Legislazione Giurisprudenza Vedi altre: Sentenze per esteso
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente
D E C I S I O N E
sul ricorso n.r.g. 7827/2002, proposto dalla “BIFRANGI S.p.a.”, in
persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv.
Manfredi Bettoni e presso quest’ultimo elettivamente domiciliata, in Roma, via
Barberini n. 29;
contro
la PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO, in persona del Presidente pro tempore della
Giunta provinciale, rappresentata e difesa dagli avv.ti Nicolò Pedrazzoli e
Fabio Lorenzoni ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo,
in Roma, via del Viminale n. 43;
e nei confronti di
il COMITATO PROVINCIALE PER L’AMBIENTE, in persona del legale rappresentante pro
tempore, non costituito;
per l’esecuzione del giudicato
nascente dalla decisione del Consiglio di Stato, Sezione Quarta, n. 3514 del 22
giugno 2000.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Provincia Autonoma di Trento;
Visti gli atti tutti del giudizio;
Relatore, alla camera di consiglio del 13 maggio 2003, il Consigliere Nicola
Russo;
Uditi, altresì, per le parti gli Avv.ti Bettoni Manfredi e F. Lorenzoni.
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso depositato il 27 settembre 2002, la soc. Bifrangi S.p.a. ha chiesto
l’esecuzione del giudicato nascente dalla decisione di questa Sezione n.
3514/2000 del 22 giugno 2000, che, in accoglimento dell’appello dalla medesima
proposto, ha annullato la delibera n. 6628/92, con la quale la Giunta
Provinciale di Trento aveva respinto il ricorso in opposizione avverso il parere
negativo del Comitato Provinciale dell’Ambiente in ordine alla compatibilità
ambientale del progetto presentato dalla soc. Bifrangi relativo alla
realizzazione di una centralina idroelettrica, previo rilascio di una
concessione di derivazione d’acqua dal torrente Vanoi.
La decisione n. 3514/2000 cit. ha accolto l’appello della soc. Bifrangi
ritenendo fondata ed assorbente la censura di carenza di istruttoria e di
motivazione riproposta in appello e, per l’effetto, in riforma della sentenza
impugnata, ha accolto il ricorso originario e annullato gli atti impugnati,
statuendo - in motivazione - che la Provincia Autonoma di Trento avrebbe dovuto
pronunciarsi nuovamente sulla domanda della società ricorrente e, quindi, ha
annullato - in dispositivo - i provvedimenti impugnati, salvi gli ulteriori
provvedimenti dell’Autorità amministrativa.
A seguito di tale decisione è scaturito un nuovo procedimento di verifica in
tema di v.i.a. che ha condotto all’adozione da parte della Giunta Provinciale di
Trento della delibera n. 104 del 1° febbraio 2002, resa in conformità al parere
negativo del Comitato Provinciale per l’Ambiente n. 11/2001 del 31 maggio 2001.
Con il ricorso in esame la soc. Bifrangi lamenta la totale elusione del
giudicato da parte dell’Amministrazione provinciale di Trento che sarebbe stata
attuata tramite l’adozione del menzionato provvedimento giuntale n. 104 del 1°
febbraio 2002, di cui contesta in modo analitico la motivazione, censurata anche
come apodittica ed affetta da antinomie e contraddizioni insanabili, oltre che
in preteso contrasto con la normativa, di derivazione nazionale e comunitaria,
in materia energetica, di tutela dell’ambiente e di utilizzo delle fonti
rinnovabili; chiede, quindi, a questo Consiglio di Stato di disporre gli
opportuni provvedimenti per l’esecuzione del giudicato medesimo.
Alla camera di consiglio del 13 maggio 2003 il difensore della Provincia
Autonoma di Trento ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per ottemperanza
per mancanza della previa notifica all’Amministrazione provinciale di un atto di
messa in mora; la causa, quindi, è passata in decisione.
DIRITTO
Deve, preliminarmente, esaminarsi l’eccezione di inammissibilità, sollevata
dalla Provincia Autonoma di Trento, relativa alla mancata previa notifica di una
rituale diffida a provvedere rivolta all’Amministrazione, ai sensi dell’art. 90
del R.D. 17 agosto 1907, n. 642.
Tale eccezione è infondata.
E, infatti, non è necessaria la preventiva messa in mora dell’Amministrazione ad
adempiere allorchè essa, come nella specie è avvenuto, abbia adottato un atto
(che si assume) difforme dal giudicato da eseguire, essendo con ciò venuta a
mancare quell’inerzia che costituisce presupposto e giustificazione dell’atto di
diffida (cfr. Cons. St., sez. IV, n. 746/1988; Cons. St., sez. IV, n. 219/1994;
Cons. St., sez. V, n. 49/1994).
L’inammissibilità del presente ricorso per ottemperanza deve, tuttavia,
rilevarsi ex officio sotto un diverso profilo.
Il giudizio di ottemperanza è previsto per il caso che l’Amministrazione non
abbia ottemperato al giudicato. Questa ipotesi, inizialmente individuata nella
inottemperanza totale, che si verifica nel caso di comportamento del tutto
inerte della P.A. o in quello di formale dichiarazione della P.A. di non voler
adempiere (cfr. Cons. St., sez. VI, n. 469/1991), com’è noto è stata
successivamente estesa anche al caso di inottemperanza parziale o erronea del
giudicato, e a quello della elusione del giudicato, situazione quest’ultima che
si verifica quando la P.A., in seguito alla formazione del giudicato, adotti un
provvedimento che, al di là della formale enunciazione di adempiere, deneghi,
nella sostanza, l’esecuzione della statuizione giudiziale, ponendosi in
contrasto con i doveri derivanti dal giudicato (cfr. C.G.A., n. 13/1986), come,
ad esempio, nel caso di adozione di meri atti istruttori, preparatori od
endoprocedimentali (cfr. Cons., St., sez. IV, decc. n. 1225/1992 e n. 416/1990).
La giurisprudenza prevalente ha, quindi, qualificato come nulli, in quanto
emanati in carenza di potere - con la conseguente sindacabilità da parte del
giudice dell’ottemperanza senza la necessità di una specifica impugnazione da
parte del cittadino - gli atti elusivi (cfr. Cons. St., sez. IV, n. 1001/1991;
Cons. St., sez. VI, n. 250/1995; Cons. St., sez. V, n. 238/1992; C.G.A., n.
369/1996); ma tale qualificazione (nullità) ha adottato anche per gli atti
violativi del giudicato nei casi in cui da esso discendano obblighi tanto
puntuali da non lasciare alcuno spazio alla discrezionalità (cfr. Cons. St.,
sez. IV, n. 304/1992; Cons. St., Ad. Plen., n. 5/1991).
In considerazione della problematicità della distinzione fra le ipotesi di
elusione e quelle di violazione del giudicato (rispetto alle prime il rimedio
sarebbe il ricorso per l’ottemperanza, mentre rispetto alle seconde sarebbe
l’impugnazione ordinaria per l’annullamento dell’atto: cfr. Cons. St., sez. V,
n. 269/1992), la giurisprudenza si è orientata nel senso che, ove dal giudicato
emergano vincoli puntuali nei confronti dell’operato della P.A., e questa li
trasgredisca - esplicitamente o implicitamente - allora sarebbe proponibile il
rimedio dell’ottemperanza, mentre, ove residui in capo alla P.A., per effetto
dello stesso giudicato, ovvero per sopravvenienze di diritto o di fatto, un
margine di discrezionalità in ordine all’adempimento e di tali poteri
discrezionali venga in concreto fatto uso, andrebbe proposta l’impugnazione
ordinaria ai sensi degli artt. 21 e ss. L. n. 1034/1971 (cfr. Cons. St., Ad.
Plen., decc. n. 23/1978 e n. 2/1980).
Tale orientamento, che si regge sul carattere vincolato o discrezionale degli
adempimenti dell’Amministrazione, appare al Collegio preferibile, in
considerazione della portata pratica dell’annullamento, che è differente in
relazione ai vizi accertati dal giudice nella sentenza (vizi formali o vizi di
legittimità sostanziale) e in relazione ai caratteri del potere (discrezionale o
vincolato) attribuito all’Amministrazione; e, infatti, esso è stato in seguito
precisato nel senso che solo nel caso in cui dal giudicato scaturisca un obbligo
così puntuale da non lasciare margini di discrezionalità in sede di
rinnovazione, l’assunzione di provvedimenti in violazione di tale obbligo può
essere fatta valere col giudizio di ottemperanza (cfr. Cons. St., Ad. Plen., n.
6/1984).
E, invero, se è vero che l’accertamento giurisdizionale contenuto nella sentenza
rende vincolata l’attività successiva, configurandosi, in capo alla parte
vittoriosa, un vero e proprio diritto all’adempimento, tuttavia è anche vero
che, laddove, come nella specie, permangano ancora aspetti di discrezionalità in
ordine all’adempimento del giudicato si è al di fuori dello spazio coperto dalla
sentenza.
Stando così le cose, deve, allora condividersi l’orientamento giurisprudenziale
secondo cui, ai fini dell’esperibilità del giudizio di ottemperanza, gli atti
emanati dall’Amministrazione dopo l’annullamento giurisdizionale possono
considerarsi in violazione del giudicato solo allorché da questo derivi un
obbligo talmente puntuale che l’ottemperanza ad esso si concreti nell’adozione
di un atto il cui contenuto sia integralmente desumibile dalla sentenza, mentre
di fronte ad un giudicato che, come nel caso di specie, imponga un semplice
vincolo alla successiva attività discrezionale dell’Amministrazione, gli atti
eventualmente emanati da questa sono soggetti all’ordinario regime di
impugnazione, anche quando si discostino dai criteri indicati nella sentenza, in
quanto in tale evenienza è configurabile solo un vizio di legittimità (cfr.
Cons. St., sez. VI, n. 899/1994), a meno che l’esplicazione della residua
potestà discrezionale venga posta in essere senza alcuna considerazione delle
statuizioni contenute nella sentenza, sì da risultare, in modo concludente,
predeterminata ad eludere il giudicato (cfr. Cons. St., sez. VI, n. 1045/1994;
Cons. St., sez. IV, n. 482/1988).
Deve ritenersi, dunque, che la legittimità dell’atto sopravvenuto possa essere
delibata nell’ambito del giudizio di ottemperanza solo se la nuova
determinazione risulti palesemente elusiva delle regole di azione dettate nella
decisione della quale viene chiesta l’esecuzione (cfr. Cons. St., sez. IV, n.
565/1998) - oltre che nel caso di adozione di atti violativi del giudicato da
cui discendono obblighi puntuali nel senso suddetto - dovendosi altrimenti
denunciarne l’invalidità mediante un autonomo ricorso nelle forme del giudizio
ordinario (cfr. Cons. St., sez. IV, n. 4459/2000; Cons. St., sez. V, n.
2197/2003).
Da quanto finora detto consegue che nella specie occorreva instaurare un nuovo
giudizio di cognizione, in quanto la successiva attività dell’Amministrazione -
conformemente al giudicato da eseguire, il quale non conteneva obblighi
puntuali, ma semplici criteri, lasciando margini di discrezionalità in ordine
all’adempimento - si è concretata nella integrale rinnovazione dell’istruttoria
a suo tempo compiuta e nella emanazione di un atto che, pur concretandosi in una
nuova reiezione dell’istanza, si è, tuttavia, basato su motivi non evidenziati
nel provvedimento di diniego precedentemente annullato.
Nè la nuova determinazione assunta a conclusione del procedimento (rinnovato)
appare concretare una fattispecie palesemente elusiva del giudicato, in quanto
nelle ipotesi, come quella in esame, di annullamento per vizio di motivazione
(vizio formale), non viene escluso il potere della P.A. di provvedere
negativamente in ordine all’oggetto dell’atto precedentemente annullato,
essendole imposto soltanto di esplicitare adeguatamente i motivi posti a base
della nuova determinazione (cfr. Cons. St., sez. VI, n. 270/1998; Cons. St.,
sez. VI, n. 1198/1996), mentre solamente allorquando l’annullamento sia stato
pronunciato per vizi sostanziali, in presenza di un potere vincolato
dell’Amministrazione, la sentenza può precludere l’emanazione di un nuovo atto
con lo stesso contenuto (cfr. Cons. St., sez. V, n. 393/1998).
E, del resto, in caso di rigetto dell’istanza per motivi non evidenziati nel
precedente atto annullato e non toccati dal giudicato si ritiene che occorra un
nuovo giudizio di cognizione (cfr. Cons. St., sez. V, n. 134/1999).
In base alle suesposte considerazioni il presente ricorso per ottemperanza deve
ritenersi, pertanto, inammissibile.
Sussistono, tuttavia, giusti motivi per disporre l’integrale compensazione fra
le parti delle spese e degli onorari della presente fase di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente
pronunciando sul ricorso per l’esecuzione del giudicato n. 7827/2002 R.G., in
epigrafe meglio specificato, lo dichiara inammissibile.
Spese compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, addì 13 maggio 2003, dalla Sezione Quarta del Consiglio di
Stato, riunita in camera di consiglio con l’intervento dei signori:
Gaetano Trotta Presidente
Giuseppe Barbagallo Consigliere
Aldo Scola Consigliere
Vito Poli Consigliere
Nicola Russo Consigliere, est.
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
15/10/2003
1) Comportamento del tutto inerte della P.A - giudizio di ottemperanza - inottemperanza parziale o erronea del giudicato - elusione del giudicato - giurisprudenza. Il giudizio di ottemperanza è previsto per il caso che l’Amministrazione non abbia ottemperato al giudicato. Questa ipotesi, inizialmente individuata nella inottemperanza totale, che si verifica nel caso di comportamento del tutto inerte della P.A. o in quello di formale dichiarazione della P.A. di non voler adempiere (cfr. Cons. St., sez. VI, n. 469/1991), com’è noto è stata successivamente estesa anche al caso di inottemperanza parziale o erronea del giudicato, e a quello della elusione del giudicato, situazione quest’ultima che si verifica quando la P.A., in seguito alla formazione del giudicato, adotti un provvedimento che, al di là della formale enunciazione di adempiere, deneghi, nella sostanza, l’esecuzione della statuizione giudiziale, ponendosi in contrasto con i doveri derivanti dal giudicato (cfr. C.G.A., n. 13/1986), come, ad esempio, nel caso di adozione di meri atti istruttori, preparatori od endoprocedimentali (cfr. Cons., St., sez. IV, decc. n. 1225/1992 e n. 416/1990). La giurisprudenza prevalente ha, quindi, qualificato come nulli, in quanto emanati in carenza di potere - con la conseguente sindacabilità da parte del giudice dell’ottemperanza senza la necessità di una specifica impugnazione da parte del cittadino - gli atti elusivi (cfr. Cons. St., sez. IV, n. 1001/1991; Cons. St., sez. VI, n. 250/1995; Cons. St., sez. V, n. 238/1992; C.G.A., n. 369/1996); ma tale qualificazione (nullità) ha adottato anche per gli atti violativi del giudicato nei casi in cui da esso discendano obblighi tanto puntuali da non lasciare alcuno spazio alla discrezionalità (cfr. Cons. St., sez. IV, n. 304/1992; Cons. St., Ad. Plen., n. 5/1991). In considerazione della problematicità della distinzione fra le ipotesi di elusione e quelle di violazione del giudicato (rispetto alle prime il rimedio sarebbe il ricorso per l’ottemperanza, mentre rispetto alle seconde sarebbe l’impugnazione ordinaria per l’annullamento dell’atto: cfr. Cons. St., sez. V, n. 269/1992), la giurisprudenza si è orientata nel senso che, ove dal giudicato emergano vincoli puntuali nei confronti dell’operato della P.A., e questa li trasgredisca - esplicitamente o implicitamente - allora sarebbe proponibile il rimedio dell’ottemperanza, mentre, ove residui in capo alla P.A., per effetto dello stesso giudicato, ovvero per sopravvenienze di diritto o di fatto, un margine di discrezionalità in ordine all’adempimento e di tali poteri discrezionali venga in concreto fatto uso, andrebbe proposta l’impugnazione ordinaria ai sensi degli artt. 21 e ss. L. n. 1034/1971 (cfr. Cons. St., Ad. Plen., decc. n. 23/1978 e n. 2/1980). Tale orientamento, che si regge sul carattere vincolato o discrezionale degli adempimenti dell’Amministrazione, appare al Collegio preferibile, in considerazione della portata pratica dell’annullamento, che è differente in relazione ai vizi accertati dal giudice nella sentenza (vizi formali o vizi di legittimità sostanziale) e in relazione ai caratteri del potere (discrezionale o vincolato) attribuito all’Amministrazione; e, infatti, esso è stato in seguito precisato nel senso che solo nel caso in cui dal giudicato scaturisca un obbligo così puntuale da non lasciare margini di discrezionalità in sede di rinnovazione, l’assunzione di provvedimenti in violazione di tale obbligo può essere fatta valere col giudizio di ottemperanza (cfr. Cons. St., Ad. Plen., n. 6/1984). Consiglio di Stato, Sez. IV, 15 ottobre 2003, Sentenza n. 6334
2) P.A. - giudizio di ottemperanza - giustificazione dell’atto di diffida. Non è necessaria la preventiva messa in mora dell’Amministrazione ad adempiere allorchè essa, abbia adottato un atto (che si assume) difforme dal giudicato da eseguire, essendo con ciò venuta a mancare quell’inerzia che costituisce presupposto e giustificazione dell’atto di diffida (cfr. Cons. St., sez. IV, n. 746/1988; Cons. St., sez. IV, n. 219/1994; Cons. St., sez. V, n. 49/1994). Consiglio di Stato, Sez. IV, 15 ottobre 2003, Sentenza n. 6334
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