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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta ANNO 1998 ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 3411 del 1998, proposto da Sarteur Gianluigi,
rappresentato e difeso dagli avv.ti Mario Contaldi e Roberto Longhin,
elettivamente domiciliato presso il secondo in Roma, Via P.L. da Palestrina 63
contro
il Comune di Ayas, non costituito in giudizio
per l'annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Valle d’Aosta, 19
giugno 1997 n. 89, resa tra le parti.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Viste le memorie prodotte dall’appellante;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla pubblica udienza del 17 giugno 2003 il consigliere Marzio Branca,
e udito l’avv. G. Contaldi su delega dell’avv. M. Contaldi;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
FATTO
Con la sentenza in epigrafe è stato respinto il ricorso proposto dal sig.
Gianluigi Sarteur avverso il provvedimento in data 23 gennaio 1996 con il quale
l’Assessore all’urbanistica del Comune di Ayas ha respinto la domanda di condono
edilizio delle opere realizzate sopra la soletta del basso fabbricato sito sul
fondo in mappa n. 97 F. 43 del C.T.
Il TAR ha ritenuto che il provvedimento fosse esente dalle illegittimità
denunciate, consistenti, secondo l’assunto, nella perplessità della motivazione,
posto che non sarebbe chiaro quale parte della domanda del ricorrente è stata
respinta.
La doglianza, infatti, faceva riferimento ad una prima richiesta di sanatoria
del gennaio 1987, riguardante l’ampliamento del locale seminterrato e un
magazzino in assi di legno sopra la soletta, cui fece seguito, nell’ottobre
dello stesso anno, una domanda integrativa contenente una diversa soluzione
progettuale con edificio a due piani in mattoni.
Si lamentava che il diniego di condono sia stato adottato travisando i pareri
della Sovrintendenza per i beni culturali e ambientali e assumendo che gli
stessi fossero contrari alla concessione della sanatoria.
Avverso la sentenza il sig. Sarteur ha proposto appello chiedendone la riforma,
reiterando le censure già avanzate in prime cure e denunciando ancora il difetto
di motivazione della decisione con riguardo alla applicazione in via retroattiva
della normativa urbanistica adottata in epoca successiva alla esecuzione
dell’abuso.
Il Comune di Ayas non si è costituito in giudizio.
Alla pubblica udienza del 17 giugno 2003 la causa veniva trattenuta in
decisione.
DIRITTO
Deve essere in primo luogo esaminato il motivo di appello con il quale si
denuncia che il contenuto del provvedimento impugnato non sarebbe
sufficientemente comprensibile, con conseguente eccesso di potere, potendosi
dubitare, secondo l’assunto, se sia stato adottato un diniego di condono per le
opere come erano state realizzate al gennaio del 1987, o se si sia inteso negare
una concessione per il progetto integrativo (costruzione in legno e mattoni di
due piani, sopra la soletta) del settembre 1987.
Ritiene il Collegio che la lamentata equivocità non sia ravvisabile, se, come è
doveroso, e come hanno ritenuto i primi giudici, l’atto sia valutato alla luce
dei provvedimenti della Sovrintendenza ai beni culturali ed ambientali,
intervenuti nella procedura.
Tali pareri erano indispensabili ai fini del richiesto condono, poiché la legge
regionale n. 48 del 1985 subordinava al giudizio di compatibilità ambientale
rimesso alla Sovrintendenza l’assenso comunale all’esecuzione di opere di
adeguamento e di completamento di quanto realizzato abusivamente.
Il primo di tali pareri, adottato in data 14 luglio 1987, si riferiva alla
realtà della costruzione così come l’appellante l’aveva posta in essere, e come
chiedeva che fosse condonata, ossia un ampliamento del seminterrato, e, al di
sopra della soletta, una sorta di baracca in legno e lamiera.
La Sovrintendenza si è espressa in quell’occasione, senza possibilità di
equivoci, in senso negativo, perché il contesto ambientale non ammetteva la
realizzazione di una “baracca”. L’appellante rifiuta tale interpretazione,
preferendo parlare di assenso condizionato. Egli stesso, peraltro, sembrò
convincersi che, allo stato, la costruzione contrastava con il vincolo
ambientale, se si decise a presentare in breve lasso di tempo il progetto
integrativo del settembre 1987, che prevedeva un edificio di due piani oltre il
seminterrato.
Su questo progetto la Sovrintendenza si è pronunciata in due tempi, una prima
volta il 15 marzo 1988, ed una seconda, in risposta ad una richiesta di
chiarimenti del Comune, il 29 giugno 1995.
In entrambi i casi il parere, salva la prescrizione di alcune specificate
modifiche al piano terra, è stato di segno favorevole alla astratta
compatibilità ambientale delle opere come erano state proposte nel progetto
integrativo del settembre 1987, ma nel contempo la Sovrintendenza si preoccupava
di segnalare che il parere medesimo non poteva eliminare o superare gli
eventuali ostacoli alla realizzazione del progetto che fossero derivati dalla
normativa urbanistica, che spettava al Comune applicare e far rispettare.
A tale riguardo il Comune, nel provvedimento impugnato, ha raccolto la
segnalazione della Sovrintendenza, e ha motivato il diniego di condono
osservando che l’art. 23 delle Norme tecniche di attuazione del P.R.G., per le
opere abusive ed in contrasto con l’ambiente (leggi, “la baracca”), ammette
soltanto opere di manutenzione, e che, d’altra parte, una nuova costruzione non
era assentibile per l’assenza di strumenti urbanistici di dettaglio.
Sostiene tuttavia l’appellante che l’Amministrazione non ha concluso il
provvedimento relativo alla iniziale domanda di condono, della quale sarebbe
ancora incerto l’esito.
La tesi non può essere condivisa.
Il provvedimento, infatti, si richiama alla zonizzazione di P.R.G. ed alla
qualificazione attribuita al fabbricato basso F.43 n. 97 come “fabbricato in
contrasto con l’ambiente”.
La proposizione successiva afferma, come si è sopra osservato, che a norma
dell’art. 23 delle N.T.A.. i fabbricati in contrasto con l’ambiente non possono
essere oggetto di interventi di ristrutturazione o sostitutivi o di
ricostruzione.
Il progetto presentato nel gennaio 1987, consistendo in un ampliamento del piano
seminterrato e nella realizzazione al piano superiore del deposito in assi e
lamiere, doveva essere considerato, ai fini del condono come un intervento di
ristrutturazione, in sé non condonabile.
Può quindi concludersi che nell’atto impugnato trovi definizione il complessivo
procedimento avviato dall’appellante, sia con riguardo al primo abuso, sia con
riferimento alla progettata sistemazione integrativa.
Deve poi essere condivisa la sentenza nella parte in cui, in esito alla
doglianza dedotta in prime cure, ha affermato che il termine per la formazione
del silenzio assenso sulle domande di condono non può decorrere ove non si sia
conseguito il parere favorevole dall’autorità preposta alla tutela del vincolo.
E si è già visto che sul primo abuso la Sovrintendenza si era espressa in senso
negativo.
Ma l’appellante insiste, soprattutto nella memoria, nel censurare il
provvedimento e la sentenza sul piano della logicità per aver stravolto lo
spirito della normativa in tema di condono, che, secondo l’assunto, in presenza
di una acclarata compatibilità ambientale, vieterebbe il diniego di condono.
A tale riguardo, in disparte quanto già osservato circa i rilievi di ordine
ambientale presenti nei pareri della Sovrintendenza, l’appellante non considera
che le valutazioni astrattamente favorevoli in esse contenute erano formalmente
condizionate alla compatibilità dei manufatti e degli interventi con la
normativa urbanistica, a proposito della quale l’ufficio si astiene formalmente
dall’interloquire. In altri termini il profilo ambientale non era e non è
l’unico che il Comune doveva tener presente nella definizione dell’istanza.
Ma neppure condividersi la tesi che sorregge l’intera prospettazione
dell’appellante, secondo cui due erano i procedimenti avviati con riguardo al
manufatto in questione e che essi dovessero essere valutati separatamente
secondo regole diverse.
Va chiarito, in contrario, che il progetto presentato nel settembre ottobre
1987, denominato non caso “integrazione di condono edilizio n. 971/c del
30.01.1087”, venne presentato al precipuo scopo di ottenere il condono richiesto
all’inizio del medesimo anno. Ne consegue che l’istanza, sulla quale il Comune
doveva pronunciarsi è venuta a caratterizzarsi in dipendenza della modificazione
prospettata nel 1987, e pertanto, non si spiega la doglianza circa la
applicazione di normative urbanistiche successive agli anni 70, in cui la
primitiva costruzione sarebbe stata realizzata.
Sotto altro riguardo, in fine, il richiamo alla mancanza di motivazione circa
l’interesse pubblico alla demolizione delle opere abusive, non appare sostenuto
da apprezzabili argomenti. Si rammenta che non si verte in materia di esercizio
dell’autotutela, ma nella manifestazione di una potestà sanzionatoria
interamente vincolata.
In conclusione l’appello deve essere rigettato.
La mancata costituzione in giudizio dell’Amministrazione esonera dalla pronuncia
sulle spese.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, rigetta l’appello
in epigrafe;
nulla spese;
ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 17 giugno 2003 con
l'intervento dei magistrati:
Emidio Frascione Presidente
Corrado Allegretta Consigliere
Paolo Buonvino Consigliere
Goffredo Zaccardi Consigliere
Marzio Branca Consigliere estensore
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
IL SEGRETARIO
IL DIRIGENTE
f.to Marzio Branca
f.to Emidio Frascione
f.to Luciana Franchini
f.to Antonio Natale
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 3 OTTOBRE 2003
(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)
1) Il termine per la formazione del silenzio assenso sulle domande di condono - decorrenza - il parere favorevole dall’autorità preposta alla tutela del vincolo - necessità - Sovrintendenza - demolizione delle opere abusive - potestà sanzionatoria interamente vincolata - esercizio dell’autotutela - assenza - opere di manutenzione - nuova costruzione - zonizzazione di P.R.G. - fabbricato in contrasto con l’ambiente: baracca - N.T.A. - interventi di ristrutturazione o sostitutivi o di ricostruzione - limiti. Il termine per la formazione del silenzio assenso sulle domande di condono non può decorrere ove non si sia conseguito il parere favorevole dall’autorità preposta alla tutela del vincolo. E si è già visto che sul primo abuso la Sovrintendenza si era espressa in senso negativo. Sotto altro riguardo, in fine, il richiamo alla mancanza di motivazione circa l’interesse pubblico alla demolizione delle opere abusive, non appare sostenuto da apprezzabili argomenti. Si rammenta che non si verte in materia di esercizio dell’autotutela, ma nella manifestazione di una potestà sanzionatoria interamente vincolata. (nella specie il Comune, ha raccolto la segnalazione della Sovrintendenza, e ha motivato il diniego di condono osservando che l’art. 23 delle Norme tecniche di attuazione del P.R.G., per le opere abusive ed in contrasto con l’ambiente (leggi, “la baracca”), ammette soltanto opere di manutenzione, e che, d’altra parte, una nuova costruzione non era assentibile per l’assenza di strumenti urbanistici di dettaglio. Il provvedimento, infatti, si richiama alla zonizzazione di P.R.G. ed alla qualificazione attribuita al fabbricato basso F.43 n. 97 come “fabbricato in contrasto con l’ambiente”. La proposizione successiva afferma, come si è sopra osservato, che a norma dell’art. 23 delle N.T.A.. i fabbricati in contrasto con l’ambiente non possono essere oggetto di interventi di ristrutturazione o sostitutivi o di ricostruzione. Il progetto presentato nel gennaio 1987, consistendo in un ampliamento del piano seminterrato e nella realizzazione al piano superiore del deposito in assi e lamiere, doveva essere considerato, ai fini del condono come un intervento di ristrutturazione, in sé non condonabile). Consiglio di Stato Sezione V - 3 ottobre 2003, Sentenza n. 5745
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