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 Massime della sentenza

  

 

Consiglio di Stato Sez. V, 12 novembre 2003, Sentenza n. 7225

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Quinta Sezione ANNO: 1998 ha pronunciato la seguente


DECISIONE


sul ricorso in appello n.r.g. 1616 del 1998, proposto dalla s.r.l. Appia Residence, rappresentata e difesa dall’avv. Giovanni Di Gioia ed elettivamente domiciliata presso il suo studio, in Roma, piazza Mazzini, n. 27,
contro
il comune di Roma, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Mauro Martis, presso il cui studio è elettivamente domiciliato in Roma, presso gli uffici dell’avvocatura comunale, via Del Tempio di Giove, 21,
per l'annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sez. II, n. 421/97, pubblicata il 27 febbraio 1997.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Designato relatore, alla pubblica udienza dell’undici luglio 2003, il consigliere Giuseppe Farina ed udito, altresì, l’avv. Di Gioia;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.


FATTO


1. Il ricorso n. 1616 del 1998 è proposto dalla s.r.l. Appia Residence. È stato notificato il 6 febbraio 1998 al comune di Roma. È stato depositato il 20 febbraio.


2. È impugnata la sentenza n. 421/97, pubblicata il 27 febbraio 1997, del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, II Sezione. La decisione ha:
a) dichiarato improcedibile il ricorso della società contro il silenzio, serbato dal Comune sulla domanda di concessione edilizia presentata il 18 maggio 1992;


b) respinto, in parte, un secondo ricorso della società per l’annullamento del provvedimento soprassessorio successivamente esternato con atto dirigenziale n. 1648 del 29 novembre 1993, e dichiarato irricevibile lo stesso ricorso, nella parte in cui impugnava la variante di piano regolatore generale del Comune, adottata nel 1990.


3. Il ricorso in appello critica la statuizione sub b), con un’articolata censura.


4. Il Comune ha depositato documenti il 30 maggio 2003 ed una memoria il 30 giugno successivo.


5. All’udienza dell’undici luglio 2003, il ricorso è stato chiamto per la discussione e, poi, trattenuto in decisione.


DIRITTO


1. Preliminarmente deve dichiararsi la nullità della costituzione in giudizio del Comune. Non risulta, infatti, depositata né la deliberazione di stare in giudizio, né la procura ai difensori che hanno depositato documenti e memoria e partecipato all’udienza (in occasione della quale si è data informazione delle omissioni in parola).


2. È necessaria una preliminare ricostruzione dei fatti, per consentire di valutare compiutamente le critiche proposte contro la sentenza appellata, censurata nella parte in cui respinge il ricorso avverso il provvedimento dirigenziale del 29 novembre 1993, soprassessorio sulla domanda di concessione edilizia avanzata il 18 maggio 1992, e lo dichiara tardivo, quanto all’impugnazione della variante di piano regolatore generale, posta a fondamento della pronuncia soprassessoria.


L’atto è infatti motivato per il contrasto tra concessione richiesta e variante adottata, recante destinazione dell’area, che interessa la società, e di altre ancora a servizi e verde pubblico. La variante è stata deliberata il 4 giugno 1990.


3. L’area, per la quale la società appellante ha chiesto concessione per edificare, era destinata a zona di completamento dal piano regolatore generale del comune di Roma, approvato con d.p.r. 16 dicembre 1965.


4. Con variante deliberata il 18 giugno 1976 (G.M. n. 5689), l’area è stata invece ricompresa in zona destinata a servizi pubblici di quartiere. La variante è stata approvata con deliberazione n. 689 del 1979 dalla giunta regionale.

 

Il vincolo è poi decaduto, per decorso del quinquennio.


5. Con deliberazione di giunta comunale n. 3622 del 4 giugno 1990, è stata adottata una variante generale dello strumento urbanistico, di reperimento di aree per servizi e verde pubblico. L’area della società ricade nuovamente in tale previsione.


6. La prima modificazione della destinazione dell’area a servizi pubblici di quartiere, adottata nel 1976 ed approvata nel 1979, è stata anche annullata con sentenza del T.A.R. del Lazio, I Sezione, n. 646 del 17 maggio 1991, su ricorso della società che aveva venduto, poi, il fondo alla società attualmente ricorrente. È per effetto di questo annullamento che è stata chiesta la nuova concessione edilizia il 18 maggio 1992.


7. Il ricorso proposto contro la misura di salvaguardia, pronunciata su quest’ultima domanda, ha investito, come s’è detto, sia questa determinazione, sia la deliberazione di cui al n. 4.


8. Con un primo motivo, si lamenta che la soprassessoria non è adeguatamente motivata in ordine alle specifiche ragioni che inducevano l’amministrazione a ritenere il progetto costruttivo in contrasto con la variante.


L’assunto non ha pregio.
L’esistenza di una destinazione – oggetto della variante adottata – incompatibile con l’utilizzazione edilizia richiesta costituisce espressione compiuta delle ragioni, di fatto e di diritto, rilevate a base della misura di salvaguardia. Si tratta di una misura da deliberare obbligatoriamente, secondo quanto dispongono l’art. 10, quinto comma, della l. 17 agosto 1942, n. 1150, e l’art. 4, comma primo, della l. 1° giugno 1971, n. 291, fino alla data di approvazione dello strumento urbanistico che reca le destinazioni da salvaguardare.


Nella specie, perciò, è sufficiente la motivazione che dà contezza del contrasto o dell’incompatibilità in questione.


9. Una seconda censura poggia su queste proposizioni:
l’annullamento giurisdizionale dello specifico vincolo a servizi pubblici di cui alla variante 1976/1979 (sopra sub n. 4) ha comportato la reviviscenza della precedente destinazione a zona di completamento;

la riproposizione del vincolo con la variante del 1990 ha il suo esclusivo presupposto nell’anteriore variante del 1976/1979, come dimostrato dalle varie formule che giustificano, nel 1990, la reiterazione del vincolo stesso, formule rinvenibili nel provvedimento e nella relazione tecnica;
perciò la sentenza di annullamento, pronunciata nel 1991 e, dunque, posteriormente alla nuova deliberazione comunale, non può essere considerata inutiliter data, per effetto della sopraggiunta ripetizione del vincolo.


Anche questa censura non può essere condivisa.


Il senso complessivo della critica riferita esigerebbe un diverso approfondimento, ove la variante di reintroduzione del vincolo fosse stata adottata senza soluzione di continuità rispetto alla data di scadenza dei vincoli preesistenti, vale a dire allo spirare dei cinque anni (art. 2 l. 19 novembre 1968, n. 1187) dalla data di approvazione della variante del 1976/1979, e, perciò, ove fosse stata deliberata nel 1984.


I vincoli sono stati invece imposti sei anni dopo la suddetta scadenza. La stessa consistenza dell’intervallo temporale impedisce di ritenere che si tratti di una mera “riproposizione”, priva di specifiche valutazioni sulle diverse o consimili esigenze di destinazioni a servizi pubblici, rilevate ad undici anni dall’approvazione ed a quattordici anni dalle verifiche poste a base dell’adozione (1976) della precedente variante.


Non è soddisfacente un criterio di valutazione basato sulla sola terminologia, peraltro ambigua, dei documenti di variante. Tornare ad imporre vincoli inerenti agli standard – vale a dire ai rapporti tra spazi destinati ad insediamenti residenziali o produttivi e quelli da destinare a verde pubblico a parcheggi ed altro – sta a significare che è necessario ed opportuno, secondo l’amministrazione comunale, prevedere una certa quantità di aree da adibire a servizi pubblici di quartiere, non essendo stati realizzati, questi, nella misura dovuta. Tutto ciò comporta un nesso con le determinazioni inerenti alle precedenti destinazioni di zona, ma soltanto per la ragione che esse non sono state realizzate e che l’interesse pubblico esige che, in ordine alla situazione attuale, si provveda in tal senso. Non già perché occorra ripristinarle quali esse erano state stabilite. Non è configurabile, perciò, uno stretto nesso di mera conseguenzialità fra varianti adottate a quattordici anni di distanza, né, quindi, si può affermare che la prima scelta, rivelatasi illegittima, riverberi questo suo vizio, dopo sei anni di inefficacia dei vincoli, sulla nuova scelta urbanistica compiuta.


In sostanza, la distanza temporale messa in evidenza e la correlativa mutata situazione del territorio comunale si collegano ad una nuova istruttoria e ad una nuova valutazione generale. Queste si mostrano ragioni sufficienti, pertanto, per negare che la nuova variante trovi unicamente la sua ragione nella precedente variante annullata, in parte qua, e comunque priva di effetto, quanto ai vincoli con essa introdotti.


Ne segue che la sentenza di annullamento, pronunciata in favore della società dante causa dell’appellante, del vincolo sull’area di suo interesse, non può esplicare effetto preclusivo sull’applicazione di un nuovo vincolo imposto per effetto di una rivalutazione della differente situazione del territorio comunale, intervenuta dopo quattordici anni.


10. Con un’ulteriore censura viene sottoposta a critica la statuizione di tardività dell’impugnazione della variante.


Il primo giudice ha rilevato che il ricorso contro la deliberazione del 4 giugno 1990 era intervenuta soltanto nel 1994.


Sostiene la società appellante che l’interesse ad impugnare sarebbe sorto soltanto dopo la pronuncia della sentenza dello stesso T.A.R. n. 646 del 17 maggio 1991, contestualmente all’atto lesivo sopravvenuto di applicazione della misura di salvaguardia.


Anche questa tesi non merita adesione.


Le considerazioni svolte in ordine alla non immediata conseguenzialità dell’imposizione del nuovo vincolo, rispetto a quello inefficace da sei anni, e perciò in ordine all’autonomia della variante in discussione, impediscono di ritenere che l’insorgenza dell’interesse ad impugnare quest’ultima sia sopravvenuta soltanto dal momento della pronuncia d’annullamento della variante del 1976/1979.


L’atto del 1990 è da considerare, perciò, direttamente lesivo, in virtù del vincolo imposto.


La contestuale impugnazione della misura di salvaguardia non ha, per altro verso, prodotto l’effetto di rimettere in termini la ricorrente. La giurisprudenza di questo Consiglio ha, invero, già da tempo, posto in rilievo che l’applicazione delle misure di salvaguardia non è fatto idoneo a far nuovamente decorrere i termini per l’impugnazione del piano regolatore generale adottato (A. pl. 9 marzo 1983, n. 1).


Anche per questa parte, conseguentemente, la decisione del primo giudice deve trovare conferma.


11. L’appello, in conclusione, deve essere respinto. Non occorre pronunciare sulle spese, in dipendenza di quanto stabilito al precedente par. 1.


P.Q.M.


Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, respinge l’appello n. 1616 del 1998.
Nulla per le spese.


Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), nella camera di consiglio dell’undici luglio 2003, con l'intervento dei Signori:
Giuseppe Farina rel. est. Presidente ff.
Claudio Marchitiello Consigliere
Aniello Cerreto Consigliere
Nicolina Pullano Consigliere
Michele Corradino Consigliere
Il Presidente ff. est.
f.to Giuseppe Farina
Il Segretario
f.to Luciana Franchini

Il Direttore della Sezione
F.to Livia Patroni Griffi

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 12 Novembre 2003
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)





 

M A S S I M E

 

Sentenza per esteso

 

1) Prg - vincoli - destinazione incompatibile con l’utilizzazione edilizia - variante - misura di salvaguardia - motivazione. L’esistenza di una destinazione - oggetto della variante adottata - incompatibile con l’utilizzazione edilizia richiesta costituisce espressione compiuta delle ragioni, di fatto e di diritto, rilevate a base della misura di salvaguardia. Si tratta di una misura da deliberare obbligatoriamente, secondo quanto dispongono l’art. 10, quinto comma, della l. 17 agosto 1942, n. 1150, e l’art. 4, comma primo, della l. 1° giugno 1971, n. 291, fino alla data di approvazione dello strumento urbanistico che reca le destinazioni da salvaguardare. Nella specie, perciò, è sufficiente la motivazione che dà contezza del contrasto o dell’incompatibilità in questione. Consiglio di Stato Sez. V, 12 novembre 2003, Sentenza n. 7225

 

2) Prg - vincoli - sentenza di annullamento. La sentenza di annullamento, pronunciata in favore dell’appellante, del vincolo sull’area di suo interesse, non può esplicare effetto preclusivo sull’applicazione di un nuovo vincolo imposto per effetto di una rivalutazione della differente situazione del territorio comunale, intervenuta dopo quattordici anni. Consiglio di Stato Sez. V, 12 novembre 2003, Sentenza n. 7225

 

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