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 Massime della sentenza

  

 

CONSIGLIO DI STATO Sezione IV - 25 novembre 2003, Sentenza n. 7769

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente


D E C I S I O N E


Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente


D E C I S I O N E


sul ricorso in appello n. 1331 del 2002 proposto dalla Regione Basilicata, in persona del Presidente della Giunta regionale in carica, rappresentata e difesa dagli avv.ti Mirella Viggiani e Maria Carmela Santoro ed elettivamente domiciliata presso l’Ufficio di rappresentanza della Regione Basilicata, in Roma, via Nizza n. 56;
contro
il sig. Felice Leonasi, rappresentato e difeso dall’avv. C. Bonifacio e con lo stesso elettivamente domiciliato in Roma, via Ludovisi, n. 45 (studio Bonifacio – De Magistris);
per l'annullamento
della sentenza n. 776 del 20 dicembre 2000 resa inter partes dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata sul ricorso proposto dall’odierno appellato;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del sig. Leonasi;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla pubblica udienza del 20 maggio 2003 il Consigliere Dedi Rulli; nessuno è presente per le parti;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:


F A T T O


Con ricorso proposto innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata il sig. Leonasi Felice impugnava la determinazione dirigenziale del Dipartimento Assetto del Territorio della Regione Basilicata con la quale gli era stata inflitta l’indennità risarcitoria ex art. 15 della L. 29 giugno 1939 n. 1497 per opere abusive realizzate in area sottoposta a vincolo ambientale.


Il Tribunale adito, dopo aver precisato che la controversia rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, accoglieva il gravame sul rilievo che nella specie era ormai intervenuta la prescrizione quinquennale del diritto dell’Amministrazione di riscuotere la sanzione e del potere da essa esercitato ai fini della sua applicazione.


Con atto notificato in data 26 gennaio 2002 la Regione Basilicata ha impugnato la predetta decisione deducendo la “violazione dei principi che regolano l’esercizio delle funzioni amministrative; illegittima ed erronea applicazione della L. n. 689/81; insussistenza dei presupposti”.


Si afferma, al riguardo, ed in particolare in relazione alla fattispecie di cui al ricordato art. 15 della legge del 1939, che il potere dell’autorità amministrativa di irrogare la sanzione pecuniaria in alternativa a quella della riduzione in pristino dello stato dei luoghi non risulta sottoposto a termini di decadenza o di prescrizione volti a limitare nel tempo l’adozione delle dette misure sanzionatorie, così che dovrebbe essere fatta applicazione del principio generale in base al quale, in mancanza di espresse previsioni legislative, la potestà pubblica può essere esercitata in ogni tempo. Richiama in proposito alcune pronunzie di questo Consiglio che hanno deciso analoghe controversie nel senso prospettato precisando che gli illeciti amministrativi in materia paesistica ed urbanistica-edilizia hanno carattere permanente con la conseguenza che la prescrizione quinquennale di cui all’art. 28 della legge n. 689/81 inizia a decorrere solo dal giorno in cui è cessata la permanenza.


Né può ricollegarsi, come ha fatto il giudice di primo grado (senza peraltro indicare in base a quali elementi sarebbe pervenuto a detta soluzione) siffatto momento al rilascio, in favore dell’originario ricorrente, del parere favorevole al mantenimento della costruzione abusiva atteso che la situazione di illiceità può dirsi venuta meno solo nel momento in cui è stato assolto l’obbligo di riduzione in pristino dello stato dei luoghi, obbligo mai adempiuto dall’interessato.


La Regione Basilicata conclude chiedendo l’accoglimento dell’appello con l’annullamento della sentenza impugnata.


Per resistere al giudizio si è costituito il sig. Leonasi il quale, nella memoria di costituizione eccepisce preliminarmente l’inammissibiltà dell’appello perchè non sottoscritto anche dalla Regione appellante e perché non è dato riscontrare, nel mandato conferito, il necessario requisito della specialità:


Nel merito sostiene la correttezza della sentenza impugnata che la contraddittorietà delle tesi difensive svolte dalla Regione non riesce a confutare.


Conclude per la reiezione dell’appello e la conferma della statuizione censurata.


Alla pubblica udienza del 20 maggio 2003, non essendo presente nessuno per le parti, la controversia è passata in decisione.


D I R I T T O


1. Con la decisione portata all’esame del Collegio il Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata ha accolto il ricorso proposto dall’odierno appellato avverso la determinazione regionale di applicazione della sanzione pecuniaria ex art. 15 della L. 29 giugno 1939 n. 1497, ritenendo prescritto il credito vantato dall’Amministrazione per effetto dell’art. 28 della L. 24 novembre 1981 n. 689 ed assorbendo gli altri motivi prospettati.


La Regione Basilicata, nell’appello proposto, contesta le tesi argomentative e le conclusioni alle quali è pervenuto il giudice di primo grado e richiama, a sostegno del richiesto annullamento, le più recenti pronunzie di questo Consiglio che hanno esaminato i vari profili relativi alla interpretazione della disciplina in materia.


2. Precede, nell’ordine, l’esame della eccezione di inammissibilità dell’appello proposto dalla Regione Basilicata perché non sottoscritto dalla Regione Basilicata e perché non risulta che sia stato conferito ai difensori mandato speciale.


L’eccezione non può essere condivisa.


In proposito va precisato che ai difensori della Regione è stata conferita procura speciale riferita all’odierna controversia, come risulta dalla presupposta delibera della Giunta regionale di autorizzazione a stare in giudizio e dal mandato contenuto a margine dell’atto di appello.


In siffatta ipotesi è validamente proposto il ricorso sottoscritto dal difensore munito di mandato speciale, anche in mancanza della firma del ricorrente in calce al ricorso, giacché la firma apposta dallo stesso in calce al mandato a margine del ricorso, se autenticata dal difensore, come nella fattispecie, vale come sottoscrizione del ricorso stesso senza che sia necessario apporla nuovamente a chiusura del testo.


3. Nel merito le questioni che vengono in rilievo in relazione all’odierna controversia non sono sconosciute al Collegio che, in relazione alla fattispecie in esame, ritiene di poter condividere, sia pure con alcune ulteriori precisazioni rese necessarie dalla peculiarità del caso, l’impostazione seguita e le conclusioni alle quali è pervenuto questo Consiglio di Stato nell’esame di controversie aventi analogo contenuto (Cfr., Sez. IV, 12 novembre 2002, n. 6279; Sez. V, 8 giugno 1994, n. 614; Sez. VI, 2 giugno 2000, n. 3184; 9 ottobre 2000, n. 5373).


I principi enucleati i dette decisioni possono riassumersi nelle seguenti considerazioni:


a) l’art. 15 della legge 29 giugno 1939, n. 1497 va interpretato nel senso che l’indennità prevista per abusi edilizi in zone soggette a vincoli paesaggistici costituisce una vera e propria sanzione amministrativa che prescinde dalla sussistenza effettiva di un danno ambientale, non rappresentando una forma di risarcimento del danno;
b) condonabilità degli abusi commessi in zone soggette a tutela ambientale, purchè sia intervenuto il parere favorevole dell’autorità competente ai sensi dell’art. 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47;
c) applicabilità della sanzione di cui al predetto art. 15 anche nel caso in cui sia intervenuto il previsto nulla osta, come precisato dall’art. 2, comma 46 della legge 23 dicembre 1966, n. 662, norma di natura chiaramente interpretativa;
d) applicabilità dell’art. 28 legge n. 689 del 24 novembre 1981, a norma del quale “il diritto a riscuotere le somme dovute per le violazioni amministrative punite con pena pecuniaria si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui è stata commessa la violazione”, atteso che i principi e le norme dettati dal capo I della legge n. 689 del 1981 sono applicabili, per espresso dettato legislativo, a tutte le violazioni punite con sanzioni amministrative pecuniarie, anche se non previste in sostituzione di una sanzione penale (art. 12 legge n. 689 del 1981) e, quindi, anche agli illeciti amministrativi in materia urbanistica edilizia e paesistica puniti con sanzione pecuniaria.


La regola della prescrizione quinquennale, decorrente dal giorno della commissione della violazione, pur dovendo, in astratto, trovare applicazione in materia di illeciti amministrativi puniti con pena pecuniaria previsti dalla normativa di tutela urbanistica edilizia e del paesaggio (Cass., I Sez., 25 luglio 1997 n. 6967), richiede, però, talune precisazioni.


Come a riguardo è stato già osservato (cfr. C.d.S., Sez. VI, 2 giugno 2002, n. 3184 citata):
– gli illeciti in materia urbanistica edilizia e paesistica, ove consistano nella realizzazione di opere senza le prescritte concessioni e autorizzazioni, hanno carattere di illeciti permanenti, di talché la commissione degli illeciti medesimi si protrae nel tempo, e viene meno solo con il cessare della situazione di illiceità, vale a, dire con il conseguimento delle prescritte autorizzazioni;
– in materia di decorrenza della prescrizione dell'illecito amministrativo permanente, deve trovare applicazione il principio penalistico dettato per il reato permanente, secondo cui il termine della prescrizione decorre dal giorno in cui è cessata la permanenza (art. 158, comma 1, Cod. pen.);
– pertanto, per gli illeciti amministrativi in materia paesistica urbanistica edilizia la prescrizione quinquennale di cui all'art. 28 legge n. 689 del 1981 inizia a decorrere solo dalla cessazione della permanenza, con la conseguenza che, vertendosi in materia di illeciti permanenti, il potere amministrativo repressivo può essere esercitato senza limiti di tempo e senza necessità di motivazione in ordine al ritardo nell'esercizio del potere (C. d. S., Sez. VI, 19 ottobre 1995 n. 1162; Sez. V, 8 giugno 1994 n. 614).


Per quanto concerne il momento in cui può dirsi cessata la permanenza per gli illeciti amministrativi in materia urbanistica edilizia e paesistica, è stato precisato che, mentre per il diritto penale rileva la condotta commissiva (sicché la prescrizione del reato inizia a decorrere dalla ultimazione dell'abuso), per il diritto amministrativo si è in presenza di un illecito di carattere permanente, caratterizzato dall'omissione dell'obbligo, perdurante nel tempo, di ripristinare secundum jus lo stato dei luoghi, con l’ulteriore conclusione che se l'Autorità emana un provvedimento repressivo (di demolizione, ovvero di irrogazione di una sanzione pecuniaria), non emana un atto «a distanza di tempo» dall'abuso, ma reprime una situazione antigiuridica contestualmente contra jus, ancora sussistente.


Dalle considerazioni che precedono si ricava, dunque, che nel campo dell’illecito amministrativo – che, come quello in esame, integra un’ipotesi di illecito formale consistente nell’omessa richiesta della preventiva autorizzazione – la permanenza cessa (e il termine quinquennale di prescrizione comincia a decorrere) o con l’irrogazione della sanzione pecuniaria o con il conseguimento dell’autorizzazione che, secondo pacifico orientamento, può essere rilasciata anche in via postuma (Cfr., C.d.S., Sez. VI, 12 maggio 2003, n. 2653; 30 ottobre 2000, n. 5851; Ad. Generale 11 aprile 2002, n.4 / Gab. e n. di Sezione 2340/2001).


3. Alla stregua delle considerazioni appena svolte, deve ritenersi che nel caso di specie, consistendo l'illecito paesistico nella realizzazione di opera in zona vincolata senza la prescritta autorizzazione, la permanenza dell'illecito non era ancora cessata alla data in cui è stata applicata, la sanzione pecuniaria di cui all'art. 15 legge n. 1497 del 1939, e dunque l'esercizio del potere repressivo è stato tempestivo.


Il giudice di primo grado, invece, dopo avere precisato che il comportamento sanzionato dall’art. 15 della ricordata legge n. 1497 del 1939 ha carattere di illecito permanente, ha individuato il dies a quo dal quale inizia a decorrere il quinquennio prescrizionale nel momento in cui l’Autorità preposta a tutela del vincolo ha espresso parere favorevole al mantenimento dell’opera abusiva realizzata, facendo così venir meno l’antigiuridicità del fatto.


Siffatta conclusione non può essere condivisa.


Ed infatti, se è vero, come affermato in sentenza, che l’illecito in questione ha natura permanente, è altrettanto vero che lo stesso è caratterizzato dall’omissione dell’obbligo, perdurante nel tempo, di ripristinare secundum jus lo stato dei luoghi, così che se l’amministrazione si determina con un provvedimento repressivo (demolizione ovvero irrogazione della sanzione pecuniaria) non è “emanato un atto a distanza di tempo” dalla commissione dell’abuso, ma si sanziona una situazione antigiuridica ancora contra jus, atteso che la situazione di illiceità può dirsi venuta meno solo quando è stato assolto l’obbligo di ripristino dello stato dei luoghi nel caso di demolizione o di pagamento della sanzione pecuniaria, come nella specie, ovvero ancora con il conseguimento in via postuma dell’autorizzazione paesaggistica prevista dalla legge.


Nè è esatto assumere a parametro di riferimento, come ha fatto il giudice di primo grado, il parere favorevole al mantenimento delle opere abusivamente realizzate espresso dalla Commissione regionale per la tutela del paesaggio e dall’Assessore al Dipartimento assetto del territorio in relazione al provvedimento rilascio della concessione edilizia in sanatoria.


Siffatto parere, in mancanza di una qualsiasi norma positiva in tal senso, è da ritenere privo di un’autonoma rilevanza in quanto concorre a consentire il rilascio della concessione edilizia (o autorizzazione) in sanatoria inserendosi, secondo le previsioni contenute nell’art. 32 della L. n. 47 del 1985, nel diverso procedimento volto a sanare solo ed esclusivamente illeciti di natura edilizia-urbanistica in relazione ad immobili soggetti a vincoli paesaggistici e/o ambientali e non è, quindi, atto idoneo a far decorrere il termine di prescrizione previsto dal ricordato art. 28 della normativa del 1981. Al contrario, il provvedimento sanzionatorio impugnato trova la sua disciplina in una normativa diversa da quella prevista nella cd. legge sul condono edilizio, si inserisce in un autonomo procedimento in cui intervengono altre Amministrazioni, titolari di interessi finalizzati alla tutela dell’ambiente, del paesaggio e del territorio, nonchè alla repressione di eventuali abusi.


Come conferma della correttezza di quanto fin qui precisato si pone anche l’art. 2, comma 46, della L. n. 662 del 23 dicembre 1996 in base al quale il “versamento dell’oblazione non esime dall’applicazione dell’indennità risarcitoria di cui all’art. 15 della L. n. 1457 del 1939”, attesa la peculiarità della sua funzione di riparare alla lesione di uno specifico interesse pubblico violato, lesione che perdura fintanto che esso non sia risarcito per equivalente.


Infatti oblazione e sanzione pecuniaria hanno finalità diverse, si inseriscono in procedimenti differenti e colpiscono comportamenti diversi, così che il pagamento dell’una non fa venir meno il dovere di agire per la riscossione dell’altra.


Del resto, questo Consiglio ha espressamente chiarito che l’autorizzazione postuma per effetto della verifica di compatibilità ambientale non preclude la possibilità di infliggere anche la sola sanzione pecuniaria di cui all’art. 15 della legge n. 1497 del 1939, dal momento che “un’autorizzazione postuma ai fini ambientali, valevole ai fini della positiva definizione del procedimento di sanatoria ai sensi dell’art. 13 della legge n. 47 del 1985 semmai indirizza, vincolandolo nell’esito, il residuo potere-dovere dell’autorità competente di procedere all’applicazione della sanzione di cui all’art. 15 della legge n. 1497 del 1939. La circostanza, infatti, che l’Amministrazione, esercitando un potere nella sostanza conferito dallo stesso art. 15, abbia verificato la compatibilità ambientale in via postuma, se da un lato esclude la compromissione sostanziale dell’integrità paesaggistica, dall’altro non cancella la violazione dell’obbligo, discendente dall’art. 7, di conseguire in via preventiva il titolo di assenso necessario per la realizzazione dell’intervento modificativo dell’assetto territoriale” (Sez. VI, n. 912 del 21 febbraio 2001).


Con l’ulteriore precisazione che la verifica postuma di compatibilità ambientale e la conseguente definizione del procedimento di cui all’art. 13 della legge n. 47 del 1985 non escludono l’applicabilità della sanzione pecuniaria; e che, in presenza di una valutazione di tal fatta, l’Amministrazione ha il potere-dovere di applicare la sanzione pecuniaria, rimanendo ovviamente preclusa la possibilità di applicare la misura della demolizione e residuando il solo problema della quantificazione dell’importo alla luce dei criteri cristallizzati dall’art. 15 della legge n. 1497 del 1939 (Sez. VI, n. 912 del 2001, cit.).


4. In conclusione l’appello proposto dalla Regione Basilicata va accolto e la decisione impugnata deve essere annullata con la conseguente reiezione del ricorso di primo grado.


Le spese e gli onorari dei due gradi di giudizio, che si liquidano in dispositivo, seguono, come di regola, la soccombenza.


P. Q. M.


Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione quarta, definitivamente pronunciando, accoglie l’appello in epigrafe e, per l’effetto, in riforma della decisione impugnata, respinge il ricorso di primo grado.


Pone a carico della parte appellata le spese e onorari dei due gradi di giudizio, spese che liquida in complessivi € 2.000 (duemilaeuro).
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.


Così deciso in Roma il 20 maggio 2003, in camera di consiglio, con l'intervento dei magistrati:
Giuseppe BARBAGALLO Presidente f.f.
Filippo PATRONI GRIFFI Consigliere
Dedi Marinella RULLI Consigliere, estensore
Aldo SCOLA Consigliere
Vito POLI Consigliere



DEPOSITATA IN SEGRETERIA
25/11/2003
(Art.55, L. 27.4.1982 n. 186)

 

M A S S I M E

 

Sentenza per esteso

 

1) La prescrizione dell'illecito amministrativo permanente – decorrenza - illeciti amministrativi in materia paesistica urbanistica edilizia - la prescrizione quinquennale - inizia a decorrere solo dalla cessazione della permanenza. In materia di decorrenza della prescrizione dell'illecito amministrativo permanente, deve trovare applicazione il principio penalistico dettato per il reato permanente, secondo cui il termine della prescrizione decorre dal giorno in cui è cessata la permanenza (art. 158, comma 1, Cod. pen.); – pertanto, per gli illeciti amministrativi in materia paesistica urbanistica edilizia la prescrizione quinquennale di cui all'art. 28 legge n. 689 del 1981 inizia a decorrere solo dalla cessazione della permanenza, con la conseguenza che, vertendosi in materia di illeciti permanenti, il potere amministrativo repressivo può essere esercitato senza limiti di tempo e senza necessità di motivazione in ordine al ritardo nell'esercizio del potere (C. d. S., Sez. VI, 19 ottobre 1995 n. 1162; Sez. V, 8 giugno 1994 n. 614). Per quanto concerne il momento in cui può dirsi cessata la permanenza per gli illeciti amministrativi in materia urbanistica edilizia e paesistica, è stato precisato che, mentre per il diritto penale rileva la condotta commissiva (sicché la prescrizione del reato inizia a decorrere dalla ultimazione dell'abuso), per il diritto amministrativo si è in presenza di un illecito di carattere permanente, caratterizzato dall'omissione dell'obbligo, perdurante nel tempo, di ripristinare secundum jus lo stato dei luoghi, con l’ulteriore conclusione che se l'Autorità emana un provvedimento repressivo (di demolizione, ovvero di irrogazione di una sanzione pecuniaria), non emana un atto «a distanza di tempo» dall'abuso, ma reprime una situazione antigiuridica contestualmente contra jus, ancora sussistente. Pres. BARBAGALLO - Est. RULLI - Regione Basilicata (avv.ti Viggiani e Santoro) c. Leonasi (avv. Bonifacio) - (annulla T.A.R. Basilicata sentenza n. 776 del 20 dicembre 2000) CONSIGLIO DI STATO Sezione IV - 25 novembre 2003, Sentenza n. 7769

 

2) L’indennità prevista per abusi edilizi in zone soggette a vincoli paesaggistici – L. n.1497/1939 - sanzione amministrativa - termine di cinque anni - condonabilità degli abusi commessi in zone soggette a tutela ambientale - parere favorevole dell’autorità competente. L’art. 15 della legge 29 giugno 1939, n. 1497 va interpretato (Cfr., Sez. IV, 12 novembre 2002, n. 6279; Sez. V, 8 giugno 1994, n. 614; Sez. VI, 2 giugno 2000, n. 3184; 9 ottobre 2000, n. 5373) nel senso che: l’indennità prevista per abusi edilizi in zone soggette a vincoli paesaggistici costituisce una vera e propria sanzione amministrativa che prescinde dalla sussistenza effettiva di un danno ambientale, non rappresentando una forma di risarcimento del danno; la condonabilità degli abusi commessi in zone soggette a tutela ambientale, purchè sia intervenuto il parere favorevole dell’autorità competente ai sensi dell’art. 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47; l’applicabilità della sanzione di cui al predetto art. 15 anche nel caso in cui sia intervenuto il previsto nulla osta, come precisato dall’art. 2, comma 46 della legge 23 dicembre 1966, n. 662, norma di natura chiaramente interpretativa; l’applicabilità dell’art. 28 legge n. 689 del 24 novembre 1981, a norma del quale “il diritto a riscuotere le somme dovute per le violazioni amministrative punite con pena pecuniaria si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui è stata commessa la violazione”, atteso che i principi e le norme dettati dal capo I della legge n. 689 del 1981 sono applicabili, per espresso dettato legislativo, a tutte le violazioni punite con sanzioni amministrative pecuniarie, anche se non previste in sostituzione di una sanzione penale (art. 12 legge n. 689 del 1981) e, quindi, anche agli illeciti amministrativi in materia urbanistica edilizia e paesistica puniti con sanzione pecuniaria. Pres. BARBAGALLO - Est. RULLI - Regione Basilicata (avv.ti Viggiani e Santoro) c. Leonasi (avv. Bonifacio) - (annulla T.A.R. Basilicata sentenza n. 776 del 20 dicembre 2000) CONSIGLIO DI STATO Sezione IV - 25 novembre 2003, Sentenza n. 7769

 

3) Illeciti in materia urbanistica edilizia e paesistica - opere senza le prescritte concessioni e autorizzazioni - la commissione degli illeciti si protrae sino al conseguimento delle prescritte autorizzazioni - illecito amministrativo permanente. Gli illeciti in materia urbanistica edilizia e paesistica, ove consistano nella realizzazione di opere senza le prescritte concessioni e autorizzazioni, hanno carattere di illeciti permanenti, di talché la commissione degli illeciti medesimi si protrae nel tempo, e viene meno solo con il cessare della situazione di illiceità, vale a, dire con il conseguimento delle prescritte autorizzazioni; (cfr. C.d.S., Sez. VI, 2 giugno 2002, n. 3184). Pres. BARBAGALLO - Est. RULLI - Regione Basilicata (avv.ti Viggiani e Santoro) c. Leonasi (avv. Bonifacio) - (annulla T.A.R. Basilicata sentenza n. 776 del 20 dicembre 2000) CONSIGLIO DI STATO Sezione IV - 25 novembre 2003, Sentenza n. 7769

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