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 Massime della sentenza

  

 

CONSIGLIO DI STATO Sezione IV - 25 novembre 2003, Sentenza n. 7778

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente
 

D E C I S I O N E


sul ricorso in appello iscritto al NRG. 888 dell'anno 2002 proposto da IMMOBILIARE PODERE TRIESTE S.R.L., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dall’avvocato Niccolò Paoletti, con il quale è elettivamente domiciliata in Roma, via Barnaba Tortolini n. 34;
c o n t r o
COMUNE DI ROMA, in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dall’avvocato Enrico Lorusso, con il quale è elettivamente domiciliato in Roma, via del Tempio di Giove n. 21 (presso la sede dell’avvocatura municipale);
per l'annullamento
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sez. II, n. 8411 del 10 ottobre 2001;
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Roma;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla pubblica udienza dell’8 aprile 2003 il Consigliere Carlo Saltelli;
Uditi l’avvocato N. Paoletti, per la società appellante, e l’avv. Lorusso per il Comune di Roma;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:


F A T T O


Con sentenza n. 1320 del 20 luglio 1991 il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sez. I ter , accogliendo il ricorso proposto dalla S.r.l. Immobiliare Podere Trieste, annullava gli atti da quest’ultima impugnati col ricorso giurisdizionale notificato il 3 dicembre 1984, e cioè la delibera della Giunta Municipale del Comune di Roma n. 6721 del 28 agosto 1984 (relativa all’occupazione d’urgenza dei beni di sua proprietà per l’attuazione del piano di zona n. 13 V – Quartuccio di Roma), in uno con agli altri atti preordinati e connessi, tra cui in particolare le deliberazioni consiliari n. 4113 del 28 settembre 1983 di approvazione del piano di zona n. 13 V, Quartuccio; n. 1554 del 10 dicembre 1981 di adozione del predetto piano di zona.


Ad avviso dell’adito Tribunale, infatti, erano fondati il primo motivo del ricorso originario ed il primo motivo aggiunto, con cui erano state censurate le predette delibere di adozione e di approvazione del piano di zona n. 13 V – Quartuccio, che, sebbene formalmente avevano qualificato il relativo intervento come variante integrativa al Piano delle zone del Comune di Roma, approvato con decreto del Ministro dei Lavori Pubblici dell’11 agosto 1964, contenevano una nuova disciplina urbanistica del tutto distinta ed autonoma, anche dal punto di vista temporale, dal piano di cui asseritamente costituivano mera accessione.


Il Consiglio di Stato, sezione IV, con decisione n. 771 del 30 settembre 1995, dichiarava irricevibile l’appello proposto dal Comune di Roma avverso la prefata sentenza, che pertanto passava in giudicato.


Con ricorso notificato il 25 luglio 2000 la predetta Immobiliare Podere Trieste S.r.l., adducendo che il Comune di Roma benché ritualmente diffidato, non aveva mai eseguito la ricordata sentenza n. 1320 del 20 luglio 1991 del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sez. I ter, essendo rimasto illegittimamente nella detenzione dell’area di sua proprietà (estesa circa 213.900 metri quadrati, in catasto alla partita 2113, foglio 351, p.lle 10, 11, 12, 13, 14, 15, 42, 71, 74, 72, 315) senza alcun titolo giustificativo, chiedeva al Tribunale amministrativo regionale del Lazio l’esecuzione del giudicato formatosi sulla ricordata sentenza, con conseguente ordine di restituzione dell’area stessa.


L’adito Tribunale, con la sentenza n. 8411 del 10 ottobre 2001 (sez. II), nella resistenza dell’intimata amministrazione comunale di Roma, respingeva il ricorso, rilevando che sull’area in questione era stato realizzato, ai sensi degli articoli 2 e 3 del decreto legge 23 gennaio 1982, n. 9, convertito con modificazioni dalla legge 25 marzo 1982, n. 94, un programma straordinario di edilizia abitativa sovvenzionata, a totale carico dello Stato, i cui atti approvativi erano stati ritualmente impugnati dalla ricorrente innanzi al giudice amministrativo, cui esclusivamente spettava di stabilirne la legittimità, con particolare riguardo alla sussistenza di una nuova valida dichiarazione di pubblica utilità; inoltre, i primi giudici aggiungevano, per un verso, che, l’articolo 3, comma 1, della legge 27 ottobre 1988, n. 458, in ipotesi di edilizia residenziale pubblica, escludeva la restituzione al proprietario del terreno utilizzato, riconoscendogli la sola tutela risarcitoria, e, per altro verso, che tale sistema non era in contrasto con la tutela del diritto di proprietà, riconosciuto sia dall’articolo 41 della Costituzione, che dall’articolo 1 del Protocollo Addizionale alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, ratificata con la legge 4 agosto 1955, n. 848.


Avverso tale sentenza la Immobiliare Podere Trieste ha proposto rituale e tempestivo appello, sollevando tre articolati motivi di gravame.


Con il primo, deducendo “Violazione del D.L. n. 9/1982, dell’art. 51, l. m. 865/71, della l. n. 167/62 e dei principi generali in materia di dichiarazione di pubblica utilità –. Erronea valutazione degli atti di causa –. Omessa, erronea ed insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia”, l’appellante ha evidenziato che, contrariamente a quanto erroneamente ritenuto dai primi giudici, sull’area di sua proprietà non era stato realizzato alcun programma straordinario di edilizia abitativa residenziale con onere a carico dello Stato, ai sensi degli articoli 2 e 3 del decreto legge 23 gennaio 1982, n. 9, convertito con modificazioni dalla legge 25 marzo 1982, n. 94, essendosi al contrario verificato un mero finanziamento dell’attuazione del Piano di zona N. 13 V – Quartuccio, annullato con la sentenza della cui ottemperanza si trattava, come peraltro era facilmente riscontrabile non solo dal tenore letterale del nuovo provvedimento di occupazione d’urgenza, ma anche dal fatto che era mancato un qualsiasi provvedimento dichiarativo della (nuova) pubblica utilità, non risultando al riguardo neppure una delibera di localizzazione ai sensi dell’articolo 51 della legge 22 ottobre 1971, n. 865.


Con il secondo, rubricato “Violazione degli artt. 7 e 37 L. n. 1034/1971, 27 n. 4 del T.U. 26.6.1924 n. 1054, 90 e 91 del R.D. 17.8.1907 n. 642 e dei principi generali in materia di giurisdizione di merito nel giudizio di ottemperanza, dell’art. 2909 cod. civ. – Violazione del giudicato – erronea valutazione degli atti di causa – Omessa, erronea ed insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia”, la società appellante ha lamentato che i primi giudici avrebbero fatto cattivo uso degli ampi poteri loro attribuiti dalla legge in sede di giudizio di ottemperanza, per effetto dei quali avrebbero potuto e dovuto accertare la nullità degli atti con i quali il Comune di Roma aveva approvato il preteso programma straordinario di edilizia abitativa residenziale per assoluta mancanza della dichiarazione di pubblica utilità (questione peraltro già risolta – e quindi coperta dal giudicato – per effetto della decisione n. 771 del 30 settembre 1995 della IV^ sezione del Consiglio di Stato), disapplicandoli in quanto assunti in evidente carenza di potere.


Con il terzo motivo, infine, la società appellante ha denunciato “Violazione dell’art. 1 del I° Protocollo Addizionale alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali, ratificato con la legge 4 agosto 1955, n. 848, e degli artt. 6 e 41 della stessa convenzione europea, dell’art. 3 della l. n. 458/1988, degli artt. 24, 103, 111 e 113 della Costituzione, dell’art. 6 del Trattato sull’Unione Europea del 7.6.1992 – Violazione del giudicato – Erronea valutazione degli atti di causa – Omessa, erronea ed insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia”, sostenendo che erroneamente i primi giudici avrebbero negato il diritto alla restituzione dell’area di loro proprietà, dopo che era già intervenuta una decisione giurisdizionale che aveva accertato l’illegittimità della dichiarazione di pubblica utilità, essendo in contrasto la norma invocata a sostegno del predetto diniego di restituzione con i fondamentali di diritti di libertà del cittadino, consacrati non solo nella Costituzione, ma anche nella citata Convenzione Europea, secondo cui il potere ablatorio è vincolato in ogni caso al rispetto del principio di legalità, pretermesso nel caso di specie.


Nel giudizio di appello si è costituito il Comune di Roma, che ha chiesto il rigetto dell’avverso gravame, deducendone l’inammissibilità e l’infondatezza.


Con apposite memorie entrambe le parti hanno puntualmente illustrate le loro difese; in particolar modo la società appellante ha sostenuto che la mancata restituzione dell’area di sua proprietà, a suo avviso tuttora abusivamente detenuta dall’Amministrazione comunale, si porrebbe in insanabile contrasto con i delineati principi della Convenzione Europea, esponendo l’Italia ad un’ulteriore condanna da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, così come già avvenuto a proposito della fattispecie dell’accessione invertita.


D I R I T T O


I. E’ oggetto di impugnazione la sentenza n. 8411 del 10 ottobre 2001, con cui il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sez. II, ha respinto il ricorso proposto dalla Immobiliare Podere Trieste S.r.l. per ottenere l’esecuzione del giudicato formatosi sulla sentenza n. 1320 del 20 luglio 1991 dello stesso Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sez. I ter, che aveva annullato le delibere del Consiglio Comunale di Roma (n. 1553 del 10 dicembre 1981 e n. 4113 del 28 settembre 1982, rispettivamente di adozione e di approvazione del Piano di zona n. 13 V – Quartuccio) e la conseguente delibera della Giunta Municipale n. 6721 del 28 agosto 1984 di occupazione d’urgenza dell’area di sua proprietà per la relativa attuazione del predetto piano di zona.


La citata Immobiliare Podere Trieste S.r.l., ritenendo di aver diritto alla restituzione del fondo di sua proprietà tuttora abusivamente detenuto dal Comune di Roma in forza dei ricordati provvedimenti annullati, ne chiede la riforma alla stregua di tre articolati motivi di gravame, negando innanzitutto che l’area in argomento sarebbe stata interessata da una nuova dichiarazione di pubblica utilità, in quanto, contrariamente a quanto sostenuto dai primi giudici, non sarebbe stato affatto realizzato un programma straordinario di edilizia abitativa residenziale a carico dello Stato ai sensi degli articoli 2 e 3 del decreto legge 23 gennaio 1982, n. 9, convertito con modificazioni dalla legge 25 marzo 1982, n. 94, essendosi al contrario verificato un mero finanziamento dell’attuazione del Piano di zona N. 13 V – Quartuccio, annullato con la sentenza della cui ottemperanza si tratta; sostenendo, poi, che il giudice dell’ottemperanza aveva il potere ed il dovere di disapplicare gli atti nulli, relativi al predetto programma straordinario, e aggiungendo che la situazione concreta, anche in relazione all’articolo 3 della legge 27 ottobre 1988, n. 548, che escludeva la restituzione del fondo utilizzato per il programma straordinario di edilizia abitativa privata, eventualmente realizzato, rappresentava un grave vulnus dei diritti fondamentali del cittadini, come riconosciuti dalla Costituzione e della Convenzione dei Diritti dell’Uomo.


Resiste il Comune di Roma.


II. Al riguardo la Sezione osserva quanto segue.


II.1. Al fine di ben delimitare l’ambito del contendere, giova rilevare innanzitutto che l’oggetto del giudizio di ottemperanza è rappresentato dalla puntuale verifica da parte del giudice dell’esatto adempimento da parte dell’Amministrazione dell’obbligo di conformarsi al giudicato per far conseguire all’interessato l’utilità o il bene della vita riconosciutogli in sede di cognizione (C.d.S., sez. V, 3 ottobre 1997, n. 1108; sez. IV, 15 aprile 1999, n. 626; 17 ottobre 2000, n. 5512).


Detta verifica, che deve essere condotta nell’ambito dello stesso quadro processuale che ha costituito il substrato fattuale e giuridico della sentenza di cui si chiede l’esecuzione (C.d.S., sez. V, 9 maggio 2001, n. 2607; sez. IV, 9 gennaio 2001, n. 49; 28 dicembre 1999, n. 1964), comporta da parte del giudice dell’ottemperanza una delicata attività di interpretazione del giudicato, al fine di enucleare e precisare il contenuto del comando, attività da compiersi esclusivamente sulla base della sequenza “petitum – causa petendi – motivi – decisum” (C.d.S., sez. IV, 9 gennaio 2001, n. 49; 28 dicembre 1999, n. 1963; sez. V, 28 febbraio 2001, n. 1075): ciò implica che in sede di giudizio di ottemperanza non può essere riconosciuto un diritto nuovo ed ulteriore rispetto a quello fatto valere ed affermato con la sentenza da eseguire, anche se sia ad essa conseguente o collegato (C.d.S., sez. IV, 17 gennaio 2002, n. 247), non potendo essere neppure proposte domande che non siano contenute nel “decisum” della sentenza da eseguire (C.d.S., sez. IV, 9 gennaio 2001 n. 49; 10 agosto 2000, n. 4459).


In ragione della specifica natura del giudizio di ottemperanza, mista di esecuzione e di cognizione insieme, non è tuttavia precluso al giudice dell’ottemperanza l’esame degli atti che l’amministrazione richiami a giustificazione della sua inottemperanza, fermo restando tuttavia che i limiti della cognizione sono segnati dal circoscritto scopo di stabilire se l’amministrazione abbia adempiuto o meno al comando contenuto nella sentenza passata in giudicato, con la conseguenza che il sindacato di legittimità su tali atti deve essere pur sempre condotto secondo il procedimento ordinario di impugnazione (C.d.S., sez. V, 25 marzo 2002, n. 1696).


Non va taciuto che il giudice dell’ottemperanza, esercitando poteri sostanzialmente simili a quelli spettanti alla pubblica amministrazione, ha l’obbligo di compenetrarsi nel sistema organizzatorio di quest’ultima, con la ulteriore conseguenza di non potersi esimere dal considerare le situazioni eventualmente sopravvenute al giudicato di cui si chiede l’esecuzione (C.d.S., sez. V, 13 marzo 2001, n. 1445) e che, in ogni caso, l’obiettiva impossibilità per la pubblica amministrazione di ottemperare al giudicato per fatti sopravvenuti deve consistere in una sopravvenienza normativa o fattuale successiva alla pronuncia della cui ottemperanza si tratti e cioè in una causa che non rientri nel quadro processuale prospettato o prospettabile dalle parti, esaminato dal giudice e posto a fondamento della decisione (C.G.A., 18 aprile 1997, n. 24).


II.2. Ciò posto, ad avviso della Sezione, l’appello è infondato e deve essere perciò respinto in relazione a tutti i tre profili sollevati dalla società Immobiliare Podere Trieste S.r.l. che, stante la loro intima connessione, possono essere esaminati congiuntamente.


II.2.1. Deve innanzitutto osservarsi che la verifica circa l’ottemperanza (o meno) prestata dal Comune di Roma alla sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sez, I ter, n. 1320 del 20 luglio 1991 non può che essere riferita all’annullamento delle delibere consiliari del Comune di Roma n. 1553 del 10 dicembre 1981 e n. 4113 del 28 settembre 1982, rispettivamente di adozione e di approvazione del Piano di zona n. 13 V – Quartuccio – e alla conseguente delibera della Giunta Municipale n. 6721 del 28 agosto 1984, che disponeva l’occupazione d’urgenza dell’area di proprietà dell’Immobiliare Podere Trieste S.r.l. per l’attuazione del predetto piano.


Orbene, ad avviso della Sezione, non vi è dubbio che il contenuto effettivo della ricordata sentenza, della cui ottemperanza si tratta, comportasse – astrattamente – l’obbligo della restituzione del fondo illegittimamente occupato dal Comune di Roma, tanto più che l’annullamento aveva colpito non tanto e non solo il provvedimento di occupazione d’urgenza per vizi suoi propri, ma le delibere di adozione e di approvazione del piano di zona contenenti la dichiarazione di pubblica utilità.


Il bene della vita perseguito dall’interessata con l’impugnazione delle ricordate delibere non era quello, meramente strumentale, di ottenerne la declaratoria di illegittimità, ma quello di poter effettivamente disporre e godere del fondo di sua proprietà, ritraendovi tutte le utilità riconosciutegli dalla legge.


Sotto tale profilo, deve dunque ammettersi che non solo la pronuncia dichiarativa dell’illegittimità degli atti impugnati non era di per sé idonea ad assicurare all’interessato il bene della vita desiderato, per quanto essa costituiva esclusivamente lo strumento per ottenere la effettiva restituzione del bene, che non rappresenta un diritto collegato ed ulteriore rispetto all’annullamento delle citate delibere, ma ne è solo il momento dinamico e consequenziale (dovendo tuttavia precisarsi che la domanda rivolta al giudice dell’ottemperanza proprio per ottenere la restituzione di un fondo abusivamente occupato è ammissibile soltanto qualora il fondo stesso non sia stato irreversibilmente modificato, C.d.S., sez. IV, 7 novembre 2002, n. 6078; 11 luglio 2001, n. 3882; 3 aprile 1991, n. 1911).


II.2.2. In concreto, tuttavia, alla restituzione dell’area di proprietà dell’appellante, in esecuzione della sentenza della cui ottemperanza si tratta, è di ostacolo la circostanza che sulla stessa area il Comune di Roma ha realizzato un intervento di edilizia residenziale in virtù di atti deliberativi diversi (e temporalmente successivi) da quelli annullati con la sentenza n. 1320 della I sez. ter del Tribunale amministrativo regionale del Lazio.


Deve evidenziarsi al riguardo che la società appellante, pur riconoscendo in punto di fatto l’esistenza di tale intervento di edilizia residenziale, postula la nullità dei provvedimenti dell’amministrazione comunale di Roma che l’ha previsto ed autorizzato per assoluta carenza della necessaria dichiarazione di pubblica utilità, ritenendo che, proprio per tale ragione, essi possano essere sic et simpliciter disapplicati dal giudice dell’ottemperanza in forza dei suoi ampi poteri, propri della giurisdizione di merito.


Sennonché, ad avviso della Sezione, tale tesi non può essere condivisa.


Invero, i pur ampi poteri attribuiti al giudice dell’ottemperanza, come si è già avuto modo di delineare, devono in ogni caso trovare i loro giusti confini nell’ambito dell’oggetto dell’esecuzione, cui sono evidentemente funzionali, e, pertanto, devono assicurare non solo l’interpretazione, ma anche l’attuazione del giudicato, ma devono arrestarsi in presenza di provvedimenti che non siano ictu oculi elusivi del giudicato stesso e non siano in alcun modo ricollegabili, neppure indirettamente, al substrato giuridico e fattuale che ha costituito l’oggetto della cognizione della sentenza, della cui ottemperanza si tratta.


Diversamente opinando, infatti, al giudice dell’ottemperanza sarebbe riconosciuto un potere che travalicherebbe i confine del giudizio di esecuzione, sconfinando in un inammissibile generale potere di controllo diffuso sull’attività della pubblica amministrazione, allorquando detta attività sia in qualche modo collegata, ancorchè genericamente ed indirettamente, ad una precedente pronuncia giurisdizionale.


Del resto, ad avviso della Sezione, erroneamente viene prospettata ed invocata, nel caso di specie, la disapplicazione dei provvedimenti assunti dal Comune di Roma (diversi e temporalmente successivi rispetto a quelli annullati con la sentenza della cui ottemperanza di tratta) per la realizzazione di un programma straordinario di edilizia residenziale pubblica, asseritamente nulli per la mancanza della dichiarazione di pubblica utilità, atteso che ciò che viene effettivamente contestato (ed è stato già contestato con la relativa impugnazione in sede di giurisdizione generale di legittimità) non è l’effettiva carenza di potere, ma proprio il legittimo esercizio del potere ablatorio: aderire, pertanto, alla tesi della società appellante significherebbe esercitare, attraverso il simulacro dei poteri dell’ottemperanza, un sindacato di legittimità sui predetti atti in una sede non propria, con violazione delle regole proprie del giudizio impugnatorio di legittimità (in relazione al termine di decadenza per l’impugnazione degli atti, all’individuazione dei singoli motivi di censura, alla corretta individuazione dei legittimi contraddittori, all’esercizio del diritto di difesa, al rispetto del doppio grado di giurisdizione, etc.).


Non può, peraltro, non evidenziarsi che, in ogni caso, la stessa complessità delle questioni prospettate dalla società appellante circa i (soli) rapporti tra i provvedimenti con cui il Comune di Roma ha autorizzato la realizzazione di un programma straordinario di edilizia residenziale pubblica, ai sensi del decreto legge n. 9 del 1982, a carico dello Stato, e quelli annullati con la sentenza della cui ottemperanza di discute (ed in particolare se sia stato effettivamente realizzato un programma straordinario a carico dello Stato ovvero se sia stato semplicemente finanziato il vecchio piano di zona n. 13 V – Quartaccio, i cui provvedimenti di adozione e di approvazione sono stati annullato) esclude che essa possa rientrare nell’ambito dell’attività di interpretazione ed attuazione della sentenza, propria del giudizio di ottemperanza, ed impone le garanzie dell’ordinario giudizio di legittimità.


II.2.3. Tali circostanze escludono allo stato la rilevanza delle questioni relative alla prospettata violazione dell’articolo 1 del Protocollo Aggiuntivo alla Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo e dell’articolo 41 della Costituzione, atteso che il relativo presupposto, vale a dire se il diritto di proprietà della società appellante sia stato illegalmente sacrificato, è attualmente inesistente, derivando solo dalla definitiva decisione sulla legittimità dei provvedimenti che hanno reso possibile la realizzazione del più volte ricordato programma di edilizia residenziale sulla stessa area.
III. Alla stregua delle considerazioni svolte, l’appello deve essere pertanto respinto.


Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.


P. Q. M.


Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione quarta), definitivamente pronunciando sull’appello proposto dalla Immobiliare Podere Trieste S.r.l. avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sez. II, n. 8411 del 10 ottobre 2001, lo respinge.


Condanna l’appellante al pagamento in favore del Comune di Roma delle spese del presente grado di giudizio che si liquidano in complessivi euro 3.000,00 (tremila).


Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, addì 8 aprile 2003, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Quarta – riunito in camera di consiglio con l’intervento dei seguenti signori:
RICCIO STENIO – Presidente
BARBAGALLO GIUSEPPE – Consigliere
CARINCI GIUSEPPE – Consigliere
POLI VITO – Consigliere
SALTELLI CARLO – Consigliere, est.



DEPOSITATA IN SEGRETERIA
25/11/2003
(Art.55, L. 27.4.1982 n. 186)

 

M A S S I M E

 

Sentenza per esteso

 

1) L’oggetto del giudizio di ottemperanza - Quadro processuale – Specifica natura del giudizio di ottemperanza - Il giudice dell’ottemperanza – I poteri sostanzialmente simili a quelli spettanti alla p.a.. La sequenza “petitum – causa petendi – motivi – decisum” L’oggetto del giudizio di ottemperanza è rappresentato dalla puntuale verifica da parte del giudice dell’esatto adempimento da parte dell’Amministrazione dell’obbligo di conformarsi al giudicato per far conseguire all’interessato l’utilità o il bene della vita riconosciutogli in sede di cognizione (C.d.S., sez. V, 3 ottobre 1997, n. 1108; sez. IV, 15 aprile 1999, n. 626; 17 ottobre 2000, n. 5512). Detta verifica, che deve essere condotta nell’ambito dello stesso quadro processuale che ha costituito il substrato fattuale e giuridico della sentenza di cui si chiede l’esecuzione (C.d.S., sez. V, 9 maggio 2001, n. 2607; sez. IV, 9 gennaio 2001, n. 49; 28 dicembre 1999, n. 1964), comporta da parte del giudice dell’ottemperanza una delicata attività di interpretazione del giudicato, al fine di enucleare e precisare il contenuto del comando, attività da compiersi esclusivamente sulla base della sequenza “petitum – causa petendi – motivi – decisum” (C.d.S., sez. IV, 9 gennaio 2001, n. 49; 28 dicembre 1999, n. 1963; sez. V, 28 febbraio 2001, n. 1075): ciò implica che in sede di giudizio di ottemperanza non può essere riconosciuto un diritto nuovo ed ulteriore rispetto a quello fatto valere ed affermato con la sentenza da eseguire, anche se sia ad essa conseguente o collegato (C.d.S., sez. IV, 17 gennaio 2002, n. 247), non potendo essere neppure proposte domande che non siano contenute nel “decisum” della sentenza da eseguire (C.d.S., sez. IV, 9 gennaio 2001 n. 49; 10 agosto 2000, n. 4459). In ragione della specifica natura del giudizio di ottemperanza, mista di esecuzione e di cognizione insieme, non è tuttavia precluso al giudice dell’ottemperanza l’esame degli atti che l’amministrazione richiami a giustificazione della sua inottemperanza, fermo restando tuttavia che i limiti della cognizione sono segnati dal circoscritto scopo di stabilire se l’amministrazione abbia adempiuto o meno al comando contenuto nella sentenza passata in giudicato, con la conseguenza che il sindacato di legittimità su tali atti deve essere pur sempre condotto secondo il procedimento ordinario di impugnazione (C.d.S., sez. V, 25 marzo 2002, n. 1696). Non va taciuto che il giudice dell’ottemperanza, esercitando poteri sostanzialmente simili a quelli spettanti alla pubblica amministrazione, ha l’obbligo di compenetrarsi nel sistema organizzatorio di quest’ultima, con la ulteriore conseguenza di non potersi esimere dal considerare le situazioni eventualmente sopravvenute al giudicato di cui si chiede l’esecuzione (C.d.S., sez. V, 13 marzo 2001, n. 1445) e che, in ogni caso, l’obiettiva impossibilità per la pubblica amministrazione di ottemperare al giudicato per fatti sopravvenuti deve consistere in una sopravvenienza normativa o fattuale successiva alla pronuncia della cui ottemperanza si tratti e cioè in una causa che non rientri nel quadro processuale prospettato o prospettabile dalle parti, esaminato dal giudice e posto a fondamento della decisione (C.G.A., 18 aprile 1997, n. 24). - Pres. RICCIO - Est. SALTELLI - IMMOBILIARE PODERE TRIESTE S.R.L. (Avv. Paoletti) c. COMUNE DI ROMA (Avv. Lorusso) (conferma Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sez. II, n. 8411 del 10 ottobre 2001). CONSIGLIO DI STATO Sezione IV - 25 novembre 2003, Sentenza n. 7778

 

2) La domanda rivolta al giudice dell’ottemperanza per ottenere la restituzione di un fondo abusivamente occupato – Limiti. La domanda rivolta al giudice dell’ottemperanza proprio per ottenere la restituzione di un fondo abusivamente occupato è ammissibile soltanto qualora il fondo stesso non sia stato irreversibilmente modificato, C.d.S., sez. IV, 7 novembre 2002, n. 6078; 11 luglio 2001, n. 3882; 3 aprile 1991, n. 1911. - Pres. RICCIO - Est. SALTELLI - IMMOBILIARE PODERE TRIESTE S.R.L. (Avv. Paoletti) c. COMUNE DI ROMA (Avv. Lorusso) (conferma Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sez. II, n. 8411 del 10 ottobre 2001). CONSIGLIO DI STATO Sezione IV - 25 novembre 2003, Sentenza n. 7778

 

3) Poteri attribuiti al giudice dell’ottemperanza – Limiti. I pur ampi poteri attribuiti al giudice dell’ottemperanza, devono in ogni caso trovare i loro giusti confini nell’ambito dell’oggetto dell’esecuzione, cui sono evidentemente funzionali, e, pertanto, devono assicurare non solo l’interpretazione, ma anche l’attuazione del giudicato, ma devono arrestarsi in presenza di provvedimenti che non siano ictu oculi elusivi del giudicato stesso e non siano in alcun modo ricollegabili, neppure indirettamente, al substrato giuridico e fattuale che ha costituito l’oggetto della cognizione della sentenza, della cui ottemperanza si tratta. Diversamente opinando, infatti, al giudice dell’ottemperanza sarebbe riconosciuto un potere che travalicherebbe i confine del giudizio di esecuzione, sconfinando in un inammissibile generale potere di controllo diffuso sull’attività della pubblica amministrazione, allorquando detta attività sia in qualche modo collegata, ancorchè genericamente ed indirettamente, ad una precedente pronuncia giurisdizionale. - Pres. RICCIO - Est. SALTELLI - IMMOBILIARE PODERE TRIESTE S.R.L. (Avv. Paoletti) c. COMUNE DI ROMA (Avv. Lorusso) (conferma Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sez. II, n. 8411 del 10 ottobre 2001). CONSIGLIO DI STATO Sezione IV - 25 novembre 2003, Sentenza n. 7778

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