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 Massime della sentenza

  

 

Consiglio di Stato Sezione V - 18 settembre 2003, sentenza n. 5326.

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Quinta Sezione ANNO 2003 ha pronunciato la seguente


SENTENZA


sul ricorso n. 1149 del 2003, proposto dal Comune di Solaro, rappresentato e difeso dall’avv. Giovanni Mariotti e dall’avv. Enrico Romanelli, elettivamente domiciliato presso il secondo in Roma, Viale Giulio Cesare 14/A
contro
Tecnosistemi s.p.a. T.L.C. – Engineerig e Services - rappresentata e difesa dagli avv.ti Luigi Manzi e Carlo Cossalter ed elettivamente domiciliata presso il primo in Roma, via F. Confalonieri 5
per l'annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Milano, 10 giugno 2002 n. 2461, resa tra le parti.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Tecnosistemi s.p.a.;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla pubblica udienza del 13 maggio 2003 il consigliere Marzio Branca, e uditi gli avvocati Romanelli e Di Mattia per delega dell’avv. Manzi.
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.


FATTO


Con la sentenza in epigrafe è stato accolto il ricorso proposto dalla Tecnosistemi s.p.a. T.L.C. – Engineerig e Services – avverso il silenzio serbato per oltre 60 giorni dal Comune di Solaro sulla istanza di concessione in sanatoria a norma dell’art. 13 della legge n. 47 del 1985, in relazione al posizionamento di un carrello con sovrastante stazione radio base per telecomunicazioni in telefonia mobile.


Il TAR, rigettando alcune eccezioni del Comune intimato, ha ritenuto che il ricorso fosse correttamente proposto nei confronti del Comune medesimo, sebbene la relativa diffida fosse diretta allo sportello unico attivato dal Comune in forma consortile (Consorzio Area Alto Milanese – C.A.A.M.).


Nel merito il ricorso è stato accolto per eccesso di potere e difetto di motivazione.


Avverso la decisione ha proposto appello il Comune di Solaro negando la propria legittimazione passiva, in quanto la diffida era stata rivolta ad altro soggetto (il CAAM) delegato per le pratiche in questione; e affermando pertanto che nella specie non si era formato un silenzio suscettibile di impugnazione.


La s.p.a T.L.C. Tecnosistemi si è costituita in giudizio denunciando la inammissibilità dell’appello per tardività della notificazione e del deposito, alla stregua della normativa di cui agli art. 21 bis e 23 bis della legge n. 1034 del 1971 come modificata dalla legge n. 205 del 2000.


Alla pubblica udienza del 13 maggio 2003 la causa veniva trattenuta in decisione.


DIRITTO


Deve esaminarsi in primo luogo la questione dell’ammissibilità dell’appello sollevata dalla parte appellata alla stregua della normativa di cui agli art. 21 bis e 23 bis della legge n. 1034 del 1971 come modificata dalla legge n. 205 del 2000.


Va condiviso in proposito il rilievo del Comune appellante, secondo cui, nella specie, non si verte in materia di silenzio rifiuto ma di ordinaria impugnazione di un provvedimento negativo.


La giurisprudenza amministrativa, infatti, afferma concordemente che il silenzio dell’Amministrazione su istanza di sanatoria di abusi edilizi costituisce ipotesi di silenzio significativo, al quale vengono collegati gli effetti di un provvedimento esplicito di diniego, con la conseguenza che viene a determinarsi una situazione del tutto simile a quella che si verificherebbe in caso di provvedimento espresso (C.G.A. 21 marzo 2001 n. 142; Cons. St. Sez. VI, ord. 20 novembre 2001 n. 6283).


Ne consegue che non trova applicazione, ai fini della proponibilità dell’appello, il termine speciale di trenta giorni di cui all’art. 21 bis della legge n. 1034, come novellato dalla legge n. 205 del 2000.


Ma l’appellata svolge la medesima eccezione di tardività della proposizione e del deposito dell’appello per mancata osservanza dei termini abbreviati di cui all’art. 23 bis della detta legge n. 1034, come sopra modificata, che nella specie sarebbero applicabili in ragione della natura delle opere posizionate sul terreno comunale senza il necessario titolo concessorio.


Si sostiene infatti che la struttura in questione è un impianto per telecomunicazioni in telefonia mobile ricompreso nella deliberazione assunta dal CIPE il 21 dicembre 2001 n. 121, ai sensi dell’art. 1, comma 1, della legge 21 dicembre 2001 n. 443, e, pertanto, al contenzioso che la coinvolge debbono applicarsi le norme di cui all’art. 14 del d.lgs. 20 agosto 2002 n. 190. La disposizione, come è noto, detta una disciplina speciale dei processi amministrativi che comunque riguardino le dette infrastrutture, prevedendo anche l’applicazione in tali procedimenti dell’art. 23 bis della legge n. 1034 del 1971, introdotto dall’art. 4 della legge n. 205 del 2000, recante, in particolare, l’abbreviazione del termine per il ricorso in appello e per il deposito dell’atto.


Tali termini nella specie non sono stati osservati.


Il Comune appellante assume l’infondatezza dell’eccezione osservando: a) la normativa in questione non era ancora in vigore al momento del formarsi del silenzio rifiuto e quindi sarebbe inapplicabile; b) l’opera di cui si tratta non avrebbe carattere strategico sul piano nazionale in quanto installazione provvisoria per prove tecniche; c) in ogni caso dovrebbe concedersi al Comune l’errore scusabile per aver proceduto tardivamente al deposito dell’atto di appello in ragione dell’incertezza sorta circa l’interpretazione dell’art. 23 bis.


Le ragioni del Comune non possono essere condivise.


Con riguardo al rilievo sub a), costituisce principio indiscusso nel nostro ordinamento che la modificazione della legislazione di natura processuale deve ricevere immediata applicazione nei processi in corso (Cass. Civ. Sez. III, 12 maggio 2000, n. 6099); e, pertanto, si rivela ininfluente la circostanza che la normativa invocata dall’appellata sia entrata in vigore successivamente alla formazione del silenzio-diniego ma prima della scadenza dei termini per l’appello.


La circostanza, poi, che l’opera in questione abbia carattere precario non sembra idonea ad escluderne l’appartenenza ad un genus individuato dalla fonte competente come infrastruttura di carattere strategico, poiché, a tal fine, assume rilievo il tipo di attività non la consistenza materiale dell’impianto.


Neppure può accedersi alla concessione dell’errore scusabile con riguardo all’inosservanza, in particolare, del termine di deposito del ricorso.


La giurisprudenza amministrativa, nella sua sede più autorevole (Ad. Plen. 31 maggio 2002 n. 5), ha affermato che la novella legislativa di cui alla legge n. 205 del 2000, che ha introdotto l’art. 23 bis nella legge n. 1034 del 10971, nel sottrarre la proposizione del ricorso al generale regime della riduzione alla metà di tutti i termini processuali, ha inteso riferirsi alla sola notificazione dell’atto introduttivo del giudizio, non anche al deposito dell’atto notificato.


Con ciò confermando, con consistente anticipo rispetto ai tempi che hanno interessato l’odierna vicenda, un orientamento largamente condiviso dalla precedente giurisprudenza, che non aveva ravvisato per la formalità del deposito l’esigenza di derogare, come per la notificazione, al principio di speditezza e di accelerazione cui si ispirava la riforma (Cons. St., Sez. VI 8 aprile 2002 n. 1906; C.G.A. 12 giugno 2001 n. 287; Sez. IV 28 agosto 2001 n. 4562; 29 agosto 2001 n. 4570).


Da tale indirizzo il Collegio non ha motivo di discostarsi. Deve essere tenuto presente, poi, che l’art. 23 bis si è innestato su una disciplina preesistente anche più rigorosa (art. 19 del d.l. n. 67 del 1997), che pacificamente prevedeva l’abbreviazione del termine per il deposito del ricorso. Anche ad ammettere quindi qualche margine di incertezza sull’interpretazione della nuova disposizione, la comune diligenza da osservarsi da parte del soggetto interessato doveva consigliare l’adempimento nel termine più breve (in senso conforme Sez. IV, 9 ottobre 2002 n. 5363).


In conclusione l’appello in questione va dichiarato inammissibile.


La spese possono essere compensate.


P.Q.M.


Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, dichiara inammissibile l’appello in epigrafe;
dispone la compensazione delle spese;


ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.


Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 13 maggio 2003 con l'intervento dei magistrati:
Emidio Frascione Presidente
Giuseppe Farina Consigliere
Paolo Buonvino Consigliere
Marco Lipari Consigliere
Marzio Branca Consigliere est.


 

L'ESTENSORE                     IL PRESIDENTE                            IL SEGRETARIO                                 IL DIRIGENTE
F.to Marzio Branca                F.to Emidio Frascione                    F.to Antonietta Fancello                      F.to Antonio Natale


DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 18 settembre 2003
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)

 

M A S S I M E

 

Sentenza per esteso

 

1) La modificazione della legislazione di natura processuale deve ricevere immediata applicazione nei processi in corso - applicabilità. Costituisce principio indiscusso nel nostro ordinamento che la modificazione della legislazione di natura processuale deve ricevere immediata applicazione nei processi in corso (Cass. Civ. Sez. III, 12 maggio 2000, n. 6099); e, pertanto, si rivela ininfluente la circostanza che la normativa invocata dall’appellata sia entrata in vigore successivamente alla formazione del silenzio-diniego ma prima della scadenza dei termini per l’appello. (In senso conforme: Consiglio di Stato Sezione V - 18 settembre 2003, sentenza n. 5324). Consiglio di Stato Sezione V - 18 settembre 2003, sentenza n. 5326
 

2) Urbanistica - opera precaria, assume rilievo il tipo di attività non la consistenza materiale dell’impianto. La circostanza, di un’opera che abbia carattere precario non è idonea ad escluderne l’appartenenza ad un genus individuato dalla fonte competente come infrastruttura di carattere strategico, poiché, a tal fine, assume rilievo il tipo di attività non la consistenza materiale dell’impianto. Consiglio di Stato Sezione V - 18 settembre 2003, sentenza n. 5326

 

3) Ricorso al generale - riduzione alla metà di tutti i termini processuali - limiti - notificazione dell’atto introduttivo del giudizio - deposito dell’atto notificato - precedente giurisprudenza. La giurisprudenza amministrativa, nella sua sede più autorevole (Ad. Plen. 31 maggio 2002 n. 5), ha affermato che la novella legislativa di cui alla legge n. 205 del 2000, che ha introdotto l’art. 23 bis nella legge n. 1034 del 10971, nel sottrarre la proposizione del ricorso al generale regime della riduzione alla metà di tutti i termini processuali, ha inteso riferirsi alla sola notificazione dell’atto introduttivo del giudizio, non anche al deposito dell’atto notificato. Con ciò confermando, con consistente anticipo rispetto ai tempi che hanno interessato l’odierna vicenda, un orientamento largamente condiviso dalla precedente giurisprudenza, che non aveva ravvisato per la formalità del deposito l’esigenza di derogare, come per la notificazione, al principio di speditezza e di accelerazione cui si ispirava la riforma (Cons. St., Sez. VI 8 aprile 2002 n. 1906; C.G.A. 12 giugno 2001 n. 287; Sez. IV 28 agosto 2001 n. 4562; 29 agosto 2001 n. 4570). (In senso conforme: Consiglio di Stato Sezione V - 18 settembre 2003, sentenza n. 5324). Consiglio di Stato Sezione V - 18 settembre 2003, sentenza n. 5326

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