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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Quinta Sezione, ha pronunciato la
seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n. 10540/02, proposto dalla Degiocase s.r.l., in
persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti
Carlo Ranaboldo e Guido Francesco Romanelli, ed elettivamente domiciliata presso
il secondo in Roma, v. Cosseria n. 5,
contro
il Comune di Casale Monferrato, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e
difeso dagli avv.ti Paolo Monti, Giuseppe Greppi e Nicolò Paoletti, ed
elettivamente domiciliato presso l’ultimo in Roma, v. B. Tortolini n. 34,
per l’annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, I, 17
ottobre 2001, n. 1770, resa inter partes, con la quale è stato respinto il
ricorso proposto dall’attuale appellante avverso la determinazione dirigenziale
in data 12 giugno 2001, n. 7858, recante il diniego di approvazione del progetto
di piano esecutivo convenzionato presentato, in data 15 marzo 2000, dalla
società ricorrente medesima.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune intimato;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla pubblica udienza del 20 maggio 2003 il Consigliere Gerardo
Mastrandrea; uditi per le parti gli avv.ti G.F. Romanelli e S.Gattamelata, per
delega dell’avv. N. Paoletti;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.
FATTO
1. La società ricorrente, avendo avanzato nel corso del 1999 un’ipotesi di
trasformazione urbanistica di un’area di proprietà sita in Casale Monferrato che
comportava la necessità di realizzare importanti opere di urbanizzazione
primaria e secondaria, con istanza del 15 marzo 2000 presentava, come imposto
dall’art. 8 N.d.A. del p.r.g. comunale, un progetto di piano esecutivo
convenzionato (ex art. 43 l.r. 56/77) a scopo edificatorio con destinazione
residenziale, su un’area di mq. 5.257 in corso Valentino.
Il progetto di piano esecutivo, come può evincersi dalla nota sindacale n.
17507/1331 del 20 giugno 2000, veniva giudicato non compatibile con la vigente
normativa urbanistico-edilizia, con conseguente necessità di rivedere nel merito
le impostazioni progettuali proposte e sospensione - nel frattempo - dell’esame
istruttorio della domanda, il tutto per i seguenti motivi:
1) si proponeva di assoggettare
gli immobili individuati sulle aree per servizi al regime transitorio
dell’attività edilizia. Tale regime non risultava più ammissibile, dovendo le
trasformazioni urbanistiche essere attuate su tutte e non solo su una parte
delle aree comprese nel p.e.c., in modo da garantire l’organica attuazione delle
infrastrutture pubbliche e private funzionalmente interdipendenti;
2) si proponeva un’ipotetica monetizzazione di parte delle aree per servizi,
senza però definirne i criteri e le modalità di calcolo e nonostante
l’esistenza, all’interno delle zone interessate dal progetto di p.e.c., di
sufficienti aree a standards;
3) si proponeva che l’onere per l’acquisizione e la demolizione degli edifici
esistenti sulle aree per servizi fosse posto a carico del Comune intimato,
invece del normale impegno a ceder gratuitamente le stesse aree, già liberate da
dette costruzioni.
In data 13 marzo 2001 la Degiocase, che non si era gravata avverso la suddetta
nota, rimetteva al Comune il progetto di p.e.c., affermando di aver prodotto le
opportune modifiche progettuali secondo quanto richiesto dall’Amministrazione
comunale, con riguardo in particolare ai punti nn. 1 e 2, mentre per quanto
attiene al punto n. 3 si dichiarava, al più, disponibile a stralciare dal p.e.c.,
dietro contropartita, l’area occupata dall’edificio esistente da demolire.
2. Avendo l’Amministrazione comunale ribadito, nella seduta dell’11 giugno 2001,
quanto già affermato con la sopracitata nota del 20 giugno 2000 circa la
necessità di una progettazione unica e coordinata di tutte le aree interessate
dal p.e.c. per motivi di interdipendenza urbanistico-funzionale e per una
organica attuazione delle infrastrutture e dei servizi di urbanizzazione
primaria e/o secondaria, il dirigente competente, ritenuto che il nuovo progetto
di p.e.c. non differisse da quello precedentemente presentato nel marzo 2000,
ribadiva i già elencati elementi di incompatibilità con la normativa
urbanistico-edilizia vigente e quindi, con la determinazione impugnata in prime
cure, respingeva anche il nuovo progetto.
3. Investito della vertenza dall’attuale reclamante, il TAR Piemonte, con la
sentenza impugnata di cui in epigrafe, introitato il ricorso in camera di
consiglio per la decisione con rito semplificato, con pronunzia depositata il
giorno stesso respingeva il gravame, pur ritenuto ammissibile (non trattandosi
di provvedimento di portata meramente confermativa).
4. La Degiocase, pertanto, ha interposto l’appello in trattazione, formalmente
articolato su un unico motivo di gravame, e con cui - tramite anche la
riproposizione integrale dei motivi dell’atto introduttivo – ha dettagliatamente
contestato sia le motivazioni portate dall’Amministrazione comunale a sostegno
dell’impugnato diniego che le argomentazioni in proposito rese dai primi
giudici.
5. L’Amministrazione comunale intimata si è costituita in giudizio per resistere
all’appello, ed ha puntualmente controdedotto.
Le parti hanno depositato memoria.
Alla pubblica udienza del 20 maggio 2003 il ricorso in appello è stato
introitato per la decisione.
DIRITTO
1. L’appello va rigettato.
Concentrando, infatti, l’attenzione sul provvedimento impugnato, legittimamente
emesso - in seguito a riesame - dal dirigente comunale del Settore urbanistica
successivamente alla nota sindacale che (anticipando i profili problematici)
aveva sospeso l’istruttoria procedimentale, nonché sui presupposti che vi sono
alla base e, soprattutto, sulla natura dei poteri esercitati, si può agevolmente
giungere ad una conclusione di legittimità dell’atto gravato in rapporto alle
censure dedotte.
2. Risulta fuori contestazione che la proposta di piano esecutivo ripresentata
dalla Degiocase non fosse pienamente ossequiosa delle previsioni di piano
regolatore, alla luce anche del mantenimento di un edificio esistente in area a
non conforme destinazione.
Ciò detto, premesso che l’obbligatorietà della predisposizione di un p.e.c.,
strumento assimilabile alle convenzioni di lottizzazione, deriva nella specie
dall’art. 8 delle Norme di attuazione del p.r.g.c., disposizione mai impugnata
dalla reclamante, non può essere revocato in dubbio che ricada tra le
attribuzioni (peraltro di merito, e quindi insindacabili in sede di giudizio di
legittimità) del Comune, alla luce della stessa norma da ultimo richiamata, la
determinazione della concreta estensione territoriale degli strumenti
urbanistici attuativi.
Ne consegue, ulteriormente, che va escluso che con uno strumento esecutivo ad
iniziativa di parte, peraltro non perfettamente collimante con le scelte
generali effettuate in sede di strumento generale comunale di pianificazione
urbanistica, si possano imporre all’Amministrazione modalità e tempistiche non
conformi alle norme e non condivise, con riferimento, in particolare, alla
situazione di edifici esistenti.
Va più in generale ammesso che sussiste il problema di definire gli ambiti
discrezionali lasciati al Comune per determinare il contenuto concreto di uno
strumento esecutivo lottizzativo, in quanto non si tratta della realizzazione di
uno o più edifici (per i quali il quadro normativo di riferimento ha di regola
un risultato strettamente predeterminato, con l’effetto che la relativa
concessione risulta atto di accertamento di conformità, per cui l’elemento
discrezionale risulta in pratica quasi totalmente assente), ma della formazione,
in sostanza, di un piano urbanistico, sia pure attuativo.
Se, dunque, si può osservare, sotto l’aspetto della forma urbanistica della
lottizzazione, che il piano di lottizzazione può essere sempre sostituito da un
piano particolareggiato di formazione pubblica, ove il Comune intenda dare alla
zona un assetto urbanistico particolare e totalmente proprio, sicché sembrerebbe
non potersi desumere il potere del Comune di dettare il concreto contenuto
urbanistico, si deve tuttavia osservare che l’art. 28, comma 12, L.U.
tradizionalmente riconosce al Comune il potere di apportare modificazioni al
piano di lottizzazione obbligatoria, per il caso in cui sussista un rilevante
interesse alla realizzazione di un piano attuativo nella zona, ed anche in
mancanza di un piano particolareggiato.
Date dunque le conseguenze urbanistiche, e non semplicemente “edilizie”, del
piano di lottizzazione, anche in relazione alle sue dimensioni e alle
connessioni con l’insediamento, si ritiene in definitiva che il Comune possa,
nell’osservanza dello strumento urbanistico generale vigente, dettare modifiche
e prescrizioni di pianificazione che rendano il piano meglio inserito nel
contesto urbanistico dell’insediamento e più aderente allo strumento generale di
cui è attuazione.
3. Cosicché, date le suindicate premesse, le motivazioni poste alla base del
provvedimento impugnato si appalesano tutt’altro che illogiche, irragionevoli o
arbitrarie e non risultano scalfite dalle argomentazioni pur puntigliosamente
dedotte da parte ricorrente.
Ha, infatti, un senso che l’Amministrazione preservi l’integrità dello strumento
urbanistico, anche se di natura attuativa, ed affermi recisamente, con
riferimento alla proposta di stralcio del fabbricato esistente, il principio che
le trasformazioni urbanistiche vanno attuate su tutte e non solo su parte delle
aree comprese nel p.e.c. in base alle scelte comunali, in modo da garantire
l’organica attuazione delle infrastrutture pubbliche e private funzionalmente
interdipendenti.
Ha ragione, inoltre, l’Amministrazione comunale, che pure risulta essersi
prodigata nel tentativo di venire incontro alle esigenze della proponente, a
sottolineare come, essendo il piano esecutivo convenzionato strumento di
attuazione del piano regolatore alternativo al piano particolareggiato di
formazione pubblica, il privato che si assume con le proprie risorse l’onere di
programmazione dell’edilizia è in ogni caso tenuto a dare piena esecuzione allo
strumento urbanistico generale, senza poter pretendere che la P.A. partecipi
agli oneri derivanti dalla sua libera iniziativa al fine di porre rimedio alle
incompatibilità con la normativa di riferimento.
Né il privato può tacciare di illegittimità l’agire dell’Amministrazione che,
seppur nel dispiegarsi dell’attività consensuale, rifiuti di sottostare alla
condizione di corrispondere l’indennità di esproprio per il valore dell’edificio
compreso nell’area interessata dal p.e.c. ovvero di recuperarne la cubatura.
Anche in ordine all’inesistenza dei presupposti per la monetizzazione delle aree
per servizi ed all’indeterminatezza, peraltro, della relativa ipotesi, la
posizione dell’Amministrazione appare, dal punto di vista della legittimità,
tutt’altro che scorretta.
4. Il Collegio di appello, in definitiva, reputa il complesso delle
considerazioni sopra riportate sufficiente per indurre a formulare un responso
reiettivo circa il gravame in trattazione.
Sussistono, nondimeno, i presupposti per la compensazione tra le parti delle
spese del grado di giudizio
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente
pronunciando sul ricorso in appello in epigrafe, lo rigetta.
Spese del presente grado di giudizio compensate tra le parti.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, il 20 maggio 2003, dal Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale (Sezione Quinta), in camera di consiglio, con l’intervento dei
seguenti Magistrati:
Alfonso Quaranta Presidente
Raffaele Carboni Consigliere
Giuseppe Farina Consigliere
Aldo Fera Consigliere
Gerardo Mastrandrea Consigliere est.
L’ESTENSORE
IL PRESIDENTE
IL SEGRETARIO
Il Dirigente
f.to Gerardo Mastrandrea
f.to Alfonso Quaranta
f.to Francesco Cutrupi
f.to Antonio Natale
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 24 settembre 2003
(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)
1) Il piano di lottizzazione può essere sempre sostituito da un piano particolareggiato di formazione pubblica - assetto urbanistico particolare e totalmente proprio - potere del Comune - legittimità - piano di lottizzazione obbligatoria - modificazioni - piano attuativo - aree comprese nel p.e.c. - l’indennità di esproprio per il valore dell’edificio - opere di urbanizzazione primaria e secondaria non compatibile con la vigente normativa urbanistico-edilizia - monetizzazione di parte delle aree per servizi. Il piano di lottizzazione può essere sempre sostituito da un piano particolareggiato di formazione pubblica, ove il Comune intenda dare alla zona un assetto urbanistico particolare e totalmente proprio, sicché sembrerebbe non potersi desumere il potere del Comune di dettare il concreto contenuto urbanistico, si deve tuttavia osservare che l’art. 28, comma 12, L.U. tradizionalmente riconosce al Comune il potere di apportare modificazioni al piano di lottizzazione obbligatoria, per il caso in cui sussista un rilevante interesse alla realizzazione di un piano attuativo nella zona, ed anche in mancanza di un piano particolareggiato. Date dunque le conseguenze urbanistiche, e non semplicemente “edilizie”, del piano di lottizzazione, anche in relazione alle sue dimensioni e alle connessioni con l’insediamento, si ritiene in definitiva che il Comune possa, nell’osservanza dello strumento urbanistico generale vigente, dettare modifiche e prescrizioni di pianificazione che rendano il piano meglio inserito nel contesto urbanistico dell’insediamento e più aderente allo strumento generale di cui è attuazione. Consiglio di Stato Sez. V, 24 settembre 2003 - sentenza n. 5464
2) Strumento esecutivo lottizzativo - situazione di edifici esistenti - lottizzazione - strumento generale comunale di pianificazione urbanistica. Va escluso che con uno strumento esecutivo ad iniziativa di parte, peraltro non perfettamente collimante con le scelte generali effettuate in sede di strumento generale comunale di pianificazione urbanistica, si possano imporre all’Amministrazione modalità e tempistiche non conformi alle norme e non condivise, con riferimento, in particolare, alla situazione di edifici esistenti. Consiglio di Stato Sez. V, 24 settembre 2003 - sentenza n. 5464
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