di ricorso i Pizzolo lamentano l’acquiescenza del
resistente, ricorrente in primo grado, al provvedimento impugnato, per cui il
ricorso di primo grado avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile o
irrricevibile.
Ciò in quanto con una convenzione intervenuta, in data 13.3.98, tra i Pizzolo e
Vito Frigo, quest’ultimo autorizzava gli odierni appellanti a ristrutturare il
manufatto oggetto del presente giudizio, impegnandosi, in più, a realizzare lo
scavo per la parte interrata dello stesso. Da qui si deduce l’acquiescenza al
provvedimento concessorio che avrebbe dovuto, in seguito, autorizzare questi
lavori.
Tale motivo, risulta, parimenti, infondato.
Infatti, Infatti al di là della considerazione che non si ritiene configurabile
un’acquiescenza preventiva ad un provvedimento amministrativo, posto che, alla
data della convenzione, non era stata neanche inoltrata la domanda di
concessione edilizia, l’efficacia dell’accordo è smentita da altre due
circostanze. Da un lato, dal fatto che la convenzione suddetta è stata
sottoscritta da Vito Frigo non in proprio ma in qualità di legale rappresentante
della SI-BELLA s.n.c., allora proprietaria dell’immobile confinante con quello
dei Pizzolo, e dalla quale poi il Frigo lo avrebbe acquistato, per cui l’attuale
resistente è soggetto diverso ed estraneo all’accordo, che non può produrre
effetti nei confronti dei terzi in assenza, come in questo caso, di
trascrizione. Per altro verso, dal rilievo che la disciplina delle distanze
legali è sancita da norme poste a tutela delle superiori esigenze di ordine
pubblico ad una ordinata e razionale edificazione, e perciò non soggette ad
essere derogate da accordi pattizi privati (cfr. Cons. Stato, IV Sezione, n.
3929 del 12.07.2002).
I primi I primi due motivi di ricorso vanno, quindi, disattesi.
3. Risulta fondato, invece, il terzo motivo di ricorso proposto dall’appellante.
Merita adesione, infatti, la censura con la quale sia il Comune di S.Bonifacio
che Pizzolo Angelo, Giuliano ed Ernesto deducono il difetto di motivazione e la
violazione e/o falsa applicazione delle norme tecniche di attuazione del p.r.g.
da parte della sentenza impugnata.
Come accennato in fatto, il T.A.R. Veneto ha accolto il ricorso ritenendo di
applicare la normativa specifica, e quindi prevalente su quella urbanistica
generale, dettata in materia di edilizia condonata, che impone, in caso di
abbattimento e ricostruzione, il rispetto della normativa di zona. Di qui, anche
se sul punto non vi è espressa pronuncia, conseguirebbe il mancato rispetto,
imposto, appunto, dalla normativa di zona, delle norme generali sulle distanze.
Tale iter argomentativo non è condivisibile.
In ordine all’edilizia condonata, la normativa speciale delle N.T.A. del P.R.G.
del Comune di S.Bonifacio prevede, “in caso di abbattimento e ricostruzione, il
rispetto delle normative e destinazioni di zona”. E le normative di zona
prescrivono (pag. 35 N.T.A.), con riguardo a quella di riferimento del manufatto
in questione, realizzato in zona B di P.R.G., che la ristrutturazione richiesta
avvenga mediante “la ricostruzione sull’area di sedime preesistente o
all’esterno di essa, nel rispetto delle norme generali sulle distanze”.
Si ritiene, anzitutto, contrariamente a quanto affermato dal Comune appellante,
che le ipotesi di abbattimento e ricostruzione possano ricomprendere, come nel
caso di cui si tratta, anche quelle conseguenti a semplici ristrutturazioni,
quindi con demolizione e successiva ricostruzione perfettamente fedele alla
superficie coperta, al volume e alla sagoma dell’edificio preesistente, per cui
il giudice di primo grado ha letto correttamente l’esistenza dei presupposti di
fatto per l’applicazione della normativa di zona. Le conseguenze di tale
assunto, però, basate evidentemente, in assenza di motivazione espressa in
proposito, sull’interpretazione di suddetta normativa, non sono corrette.
In particolare, vale osservare che le prescrizioni di zona prevedono, per le
ristrutturazioni, la necessità della ricostruzione sull’area di sedime
preesistente, come avvenuto nel caso in esame, “o”, se all’esterno di essa, e
cioè all’esterno dell’area di sedime preesistente, il rispetto delle norme
generali sulle distanze. In altri termini è da intendere che la disgiuntiva o
separi due ipotesi nettamente distinte, in ordine alla imposizione del rispetto
delle norme generali sulle distanze, a seconda che la ricostruzione
dell’immobile avvenga o meno nel fedele rispetto dell’edificio già esistente.
Altrimenti, se il rispetto delle norme sulle distanze fosse imposto in entrambe
le ipotesi, non si spiegherebbe il motivo della distinzione. Sarebbe stato
sufficiente, infatti, consentire “la ricostruzione degli edifici nel rispetto
delle norme generali sulle distanze”, oppure, in alternativa, inserire la
congiuntiva e al posto della disgiuntiva o.
Va inoltre considerato che se la disposizione fosse da intendersi nel senso del
necessario rispetto delle norme generali sulle distanze in caso di semplice
ristrutturazione, essa si porrebbe in contrasto sia con il concetto di
ristrutturazione fatto proprio dal legislatore con la legge 443/01, dove
all’art. 1, comma 6, lett. b), si prevede espressamente che le ristrutturazioni
edilizie sono “comprensive della demolizione e ricostruzione con la stessa
volumetria e sagoma”, sia con la stessa nozione accolta dalle N.T.A. del Comune
di S.Bonifacio, laddove (pag. 9 N.T.A.) si stabilisce che “la ristrutturazione
definisce anche la possibilità di demolizione e ricostruzione dell’esistente,
purchè ciò avvenga sull’area di sedime e all’interno delle sagome volumetriche
originarie”.
E, a conferma di siffatte considerazioni, non è di scarso rilievo la ulteriore
previsione delle N.T.A. (da pag. 10), secondo cui “… non può essere impedita
solo da ragioni di distanza la ricostruzione all’interno dell’area di sedime di
edifici preesistenti legittimamente demoliti dopo l’approvazione del P.R.G. ed
inequivocabilmente documentati….”, fattispecie nella quale rientra il fabbricato
di cui si controverte, oggetto dei lavori di ristrutturazione nel 2001, dopo
l’approvazione del P.R.G., avvenuta nel 1998, come ampiamente documentato.
Il motivo è, quindi, fondato.
4. Per quanto considerato e assorbito quant'altro i ricorsi in appello vanno
accolti.
5. Sussistono, comunque, giusti motivi per compensare tra le parti le spese del
secondo grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione V) accoglie gli appelli
in epigrafe e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, rigetta il
ricorso di primo grado.
Compensa le spese di giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, palazzo Spada, sede del Consiglio di Stato, nella camera di
consiglio del 15 aprile 2003, con l'intervento dei sigg.ri
Alfonso Quaranta Presidente,
Giuseppe Farina Consigliere,
Corrado Allegretta Consigliere,
Francesco D’Ottavi Consigliere,
Michele Corradino Consigliere estensore.
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
IL SEGRETARIO
IL DIRIGENTE
f.to Michele Corradino
f.to Alfonso Quaranta
f.to Francesco Cutrupi
f.to Antonio Natale
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
L’8 Settembre 2003
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
1) La ristrutturazione edilizia - nozione - la demolizione e la ricostruzione con la stessa sagoma - mantenimento delle distanze preesistenti - le distanze tra edifici - la disciplina delle distanze legali. La disciplina delle distanze legali è sancita da norme poste a tutela delle superiori esigenze di ordine pubblico ad una ordinata e razionale edificazione, e perciò non soggette ad essere derogate da accordi pattizi privati (cfr. Cons. Stato, IV Sezione, n. 3929 del 12.07.2002). La ristrutturazione edilizia ai sensi dell'art. 1, c. 6, lett. b) della L. 443/01 comprende anche la demolizione e la ricostruzione con la stessa sagoma: le distanze tra edifici, (nella specie, la suddetta nozione è stata accolta anche nelle N.T.A.), possono essere mantenute quelle preesistenti, anche se fuori norma. Si veda anche: Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 3929 del 12/07/2002; Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 3438 del 25/06/2002; Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 5926 del 22/11/2001; Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 5253 del 5/10/2001. Consiglio di Stato, Sez. V - Sentenza 8 Settembre 2003 n. 5032
2) La valida costituzione nel giudizio di primo grado - la legittimità costituzionale della sentenza emessa in forma semplificata - il principio di effettività della tutela giurisdizionale. La giurisprudenza del Consiglio di Stato (Sez. VI, n. 546 del 20.01.2002, sez. IV, n. 3929 del 12.07.2002 e n. 3931 del 12.07.2001), ha più volte precisato che la valida costituzione nel giudizio di primo grado si ha con la rituale intimazione delle parti interessate. Né il Collegio ritiene meritevole di accoglimento la richiesta di sospensione del giudizio con rimessione alla Corte Costituzionale di suddetta normativa per la violazione degli artt. 24, 103 e 113 Cost., in relazione al diritto di difesa, all’effettività della tutela giurisdizionale, e all’obbligo di motivazione, posto che la giurisprudenza ha, più volte, sancito la legittimità costituzionale della sentenza emessa in forma semplificata. Infatti, la Corte Costituzionale (cfr. Corte Cost., 10 novembre 1999, n. 427) ha già affermato che la sentenza, ancorché succintamente motivata, è idonea a definire un giudizio a cognizione piena, non essendovi alcuna reciproca interdipendenza tra semplificazione della motivazione e sommarietà della cognizione, e la giurisprudenza amministrativa (cfr., per tutte, Cons.Stato, sez. V, n. 268 del 26.01.2001) ha ribadito che la semplificazione della motivazione, nei casi speciali previsti dalla legge, è strumentale all’esigenza di garantire una ragionevole durata del processo ai sensi dell’art. 111, comma 2°, Cost., essendo compatibile con il principio di effettività della tutela giurisdizionale. Consiglio di Stato, Sez. V - Sentenza 8 Settembre 2003 n. 5032
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