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CONSIGLIO DI STATO Sezione IV - 25 novembre 2003, Sentenza n. 7775

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente


D E C I S I O N E


sul ricorso in appello iscritto al NRG. 1436 dell'anno 1991 proposto da MOLINARIO ANNA MARIA, MOLINARIO EVA, MOLINARIO VITTORIO, MOLINARIO GIORGIO, MOLINARIO STEFANO, BOCCA MARIA ELISA e BOCCA LUCIA, tutti rappresentati e difesi dagli avvocati Giuseppe Lavitola e Valeria Mazzarelli, con i quali sono elettivamente domiciliati in Roma, via Costabella n. 23;
c o n t r o
COMUNE DI ROMA, in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dall’avvocato Nicola Carnovale, con il quale è elettivamente domiciliato in Roma, via del Tempio di Giove n. 21 (presso la sede dell’avvocatura municipale);
e nei confronti di
SOCIETA’ DANGEST, in persona del legale rappresentante in carica, non costituita in giudizio;
per l'annullamento
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sez. I, n. 796 del 24 settembre 1990;
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Roma;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla pubblica udienza dell’8 aprile 2003 il Consigliere Carlo Saltelli;
Udito l’avvocato Manzia, su delega dell’avv. Lavitola, per gli appellanti;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:


F A T T O


Con ricorso giurisdizionale notificato il 12 luglio 1985, i signori Anna Maria, Eva, Vittorio, Giorgio e Stefano Molinario, nonché Maria Elisa e Lucia Bocca, nella asserita qualità di proprietari di alcuni fondi siti in Roma, località Grottarossa (in catasto al foglio F 128, p.lle 43, 44, 313, 140, 45, 315, 142, 45, 315, 142, 37, 143, 26, 317, 25,32,18, 17, 319, 320; F 127, p.lle 24, 97, 36, 98, 26, 99, 25, 27, 17, 18, 28, 32, 33, 21; F 130, p.lle 135, 374, 9, 8, 371, 370, 11 e 373), con destinazione urbanistica a zona E2, già inseriti nel perimetro del I Programma pluriennale di attuazione del piano regolatore generale di Roma tra le zone di nuova urbanizzazione per le quali, a termini dell’articolo 5, era garantita l’edificabilità disciplinata dalla specifica normativa di piano regolatore, chiedevano al Tribunale amministrativo regionale del Lazio l’annullamento: a) della delibera consiliare del Comune di Roma n. 2359 del 26 luglio 1984 di adozione del II Piano pluriennale di attuazione del piano regolatore generale; b) della delibera della Giunta comunale di Roma n. 3134 del 13 aprile 1985 di controdeduzioni alle osservazioni presentate avverso il II Piano pluriennale di attuazione e di approvazione di quest’ultimo, in uno con tutti gli atti preordinati, connessi e consequenziali; c) delle delibere consiliari n. 4298 del 7 luglio 1983 e n. 2538 del 26 luglio 1984, relative al nuovo piano per l’edilizia economica e popolare.


Avverso tali provvedimenti i ricorrenti, sul presupposto che col II Programma pluriennale di attuazione le aree di loro proprietà erano state inopinatamente incluse tra quelle disciplinate dall’articolo 17 del disciplinare di attuazione, per le quali l’Amministrazione comunale si impegnava soltanto ad adottare i relativi strumenti attuativi, senza garantire l’attuazione stessa, deducevano cinque motivi di censura, i primi quattro rivolti, in linea generale, a contestare la legittimità del piano pluriennale di attuazione e del relativo iter procedurale di approvazione, il quinto, invece, riguardante la loro specifica posizione legittimante.


In particolare, con il primo motivo, denunciando «Violazione e falsa applicazione degli artt. 13, II comma, e 2, III comma, L. n. 10/1977, nonché dell’art. 3, penul. comma, L. reg. Lazio n. 35/1978, con riferimento alla L. n. 47/85, in particolare capo III (recupero urbanistico degli insediamenti abusivi – artt. 29 e 30, alla L. Reg. Lazio n. 28/1980, artt. da 4 a 15, alla L. reg. Lazio n. 76/1985, spec. artt. 1 e 2, nonché alle delibere del Comune di Roma per il recupero dei nuclei edilizi consolidati spontaneamente sorti, e alla delibera di Giunta regionale Lazio n. 4777 del 3/8/1983 recante approvazione della variante del Comune di Roma al P.R.G. per il recupero urbanistico dei nuclei edilizi abusivi», i ricorrenti deducevano che la percentuale del 60% riservata dall’impugnato piano pluriennale di attuazione all’edilizia privata, ancorchè compresa nei limiti stabiliti dalla legge e come tale astrattamente legittima e ragionevole, era in concreto errata e irragionevole, in quanto non teneva conto che il fabbisogno di case popolari era già stato adeguatamente soddisfatto con la sanatoria dell’abusivismo edilizio; ciò senza contare che erano stati attribuiti alla percentuale di edilizia privata, invece che a quella pubblica, anche le ulteriori costruzioni che erano realizzabili sulle aree libere nei nuclei perimetrati.


Con il secondo motivo, rubricato «Eccesso di potere per illogicità, irrazionalità e ingiustizia manifesta», i ricorrenti rilevavano che l’impugnato piano pluriennale di attuazione aveva privilegiato irragionevolmente ed ingiustamente nella scelta delle aree da destinare ad edilizia privata quelle utili alla c.d. ricucitura tra la città legale e le zone caratterizzate dall’abusivismo edilizio, svilendo in generale la proprietà privata, adibita a mero strumento di supporto e completamento del precedente piano per l’edilizia economica e popolare, e mortificando i comprensori di più ampio respiro, quale quello dei ricorrenti, che, non potendo essere destinati a c.d. zona di ricucitura urbana, erano stati esclusi dal predetto programma pluriennale di attuazione.


Con il terzo motivo, i ricorrenti denunciavano «Violazione dell’art. 13 della legge n. 10/77 e degli artt. 2, 3 e 4 della legge regionale n. 35/78», in quanto – a loro avviso – il II piano pluriennale di attuazione era sottodimensionato rispetto all’arco temporale quinquennale da prendere in considerazione, non essendo stata prevista alcuna area di riserva rispetto alle specifiche esigenze accertate che non avevano tenuto conto dei fabbisogni abitativi del I piano pluriennale di attuazione non soddisfatti; del resto, secondo i ricorrenti il rapporto abitante/stanza, fissato in 1:1 era del tutto insufficiente, esistendo famiglie mononucleari che non potevano essere sistemate in una sola stanza.


Con il quarto motivo, dolendosi della «Violazione e falsa applicazione dei principi generali in tema di programmi pluriennali di attuazione, con particolare riferimento all’art. 13 L. n. 10/1977 e 6 L. reg. Lazio n. 35/1978 – Eccesso di potere per errore e falsità nei presupposti – In subordine: violazione dei principi costituzionali a tutela dell’impresa e della proprietà di cui agli artt. 41 e 42 della Costituzione», i ricorrenti rilevavano che l’intimata amministrazione comunale non aveva neppure preso in considerazione le osservazioni avverso la delibera di adozione del piano che erano state sic et simpliciter respinte, non potendo giustificarsi detto modus procedendi sul presupposto del valore non vincolante di tali osservazioni.


Infine i ricorrenti, deducendo la «Violazione e falsa applicazione dell’art. 3, ult. Comma, della L. reg. Lazio n. 35/1978 – Eccesso di potere per contraddittorietà manifesta – In subordine, difetto assoluto di motivazione», rilevavano che l’assoggettamento delle aree di loro proprietà alla previsione dell’articolo 17 del disciplinare del II piano pluriennale di attuazione, le rendeva di fatto in edificabili, in palese contrasto con le previsioni della legge regionale del Lazio n. 35 del 1978 (secondo cui, invece, «nel programma devono essere obbligatoriamente incluse anche le parti del precedente programma non attuate in tutto o in parte»), senza che, peraltro, fosse stata motivata la ragione della deroga, se ammissibile, a tale precisa disposizione legislativa.


L’adito Tribunale, con la sentenza n. 796 del 24 settembre 1990 (sez. I), nella resistenza dell’intimata amministrazione comunale di Roma, respingeva il ricorso, ritenendo infondate tutte le censure prospettate.


Con atto di appello notificato il 5 febbraio 1991 gli interessati chiedevano la riforma della predetta sentenza, riproponendo sostanzialmente tutte le censure sollevate in primo grado, a loro avviso, ingiustamente respinte in virtù di un esame frettoloso e superficiale.


Anche nel giudizio di appello si è costituito il Comune di Roma.


Con istanza depositata il 27 marzo 2003 i ricorrenti hanno chiesto il rinvio della trattazione dell’affare, fissata per l’udienza dell’8 aprile 2003, per consentire l’intervento in giudizio della società Parco di Roma, cui le aree oggetto della controversia sono state vendute con atto pubblico rogato il 26 febbraio 2002 (Rep. 40644, racc. 7057).


D I R I T T O


I. E’ controversa la legittimità degli atti della serie procedimentale con cui l’Amministrazione comunale di Roma ha, rispettivamente, adottato (delibera consiliare n. 2539 del 26 luglio 1984) e poi approvato, dopo aver controdedotto alle osservazioni formulate dagli interessati (delibera di Giunta municipale n. 3134 del 13 aprile 1985), il II Piano pluriennale di attuazione del piano regolatore generale, nella parte in cui le arre di proprietà dei signori Anna Maria, Eva, Vittorio, Giorgio e Stefano Molinario, nonché Maria Elisa e Lucia Bocca, tutte ricedenti nel territorio del Comune di Roma, località Grottarossa (in catasto al foglio F 128, p.lle 43, 44, 313, 140, 45, 315, 142, 45, 315, 142, 37, 143, 26, 317, 25,32,18, 17, 319, 320; F 127, p.lle 24, 97, 36, 98, 26, 99, 25, 27, 17, 18, 28, 32, 33, 21; F 130, p.lle 135, 374, 9, 8, 371, 370, 11 e 373), già comprese nel I Programma pluriennale di attuazione ed assoggettate alla previsione del relativo articolo 5 per le zone di nuova urbanizzazione (alle quali veniva garantita l’edificabilità disciplinata dalla vigente disciplina del piano regolatore generale), sono state ora incluse nelle previsioni dell’articolo 17 del disciplinare di attuazione, per le quali l’amministrazione comunale si impegna soltanto all’adozione di strumenti attuativi, senza garantirne la effettiva attuazione; risultano altresì impugnate le delibere consiliari n. 4298 del 4 luglio 1983 e n. 2538 del 26 luglio 1984, concernenti il nuovo piano per l’edilizia economica e popolare.


I predetti interessati chiedono la riforma della sentenza n. 796 del 24 settembre 1990, con la quale il Tribunale amministrativo regionale del Lazio (sez. I) ha ritenuto legittimi i citati atti; a tal fine essi hanno riproposto i motivi di censura sollevati in primo grado che, a loro avviso, sarebbero stati superficialmente esaminati ed erroneamente respinti, con motivazioni del tutto disancorate dai fatti prospettati.


Resiste l’Amministrazione comunale di Roma.


II. Deve essere innanzitutto respinta la richiesta di rinvio della trattazione della causa, formulata dai ricorrenti con l’istanza depositata in data 27 marzo 2003 e reiterata dal loro difensore alla pubblica udienza dell’8 aprile 2003, essendo essa fondata su mere ragioni di opportunità, prive di rilevanza giuridica e come tali inidonee a ledere i fondamentali principi del diritto di difesa, che trovano la loro garanzia costituzionale negli articoli 24 e 113 della Costituzione.


Infatti, ad avviso della Sezione, pur non potendo revocarsi in dubbio che anche il processo amministrativo è regolato dal principio dispositivo, deve pur sempre considerarsi che in esso non vengono in rilievo esclusivamente interesse privati, ma devono trovare composizione e soddisfazione anche gli interessi pubblici che vi sono coinvolti, con la conseguenza che una richiesta di rinvio della trattazione del processo deve trovare il suo fondamento giuridico in gravi ragioni, idonee ad incidere – se non tenute in considerazione – proprio sulle fondamentali esigenze di tutela del diritto di difesa costituzionalmente garantite.


Nel caso di specie, tali gravi ragioni non sussistono, non potendo esse essere ricollegate all’avvenuta cessione dei beni oggetto della controversia alla società Parco di Roma S.p.A. ed alla conseguente opportunità di favorire l’eventuale intervento in giudizio di quest’ultima: invero, anche a voler prescindere dalla non secondaria circostanza che la predetta cessione si è verificata ben oltre un anno prima della data di fissazione dell’udienza di trattazione della presente causa (e che non ha alcuna rilevanza ai fini di causa il fatto che i venditori – originari ricorrenti ed appellanti – abbiano eventualmente omesso di comunicare alla società acquirente la pendenza della presente controversia), è sufficiente rilevare che l’intervento in giudizio della Società Parco Roma, trattandosi di intervento ad adiuvandum delle ragioni degli appellanti, non potrebbe apportare alcun ulteriore elemento nuovo o decisivo ai fini della soluzione della controversia; né, d’altra parte, l’istanza di rinvio ha prospettato l’esistenza di fatti nuovi, decisivi ai fini della soluzione della controversia, che solo la Società Parco di Roma S.p.A. sarebbe stata in grado di rappresentare e dedurre.


III. Passando all’esame dei singoli motivi di gravame, la Sezione osserva quanto segue.


III.1. Con il primo motivo di gravame gli appellanti hanno riproposto il quinto motivo del ricorso di primo grado, sostenendo l’illegittimità dell’impugnato II Programma pluriennale di attuazione per violazione dell’art. 3, ultimo comma, della legge regionale del Lazio 28 luglio 1978, n. 35, in quanto il Comune di Roma, pur essendovi obbligato, non avrebbe inserito le aree di loro proprietà nel predetto II Programma pluriennale, determinando un’inedificabilità di fatto dei fondi stessi e senza fornire al riguardo alcuna giustificazione.


Tale doglianza, come esattamente rilevato dai primi giudici, non è meritevole di accoglimento.


Innanzitutto, non corrisponde al vero l’assunto della mancata inclusione delle aree di proprietà degli appellanti nel II Programma pluriennale di attuazione, essendo pacifico invece che esse sono state effettivamente incluse nel programma in questione ed assoggettate alla disciplina dell’articolo 17 del disciplinare di attuazione che, com’è ammesso dagli stessi appellanti, impegna il comune ad adottare gli strumenti attuativi.


Il fatto, poi, che la previsione dell’articolo 17 non garantisce la concreta attuazione dei predetti strumenti attuativi non compromette in nessun modo l’edificabilità dei siti, atteso che, com’è noto, neppure la mancata inclusione nel programma pluriennale di attuazione è di ostacolo all’approvazione di un piano di lottizzazione (sul punto, C.d.S., sez. IV, 14 ottobre 1997, n. 1194).


E’, pertanto, destituita di fondamento la subordinata censura, pur fondata sulla asserita violazione dell’art. 3, ultimo comma, della legge regionale n. 35 del 1978, con cui gli appellanti hanno lamentato la carenza di motivazione circa la presunta deroga operata dall’amministrazione comunale di Roma in ordine all’obbligatorio inserimento nel II Programma pluriennale di attuazione dei fondi di loro proprietà.


III.2. Ad avviso della Sezione, possono essere esaminati congiuntamente gli altri quattro motivi di gravame, tutti incentrati sulla dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 13 della legge n. 10 del 1977 e della legge regionale n. 35 del 1978, relativi in particolare al contenuto del II Programma pluriennale di attuazione.


Al riguardo appare opportuno sottolineare che il programma pluriennale di attuazione è uno strumento di programmazione, mediante il quale il Comune temporalizza l’attuazione delle previsioni contenute negli strumenti urbanistici generali, delineando le zone nelle quali, nei successivi anni, si dovrà obbligatoriamente procedere a costruire (C.d.S., sez. IV, n. 1741 del 27 marzo 2002; 11 marzo 1999, n. 250); esso assolve, quindi, all’esigenza di graduare nel tempo gli interventi di edificazione e di urbanizzazione in un sistema in cui il piano regolatore ha per sua stessa natura durata a tempo indeterminato e deve quindi contenere previsioni di lunga scadenza che restano quiescenti per lungo tempo, rendendole attuali (C.d.S., sez. IV, 12 luglio 1993, n. 703).


Deve conseguenzialmente riconoscersi all’ente locale un’ampia discrezionalità nell’individuazione delle aree da inserire nel predetto strumento, anche in considerazione del fatto che la concreta realizzazione delle scelte dipende anche dalla risorse finanziarie che l’ente stesse ritiene di poter utilizzare per far fronte alle opere di urbanizzazione occorrenti: pertanto tali scelte non sono sindacabili in sede di legittimità, salvo che non siano manifestamente irragionevoli, illogiche o arbitrarie.


III.2.1. Ciò precisato, deve escludersi, ad avviso della Sezione, che sia irragionevole il rapporto percentuale del 60% - 40% tra edilizia residenziale pubblica ed edilizia privata, previsto dall’impugnato programma pluriennale di attuazione per omessa valutazione della sanatoria del notorio fenomeno dell'abusivismo che, secondo gli appellanti, aveva già largamente soddisfatto la richiesta di abitazioni.


Va al riguardo rilevato che, diversamente da quanto sostenuto dagli appellanti, i primi giudici hanno lucidamente evidenziato la completa autonomia del programma pluriennale di attuazione rispetto alle previsioni contenute nel piano di edilizia economica e popolare, con la conseguenza che, anche in ragione della diversa efficacia temporale dei due strumenti, la percentuale assegnata all’edilizia pubblica, peraltro rientrante nei limiti massimi ammessi dalla legge, è frutto di una scelta che non appare illogica o arbitraria, tanto più che i vizi del piano di edilizia economica e popolare non rifluiscono nel programma pluriennale di attuazione, come pure attentamente rilevato dai primi giudici.


Né a diverse conclusioni si giunge considerando la rilevanza del fenomeno della sanatoria dell’abusivismo edilizio.


Invero, come correttamente rilevato da questa stessa sezione in una controversia pressocché analoga (C.d.S., sez. IV, 5 novembre 1991, n. 882), vi è netta differenziazione tra edilizia abusiva ed edilizia economica e popolare che ha radici nella L. 18 aprile 1962 n. 167.


Invero, il recupero alla legalità del patrimonio edilizio abusivo, non può in alcun incidere in termini di valori assoluti sul fabbisogno abitativo dell'edilizia residenziale pubblica, la quale coinvolge le necessità alloggiative, da soddisfare con i benefici di specifiche normative, nell’ambito di ben delineate finalità di programmazione e di esecuzione sotto il diretto controllo dell'Amministrazione, senza interferenze e compensazioni con le iniziative comunali di risanamento.


E' pertanto priva di fondamento la pretesa degli appellanti, secondo cui avendo l’amministrazione, attraverso la sanatoria dell’abusivismo, provveduto ad assicurare la prima casa a chi l'abitava, avrebbe dovuto ridurre la previsione della quota di edilizia economica e popolare.


III.2.2. Ugualmente frutto di un’ampia discrezionalità, e pertanto insindacabile, non potendosi considerare irragionevole, illogica e arbitraria, è la scelta contenuta nell’impugnato piano pluriennale di attuazione di privilegiare tra le aree da inserire nel piano stesso quelle idonee a consentire una «ricucitura» con le zone delle borgate ed il nuovo P.E.E.P..


E’ sufficiente rilevare al riguardo che, atteggiandosi il piano pluriennale a strumento di attuazione delle scelte urbanistiche già delineate in sede di piano regolatore generale, è ragionevole, secondo un coerente e logico progetto di armonioso sviluppo urbanistico del territorio comunale, prevedere con priorità la realizzazione delle previsioni di piano regolatore proprio per quelle zone adiacenti, ovvero vicine a quelle in cui erano stati realizzati insediamenti edilizi abusivi oggetto di sanatoria: in tal modo, infatti, la sanatoria concessa si sposta, com’è necessario, dal piano meramente burocratico, a quello effettivo del territorio, consentendo agli interventi originariamente abusivi di inserirsi effettivamente nel territorio comunale, quale parte integrante del relativo disegno urbanistico.


La doglianza deve essere pertanto respinta.


III.2.3. Nemmeno è fondato il terzo motivo, con il quale gli appellanti hanno lamentato il sottodimensionamento del piano pluriennale di attuazione di cui si discute, per la mancata previsione di una riserva di aree rispetto alle esigenze accertate, contestando tra l’altro anche il criterio di stima del fabbisogno abitativo nella misura di 1 abitante per vano.


Osserva al riguardo il Collegio che la mancata realizzazione di parte dei progetti inseriti nel precedente programma pluriennale di attuazione non può giustificare il sovradimensionamento del nuovo programma pluriennale di attuazione, atteso che ciò si sostanzierebbe in una inammissibile dilatazione dei suoi contenuti, contraddicendo gli apprezzamenti delle effettive necessità abitative correlate allo sviluppo ed al riordino delle funzioni urbane, nei limiti dell'interesse pubblico di non addossare costi eccessivi alla collettività.


D’altra parte la sopravvalutazione di vani, superfici, servizi, infrastrutture e tempi di esecuzione, è altresì inconciliabile con i principi di legalità, imparzialità e buon andamento, fissati dall’articolo 97 della Costituzione, che devono presiedere l'azione amministrativa nella ponderazione degli interessi pubblici e contrasta inoltre con la stessa funzione dello strumento in esame di disciplinare temporalmente, ed in modo coordinato, gli interventi edilizi attuativi delle previsioni del piano regolatore generale.


Per quanto riguarda, poi, la criticata stima di un abitante per vano, essa deve essere considerata coerente al sistema normativo che affida ai Comuni lo studio, l'elaborazione e la fissazione dei criteri che concorrano alla determinazione del fabbisogno di alloggi; tale valutazione, peraltro, non contraddice gli elementi acquisiti dall'Amministrazione in altra sede, come flusso migratorio della popolazione, l'andamento demografico dei nuclei familiari, etc. e nemmeno è scalfita dalla tesi argomentativa dell'appellante, perché, se è vero che famiglie anagraficamente composte di una sola persona occupano alloggi di più stanze, è anche vero, viceversa, che altre famiglie occupano appartamenti il cui numero di vani è largamente inferiore a quello dei componenti della famiglia.


Deve in conclusione ritenersi del tutto logica e ragionevole la scelta contestata, anche sotto il profilo che lo standard medio seguito risponde all'esigenza di dotare le nuove abitazioni di una minima quantità di stanze per un minimo conforto per quanti ne diverranno assegnatari (sul punto in termini, C.d.S., sez. V, 5 novembre 1991, n. 882).


III.2.4. Quanto, infine, alla pretesa illegittimità del piano per la mancata valutazione delle osservazioni presentate, la Sezione è dell’avviso che le osservazione svolte al riguardo dai primi giudici non meritino le censure sollevate.


E’ decisivo al riguardo rilevare che l’assunto degli appellanti muove dall’erroneo presupposto che le aree di loro proprietà non sarebbero state ricomprese nel II piano pluriennale di attuazione, circostanza questa, come già precedentemente delineato, che non corrisponde al vero; ragion per cui, ferme restando tutte le osservazioni già svolte circa il contenuto del programma pluriennale di attuazione e circa la discrezionalità delle scelte delle aree da inserirvi, non è dato comprendere quale sarebbe il vizio di motivazione di cui gli appellanti stessi si dolgono.


IV. Alla stregua delle considerazioni svolte, l’appello deve essere pertanto respinto.


Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.


P. Q. M.


Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione quarta), definitivamente pronunciando sull’appello proposto da Molinario Anna Maria, Molinario Eva, Molinario Vittorio, Molinario Giorgio, Molinario Stefano, Bocca Maria Elisa e Bocca Lucia avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sez. I, n. 796, del 24 settembre 1990, lo respinge.


Condanna gli appellanti al pagamento in favore del Comune di Roma delle spese del presente grado di giudizio che si liquidano in complessivi euro 3.000,00 (tremila).
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.


Così deciso in Roma, addì 8 aprile 2003, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Quarta – riunito in camera di consiglio con l’intervento dei seguenti signori:
RICCIO Stenio - Presidente
BARBAGALLO Giuseppe - Consigliere
CARINCI Giuseppe - Consigliere
POLI Vito - Consigliere
SALTELLI Carlo - Consigliere, est.

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
25/11/2003
(Art.55, L. 27.4.1982 n. 186)
 

M A S S I M E

 

Sentenza per esteso

 

1) Programma pluriennale di attuazione e piano di lottizzazione. La mancata inclusione di un’area nel programma pluriennale di attuazione non è di ostacolo all’approvazione di un piano di lottizzazione. C.d.S., sez. IV, 14 ottobre 1997, n. 1194. - Pres. RICCIO - Est. SALTELLI – MOLINARIO (Avv.ti Lavitola e Mazzarelli) c. COMUNE DI ROMA (Carnovale) (Conferma Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sez. I, n. 796 del 24 settembre 1990) CONSIGLIO DI STATO Sezione IV - 25 novembre 2003, Sentenza n. 7775

 

2) Programma pluriennale di attuazione - le previsioni contenute negli strumenti urbanistici generali - gli interventi di edificazione e di urbanizzazione. Il programma pluriennale di attuazione è uno strumento di programmazione, mediante il quale il Comune temporalizza l’attuazione delle previsioni contenute negli strumenti urbanistici generali, delineando le zone nelle quali, nei successivi anni, si dovrà obbligatoriamente procedere a costruire (C.d.S., sez. IV, n. 1741 del 27 marzo 2002; 11 marzo 1999, n. 250); esso assolve, quindi, all’esigenza di graduare nel tempo gli interventi di edificazione e di urbanizzazione in un sistema in cui il piano regolatore ha per sua stessa natura durata a tempo indeterminato e deve quindi contenere previsioni di lunga scadenza che restano quiescenti per lungo tempo, rendendole attuali. (C.d.S., sez. IV, 12 luglio 1993, n. 703). - Pres. RICCIO - Est. SALTELLI – MOLINARIO (Avv.ti Lavitola e Mazzarelli) c. COMUNE DI ROMA (Carnovale) (Conferma Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sez. I, n. 796 del 24 settembre 1990) CONSIGLIO DI STATO Sezione IV - 25 novembre 2003, Sentenza n. 7775

 

3) Programma pluriennale di attuazione - autonomia rispetto alle previsioni contenute nel piano di edilizia economica e popolare (P.E.E.P.) - armonioso sviluppo urbanistico del territorio comunale - insediamenti edilizi abusivi oggetto di sanatoria - i principi di legalità, imparzialità e buon andamento. Il programma pluriennale di attuazione è completamente autonomo rispetto alle previsioni contenute nel piano di edilizia economica e popolare, con la conseguenza che, anche in ragione della diversa efficacia temporale dei due strumenti, la percentuale ivi assegnata all’edilizia pubblica, peraltro rientrante nei limiti massimi ammessi dalla legge, è frutto di una scelta discrezionale, sindacabile solo se manifestamente illogica o arbitraria, tanto più che i vizi del piano di edilizia economica e popolare non rifluiscono nel programma pluriennale di attuazione. Atteggiandosi il piano pluriennale di attuazione a strumento di attuazione delle scelte urbanistiche già delineate in sede di piano regolatore generale, è ragionevole, secondo un coerente e logico progetto di armonioso sviluppo urbanistico del territorio comunale, prevedere con priorità la realizzazione delle previsioni di piano regolatore proprio per quelle zone adiacenti ovvero vicine a quelle in cui erano stati realizzati insediamenti edilizi abusivi oggetto di sanatoria: in tal modo, infatti, la sanatoria concessa si sposta, com’è necessario, dal piano meramente burocratico, a quello effettivo del territorio, consentendo agli interventi originariamente abusivi di inserirsi effettivamente nel territorio comunale, quale parte integrante del relativo disegno urbanistico. Nel programma pluriennale di attuazione la sopravvalutazione di vani, superfici, servizi, infrastrutture e tempi di esecuzione, è inconciliabile con i principi di legalità, imparzialità e buon andamento, fissati dall’articolo 95 della Costituzione, che devono presiedere l'azione amministrativa nella ponderazione degli interessi pubblici e contrasta inoltre con la stessa funzione dello strumento in esame di disciplinare temporalmente, ed in modo coordinato, gli interventi edilizi attuativi delle previsioni del piano regolatore generale. - Pres. RICCIO - Est. SALTELLI – MOLINARIO (Avv.ti Lavitola e Mazzarelli) c. COMUNE DI ROMA (Carnovale) (Conferma Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sez. I, n. 796 del 24 settembre 1990) CONSIGLIO DI STATO Sezione IV - 25 novembre 2003, Sentenza n. 7775

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