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 Massime della sentenza

  

 

Consiglio di Stato - Sezione V, 15 Ottobre 2003, Sentenza n. 6303.

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta ANNO 1998 ha pronunciato la seguente


DECISIONE


sul ricorso in appello nr. 160/1998 R.G., proposto dal dott. Gagliardi Eugenio, rappresentato e difeso dagli avv.ti Roberto Longhin e Mario Contaldi elettivamente domiciliato nello studio di quest’ultimo in Roma, Via P. da Palestrina n. 63,
CONTRO
La A.S.L. N. 21 di Casale Monferrato, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Paolo Monti e Nicolò Paoletti ed elettivamente domiciliata nello studio di quest’ultimo in Roma, Via Barnaba Tortolini n. 34;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. del Piemonte, sez. II, n. 386/1997, depositata in data 16 luglio 1997.

Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Vista la costituzione in giudizio della parte appellata;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Alla pubblica udienza del 16 maggio 2003 , relatore il consigliere Michele Corradino;
Uditi i difensori come da verbale d’udienza;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:


FATTO


Il dott. Eugenio Gagliardi adiva il T.A.R. del Piemonte, esponendo di essere aiuto presso il reparto di ostetricia e ginecologia della USL n. 76 di Casale Monferrato (poi ASL n. 21 di Casale Monferrato). Esponeva, altresì, che con atto del Comitato di Gestione gli venivano assegnate le mansioni superiori di primario senza diritto a variazioni del trattamento economico; le mansioni si protraevano, asseriva il ricorrente, fino al 1991.
Chiedeva, pertanto, l’accertamento del diritto alla corrispondente retribuzione e la condanna dell’amministrazione al pagamento delle somme dovute con gli accessori di legge.


Il TAR del Piemonte ha rigettato il ricorso di primo grado.


La sentenza è stata appellata dal dott. Gagliardi il quale contrasta le argomentazioni del giudice di primo grado.


La A.S.L. N. 21 di Casale Monferrato si è costituita per resistere all’appello.


Alla pubblica udienza del 2003, il ricorso veniva trattenuto per la decisione.


DIRITTO


L’appello è fondato.


1. Il ricorso in appello propone il problema, di frequente trattazione in sede giurisprudenziale, del diritto alle differenze retributive in relazione allo svolgimento, nell’area del personale sanitario, delle mansioni proprie della qualifica superiore.


Nella specie la domanda concerne la rivendicazione della retribuzione per l’esercizio delle mansioni superiori svolte.


2. Va, in primis, disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso proposto dall’odierno appellante per carenza di interesse, eccezione avanzata dalla ASL n. 21 di Casale Monferrato. Sostiene l’appellato, infatti, che il ricorrente avrebbe omesso di impugnare la DGR del 22 aprile 1986 che vietava la copertura del posto di primario di ginecologia mediante pubblico concorso. Ne discenderebbe, secondo l’appellato, l’inammissibilità per carenza di interesse del ricorso proposto per ottenere la retribuzione per l’esercizio delle mansioni superiori svolte. La tesi è priva di pregio atteso che la situazione vantata dal ricorrente è di diritto soggettivo (alle differenze retributive) e, dunque, nessun rilievo può avere l’atto appena richiamato, che concerne il diverso profilo dell’espletamento di un pubblico concorso per la copertura di un posto di primario.


3. Il diritto alla retribuzione per le mansioni superiori svolte, generalmente escluso per tutti i settori del pubblico impiego (Ad. Plen. n. 22 del 1999; n. 10 del 2000), ha ottenuto riconoscimento, a determinate condizioni, nell’area del personale medico del servizio sanitario nazionale in virtù della norma risultante dall’art. 29 del d.P.R. n. 761 del 1979, secondo l’interpretazione offerta dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 296 del 1990 e dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, nella decisione n. 2 del 1991.


Come è noto, la Corte Costituzionale ebbe ad affermare che l’art. 29, comma 2, del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, va interpretato nel senso che la maggiorazione della retribuzione all’aiuto ospedaliero che abbia svolto le funzioni di primario, e all’assistente che eserciti le funzioni di aiuto, non spetta solo quando l’assegnazione temporanea non ecceda i 60 giorni, restando fermo che, ove l’incarico ecceda tale termine, al prestatore di lavoro spetta il trattamento corrispondente all’attività svolta, ai sensi dell’art. 2126, comma 1, c.c. (così anche Corte Cost., n. 130 del 1991; n. 337 del 1993; n.101 del 1995).


4. Questa Sezione ha avuto modo di precisare, peraltro, che la <<detta affermazione, nonostante la sua letterale formulazione, di portata apparentemente generalizzata e pluricomprensiva, è rigorosamente circoscritta, sul piano oggettivo, al solo ambito del rapporto di lavoro (sanitario-medico) dei dipendenti delle USL, caratterizzato da rilevanti peculiarità di disciplina organizzativa, e trova il suo necessario fondamento giuridico nell’esistenza di una specifica norma legislativa (art. 29 DPR. N. 761 del 20 dicembre 1979), la quale, adeguatamente interpretata, consente, eccezionalmente, la retribuibilità delle mansioni superiori esercitate di fatto dal dipendente>> (Cons. Stato, Sez. V., 7 febbraio 2000, n. 668).


Tanto premesso, la giurisprudenza della sezione ha interpretato, in modo ormai costante e consolidato, (ex multis: Cons. Stato, sez. V, n. 3845 del 10.7.2000; n. 3085 del 29.5.2000; n. 335 del 26.1.2000 e n. 5660 del 17.10.2002) la disposizione ex art. 29 DPR. N. 761 del 20 dicembre 1979 nel senso che il riconoscimento alle differenze retributive postula, indefettibilmente, la presenza di due presupposti: da un lato l’esistenza di un posto in organico, vacante e disponibile, al quale le mansioni esercitate siano connesse; dall’altro l’attribuzione, con un preventivo atto formale, dell’incarico di svolgere le predette mansioni. Ciò in quanto solo l’esercizio di mansioni superiori avvenuto in conformità ad una disposizione dettata dall’organo amministrativo dell’ente, nell’esercizio della propria discrezionalità, riesce ad armonizzare e contemperare le esigenze di tutela del dipendente con i principi costituzionali sanciti dall’art. 97, secondo il quale i pubblici uffici sono organizzati in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione. Più in particolare, poi, si precisa che è necessario che l’incarico abbia espressamente ad oggetto l’attribuzione delle mansioni corrispondenti ad un posto specificamente individuato e vacante.


Peraltro, con riferimento al conferimento dell’incarico, la giurisprudenza ha precisato che, se è vero che non sempre è necessario un “atto formale, ancorché illegittimo, di assegnazione a determinate funzioni”, occorre peraltro che il servizio si sia svolto “in conformità di una disposizione impartita dall’organo amministrativo dell’Ente pubblico nell’esercizio del suo potere direttivo” (C. Cost. n. 296 del 1990; Sez. V, n. 668 del 2000). In particolare, la giurisprudenza (Cons. St., Sev. V, 7 dicembre 1996 n. 1475) ha ulteriormente precisato la portata del suddetto principio distinguendo l’ipotesi dell’assistente che svolga funzioni di aiuto da quella dell’aiuto che è addetto ai compiti del primario. Di norma, infatti, lo svolgimento della funzioni primariali assume rilievo ai fini retributivi, indipendentemente da ogni atto organizzativo dell’Amministrazione, poiché non sembra concepibile che la struttura sanitaria, che prevede la direzione di un primario, resti priva dell’organo di vertice, che assume la responsabilità dell’attività esercitata dal reparto, mentre la vacanza del posto di aiuto non implica alcuna automatica investitura dell’assistente nell’esercizio delle mansioni superiori, potendo l’Amministrazione adottare una pluralità di soluzioni organizzative.


5. Chiarito nei termini anzidetti il quadro di riferimento, ritiene il Collegio che l’appello meriti accoglimento.


Non è condivisibile, infatti, l’assunto del giudice di primo grado secondo cui il blocco delle assunzioni – triennio 1985/1988 – preclude non solo la copertura stabile del posto ma, inoltre, si pone da ostacolo al conferimento di un incarico corrispondente alla relativa qualifica funzionale. Inoltre, non è possibile ritenere che l’indisponibilità del posto sia derivata, per il triennio 1988/1991 dalla controversia che ha condotto all’annullamento del concorso per la copertura del posto in questione.


Invero, il cosiddetto blocco delle assunzioni viene configurato dalla giurisprudenza quale misura temporanea di carattere transitorio - in vista di un riassetto generale del settore (nella specie, sanitario) - collegato ad esigenze straordinarie di contenimento della spesa. Sempre la giurisprudenza ha chiarito che il blocco non è rivolto non ai concorsi in sè, ma alle nomine (Cons. Stato, Sez.IV, 20/09/1994, n.719).


Alla luce di tali considerazioni si appalesa erroneo l’iter logico-giuridico seguito dal giudice di primo grado nel ritenere indisponibile il posto di primario durante la vigenza del blocco. Invero, come chiarito da questo Consesso << Il principio della adeguatezza del trattamento economico alle mansioni superiori svolte, direttamente emergente dall'art. 36 cost. e riaffermato dalla Corte costituzionale con sentenze 23 febbraio 1989 n. 57 e 19 giugno 1990 n. 296, trova applicazione in tutti i casi nei quali lo svolgimento di dette mansioni sia conseguente ad un incarico formale conferito dall'amministrazione al suo dipendente per sopperire alla mancanza del titolare, senza che possa assegnarsi rilievo negativo al divieto posto dal regolamento organico di protrarre la situazione di reggenza oltre un determinato periodo, giacchè l'illegittimità commessa dall'amministrazione non può tradursi in un giudizio di illiceità dell'attività svolta dal dipendente destinatario dell'ordine di servizio>> (Cons. Stato, Sez.VI, 18/07/1997, n.1119). Detta affermazione, mutatis mutandis, risulta valevole anche per il caso in esame, posto che il divieto di copertura di posti disposto dalla legge e dal provvedimento regionale concerneva l’espletamento delle procedure concorsuali e, meglio, la nomina del vincitore al posto in questione, ma non poteva costituire ostacolo alla retribuzione delle mansioni superiori svolte.


Inoltre non può essere taciuta la circostanza secondo cui lo svolgimento delle funzioni primariali da parte dell'aiuto assume rilievo ai fini retributivi <<poichè non è concepibile che la struttura sanitaria affidata alla direzione del primario resti priva dell'organo di vertice, che assume la responsabilità dell'attività esercitata nell'ambito della divisione>> (Cons. Stato, Sez.V, 05/06/1997, n.614).


Orbene non è contestato che l’appellante, nei periodi indicati, svolgesse le funzioni di primario della USL n. 76 di Casale Monferrato. Nessun dubbio, quindi, che l’appellante abbia diritto alle differenze retributive per il periodo in cui, rivestendo la qualifica di aiuto, ha svolta quella del primario.


Va dunque affermato il diritto dell’appellante alla corresponsione delle differenze retributive per i periodi indicati. Il credito deve essere maggiorato degli accessori secondo le disposizioni vigenti nei diversi periodi. Per quanto concerne le prestazioni previdenziali, la giurisprudenza amministrativa, sulla scorta dell’insegnamento della Corte, ne limita l’attribuzione allo svolgimento dell’attività primariale, e da tale indirizzo il Collegio non ha motivo di discostarsi (Sez. V, n. 668 del 2000).


Va inoltre ricordato che nell’accertare i giorni effettivamente lavorati dal sanitario svolgente mansioni superiori, le festività e i giorni di riposo settimanali non interrompono la necessaria continuità nell’esercizio delle predette funzioni, con la conseguenza che il relativo trattamento retributivo differenziale deve essere integralmente corrisposto anche per tali periodi, così come accade per tutti i casi in cui l’aiuto esercita le funzioni di primario all’esterno della struttura sanitaria, mentre non va concesso nel caso di congedo ordinario ed in tutte le ipotesi di congedo straordinario (Sez. V, 26 marzo 2001 n. 1722).


Va infine confermato che l’integrazione retributiva non spetta per sessanta giorni di ciascun anno di applicazione alle mansioni superiori, secondo l’esplicita previsione dell’art. 29 del d.P.R. n. 761 del 1979.

 

Per le esposte ragioni l’appello va accolto.


Sussistono giuste ragioni per la compensazione delle spese.


P.Q.M.


Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, accoglie l’appello in epigrafe, e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, dichiara il diritto dell’appellante alla corresponsione delle differenze retributive nei sensi di cui in motivazione.
Dispone la compensazione delle spese.


Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 16 maggio 2003 con l'intervento dei signori magistrati:
Agostino Elefante presidente,
Aldo Fera consigliere,
Goffredo Zaccardi consigliere,
Francesco D’Ottavi consigliere.
Michele Corradino consigliere estensore,



L'ESTENSORE                               IL PRESIDENTE                                         IL SEGRETARIO
F.to Michele Corradino                    F.to Agostino Elefante                                 F.to Antonietta Fancello


DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 15 Ottobre 2003
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
 

M A S S I M E

 

Sentenza per esteso

 

1)  Ente pubblico e mansioni superiori - presupposti - esistenza di un posto in organico - attribuzione dell’incarico, con un preventivo atto formale - esercizio di mansioni superiori - atto formale illegittimo. La giurisprudenza della sezione ha interpretato, in modo ormai costante e consolidato, (ex multis: Cons. Stato, sez. V, n. 3845 del 10.7.2000; n. 3085 del 29.5.2000; n. 335 del 26.1.2000 e n. 5660 del 17.10.2002) la disposizione ex art. 29 DPR. N. 761 del 20 dicembre 1979 nel senso che il riconoscimento alle differenze retributive postula, indefettibilmente, la presenza di due presupposti: da un lato l’esistenza di un posto in organico, vacante e disponibile, al quale le mansioni esercitate siano connesse; dall’altro l’attribuzione, con un preventivo atto formale, dell’incarico di svolgere le predette mansioni. Ciò in quanto solo l’esercizio di mansioni superiori avvenuto in conformità ad una disposizione dettata dall’organo amministrativo dell’ente, nell’esercizio della propria discrezionalità, riesce ad armonizzare e contemperare le esigenze di tutela del dipendente con i principi costituzionali sanciti dall’art. 97, secondo il quale i pubblici uffici sono organizzati in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione. Più in particolare, poi, si precisa che è necessario che l’incarico abbia espressamente ad oggetto l’attribuzione delle mansioni corrispondenti ad un posto specificamente individuato e vacante. Peraltro, con riferimento al conferimento dell’incarico, la giurisprudenza ha precisato che, se è vero che non sempre è necessario un “atto formale, ancorché illegittimo, di assegnazione a determinate funzioni”, occorre peraltro che il servizio si sia svolto “in conformità di una disposizione impartita dall’organo amministrativo dell’Ente pubblico nell’esercizio del suo potere direttivo” (C. Cost. n. 296 del 1990; Sez. V, n. 668 del 2000). In particolare, la giurisprudenza (Cons. St., Sev. V, 7 dicembre 1996 n. 1475) ha ulteriormente precisato la portata del suddetto principio distinguendo l’ipotesi dell’assistente che svolga funzioni di aiuto da quella dell’aiuto che è addetto ai compiti del primario. Di norma, infatti, lo svolgimento della funzioni primariali assume rilievo ai fini retributivi, indipendentemente da ogni atto organizzativo dell’Amministrazione, poiché non sembra concepibile che la struttura sanitaria, che prevede la direzione di un primario, resti priva dell’organo di vertice, che assume la responsabilità dell’attività esercitata dal reparto, mentre la vacanza del posto di aiuto non implica alcuna automatica investitura dell’assistente nell’esercizio delle mansioni superiori, potendo l’Amministrazione adottare una pluralità di soluzioni organizzative. Consiglio di Stato - Sezione V, 15 Ottobre 2003, Sentenza n. 6303

 

2) Mansioni superiori - la copertura stabile del posto - l’espletamento delle procedure concorsuali - qualifica funzionale - il cosiddetto blocco delle assunzioni - principio della adeguatezza del trattamento economico alle mansioni superiori svolte - la situazione di reggenza oltre un determinato periodo. Non è condivisibile, l’assunto del giudice di primo grado secondo cui il blocco delle assunzioni – triennio 1985/1988 – preclude non solo la copertura stabile del posto ma, inoltre, si pone da ostacolo al conferimento di un incarico corrispondente alla relativa qualifica funzionale. Inoltre, non è possibile ritenere che l’indisponibilità del posto sia derivata, per il triennio 1988/1991 dalla controversia che ha condotto all’annullamento del concorso per la copertura del posto in questione. Invero, il cosiddetto blocco delle assunzioni viene configurato dalla giurisprudenza quale misura temporanea di carattere transitorio - in vista di un riassetto generale del settore (nella specie, sanitario) - collegato ad esigenze straordinarie di contenimento della spesa. Sempre la giurisprudenza ha chiarito che il blocco non è rivolto non ai concorsi in sè, ma alle nomine (Cons. Stato, Sez.IV, 20/09/1994, n.719). Alla luce di tali considerazioni si appalesa erroneo l’iter logico-giuridico seguito dal giudice di primo grado nel ritenere indisponibile il posto di primario durante la vigenza del blocco. Invero, come chiarito da questo Consesso << Il principio della adeguatezza del trattamento economico alle mansioni superiori svolte, direttamente emergente dall'art. 36 cost. e riaffermato dalla Corte costituzionale con sentenze 23 febbraio 1989 n. 57 e 19 giugno 1990 n. 296, trova applicazione in tutti i casi nei quali lo svolgimento di dette mansioni sia conseguente ad un incarico formale conferito dall'amministrazione al suo dipendente per sopperire alla mancanza del titolare, senza che possa assegnarsi rilievo negativo al divieto posto dal regolamento organico di protrarre la situazione di reggenza oltre un determinato periodo, giacchè l'illegittimità commessa dall'amministrazione non può tradursi in un giudizio di illiceità dell'attività svolta dal dipendente destinatario dell'ordine di servizio>> (Cons. Stato, Sez.VI, 18/07/1997, n.1119). Detta affermazione, mutatis mutandis, risulta valevole anche per il caso in esame, posto che il divieto di copertura di posti disposto dalla legge e dal provvedimento regionale concerneva l’espletamento delle procedure concorsuali e, meglio, la nomina del vincitore al posto in questione, ma non poteva costituire ostacolo alla retribuzione delle mansioni superiori svolte. Consiglio di Stato - Sezione V, 15 Ottobre 2003, Sentenza n. 6303

 

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