Legislazione Giurisprudenza Vedi altre: Sentenze per esteso
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta ANNO 2002 ha
pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello numero di registro generale 8055/02, proposto dal
Comune di Ciriè, in persona del Sindaco pro-tempore, rappresentato e difeso, per
delega resa a margine dell’atto di appello dagli Avv.ti Riccardo Montanaro e
Guido Francesco Romanelli, ed elettivamente domiciliato in Roma, Via Cosseria,
5, (studio Romanelli)
contro
PIAVE S.a.s. di Campaner Pietro e Eugenio & C.
rappresentato e difeso dagli Avv.ti Mario Contaldi e Vittorio Barosio ed
elettivamente domiciliato presso lo studio del primo in Roma, Via P. da
Palestrina n. 63
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, 1^
Sezione, n.1114/02, del 29 maggio 2002,
Visto il ricorso con i relativi allegati.
Visto l’atto di costituzione in giudizio della parte appellata.
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle proprie difese.
Visti gli atti tutti della causa.
Designato relatore, alla pubblica udienza dell’8 luglio 2003, il Consigliere
Francesco D’OTTAVI ed uditi, altresì, gli avvocati G. F. Romanelli e Contaldi
Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
In data 23 dicembre 1999 veniva stipulata una Convenzione (prot. 83223) tra il
Comune di Ciriè ed i Signori Cipriano per la sistemazione e utilizzazione
urbanistica di un'area sita nel territorio comunale di oltre 20.000 mq.; tale
area – classificata dal Piano Regolatore Generale “area di riordino IR2” – è
regolamentata dall’art.22 del medesimo P.R.G.C. e da un Piano Esecutivo
Convenzionato (P.E.C.) approvato con delibera C.C. n.36 in data 4 maggio 1998.
Rappresenta l’appellante Comune che l’art.22 P.R.G.C. disciplina le aree
destinate alle attività produttive industriali ed artigianali, la disciplina
speciale relativa all’area è invece contenuta nel Piano Esecutivo. Come si
ricava dalle premesse della richiamata Convenzione contenente il piano esecutivo
convenzionato relativo alla zona IR – comparto 4 sublotto 4/1 ai sensi dell’art.43
L.R. 56/77 s.m.i.” il P.E.C. è costituito da una serie di elaborati tra i quali
tre tavole planimetriche oltre allo schema di Convenzione e alla Relazione
tecnico economica contenente le Norme Tecniche di Attuazione; è quindi
dall’insieme di tali elaborati che si ricava la disciplina edilizia dell’area e
conseguentemente le modalità di esercizio dell’attività costruttiva.
In particolare il punto 3 della Convenzione prevede per il sub-comparto 4/1 in
questione: la realizzazione di capannoni industriali e di edifici destinati ad
attività terziarie compatibili con la prevalente attività produttiva
caratteristica della zona urbanistica, nonché dei relativi impianti tecnologici,
parcheggi ed aree a verde privato; è inoltre prevista la realizzazione di
quattro unità immobiliari strettamente connesse ai fabbricati principali
destinate alla residenza stabile del conduttore e/o del custode, le cui
rispettive S.L.P, saranno inferiori a mq 200 (duecento) unità produttiva.
E’ evidente secondo l’appellante come l’esecuzione delle suddette unità
residenziali sia assoggettata a precise prescrizioni e limitazioni al fine di
evitare uno sfruttamento edilizio incontrollato e incompatibile con la
destinazione principale produttiva attribuita all’area stessa.
Tale necessità viene affermata nella stessa Convenzione, laddove si dispone in
termini tassativi che: la disposizione planimetrica degli edifici, i loro
profili regolatori, le caratteristiche tipologiche dei fabbricati, il numero e
l’ubicazione indicativa delle u.i. per la residenza stabile del conduttore e/o
del custode di ogni singola unità produttiva sono indicati nelle Tav. n.2 e 3
del P.E.C..
La tavola n.3 del P.E.C. nel disciplinare in modo specifico le unità
residenziali annesse ai fabbricati, prevede in modo particolare: 1)
l’edificazione massima consentita in altezza, che deve essere limitata a 2 piani
f.t. per le unità abitative realizzabili; 2) la S.L.P. realizzabile per ciascun
piano che deve essere circoscritta entro i parametri ben definiti precisati
nella tabella riassuntiva riportata nella planimetria; è inoltre previsto che i
suddetti alloggi non possano essere alienati separatamente dall’unità produttiva
alla quale risulteranno abbinati; gli atti di vincolo di inalienabilità dovranno
risultare da atti regolarmente registrati e trascritti.
In tale quadro normativo di riferimento, il Comune di Ciriè rilasciava in data
21 ottobre 2000 alla Piave S.a.s., attuale appellata, (avente causa dei
precedenti proprietari dei terreni facenti parte dell’area in questione) la
concessione edilizia n.180/2000 per l’esecuzione di nuova costruzione fabbricati
terziari produttivi – zona IR2 – sub comparto 4/1 del comparto 4 con
destinazione d’uso industriale – terziario – commerciale.
La Società in data 29 marzo 2001, presentava un’istanza al Comune diretta ad
ottenere il rilascio di una variante alla concessione, per la realizzazione di
unità abitative connesse ai fabbricati produttivi da inserire nell’area in
questione.
Il Comune, con nota dell’11 aprile 2001, prot. n.9377, comunicava che l’istanza
non poteva essere qualificata come variante alla concessione edilizia n.180/2000,
come richiesto dalla Società, trattandosi di intervento di nuova costruzione di
edifici a destinazione residenziale.
La domanda veniva quindi integrata dalla Società in data 21 maggio 2001 ed
esaminata dal Comune.
Nella relazione istruttoria del 5 giugno 2001, veniva correttamente precisato
dai tecnici comunali che il tipo di intervento richiesto riguardava la
realizzazione di un fabbricato a tre piani f.t. comprendente sei unità abitative
nell’ambito di un immobile a due piani f.t. da destinare a residenza stabile del
conduttore.
Con nota in data 19 giugno 2001 prot. n.15500 il Responsabile del Settore
Urbanistico Ambientale comunicava alla società il parere negativo espresso dalla
C.I.E..
La motivazione contenuta nella nota richiamata, in linea con le previsioni
contenute nello strumento urbanistico, teneva conto della necessità che la
tipologia residenziale massima realizzabile fosse conforme a quanto previsto nel
P.E.C. e che i vincoli di inalienabilità degli alloggi – collegati in modo
inscindibile con le unità produttive – risultassero da atti regolarmente
registrati e trascritti.
Nonostante l’istanza fosse stata respinta, la Società realizzava comunque
consistenti opere edilizie in assenza di concessione sull’area in questione;
l’abuso, accertato a seguito di sopralluogo effettuato dall’Ufficio Tecnico
Comunale, in data 21 novembre 2001, riguarda la realizzazione di un edificio di
tre piani fuori terra, un piano seminterrato e un piano sottotetto in zona IR2,
lotto 2, sub comparto 4/1 del comparto 4; la relazione richiamata contiene
un’ampia documentazione fotografica che evidenzia in modo chiaro la consistenza
dell’abuso. Quindi, con provvedimento in data 21 novembre 2002 prot. n.27368 il
Comune ordinava alla Società l’immediata sospensione dei lavori.
La Società proponeva al Comune una istanza di concessione edilizia in sanatoria
10 dicembre 2001, ai sensi dell’art.13, della legge n.47/1985; la domanda era
corredata da una scheda tecnica, da una relazione e dalle planimetrie.
La relazione tecnica allegata all’istanza precisava che la richiesta di
concessione in sanatoria riguarda la realizzazione di una palazzina a 3 p.f.t.
che al momento della sospensione dei lavori si presenta edificata nelle
strutture, nei tamponamenti esterni e nelle tramezzature.
Nella stessa relazione la Società, richiamando la disciplina contenuta nel Piano
Esecutivo, precisava inoltre che: nelle tavole di progetto allegate al P.E.C.
l’ubicazione delle unità immobiliari è individuata in una palazzina separata a 2
p.f.t. che ospita 4 appartamenti di circa mq 108 ciascuno.
Come evidenziato dalla stessa Società, l’abuso consisteva quindi nella
realizzazione di un edificio a 3 piani f.t. in contrasto con quanto previsto dal
P.E.C. che consente l’esecuzione di un edificio di 2 soli piani f.t..
L’Amministrazione comunale esaminava l’istanza della Società ed in data 27
febbraio 2002 la C.I.E. si pronunciava negativamente richiamando e confermando
integralmente il precedente parere espresso nella seduta del 13 giugno 2001.
La Società impugnava dinanzi al T.A.R. Piemonte l’ordinanza di demolizione e il
diniego di sanatoria in data 5 marzo 2002 comunicato alla Società, chiedendo
l’annullamento di entrambi i provvedimenti con contestuale istanza cautelare.
Il Tribunale decideva la questione anche nel merito, secondo l’appellante in
contrasto con quanto imposto dall’art.21 della legge n.1084/1971 s.m.i., con
sentenza depositata il 29 maggio 2002, n.557, impugnata nel presente giudizio.
Secondo l’appellante tale sentenza, che non tiene conto del quadro normativo di
riferimento e dunque della disciplina applicabile al caso di specie, è affetta
da gravi profili di illegittimità per i seguenti motivi di diritto:
1) Violazione di legge: art.24 Costituzione; art.21 legge 6 dicembre 1971 n.1034
come mod. dall’art.3 legge 21 luglio 2000 n.265. Eccesso di potere per difetto
dei presupposti, dell’istruttoria, della motivazione. Vizio del procedimento.
Illogicità ed ingiustizia manifesta. Riteneva l’appellante che nella Camera di
Consiglio del 15 maggio 2002 il Comune chiedeva che la questione fosse esaminata
con particolare attenzione dal Collegio in considerazione dell’entità dell’abuso
e della totale non conformità dell’opera agli strumenti urbanistici.
2) Su tali presupposti, l’Amministrazione Comunale, che non aveva avuto tempo
sufficiente per predisporre difese scritte, chiedeva che il giudizio non si
estendesse al merito della questione ma fosse limitato ad una pronuncia
sull’istanza cautelare proposta dal privato; il Tribunale, senza tenere conto di
tali richieste ed in aperto contrasto con il disposto dell’art.21 della legge n.1034/1971,
come modificato dall’art.3 della legge n.267/2000, decideva la questione anche
nel merito con la sentenza impugnata nel presente giudizio.
3) Violazione di legge: artt.21, 26 legge 6 dicembre 1971 n.1034. Omessa pronuncia della sentenza impugnata su un punto decisivo della controversia. La sentenza impugnata si è pronunciata nel merito del ricorso proposto dalla Società quando invece avrebbe dovuto, in via preliminare, dichiarare lo stesso inammissibile. Come evidenziato in fatto, la C.I.E. nella seduta del 27 febbraio 2002 ha espresso il seguente parere negativo al rilascio della concessione edilizia in sanatoria: si conferma il parere già espresso in seduta del 13 giugno 2001 richiamandone l’istruttoria d’ufficio e sottolineando l’abusività completa del fabbricato eseguito in totale assenza di concessione edilizia; nessuna nuova istruttoria si era infatti resa necessaria rispetto a quella precedente avendo il fabbricato mantenuto le stesse caratteristiche di quello oggetto di diniego al rilascio della concessione edilizia.
In assenza di nuova istruttoria – mancanza di nuovi elementi di fatto e di
diritto rispetto a quelli già accertati – ed in presenza di una reiterata
motivazione rispetto a quanto già espresso, il provvedimento adottato dalla
C.I.E. il 27 febbraio 2002 ha natura confermativa rispetto a quello espresso
dalla stessa C.I.E. il 13 giugno 2001.
Tale natura è riconosciuta implicitamente dallo stesso T.A.R. che fonda
interamente la propria pronuncia sul contenuto del parere in data 13 giugno
2001, non impugnato dalla Società.
Il Tribunale avrebbe invece dovuto dichiarare in via preliminare
l’inammissibilità del ricorso di primo grado, anziché fondare la sentenza
esclusivamente su un provvedimento adottato dalla C.I.E. 13 giugno 2001 che non
era stato oggetto di impugnazione da parte del privato e che non poteva
conseguentemente essere oggetto di pronunciamento da parte dei giudici.
3) Violazione ed erronea applicazione di norme di legge e di regolamento: art.13
legge n.47/1985 s.m.i.; artt.3, 18 della Convenzione. Eccesso di potere per
difetto dei presupposti, dell’istruttoria, della motivazione. Vizio del
procedimento. Travisamento dei fatti. Illogicità e ingiustizia manifesta. La
motivazione contenuta nel parere espresso dalla C.I.E. in data 13 giugno 2001
fatta propria dalla stessa Commissione, con cui viene respinta l’istanza di
rilascio della concessione edilizia in sanatoria, contrariamente a quanto
sostenuto nella sentenza di primo grado, è pienamente legittima. La C.I.E.
infatti ha correttamente evidenziato che “la tipologia massima realizzabile,
come edificio separato è quella prevista nel PEC”.
L’art.3 della Convenzione stabilisce che “la disposizione planimetrica degli
edifici, i loro profili regolatori, le caratteristiche tipologiche dei
fabbricati, il numero e l’ubicazione indicativa delle u.i. per la resistenza
stabile del conduttore e/o del custode di ogni singola unità produttiva sono
indicati nelle Tav. n.2 e 3 del P.E.C.”. La tavola n.3 del P.E.C. prevede la
realizzazione di un edificio a 2 piani f.t. e non a tre piani f.t. come
abusivamente realizzato nel caso di specie. Ed è la stessa Relazione Tecnica
presentata dal privato a corredo della domanda che dà atto di tale previsione; a
pagina 2 della Relazione Tecnica si afferma infatti che “nelle tavole di
progetto allegate al P.E.C.” è individuata una “palazzina separata a 2 p.f.t.che
ospita 4 appartamenti di circa mq 108 cadauno”, e nella successiva pagina 3
della stessa Relazione si afferma che “la richiesta di concessione in sanatoria
ai sensi dell’art.13 della legge n.47/85 riguarda la realizzazione di una
palazzina a 3 p.f.t.”.
Erano dunque i giudici di primo grado laddove affermano che la Convenzione
consente la realizzazione di un edificio a 3 piani f.t. e che quindi l’abuso
avrebbe potuto essere sanato.
L’edificio abusivo non è conforme agli strumenti urbanistici; mancano quindi le
condizioni previste dall’art.13 legge n.47/1985 per il rilascio della sanatoria:
la norma di legge richiede tassativamente la conformità anche agli strumenti
urbanistici esecutivi.
Né assumono rilievo le disposizioni richiamate dal Tribunale contenute nella
Convenzione a sostegno della presunta conformità dell’opera agli strumenti
urbanistici.
L’art.3 commi IX e XIII della Convenzione impongono il rispetto di precisi
parametri di S.L.P. consentendo limitate variazioni del progetto esecutivo che
non comprendono la tipologia e le modifiche in altezza dell’edificio.
Neppure il richiamo all’art.18 commi I e IV della Convenzione può essere
interpretato in senso estensivo sino a ricomprendere l’edificazione di un piano
in più rispetto a quanto stabilito nella Tavola.
La disposizione da ultimo richiamata (cfr. art.18 Convenzione) prevede modifiche
alla tipologia edilizia che non alterino il contenuto e le caratteristiche
generali del P.E.C..
Le modifiche consentite sono espressamente elencate nella stessa disposizione;
esse riguardano variazioni delle disposizioni dei locali, del numero,
dell’ubicazione delle residenze stabili del conduttore e/o del custode …, ma non
di aumenti in altezza e nel numero dei piani dell’edificio in cui sono ubicate
le stesse residenze.
La ratio delle richiamate disposizioni è ovviamente quella di consentire
limitate variazioni in sede esecutiva che non richiedano approvazioni di
varianti al P.E.C. senza che ciò comporti però uno stravolgimento della
tipologia essenziale dell’edificio che non può che essere quella originaria
individuata nelle tavole planovolumetriche.
4) Violazione ed erronea applicazione di norme di regolamento: art.3 della
Convenzione. Eccesso di potere per difetto dei presupposti, dell’istruttoria,
della motivazione. Vizio del procedimento; la sentenza impugnata ritiene che il
rilascio della concessione edilizia in sanatoria non avrebbe potuto essere
negato sulla base di un secondo ordine di motivazioni contenuto nel parere della
C.I.E..
Quest’ultima, dopo aver rilevato il contrasto tra l’opera abusiva realizzata e
le disposizioni contenute nel P.E.C. in relazione alla tipologia dell’edificio,
aveva evidenziato la necessità di uno stretto legame sul piano soggettivo tra i
fabbricati principali e le unità abitative; legame che avrebbe dovuto risultare
da atti di vincolo regolarmente registrati e trascritti; per sottolineare e
rafforzare tale imprescindibile vincolo risultante anche dalla previsione del
divieto di alienare separatamente gli alloggi dall’unità produttiva alla quale
risulteranno abbinati contenuto nella Convenzione, quest’ultima richiede tra
l’altro la contestuale presentazione del progetto edilizio delle unità abitative
con il progetto relativo alle unità produttive che dovrà essere oggetto di
un’unica concessione edilizia.
Nessuna di queste condizioni risultava rispettata nel caso di specie, per cui
legittimamente la C.I.E. respingeva la domanda di sanatoria.
*** *** ***
L’appellante conclude per l’accoglimento del gravame con ogni consequenziale statuizione di legge.
Si è costituita anche in questo grado del giudizio la resistente Amministrazione
che, con analitica memoria deduce l’infondatezza dell’impugnazione concludendo
per la reiezione dell’appello con vittoria di spese.
Alla pubblica udienza dell’8 luglio 2003 il ricorso veniva trattenuto in
decisione su conforme istanza degli avvocati delle parti.
*** *** ***
DIRITTO
Come riportato nella narrativa che precede con l’appello in esame viene impugnata la sentenza n.577/2002 del 29 maggio 2002 con cui il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, Prima Sezione ha accolto il ricorso proposto dall’attuale appellata Piave s.a.s. e per l’effetto ha annullato i provvedimenti di diniego della concessione edilizia in sanatoria e di demolizione delle opere abusive realizzate dalla medesima, assunti dall’appellante Comune di Ciriè.
Come pure considerato in precedenza l’appellante Comune reitera in questa sede –
sia pur rimodulandole avverso il contenuto motivazionale dell’impugnata
decisione – le argomentazioni già prospettate dinanzi al Tribunale (e da questi
disattese) argomentazioni secondo cui l’istruttoria nel giudizio di primo grado
non sarebbe stata completa, il che non avrebbe consentito al Tribunale di
definire il giudizio nel merito ai sensi dell’art. 21 L. 6 dicembre 1971, n.
1034, come modificato dall’art. 3 della L. 21 luglio 2000, n. 205. In effetti,
il quadro normativo di riferimento e, quindi, la disciplina generale e speciale
applicabile al caso di specie si rinvengono nell’art. 22 del Piano Regolatore
Generale, nel Piano Esecutivo Convenzionato, approvato con delibera C.C, n. 36
del 4 maggio 1998, nonché nella apposita Convenzione contenente il P.E.C, il
quale a sua volta è costituito da una serie di elaborati tra i quali tre tavole
planimetriche, che costituivano parte integrante della disciplina speciale
dell’area in questione e, quindi, delle modalità di esercizio dell’attività
costruttiva nella predetta area.
Rileva il Collegio come effettivamente tra i documenti prodotti nel giudizio di
primo grado e presi in esame dal primo giudice non figuravano le predette tavole
planimetriche, né le norme di P.R.G.C., ma solo la Convenzione, per cui sotto
tale profilo si rivelano fondate le censure formulate dall’Amministrazione
comunale appellante relativamente all’incompletezza dell’istruttoria ed alla
carenza dei presupposti processuali per l’applicazione del disposto del citato
art. 21 L. n.1034/1971.
Quanto al secondo motivo di appello, col quale l’Amministrazione comunale
appellante sostiene che i primi giudici avrebbero dovuto dichiarare
l’inammissibilità del ricorso di primo grado, stante la natura confermativa del
parere (negativo) reso dalla Commissione Edilizia, la quale si era limitata, per
l’appunto, a confermare il proprio precedente parere già espresso nella seduta
del 13 giugno 2001, il Collegio, pur rilevando il carattere sostanzialmente
confermativo del predetto parere e condividendo i rilievi formulati in proposito
dall’appellante, ritiene di poter prescindere dalla questione di
inammissibilità, per passare all’esame del merito dell’appello stante la sua
palese fondatezza.
Invero, l’appello è fondato e va accolto.
In effetti, dall’esame della documentazione esibita in giudizio e, in
particolare, dalla Tavola n. 3 del P.E.C. (parte integrante del piano esecutivo)
risulta chiaramente che essa prevedeva la realizzazione di un edificio di soli 2
piani f.t.; di conseguenza, la C.I.E. ha correttamente evidenziato che la
tipologia massima realizzabile, come edificio separato, era quella prevista nel
P.E.C., laddove, nella specie, la richiesta di concessione in sanatoria
riguardava la realizzazione di una palazzina a 3 piani f.t.; dal che discende ad
avviso del Collegio che la concessione edilizia in sanatoria non poteva essere
rilasciata perché l’abuso contrasta con la relativa prescrizione assoluta e
inderogabile contenuta nella Tav. 3 del P.E.C., prescrizione che, in quanto
espressione della volontà della competente Amministrazione comunale, non poteva
essere modificata se non a seguito di una variante allo stesso Piano esecutivo;
ne discende altresì la piena legittimità del parere negativo della C.I.E. sul
quale il diniego si fonda, mentre appaiono conseguentemente erronei i
presupposti di fatto e di diritto sui quali la sentenza di primo grado si fonda.
Peraltro, la difesa di parte appellata, per contestare l’assunto
dell’Amministrazione comunale appellante, si richiama a quelle disposizioni
della Convenzione che consentono limitate variazioni in sede esecutiva, purché
non alterino il contenuto e le caratteristiche generali della tipologia
essenziale dell’edificio. Ma tali variazioni, ovviamente, non potevano
comportare aumenti in altezza e nel numero di piani dell’edificio stesso, i
quali, oltre a comportare uno stravolgimento della predetta tipologia, avrebbero
richiesto – come già rilevato – l’approvazione di una specifica variante al
P.E.C..
A giudizio del Collegio, l’accoglimento del predetto motivo di ricorso per la
sua sostanziale assorbenza, rende superfluo l’esame della ulteriore censure
articolati dalla parte appellante.
Conclusivamente quindi l’appello va accolto e per l’effetto in riforma
dell’impugnata sentenza va respinto l’originario ricorso.
Le spese seguono la soccombenza e sono poste a carico dell’originaria ricorrente
attuale appellata per complessivi € 3.500 (eurotremilacinquecento).
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente
pronunciando sul ricorso in epigrafe indicato, accoglie l’appello e per
l’effetto in riforma dell’impugnata sentenza rigetta l’originario ricorso.
Spese a carico come in motivazione.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, l’8 luglio 2003, dalla Quinta Sezione del Consiglio di
Stato, riunita in Camera di consiglio con l’intervento dei Signori Magistrati:
Alfonso Quaranta Presidente
Carboni Raffaele Consigliere
Paolo Buonvino Consigliere
Francesco D’Ottavi Consigliere estensore
Marco Lipari Consigliere
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
IL SEGRETARIO
IL DIRIGENTE
f.to Francesco D’Ottavi
f.to Alfonso Quaranta
f.to Francesco Cutrupi
f.to Antonio Natale
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 21 Novembre 2003
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
1) Urbanistica - concessione edilizia in sanatoria – rifiuto - prescrizioni assolute e inderogabili - P.E.C. (Piano Esecutivo Convenzionato) - variante – necessità. La concessione edilizia in sanatoria non può essere rilasciata quando l’abuso contrasta con le relative prescrizioni assolute e inderogabili (contenute nella Tav. 3 del P.E.C. Piano Esecutivo Convenzionato), prescrizione che, in quanto espressione della volontà della competente Amministrazione comunale, non possono essere modificate se non a seguito di una variante allo stesso Piano esecutivo; ne discende altresì la piena legittimità del parere negativo della C.I.E. sul quale il diniego si fonda, mentre appaiono conseguentemente erronei i presupposti di fatto e di diritto sui quali la sentenza di primo grado si fonda. (Pres. Quaranta - Est. D’Ottavi - Comune di Ciriè (Avv.ti Montanaro e Romanelli) c. PIAVE S.a.s. (Avv.ti Contaldi e Barosio) (Riforma Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, 1° Sezione, n.1114/02, del 29 maggio 2002). Consiglio di Stato sez. V 21 novembre 2003, n. 7616
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