Legislazione Giurisprudenza Vedi altre: Sentenze per esteso
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta ANNO 1998 ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello nr. 160/1998 R.G., proposto dal dott. Gagliardi
Eugenio, rappresentato e difeso dagli avv.ti Roberto Longhin e Mario Contaldi
elettivamente domiciliato nello studio di quest’ultimo in Roma, Via P. da
Palestrina n. 63,
CONTRO
La A.S.L. N. 21 di Casale Monferrato, in persona del legale rappresentante pro
tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Paolo Monti e Nicolò Paoletti ed
elettivamente domiciliata nello studio di quest’ultimo in Roma, Via Barnaba
Tortolini n. 34;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. del Piemonte, sez. II, n. 386/1997, depositata in data
16 luglio 1997.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Vista la costituzione in giudizio della parte appellata;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Alla pubblica udienza del 16 maggio 2003 , relatore il consigliere Michele
Corradino;
Uditi i difensori come da verbale d’udienza;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
Il dott. Eugenio Gagliardi adiva il T.A.R. del Piemonte, esponendo di essere
aiuto presso il reparto di ostetricia e ginecologia della USL n. 76 di Casale
Monferrato (poi ASL n. 21 di Casale Monferrato). Esponeva, altresì, che con atto
del Comitato di Gestione gli venivano assegnate le mansioni superiori di
primario senza diritto a variazioni del trattamento economico; le mansioni si
protraevano, asseriva il ricorrente, fino al 1991.
Chiedeva, pertanto, l’accertamento del diritto alla corrispondente retribuzione
e la condanna dell’amministrazione al pagamento delle somme dovute con gli
accessori di legge.
Il TAR del Piemonte ha rigettato il ricorso di primo grado.
La sentenza è stata appellata dal dott. Gagliardi il quale contrasta le
argomentazioni del giudice di primo grado.
La A.S.L. N. 21 di Casale Monferrato si è costituita per resistere all’appello.
Alla pubblica udienza del 2003, il ricorso veniva trattenuto per la decisione.
DIRITTO
L’appello è fondato.
1. Il ricorso in appello propone il problema, di frequente trattazione in sede
giurisprudenziale, del diritto alle differenze retributive in relazione allo
svolgimento, nell’area del personale sanitario, delle mansioni proprie della
qualifica superiore.
Nella specie la domanda concerne la rivendicazione della retribuzione per
l’esercizio delle mansioni superiori svolte.
2. Va, in primis, disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso proposto
dall’odierno appellante per carenza di interesse, eccezione avanzata dalla ASL
n. 21 di Casale Monferrato. Sostiene l’appellato, infatti, che il ricorrente
avrebbe omesso di impugnare la DGR del 22 aprile 1986 che vietava la copertura
del posto di primario di ginecologia mediante pubblico concorso. Ne
discenderebbe, secondo l’appellato, l’inammissibilità per carenza di interesse
del ricorso proposto per ottenere la retribuzione per l’esercizio delle mansioni
superiori svolte. La tesi è priva di pregio atteso che la situazione vantata dal
ricorrente è di diritto soggettivo (alle differenze retributive) e, dunque,
nessun rilievo può avere l’atto appena richiamato, che concerne il diverso
profilo dell’espletamento di un pubblico concorso per la copertura di un posto
di primario.
3. Il diritto alla retribuzione per le mansioni superiori svolte, generalmente
escluso per tutti i settori del pubblico impiego (Ad. Plen. n. 22 del 1999; n.
10 del 2000), ha ottenuto riconoscimento, a determinate condizioni, nell’area
del personale medico del servizio sanitario nazionale in virtù della norma
risultante dall’art. 29 del d.P.R. n. 761 del 1979, secondo l’interpretazione
offerta dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 296 del 1990 e
dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, nella decisione n. 2 del 1991.
Come è noto, la Corte Costituzionale ebbe ad affermare che l’art. 29, comma 2,
del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, va interpretato nel senso che la
maggiorazione della retribuzione all’aiuto ospedaliero che abbia svolto le
funzioni di primario, e all’assistente che eserciti le funzioni di aiuto, non
spetta solo quando l’assegnazione temporanea non ecceda i 60 giorni, restando
fermo che, ove l’incarico ecceda tale termine, al prestatore di lavoro spetta il
trattamento corrispondente all’attività svolta, ai sensi dell’art. 2126, comma
1, c.c. (così anche Corte Cost., n. 130 del 1991; n. 337 del 1993; n.101 del
1995).
4. Questa Sezione ha avuto modo di precisare, peraltro, che la <<detta
affermazione, nonostante la sua letterale formulazione, di portata
apparentemente generalizzata e pluricomprensiva, è rigorosamente circoscritta,
sul piano oggettivo, al solo ambito del rapporto di lavoro (sanitario-medico)
dei dipendenti delle USL, caratterizzato da rilevanti peculiarità di disciplina
organizzativa, e trova il suo necessario fondamento giuridico nell’esistenza di
una specifica norma legislativa (art. 29 DPR. N. 761 del 20 dicembre 1979), la
quale, adeguatamente interpretata, consente, eccezionalmente, la retribuibilità
delle mansioni superiori esercitate di fatto dal dipendente>> (Cons. Stato, Sez.
V., 7 febbraio 2000, n. 668).
Tanto premesso, la giurisprudenza della sezione ha interpretato, in modo ormai
costante e consolidato, (ex multis: Cons. Stato, sez. V, n. 3845 del 10.7.2000;
n. 3085 del 29.5.2000; n. 335 del 26.1.2000 e n. 5660 del 17.10.2002) la
disposizione ex art. 29 DPR. N. 761 del 20 dicembre 1979 nel senso che il
riconoscimento alle differenze retributive postula, indefettibilmente, la
presenza di due presupposti: da un lato l’esistenza di un posto in organico,
vacante e disponibile, al quale le mansioni esercitate siano connesse;
dall’altro l’attribuzione, con un preventivo atto formale, dell’incarico di
svolgere le predette mansioni. Ciò in quanto solo l’esercizio di mansioni
superiori avvenuto in conformità ad una disposizione dettata dall’organo
amministrativo dell’ente, nell’esercizio della propria discrezionalità, riesce
ad armonizzare e contemperare le esigenze di tutela del dipendente con i
principi costituzionali sanciti dall’art. 97, secondo il quale i pubblici uffici
sono organizzati in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità
dell’amministrazione. Più in particolare, poi, si precisa che è necessario che
l’incarico abbia espressamente ad oggetto l’attribuzione delle mansioni
corrispondenti ad un posto specificamente individuato e vacante.
Peraltro, con riferimento al conferimento dell’incarico, la giurisprudenza ha
precisato che, se è vero che non sempre è necessario un “atto formale, ancorché
illegittimo, di assegnazione a determinate funzioni”, occorre peraltro che il
servizio si sia svolto “in conformità di una disposizione impartita dall’organo
amministrativo dell’Ente pubblico nell’esercizio del suo potere direttivo” (C.
Cost. n. 296 del 1990; Sez. V, n. 668 del 2000). In particolare, la
giurisprudenza (Cons. St., Sev. V, 7 dicembre 1996 n. 1475) ha ulteriormente
precisato la portata del suddetto principio distinguendo l’ipotesi
dell’assistente che svolga funzioni di aiuto da quella dell’aiuto che è addetto
ai compiti del primario. Di norma, infatti, lo svolgimento della funzioni
primariali assume rilievo ai fini retributivi, indipendentemente da ogni atto
organizzativo dell’Amministrazione, poiché non sembra concepibile che la
struttura sanitaria, che prevede la direzione di un primario, resti priva
dell’organo di vertice, che assume la responsabilità dell’attività esercitata
dal reparto, mentre la vacanza del posto di aiuto non implica alcuna automatica
investitura dell’assistente nell’esercizio delle mansioni superiori, potendo
l’Amministrazione adottare una pluralità di soluzioni organizzative.
5. Chiarito nei termini anzidetti il quadro di riferimento, ritiene il Collegio
che l’appello meriti accoglimento.
Non è condivisibile, infatti, l’assunto del giudice di primo grado secondo cui
il blocco delle assunzioni – triennio 1985/1988 – preclude non solo la copertura
stabile del posto ma, inoltre, si pone da ostacolo al conferimento di un
incarico corrispondente alla relativa qualifica funzionale. Inoltre, non è
possibile ritenere che l’indisponibilità del posto sia derivata, per il triennio
1988/1991 dalla controversia che ha condotto all’annullamento del concorso per
la copertura del posto in questione.
Invero, il cosiddetto blocco delle assunzioni viene configurato dalla
giurisprudenza quale misura temporanea di carattere transitorio - in vista di un
riassetto generale del settore (nella specie, sanitario) - collegato ad esigenze
straordinarie di contenimento della spesa. Sempre la giurisprudenza ha chiarito
che il blocco non è rivolto non ai concorsi in sè, ma alle nomine (Cons. Stato,
Sez.IV, 20/09/1994, n.719).
Alla luce di tali considerazioni si appalesa erroneo l’iter logico-giuridico
seguito dal giudice di primo grado nel ritenere indisponibile il posto di
primario durante la vigenza del blocco. Invero, come chiarito da questo Consesso
<< Il principio della adeguatezza del trattamento economico alle mansioni
superiori svolte, direttamente emergente dall'art. 36 cost. e riaffermato dalla
Corte costituzionale con sentenze 23 febbraio 1989 n. 57 e 19 giugno 1990 n.
296, trova applicazione in tutti i casi nei quali lo svolgimento di dette
mansioni sia conseguente ad un incarico formale conferito dall'amministrazione
al suo dipendente per sopperire alla mancanza del titolare, senza che possa
assegnarsi rilievo negativo al divieto posto dal regolamento organico di
protrarre la situazione di reggenza oltre un determinato periodo, giacchè
l'illegittimità commessa dall'amministrazione non può tradursi in un giudizio di
illiceità dell'attività svolta dal dipendente destinatario dell'ordine di
servizio>> (Cons. Stato, Sez.VI, 18/07/1997, n.1119). Detta affermazione,
mutatis mutandis, risulta valevole anche per il caso in esame, posto che il
divieto di copertura di posti disposto dalla legge e dal provvedimento regionale
concerneva l’espletamento delle procedure concorsuali e, meglio, la nomina del
vincitore al posto in questione, ma non poteva costituire ostacolo alla
retribuzione delle mansioni superiori svolte.
Inoltre non può essere taciuta la circostanza secondo cui lo svolgimento delle
funzioni primariali da parte dell'aiuto assume rilievo ai fini retributivi <<poichè
non è concepibile che la struttura sanitaria affidata alla direzione del
primario resti priva dell'organo di vertice, che assume la responsabilità
dell'attività esercitata nell'ambito della divisione>> (Cons. Stato, Sez.V,
05/06/1997, n.614).
Orbene non è contestato che l’appellante, nei periodi indicati, svolgesse le
funzioni di primario della USL n. 76 di Casale Monferrato. Nessun dubbio,
quindi, che l’appellante abbia diritto alle differenze retributive per il
periodo in cui, rivestendo la qualifica di aiuto, ha svolta quella del primario.
Va dunque affermato il diritto dell’appellante alla corresponsione delle
differenze retributive per i periodi indicati. Il credito deve essere maggiorato
degli accessori secondo le disposizioni vigenti nei diversi periodi. Per quanto
concerne le prestazioni previdenziali, la giurisprudenza amministrativa, sulla
scorta dell’insegnamento della Corte, ne limita l’attribuzione allo svolgimento
dell’attività primariale, e da tale indirizzo il Collegio non ha motivo di
discostarsi (Sez. V, n. 668 del 2000).
Va inoltre ricordato che nell’accertare i giorni effettivamente lavorati dal
sanitario svolgente mansioni superiori, le festività e i giorni di riposo
settimanali non interrompono la necessaria continuità nell’esercizio delle
predette funzioni, con la conseguenza che il relativo trattamento retributivo
differenziale deve essere integralmente corrisposto anche per tali periodi, così
come accade per tutti i casi in cui l’aiuto esercita le funzioni di primario
all’esterno della struttura sanitaria, mentre non va concesso nel caso di
congedo ordinario ed in tutte le ipotesi di congedo straordinario (Sez. V, 26
marzo 2001 n. 1722).
Va infine confermato che l’integrazione retributiva non spetta per sessanta
giorni di ciascun anno di applicazione alle mansioni superiori, secondo
l’esplicita previsione dell’art. 29 del d.P.R. n. 761 del 1979.
Per le esposte ragioni l’appello va accolto.
Sussistono giuste ragioni per la compensazione delle spese.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, accoglie
l’appello in epigrafe, e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata,
dichiara il diritto dell’appellante alla corresponsione delle differenze
retributive nei sensi di cui in motivazione.
Dispone la compensazione delle spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 16 maggio 2003 con
l'intervento dei signori magistrati:
Agostino Elefante presidente,
Aldo Fera consigliere,
Goffredo Zaccardi consigliere,
Francesco D’Ottavi consigliere.
Michele Corradino consigliere estensore,
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
IL SEGRETARIO
F.to Michele Corradino
F.to Agostino Elefante
F.to Antonietta Fancello
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 15 Ottobre 2003
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
1) Ente pubblico e mansioni superiori - presupposti - esistenza di un posto in organico - attribuzione dell’incarico, con un preventivo atto formale - esercizio di mansioni superiori - atto formale illegittimo. La giurisprudenza della sezione ha interpretato, in modo ormai costante e consolidato, (ex multis: Cons. Stato, sez. V, n. 3845 del 10.7.2000; n. 3085 del 29.5.2000; n. 335 del 26.1.2000 e n. 5660 del 17.10.2002) la disposizione ex art. 29 DPR. N. 761 del 20 dicembre 1979 nel senso che il riconoscimento alle differenze retributive postula, indefettibilmente, la presenza di due presupposti: da un lato l’esistenza di un posto in organico, vacante e disponibile, al quale le mansioni esercitate siano connesse; dall’altro l’attribuzione, con un preventivo atto formale, dell’incarico di svolgere le predette mansioni. Ciò in quanto solo l’esercizio di mansioni superiori avvenuto in conformità ad una disposizione dettata dall’organo amministrativo dell’ente, nell’esercizio della propria discrezionalità, riesce ad armonizzare e contemperare le esigenze di tutela del dipendente con i principi costituzionali sanciti dall’art. 97, secondo il quale i pubblici uffici sono organizzati in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione. Più in particolare, poi, si precisa che è necessario che l’incarico abbia espressamente ad oggetto l’attribuzione delle mansioni corrispondenti ad un posto specificamente individuato e vacante. Peraltro, con riferimento al conferimento dell’incarico, la giurisprudenza ha precisato che, se è vero che non sempre è necessario un “atto formale, ancorché illegittimo, di assegnazione a determinate funzioni”, occorre peraltro che il servizio si sia svolto “in conformità di una disposizione impartita dall’organo amministrativo dell’Ente pubblico nell’esercizio del suo potere direttivo” (C. Cost. n. 296 del 1990; Sez. V, n. 668 del 2000). In particolare, la giurisprudenza (Cons. St., Sev. V, 7 dicembre 1996 n. 1475) ha ulteriormente precisato la portata del suddetto principio distinguendo l’ipotesi dell’assistente che svolga funzioni di aiuto da quella dell’aiuto che è addetto ai compiti del primario. Di norma, infatti, lo svolgimento della funzioni primariali assume rilievo ai fini retributivi, indipendentemente da ogni atto organizzativo dell’Amministrazione, poiché non sembra concepibile che la struttura sanitaria, che prevede la direzione di un primario, resti priva dell’organo di vertice, che assume la responsabilità dell’attività esercitata dal reparto, mentre la vacanza del posto di aiuto non implica alcuna automatica investitura dell’assistente nell’esercizio delle mansioni superiori, potendo l’Amministrazione adottare una pluralità di soluzioni organizzative. Consiglio di Stato - Sezione V, 15 Ottobre 2003, Sentenza n. 6303
2) Mansioni superiori - la copertura stabile del posto - l’espletamento delle procedure concorsuali - qualifica funzionale - il cosiddetto blocco delle assunzioni - principio della adeguatezza del trattamento economico alle mansioni superiori svolte - la situazione di reggenza oltre un determinato periodo. Non è condivisibile, l’assunto del giudice di primo grado secondo cui il blocco delle assunzioni – triennio 1985/1988 – preclude non solo la copertura stabile del posto ma, inoltre, si pone da ostacolo al conferimento di un incarico corrispondente alla relativa qualifica funzionale. Inoltre, non è possibile ritenere che l’indisponibilità del posto sia derivata, per il triennio 1988/1991 dalla controversia che ha condotto all’annullamento del concorso per la copertura del posto in questione. Invero, il cosiddetto blocco delle assunzioni viene configurato dalla giurisprudenza quale misura temporanea di carattere transitorio - in vista di un riassetto generale del settore (nella specie, sanitario) - collegato ad esigenze straordinarie di contenimento della spesa. Sempre la giurisprudenza ha chiarito che il blocco non è rivolto non ai concorsi in sè, ma alle nomine (Cons. Stato, Sez.IV, 20/09/1994, n.719). Alla luce di tali considerazioni si appalesa erroneo l’iter logico-giuridico seguito dal giudice di primo grado nel ritenere indisponibile il posto di primario durante la vigenza del blocco. Invero, come chiarito da questo Consesso << Il principio della adeguatezza del trattamento economico alle mansioni superiori svolte, direttamente emergente dall'art. 36 cost. e riaffermato dalla Corte costituzionale con sentenze 23 febbraio 1989 n. 57 e 19 giugno 1990 n. 296, trova applicazione in tutti i casi nei quali lo svolgimento di dette mansioni sia conseguente ad un incarico formale conferito dall'amministrazione al suo dipendente per sopperire alla mancanza del titolare, senza che possa assegnarsi rilievo negativo al divieto posto dal regolamento organico di protrarre la situazione di reggenza oltre un determinato periodo, giacchè l'illegittimità commessa dall'amministrazione non può tradursi in un giudizio di illiceità dell'attività svolta dal dipendente destinatario dell'ordine di servizio>> (Cons. Stato, Sez.VI, 18/07/1997, n.1119). Detta affermazione, mutatis mutandis, risulta valevole anche per il caso in esame, posto che il divieto di copertura di posti disposto dalla legge e dal provvedimento regionale concerneva l’espletamento delle procedure concorsuali e, meglio, la nomina del vincitore al posto in questione, ma non poteva costituire ostacolo alla retribuzione delle mansioni superiori svolte. Consiglio di Stato - Sezione V, 15 Ottobre 2003, Sentenza n. 6303
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