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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Quinta Sezione ANNO2002 ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n. 10900 del 2002 proposto da Immovilli Silvano e
Tambolla Carmela rappresentati e difesi dagli Avv.ti Pierluigi Cassietti e Mario
Menghini ed elettivamente domiciliati presso il secondo, in Roma, via della
Mercede 52
c o n t r o
il Comune di Verbania, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli
Avv.ti Giorgio Santilli ed Enrico Romanelli ed elettivamente domiciliato presso
il secondo, in Roma, viale Giulio Cesare n.14, sc. A int. 4
e nei confronti
del Condominio De Bonis, in persona dell’amministratore in carica, intervenuto
ad opponendum in primo grado, rappresentato e difeso dagli Avv. Fabrizio Gaidano
e Mario Contaldi ed elettivamente domiciliato presso il secondo, in Roma, via
Pierluigi da Palestrina n. 63
per l’annullamento
della sentenza del T.A.R. Piemonte, I Sezione, n. 1986 del 27.11.2002.
Visto l’atto di appello con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio delle parti intimate;
Viste le memorie prodotte dalle parti;
Visti gli atti tutti della causa;
Udito, alla pubblica udienza del 3 giugno 2003, il relatore, consigliere
Nicolina Pullano, ed uditi, inoltre, gli avv.ti Cassetti, Meneghini, Romanelli e
Gaidano;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
F A T T O
Gli appellanti, a seguito dell’ordinanza dirigenziale del 21.7.1998, con la
quale era stato loro ingiunto di demolire le opere edilizie abusivamente
realizzate nella loro abitazione sita in via De Bonis n. 3. il 17.9.1998 hanno
presentato domanda di concessione in sanatoria per le opere suddette,
consistenti nell’avvenuta demolizione di un servizio igienico situato su balcone
prospiciente sul cortile interno del condominio, nell’ampliamento di cm. 30 di
un balcone esistente, nell’allargamento da mt. 1 a mt. 2,70 di una finestra
esistente, nella formazione di una porta di accesso con demolizione di muratura
perimetrale di proprietà comune con altro condomino, nella posa in opera di
copertura in tegole di coppo portoghese, difforme da quanto previsto nella
concessione edilizia n. 160/80, che prevedeva la tipologia in coppo di cotto.
Il Comune di Verbania - dopo avere chiesto agli istanti di produrre
documentazione integrativa e, in particolare, anche l’assenso condominiale per
le opere indicate nell’istanza di sanatoria realizzate sulle parti comuni o di
interesse del condominio, assenso che il condominio ha, però, negato - ha
rilasciato la concessione per il ripristino del manto di copertura in tegole di
coppo cotto, conformemente a quanto richiesto dagli appellanti nelle more
istruttorie del procedimento, mentre la ha negata per le altre opere per il
mancato assenso del condominio e del condomino comproprietario del muro
perimetrale.
Gli interessati con ricorso dinanzi al Tar Piemonte hanno chiesto l’annullamento
del diniego di concessione, a loro avviso illegittimo per violazione di legge,
vizio di motivazione, eccesso di potere per sviamento, difetto di istruttoria.
Il Tar, con l’impugnata sentenza breve ha respinto il ricorso, osservando che i
motivi dedotti - con i quali, in particolare, era stata denunciata
l’illegittimità della motivazione del provvedimento impugnato, in quanto
l’opposizione dell’amministrazione condominiale non avrebbe potuto di incidere
sul rilascio di un titolo concessorio - sono infondati, avendo l’amministrazione
comunale correttamente sollevato, ai sensi dell’art. 4 della L. 28.1.1977 n. 10,
la questione della legittimazione a richiedere la concessione in sanatoria.
Al riguardo ha precisato che, secondo la norma suddetta, “la concessione è data
dal sindaco al proprietario dell’area o a chi abbia titolo per richiederla”, e
che i ricorrenti non avevano titolo per richiedere l’assenso allo svolgimento
dell’attività edilizia, non potendo disporre in via esclusiva delle parti sulle
quali insistevano le opere realizzate, essendo in parte di proprietà comune a
tutti i condomini o, comunque, tali da alterare il decoro architettonico del
condominio e, quanto alla porta aperta sul muro perimetrale, insistendo anche su
proprietà altrui.
Gli appellanti, con il ricorso in esame, chiedono l’annullamento della sentenza
perché erronea nell’interpretazione delle norme del codice civile che
disciplinano l’istituto della comunione e, in ogni caso, perché l’opposizione
dell’amministrazione condominiale non avrebbe potuto essere considerata
legittimamente incidente sul rilascio della concessione, posto che la questione
relativa alle opere eseguite su parti comuni dell’edificio attiene a diritti
soggettivi privati dei condomini, rispetto ai quali la giurisdizione spetta al
giudice civile.
Si sono costituiti in giudizio l’amministrazione comunale e il condominio,
intervenuto ad opponendum in primo grado, i quali, con ampie argomentazioni e
riferimenti giurisprudenziali, hanno illustrato i motivi di infondatezza
dell’appello.
Il condominio ha anche proposto appello incidentale lamentanto che il Tar
avrebbe omesso di pronunciarsi sulla dedotta eccezione di irricevibilità del
ricorso.
In prossimità dell’udienza di trattazione del ricorso tutte le parti hanno
depositato memoria.
D I R I T T O
L’appello incidentale del condominio appellato è infondato.
Il condominio ribadisce l’eccezione, non esaminata in primo grado, di
irricevibilità (recte: inammissibilità) dell’originario ricorso, in quanto non
sarebbe stato tempestivamente impugnato l’atto presupposto con il quale il
Comune di Verbania, al fine di dare corso alla pratica di sanatoria, ha chiesto
ai coniugi Immovilli di produrre la dichiarazione di assenso
dell’amministrazione condominiale all’esecuzione delle opere previste in
sanatoria.
Al riguardo è agevole osservare che l’atto adottato dal comune di Verbania non
ha alcun contenuto provvedimentale, trattandosi di un atto meramente
interlocutorio, e, quindi, non lesivo di alcuna posizione soggettiva
giudizialmente tutelabile.
Passando al merito, la questione che il Collegio è chiamato a risolvere concerne
la possibilità, da parte dell’amministrazione comunale, di negare la concessione
in sanatoria, chiesta ai sensi dell’art. 13 della L. 28.2.1985 n. 47, per motivi
che esulano dall’accertamento di conformità delle opere abusive agli strumenti
urbanistici e, in particolare, nel caso in esame, per il mancato assenso
dell’amministrazione condominiale, che come si è appena visto, è stato
richiesto, ai fini della loro sanatoria, interessando l’abuso parti comuni
dell’edificio.
Il Tar, con la sentenza impugnata ha ritenuto legittima la determinazione
comunale, osservando che l’amministrazione aveva fatto corretta applicazione
dell’art. 4 della L. 28.1.1977 n. 10, il quale enuncia che “…la concessione è
data dal Sindaco al proprietario dell’area o a chi abbia titolo per riceverla…”,
in quanto gli interessati non avevano titolo a richiedere l’assenso della p.a.
allo svolgimento dell’attività edilizia, che in tutto o in parte si era svolta
su aree di cui non avevano la disponibilità esclusiva.
In effetti, sul punto la giurisprudenza, che in passato era prevalentemente
orientata nel senso che il parametro valutativo dell’attività amministrativa in
materia edilizia è quello dell’accertamento della conformità dell’opera alla
disciplina pubblicistica che ne regola la realizzazione, salvi i diritti dei
terzi e senza che la mancata considerazione di tali diritti possa in qualche
modo incidere sulla legittimità dell’atto, più recentemente (cfr. C.d.S., Sez.
V, 15.3.2001 n. 1507) ha avuto occasione di precisare che la necessaria
distinzione tra gli aspetti civilistici e quelli pubblicistici dell’attività
edificatoria non impedisce di rilevare la presenza di significativi punti di
contatto tra i due diversi profili. In proposito ha, pertanto, chiarito che non
è seriamente contestabile che nel procedimento di rilascio della concessione
edilizia l’amministrazione abbia il potere ed il dovere di verificare
l’esistenza, in capo al richiedente, di un idoneo titolo di godimento
sull’immobile, interessato dal progetto di trasformazione urbanistica,
trattandosi di una attività istruttoria che non è diretta, in via principale, a
risolvere i conflitti di interesse tra le parti private in ordine all’assetto
proprietario degli immobili interessati (nel caso in esame concernenti la
legittimità - o non - della esecuzione, ai sensi dell’art. 1102 c.c., delle
opere edilizie che interessano porzioni condominiali comuni), ma che risulta
finalizzata, più semplicemente, ad accertare il requisito della legittimazione
del richiedente. Ha, pertanto, concluso che, conformemente a quanto previsto dal
cit. art. 4 della L. n. 10/77, in caso di opere che vadano ad incidere sul
diritto di altri comproprietari, è legittimo esigere il consenso degli stessi
(che può essere manifestato anche per fatti concludenti) e che, a maggior
ragione, qualora vi sia un conclamato dissidio fra i comproprietari in ordine
all’intervento progettato, la scelta dell’amministrzione di assentire comunque
le opere (in base al mero riscontro della conformità agli strumenti urbanistici)
evidenzia un grave difetto istruttorio e motivazionale, perché non dà conto
della effettiva corrispondenza tra la richiesta di concessione e la titolarità
del prescritto diritto di godimento (cfr. in termini, anche C.d.S., Sez. V,
20.9.2001 n. 4972; Tar Toscana 23.11.2001 n. 1651; Tar Emilia Romana-Parma,
21.3.2002 n. 183).
Precisato, quindi, che l’amministrazione può, in sede di rilascio della
concessione edilizia, legittimamente richiedere il consenso del comproprietario
dell’area interessata dall’intervento edilizio, resta da verificare se tale
principio possa trovare applicazione anche nel caso della richiesta di sanatoria
ex art. 13.
Secondo gli appellanti l’art. 13 individua nel “responsabile dell’abuso” il
soggetto legittimato a richiedere la concessione in sanatoria, anche ai fini di
cui al successivo art. 22 (secondo il quale la consessione in sanatoria estingue
i reati contravvenzionali previsti dalle norme urbanistiche), prescindendo dalla
proprietà del bene sanando.
Ad avviso del Collegio alla norma non può essere data la suddetta
interpretazione riduttiva, considerato che la richiesta di sanatoria è pur
sempre diretta al rilascio di una concessione o autorizzazione edilizia, come
ripetutamente precisato nel primo, secondo e terzo comma, con l’unica differenza
che, nell’ipotesi contemplata, si tratta di assentire un progetto edilizio già
realizzato, invece che da realizzare.
Non c’è motivo, pertanto, di ritenere che non debba trovare applicazione la
regola generale di cui all’art. 4 della L. n. 10/77 e che, quindi, sia comunque
necessario che il richiedente, per potere usufruire della sanatoria, disponga
del titolo per richiederla.
Né appare in senso contrario rilevante la circostanza che l’art. 13 individui
nel “responsabile dell’abuso”, e non già nel titolare del bene, il soggetto
legittimato a chiedere la concessione in sanatoria, in quanto in proposito è
agevole osservare che il legislatore ha solo adottato un formula idonea a
ricomprendere tutte le categorie di soggetti, indicati nell’art. 6, che hanno
concorso a realizzare l’abuso, fermo restando che anche detti soggetti, non
possono chiedere, senza il consenso del titolare del bene, sul quale insistono
le opere e che potrebbe essere completamente estraneo all’abuso ed avere anzi un
interesse contrario alla loro sanatoria, una concessione che, in ipotesi,
potrebbe risolversi in danno dello stesso.
Parimenti non può obbiettarsi che con ciò si priverebbe il “responsabile
dell’abuso” del beneficio di cui all’art. 22, perchè, come è stato correttamente
osservato dal condominio resistente, la sanatoria costituisce una eccezione alla
regola che impone di non realizzare abusi edilizi, per cui, se l’abuso non può
essere sanato, il responsabile ne sopporta le conseguenze che sono riconducibili
ad una intenzionale violazione delle norme di ordine pubblico.
Dalle considerazioni suesposte deriva la reiezione dell’appello.
La novità della questione controversa induce tuttavia il Collegio a compensare
le spese del presente grado del giudizio.
P. Q. M.
il Consiglio di Stato, Sezione quinta, respinge l’appello in epigrafe.
Spese compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 3 giugno 2003, con
l'intervento dei Signori:
Alfonso QUARANTA Presidente
Raffaele CARBONI Consigliere
Goffredo ZACCARDI Consigliere
Marco LIPARI Consigliere
Nicolina PULLANO Consigliere est.
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
IL SEGRETARIO
IL DIRIGENTE
F.to Nicolina Pullano
F.to Alfonso Quaranta
F.to Francesco Cutrupi
F.to Antonio Natale
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 21 ottobre 2003
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
1) Rilascio della concessione edilizia - la richiesta di sanatoria - il consenso del comproprietario dell’area interessata dall’intervento edilizio - il consenso del titolare del bene - il “responsabile dell’abuso”. Precisato, quindi, che l’amministrazione può, in sede di rilascio della concessione edilizia, legittimamente richiedere il consenso del comproprietario dell’area interessata dall’intervento edilizio, resta da verificare se tale principio possa trovare applicazione anche nel caso della richiesta di sanatoria ex art. 13. Alla norma non può essere data la suddetta interpretazione riduttiva, considerato che la richiesta di sanatoria è pur sempre diretta al rilascio di una concessione o autorizzazione edilizia, come ripetutamente precisato nel primo, secondo e terzo comma, con l’unica differenza che, nell’ipotesi contemplata, si tratta di assentire un progetto edilizio già realizzato, invece che da realizzare. Non c’è motivo, pertanto, di ritenere che non debba trovare applicazione la regola generale di cui all’art. 4 della L. n. 10/77 e che, quindi, sia comunque necessario che il richiedente, per potere usufruire della sanatoria, disponga del titolo per richiederla. Né appare in senso contrario rilevante la circostanza che l’art. 13 individui nel “responsabile dell’abuso”, e non già nel titolare del bene, il soggetto legittimato a chiedere la concessione in sanatoria, in quanto in proposito è agevole osservare che il legislatore ha solo adottato un formula idonea a ricomprendere tutte le categorie di soggetti, indicati nell’art. 6, che hanno concorso a realizzare l’abuso, fermo restando che anche detti soggetti, non possono chiedere, senza il consenso del titolare del bene, sul quale insistono le opere e che potrebbe essere completamente estraneo all’abuso ed avere anzi un interesse contrario alla loro sanatoria, una concessione che, in ipotesi, potrebbe risolversi in danno dello stesso. Parimenti non può obbiettarsi che con ciò si priverebbe il “responsabile dell’abuso” del beneficio di cui all’art. 22, perchè, come è stato correttamente osservato dal condominio resistente, la sanatoria costituisce una eccezione alla regola che impone di non realizzare abusi edilizi, per cui, se l’abuso non può essere sanato, il responsabile ne sopporta le conseguenze che sono riconducibili ad una intenzionale violazione delle norme di ordine pubblico. Consiglio di Stato - Sezione V, 21 Ottobre 2003, Sentenza n. 6529
2) La necessaria distinzione tra gli aspetti civilistici e quelli pubblicistici dell’attività edificatoria - l’attività amministrativa in materia edilizia - accertamento della conformità dell’opera - i diritti dei terzi - idoneo titolo di godimento sull’immobile - opere edilizie che interessano porzioni condominiali comuni - requisito della legittimazione del richiedente - grave difetto istruttorio e motivazionale - effettiva corrispondenza tra la richiesta di concessione e la titolarità del prescritto diritto di godimento. La giurisprudenza, che in passato era prevalentemente orientata nel senso che il parametro valutativo dell’attività amministrativa in materia edilizia è quello dell’accertamento della conformità dell’opera alla disciplina pubblicistica che ne regola la realizzazione, salvi i diritti dei terzi e senza che la mancata considerazione di tali diritti possa in qualche modo incidere sulla legittimità dell’atto, più recentemente (cfr. C.d.S., Sez. V, 15.3.2001 n. 1507) ha avuto occasione di precisare che la necessaria distinzione tra gli aspetti civilistici e quelli pubblicistici dell’attività edificatoria non impedisce di rilevare la presenza di significativi punti di contatto tra i due diversi profili. In proposito ha, pertanto, chiarito che non è seriamente contestabile che nel procedimento di rilascio della concessione edilizia l’amministrazione abbia il potere ed il dovere di verificare l’esistenza, in capo al richiedente, di un idoneo titolo di godimento sull’immobile, interessato dal progetto di trasformazione urbanistica, trattandosi di una attività istruttoria che non è diretta, in via principale, a risolvere i conflitti di interesse tra le parti private in ordine all’assetto proprietario degli immobili interessati (nel caso in esame concernenti la legittimità - o non - della esecuzione, ai sensi dell’art. 1102 c.c., delle opere edilizie che interessano porzioni condominiali comuni), ma che risulta finalizzata, più semplicemente, ad accertare il requisito della legittimazione del richiedente. Ha, pertanto, concluso che, conformemente a quanto previsto dal cit. art. 4 della L. n. 10/77, in caso di opere che vadano ad incidere sul diritto di altri comproprietari, è legittimo esigere il consenso degli stessi (che può essere manifestato anche per fatti concludenti) e che, a maggior ragione, qualora vi sia un conclamato dissidio fra i comproprietari in ordine all’intervento progettato, la scelta dell’amministrazione di assentire comunque le opere (in base al mero riscontro della conformità agli strumenti urbanistici) evidenzia un grave difetto istruttorio e motivazionale, perché non dà conto della effettiva corrispondenza tra la richiesta di concessione e la titolarità del prescritto diritto di godimento (cfr. in termini, anche C.d.S., Sez. V, 20.9.2001 n. 4972; Tar Toscana 23.11.2001 n. 1651; Tar Emilia Romana-Parma, 21.3.2002 n. 183). Consiglio di Stato - Sezione V, 21 Ottobre 2003, Sentenza n. 6529
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