Legislazione Giurisprudenza Vedi altre: Sentenze per esteso
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la
seguente
D E C I S I O N E
sul ricorso in appello iscritto al NRG. 1436 dell'anno 1991 proposto da
MOLINARIO ANNA MARIA, MOLINARIO EVA, MOLINARIO VITTORIO, MOLINARIO GIORGIO,
MOLINARIO STEFANO, BOCCA MARIA ELISA e BOCCA LUCIA, tutti rappresentati e difesi
dagli avvocati Giuseppe Lavitola e Valeria Mazzarelli, con i quali sono
elettivamente domiciliati in Roma, via Costabella n. 23;
c o n t r o
COMUNE DI ROMA, in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso
dall’avvocato Nicola Carnovale, con il quale è elettivamente domiciliato in
Roma, via del Tempio di Giove n. 21 (presso la sede dell’avvocatura municipale);
e nei confronti di
SOCIETA’ DANGEST, in persona del legale rappresentante in carica, non costituita
in giudizio;
per l'annullamento
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sez. I, n. 796
del 24 settembre 1990;
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Roma;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla pubblica udienza dell’8 aprile 2003 il Consigliere Carlo Saltelli;
Udito l’avvocato Manzia, su delega dell’avv. Lavitola, per gli appellanti;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
F A T T O
Con ricorso giurisdizionale notificato il 12 luglio 1985, i signori Anna Maria,
Eva, Vittorio, Giorgio e Stefano Molinario, nonché Maria Elisa e Lucia Bocca,
nella asserita qualità di proprietari di alcuni fondi siti in Roma, località
Grottarossa (in catasto al foglio F 128, p.lle 43, 44, 313, 140, 45, 315, 142,
45, 315, 142, 37, 143, 26, 317, 25,32,18, 17, 319, 320; F 127, p.lle 24, 97, 36,
98, 26, 99, 25, 27, 17, 18, 28, 32, 33, 21; F 130, p.lle 135, 374, 9, 8, 371,
370, 11 e 373), con destinazione urbanistica a zona E2, già inseriti nel
perimetro del I Programma pluriennale di attuazione del piano regolatore
generale di Roma tra le zone di nuova urbanizzazione per le quali, a termini
dell’articolo 5, era garantita l’edificabilità disciplinata dalla specifica
normativa di piano regolatore, chiedevano al Tribunale amministrativo regionale
del Lazio l’annullamento: a) della delibera consiliare del Comune di Roma n.
2359 del 26 luglio 1984 di adozione del II Piano pluriennale di attuazione del
piano regolatore generale; b) della delibera della Giunta comunale di Roma n.
3134 del 13 aprile 1985 di controdeduzioni alle osservazioni presentate avverso
il II Piano pluriennale di attuazione e di approvazione di quest’ultimo, in uno
con tutti gli atti preordinati, connessi e consequenziali; c) delle delibere
consiliari n. 4298 del 7 luglio 1983 e n. 2538 del 26 luglio 1984, relative al
nuovo piano per l’edilizia economica e popolare.
Avverso tali provvedimenti i ricorrenti, sul presupposto che col II Programma
pluriennale di attuazione le aree di loro proprietà erano state inopinatamente
incluse tra quelle disciplinate dall’articolo 17 del disciplinare di attuazione,
per le quali l’Amministrazione comunale si impegnava soltanto ad adottare i
relativi strumenti attuativi, senza garantire l’attuazione stessa, deducevano
cinque motivi di censura, i primi quattro rivolti, in linea generale, a
contestare la legittimità del piano pluriennale di attuazione e del relativo
iter procedurale di approvazione, il quinto, invece, riguardante la loro
specifica posizione legittimante.
In particolare, con il primo motivo, denunciando «Violazione e falsa
applicazione degli artt. 13, II comma, e 2, III comma, L. n. 10/1977, nonché
dell’art. 3, penul. comma, L. reg. Lazio n. 35/1978, con riferimento alla L. n.
47/85, in particolare capo III (recupero urbanistico degli insediamenti abusivi
– artt. 29 e 30, alla L. Reg. Lazio n. 28/1980, artt. da 4 a 15, alla L. reg.
Lazio n. 76/1985, spec. artt. 1 e 2, nonché alle delibere del Comune di Roma per
il recupero dei nuclei edilizi consolidati spontaneamente sorti, e alla delibera
di Giunta regionale Lazio n. 4777 del 3/8/1983 recante approvazione della
variante del Comune di Roma al P.R.G. per il recupero urbanistico dei nuclei
edilizi abusivi», i ricorrenti deducevano che la percentuale del 60% riservata
dall’impugnato piano pluriennale di attuazione all’edilizia privata, ancorchè
compresa nei limiti stabiliti dalla legge e come tale astrattamente legittima e
ragionevole, era in concreto errata e irragionevole, in quanto non teneva conto
che il fabbisogno di case popolari era già stato adeguatamente soddisfatto con
la sanatoria dell’abusivismo edilizio; ciò senza contare che erano stati
attribuiti alla percentuale di edilizia privata, invece che a quella pubblica,
anche le ulteriori costruzioni che erano realizzabili sulle aree libere nei
nuclei perimetrati.
Con il secondo motivo, rubricato «Eccesso di potere per illogicità,
irrazionalità e ingiustizia manifesta», i ricorrenti rilevavano che l’impugnato
piano pluriennale di attuazione aveva privilegiato irragionevolmente ed
ingiustamente nella scelta delle aree da destinare ad edilizia privata quelle
utili alla c.d. ricucitura tra la città legale e le zone caratterizzate
dall’abusivismo edilizio, svilendo in generale la proprietà privata, adibita a
mero strumento di supporto e completamento del precedente piano per l’edilizia
economica e popolare, e mortificando i comprensori di più ampio respiro, quale
quello dei ricorrenti, che, non potendo essere destinati a c.d. zona di
ricucitura urbana, erano stati esclusi dal predetto programma pluriennale di
attuazione.
Con il terzo motivo, i ricorrenti denunciavano «Violazione dell’art. 13 della
legge n. 10/77 e degli artt. 2, 3 e 4 della legge regionale n. 35/78», in quanto
– a loro avviso – il II piano pluriennale di attuazione era sottodimensionato
rispetto all’arco temporale quinquennale da prendere in considerazione, non
essendo stata prevista alcuna area di riserva rispetto alle specifiche esigenze
accertate che non avevano tenuto conto dei fabbisogni abitativi del I piano
pluriennale di attuazione non soddisfatti; del resto, secondo i ricorrenti il
rapporto abitante/stanza, fissato in 1:1 era del tutto insufficiente, esistendo
famiglie mononucleari che non potevano essere sistemate in una sola stanza.
Con il quarto motivo, dolendosi della «Violazione e falsa applicazione dei
principi generali in tema di programmi pluriennali di attuazione, con
particolare riferimento all’art. 13 L. n. 10/1977 e 6 L. reg. Lazio n. 35/1978 –
Eccesso di potere per errore e falsità nei presupposti – In subordine:
violazione dei principi costituzionali a tutela dell’impresa e della proprietà
di cui agli artt. 41 e 42 della Costituzione», i ricorrenti rilevavano che
l’intimata amministrazione comunale non aveva neppure preso in considerazione le
osservazioni avverso la delibera di adozione del piano che erano state sic et
simpliciter respinte, non potendo giustificarsi detto modus procedendi sul
presupposto del valore non vincolante di tali osservazioni.
Infine i ricorrenti, deducendo la «Violazione e falsa applicazione dell’art. 3,
ult. Comma, della L. reg. Lazio n. 35/1978 – Eccesso di potere per
contraddittorietà manifesta – In subordine, difetto assoluto di motivazione»,
rilevavano che l’assoggettamento delle aree di loro proprietà alla previsione
dell’articolo 17 del disciplinare del II piano pluriennale di attuazione, le
rendeva di fatto in edificabili, in palese contrasto con le previsioni della
legge regionale del Lazio n. 35 del 1978 (secondo cui, invece, «nel programma
devono essere obbligatoriamente incluse anche le parti del precedente programma
non attuate in tutto o in parte»), senza che, peraltro, fosse stata motivata la
ragione della deroga, se ammissibile, a tale precisa disposizione legislativa.
L’adito Tribunale, con la sentenza n. 796 del 24 settembre 1990 (sez. I), nella
resistenza dell’intimata amministrazione comunale di Roma, respingeva il
ricorso, ritenendo infondate tutte le censure prospettate.
Con atto di appello notificato il 5 febbraio 1991 gli interessati chiedevano la
riforma della predetta sentenza, riproponendo sostanzialmente tutte le censure
sollevate in primo grado, a loro avviso, ingiustamente respinte in virtù di un
esame frettoloso e superficiale.
Anche nel giudizio di appello si è costituito il Comune di Roma.
Con istanza depositata il 27 marzo 2003 i ricorrenti hanno chiesto il rinvio
della trattazione dell’affare, fissata per l’udienza dell’8 aprile 2003, per
consentire l’intervento in giudizio della società Parco di Roma, cui le aree
oggetto della controversia sono state vendute con atto pubblico rogato il 26
febbraio 2002 (Rep. 40644, racc. 7057).
D I R I T T O
I. E’ controversa la legittimità degli atti della serie procedimentale con cui
l’Amministrazione comunale di Roma ha, rispettivamente, adottato (delibera
consiliare n. 2539 del 26 luglio 1984) e poi approvato, dopo aver controdedotto
alle osservazioni formulate dagli interessati (delibera di Giunta municipale n.
3134 del 13 aprile 1985), il II Piano pluriennale di attuazione del piano
regolatore generale, nella parte in cui le arre di proprietà dei signori Anna
Maria, Eva, Vittorio, Giorgio e Stefano Molinario, nonché Maria Elisa e Lucia
Bocca, tutte ricedenti nel territorio del Comune di Roma, località Grottarossa
(in catasto al foglio F 128, p.lle 43, 44, 313, 140, 45, 315, 142, 45, 315, 142,
37, 143, 26, 317, 25,32,18, 17, 319, 320; F 127, p.lle 24, 97, 36, 98, 26, 99,
25, 27, 17, 18, 28, 32, 33, 21; F 130, p.lle 135, 374, 9, 8, 371, 370, 11 e
373), già comprese nel I Programma pluriennale di attuazione ed assoggettate
alla previsione del relativo articolo 5 per le zone di nuova urbanizzazione
(alle quali veniva garantita l’edificabilità disciplinata dalla vigente
disciplina del piano regolatore generale), sono state ora incluse nelle
previsioni dell’articolo 17 del disciplinare di attuazione, per le quali
l’amministrazione comunale si impegna soltanto all’adozione di strumenti
attuativi, senza garantirne la effettiva attuazione; risultano altresì impugnate
le delibere consiliari n. 4298 del 4 luglio 1983 e n. 2538 del 26 luglio 1984,
concernenti il nuovo piano per l’edilizia economica e popolare.
I predetti interessati chiedono la riforma della sentenza n. 796 del 24
settembre 1990, con la quale il Tribunale amministrativo regionale del Lazio
(sez. I) ha ritenuto legittimi i citati atti; a tal fine essi hanno riproposto i
motivi di censura sollevati in primo grado che, a loro avviso, sarebbero stati
superficialmente esaminati ed erroneamente respinti, con motivazioni del tutto
disancorate dai fatti prospettati.
Resiste l’Amministrazione comunale di Roma.
II. Deve essere innanzitutto respinta la richiesta di rinvio della trattazione
della causa, formulata dai ricorrenti con l’istanza depositata in data 27 marzo
2003 e reiterata dal loro difensore alla pubblica udienza dell’8 aprile 2003,
essendo essa fondata su mere ragioni di opportunità, prive di rilevanza
giuridica e come tali inidonee a ledere i fondamentali principi del diritto di
difesa, che trovano la loro garanzia costituzionale negli articoli 24 e 113
della Costituzione.
Infatti, ad avviso della Sezione, pur non potendo revocarsi in dubbio che anche
il processo amministrativo è regolato dal principio dispositivo, deve pur sempre
considerarsi che in esso non vengono in rilievo esclusivamente interesse
privati, ma devono trovare composizione e soddisfazione anche gli interessi
pubblici che vi sono coinvolti, con la conseguenza che una richiesta di rinvio
della trattazione del processo deve trovare il suo fondamento giuridico in gravi
ragioni, idonee ad incidere – se non tenute in considerazione – proprio sulle
fondamentali esigenze di tutela del diritto di difesa costituzionalmente
garantite.
Nel caso di specie, tali gravi ragioni non sussistono, non potendo esse essere
ricollegate all’avvenuta cessione dei beni oggetto della controversia alla
società Parco di Roma S.p.A. ed alla conseguente opportunità di favorire
l’eventuale intervento in giudizio di quest’ultima: invero, anche a voler
prescindere dalla non secondaria circostanza che la predetta cessione si è
verificata ben oltre un anno prima della data di fissazione dell’udienza di
trattazione della presente causa (e che non ha alcuna rilevanza ai fini di causa
il fatto che i venditori – originari ricorrenti ed appellanti – abbiano
eventualmente omesso di comunicare alla società acquirente la pendenza della
presente controversia), è sufficiente rilevare che l’intervento in giudizio
della Società Parco Roma, trattandosi di intervento ad adiuvandum delle ragioni
degli appellanti, non potrebbe apportare alcun ulteriore elemento nuovo o
decisivo ai fini della soluzione della controversia; né, d’altra parte,
l’istanza di rinvio ha prospettato l’esistenza di fatti nuovi, decisivi ai fini
della soluzione della controversia, che solo la Società Parco di Roma S.p.A.
sarebbe stata in grado di rappresentare e dedurre.
III. Passando all’esame dei singoli motivi di gravame, la Sezione osserva quanto
segue.
III.1. Con il primo motivo di gravame gli appellanti hanno riproposto il quinto
motivo del ricorso di primo grado, sostenendo l’illegittimità dell’impugnato II
Programma pluriennale di attuazione per violazione dell’art. 3, ultimo comma,
della legge regionale del Lazio 28 luglio 1978, n. 35, in quanto il Comune di
Roma, pur essendovi obbligato, non avrebbe inserito le aree di loro proprietà
nel predetto II Programma pluriennale, determinando un’inedificabilità di fatto
dei fondi stessi e senza fornire al riguardo alcuna giustificazione.
Tale doglianza, come esattamente rilevato dai primi giudici, non è meritevole di
accoglimento.
Innanzitutto, non corrisponde al vero l’assunto della mancata inclusione delle
aree di proprietà degli appellanti nel II Programma pluriennale di attuazione,
essendo pacifico invece che esse sono state effettivamente incluse nel programma
in questione ed assoggettate alla disciplina dell’articolo 17 del disciplinare
di attuazione che, com’è ammesso dagli stessi appellanti, impegna il comune ad
adottare gli strumenti attuativi.
Il fatto, poi, che la previsione dell’articolo 17 non garantisce la concreta
attuazione dei predetti strumenti attuativi non compromette in nessun modo l’edificabilità
dei siti, atteso che, com’è noto, neppure la mancata inclusione nel programma
pluriennale di attuazione è di ostacolo all’approvazione di un piano di
lottizzazione (sul punto, C.d.S., sez. IV, 14 ottobre 1997, n. 1194).
E’, pertanto, destituita di fondamento la subordinata censura, pur fondata sulla
asserita violazione dell’art. 3, ultimo comma, della legge regionale n. 35 del
1978, con cui gli appellanti hanno lamentato la carenza di motivazione circa la
presunta deroga operata dall’amministrazione comunale di Roma in ordine
all’obbligatorio inserimento nel II Programma pluriennale di attuazione dei
fondi di loro proprietà.
III.2. Ad avviso della Sezione, possono essere esaminati congiuntamente gli
altri quattro motivi di gravame, tutti incentrati sulla dedotta violazione e
falsa applicazione dell’art. 13 della legge n. 10 del 1977 e della legge
regionale n. 35 del 1978, relativi in particolare al contenuto del II Programma
pluriennale di attuazione.
Al riguardo appare opportuno sottolineare che il programma pluriennale di
attuazione è uno strumento di programmazione, mediante il quale il Comune
temporalizza l’attuazione delle previsioni contenute negli strumenti urbanistici
generali, delineando le zone nelle quali, nei successivi anni, si dovrà
obbligatoriamente procedere a costruire (C.d.S., sez. IV, n. 1741 del 27 marzo
2002; 11 marzo 1999, n. 250); esso assolve, quindi, all’esigenza di graduare nel
tempo gli interventi di edificazione e di urbanizzazione in un sistema in cui il
piano regolatore ha per sua stessa natura durata a tempo indeterminato e deve
quindi contenere previsioni di lunga scadenza che restano quiescenti per lungo
tempo, rendendole attuali (C.d.S., sez. IV, 12 luglio 1993, n. 703).
Deve conseguenzialmente riconoscersi all’ente locale un’ampia discrezionalità
nell’individuazione delle aree da inserire nel predetto strumento, anche in
considerazione del fatto che la concreta realizzazione delle scelte dipende
anche dalla risorse finanziarie che l’ente stesse ritiene di poter utilizzare
per far fronte alle opere di urbanizzazione occorrenti: pertanto tali scelte non
sono sindacabili in sede di legittimità, salvo che non siano manifestamente
irragionevoli, illogiche o arbitrarie.
III.2.1. Ciò precisato, deve escludersi, ad avviso della Sezione, che sia
irragionevole il rapporto percentuale del 60% - 40% tra edilizia residenziale
pubblica ed edilizia privata, previsto dall’impugnato programma pluriennale di
attuazione per omessa valutazione della sanatoria del notorio fenomeno
dell'abusivismo che, secondo gli appellanti, aveva già largamente soddisfatto la
richiesta di abitazioni.
Va al riguardo rilevato che, diversamente da quanto sostenuto dagli appellanti,
i primi giudici hanno lucidamente evidenziato la completa autonomia del
programma pluriennale di attuazione rispetto alle previsioni contenute nel piano
di edilizia economica e popolare, con la conseguenza che, anche in ragione della
diversa efficacia temporale dei due strumenti, la percentuale assegnata
all’edilizia pubblica, peraltro rientrante nei limiti massimi ammessi dalla
legge, è frutto di una scelta che non appare illogica o arbitraria, tanto più
che i vizi del piano di edilizia economica e popolare non rifluiscono nel
programma pluriennale di attuazione, come pure attentamente rilevato dai primi
giudici.
Né a diverse conclusioni si giunge considerando la rilevanza del fenomeno della
sanatoria dell’abusivismo edilizio.
Invero, come correttamente rilevato da questa stessa sezione in una controversia
pressocché analoga (C.d.S., sez. IV, 5 novembre 1991, n. 882), vi è netta
differenziazione tra edilizia abusiva ed edilizia economica e popolare che ha
radici nella L. 18 aprile 1962 n. 167.
Invero, il recupero alla legalità del patrimonio edilizio abusivo, non può in
alcun incidere in termini di valori assoluti sul fabbisogno abitativo
dell'edilizia residenziale pubblica, la quale coinvolge le necessità
alloggiative, da soddisfare con i benefici di specifiche normative, nell’ambito
di ben delineate finalità di programmazione e di esecuzione sotto il diretto
controllo dell'Amministrazione, senza interferenze e compensazioni con le
iniziative comunali di risanamento.
E' pertanto priva di fondamento la pretesa degli appellanti, secondo cui avendo
l’amministrazione, attraverso la sanatoria dell’abusivismo, provveduto ad
assicurare la prima casa a chi l'abitava, avrebbe dovuto ridurre la previsione
della quota di edilizia economica e popolare.
III.2.2. Ugualmente frutto di un’ampia discrezionalità, e pertanto
insindacabile, non potendosi considerare irragionevole, illogica e arbitraria, è
la scelta contenuta nell’impugnato piano pluriennale di attuazione di
privilegiare tra le aree da inserire nel piano stesso quelle idonee a consentire
una «ricucitura» con le zone delle borgate ed il nuovo P.E.E.P..
E’ sufficiente rilevare al riguardo che, atteggiandosi il piano pluriennale a
strumento di attuazione delle scelte urbanistiche già delineate in sede di piano
regolatore generale, è ragionevole, secondo un coerente e logico progetto di
armonioso sviluppo urbanistico del territorio comunale, prevedere con priorità
la realizzazione delle previsioni di piano regolatore proprio per quelle zone
adiacenti, ovvero vicine a quelle in cui erano stati realizzati insediamenti
edilizi abusivi oggetto di sanatoria: in tal modo, infatti, la sanatoria
concessa si sposta, com’è necessario, dal piano meramente burocratico, a quello
effettivo del territorio, consentendo agli interventi originariamente abusivi di
inserirsi effettivamente nel territorio comunale, quale parte integrante del
relativo disegno urbanistico.
La doglianza deve essere pertanto respinta.
III.2.3. Nemmeno è fondato il terzo motivo, con il quale gli appellanti hanno
lamentato il sottodimensionamento del piano pluriennale di attuazione di cui si
discute, per la mancata previsione di una riserva di aree rispetto alle esigenze
accertate, contestando tra l’altro anche il criterio di stima del fabbisogno
abitativo nella misura di 1 abitante per vano.
Osserva al riguardo il Collegio che la mancata realizzazione di parte dei
progetti inseriti nel precedente programma pluriennale di attuazione non può
giustificare il sovradimensionamento del nuovo programma pluriennale di
attuazione, atteso che ciò si sostanzierebbe in una inammissibile dilatazione
dei suoi contenuti, contraddicendo gli apprezzamenti delle effettive necessità
abitative correlate allo sviluppo ed al riordino delle funzioni urbane, nei
limiti dell'interesse pubblico di non addossare costi eccessivi alla
collettività.
D’altra parte la sopravvalutazione di vani, superfici, servizi, infrastrutture e
tempi di esecuzione, è altresì inconciliabile con i principi di legalità,
imparzialità e buon andamento, fissati dall’articolo 97 della Costituzione, che
devono presiedere l'azione amministrativa nella ponderazione degli interessi
pubblici e contrasta inoltre con la stessa funzione dello strumento in esame di
disciplinare temporalmente, ed in modo coordinato, gli interventi edilizi
attuativi delle previsioni del piano regolatore generale.
Per quanto riguarda, poi, la criticata stima di un abitante per vano, essa deve
essere considerata coerente al sistema normativo che affida ai Comuni lo studio,
l'elaborazione e la fissazione dei criteri che concorrano alla determinazione
del fabbisogno di alloggi; tale valutazione, peraltro, non contraddice gli
elementi acquisiti dall'Amministrazione in altra sede, come flusso migratorio
della popolazione, l'andamento demografico dei nuclei familiari, etc. e nemmeno
è scalfita dalla tesi argomentativa dell'appellante, perché, se è vero che
famiglie anagraficamente composte di una sola persona occupano alloggi di più
stanze, è anche vero, viceversa, che altre famiglie occupano appartamenti il cui
numero di vani è largamente inferiore a quello dei componenti della famiglia.
Deve in conclusione ritenersi del tutto logica e ragionevole la scelta
contestata, anche sotto il profilo che lo standard medio seguito risponde
all'esigenza di dotare le nuove abitazioni di una minima quantità di stanze per
un minimo conforto per quanti ne diverranno assegnatari (sul punto in termini,
C.d.S., sez. V, 5 novembre 1991, n. 882).
III.2.4. Quanto, infine, alla pretesa illegittimità del piano per la mancata
valutazione delle osservazioni presentate, la Sezione è dell’avviso che le
osservazione svolte al riguardo dai primi giudici non meritino le censure
sollevate.
E’ decisivo al riguardo rilevare che l’assunto degli appellanti muove
dall’erroneo presupposto che le aree di loro proprietà non sarebbero state
ricomprese nel II piano pluriennale di attuazione, circostanza questa, come già
precedentemente delineato, che non corrisponde al vero; ragion per cui, ferme
restando tutte le osservazioni già svolte circa il contenuto del programma
pluriennale di attuazione e circa la discrezionalità delle scelte delle aree da
inserirvi, non è dato comprendere quale sarebbe il vizio di motivazione di cui
gli appellanti stessi si dolgono.
IV. Alla stregua delle considerazioni svolte, l’appello deve essere pertanto
respinto.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P. Q. M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione quarta), definitivamente
pronunciando sull’appello proposto da Molinario Anna Maria, Molinario Eva,
Molinario Vittorio, Molinario Giorgio, Molinario Stefano, Bocca Maria Elisa e
Bocca Lucia avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale del
Lazio, sez. I, n. 796, del 24 settembre 1990, lo respinge.
Condanna gli appellanti al pagamento in favore del Comune di Roma delle spese
del presente grado di giudizio che si liquidano in complessivi euro 3.000,00
(tremila).
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, addì 8 aprile 2003, dal Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale – Sezione Quarta – riunito in camera di consiglio con
l’intervento dei seguenti signori:
RICCIO Stenio - Presidente
BARBAGALLO Giuseppe - Consigliere
CARINCI Giuseppe - Consigliere
POLI Vito - Consigliere
SALTELLI Carlo - Consigliere, est.
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
25/11/2003
(Art.55, L. 27.4.1982 n. 186)
1) Programma pluriennale di attuazione e piano di lottizzazione. La mancata inclusione di un’area nel programma pluriennale di attuazione non è di ostacolo all’approvazione di un piano di lottizzazione. C.d.S., sez. IV, 14 ottobre 1997, n. 1194. - Pres. RICCIO - Est. SALTELLI – MOLINARIO (Avv.ti Lavitola e Mazzarelli) c. COMUNE DI ROMA (Carnovale) (Conferma Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sez. I, n. 796 del 24 settembre 1990) CONSIGLIO DI STATO Sezione IV - 25 novembre 2003, Sentenza n. 7775
2) Programma pluriennale di attuazione - le previsioni contenute negli strumenti urbanistici generali - gli interventi di edificazione e di urbanizzazione. Il programma pluriennale di attuazione è uno strumento di programmazione, mediante il quale il Comune temporalizza l’attuazione delle previsioni contenute negli strumenti urbanistici generali, delineando le zone nelle quali, nei successivi anni, si dovrà obbligatoriamente procedere a costruire (C.d.S., sez. IV, n. 1741 del 27 marzo 2002; 11 marzo 1999, n. 250); esso assolve, quindi, all’esigenza di graduare nel tempo gli interventi di edificazione e di urbanizzazione in un sistema in cui il piano regolatore ha per sua stessa natura durata a tempo indeterminato e deve quindi contenere previsioni di lunga scadenza che restano quiescenti per lungo tempo, rendendole attuali. (C.d.S., sez. IV, 12 luglio 1993, n. 703). - Pres. RICCIO - Est. SALTELLI – MOLINARIO (Avv.ti Lavitola e Mazzarelli) c. COMUNE DI ROMA (Carnovale) (Conferma Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sez. I, n. 796 del 24 settembre 1990) CONSIGLIO DI STATO Sezione IV - 25 novembre 2003, Sentenza n. 7775
3) Programma pluriennale di attuazione - autonomia rispetto alle previsioni contenute nel piano di edilizia economica e popolare (P.E.E.P.) - armonioso sviluppo urbanistico del territorio comunale - insediamenti edilizi abusivi oggetto di sanatoria - i principi di legalità, imparzialità e buon andamento. Il programma pluriennale di attuazione è completamente autonomo rispetto alle previsioni contenute nel piano di edilizia economica e popolare, con la conseguenza che, anche in ragione della diversa efficacia temporale dei due strumenti, la percentuale ivi assegnata all’edilizia pubblica, peraltro rientrante nei limiti massimi ammessi dalla legge, è frutto di una scelta discrezionale, sindacabile solo se manifestamente illogica o arbitraria, tanto più che i vizi del piano di edilizia economica e popolare non rifluiscono nel programma pluriennale di attuazione. Atteggiandosi il piano pluriennale di attuazione a strumento di attuazione delle scelte urbanistiche già delineate in sede di piano regolatore generale, è ragionevole, secondo un coerente e logico progetto di armonioso sviluppo urbanistico del territorio comunale, prevedere con priorità la realizzazione delle previsioni di piano regolatore proprio per quelle zone adiacenti ovvero vicine a quelle in cui erano stati realizzati insediamenti edilizi abusivi oggetto di sanatoria: in tal modo, infatti, la sanatoria concessa si sposta, com’è necessario, dal piano meramente burocratico, a quello effettivo del territorio, consentendo agli interventi originariamente abusivi di inserirsi effettivamente nel territorio comunale, quale parte integrante del relativo disegno urbanistico. Nel programma pluriennale di attuazione la sopravvalutazione di vani, superfici, servizi, infrastrutture e tempi di esecuzione, è inconciliabile con i principi di legalità, imparzialità e buon andamento, fissati dall’articolo 95 della Costituzione, che devono presiedere l'azione amministrativa nella ponderazione degli interessi pubblici e contrasta inoltre con la stessa funzione dello strumento in esame di disciplinare temporalmente, ed in modo coordinato, gli interventi edilizi attuativi delle previsioni del piano regolatore generale. - Pres. RICCIO - Est. SALTELLI – MOLINARIO (Avv.ti Lavitola e Mazzarelli) c. COMUNE DI ROMA (Carnovale) (Conferma Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sez. I, n. 796 del 24 settembre 1990) CONSIGLIO DI STATO Sezione IV - 25 novembre 2003, Sentenza n. 7775
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