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 Massime della sentenza

 

 

T.A.R. ABRUZZO, L’Aquila – 25 luglio 2003, n. 523

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

T.A.R. ABRUZZO, L’Aquila – 25 luglio 2003, n. 523 

Pres. BALBA, Est. RASOLA – Adamoli e altro (Avv.ti Vasile e Silvestri) c. Comune di Teramo (n.c.), Soprintendenza Archeologica d’Abruzzo (Avv. Stato) e Ministero per i Beni Culturali e Ambientali (Avv. Stato).

 

IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO PER L’ABRUZZO L’AQUILA  Ha pronunciato la seguente


SENTENZA


sui ricorsi proposti dalle sorelle signore Anna Maria e Giuliana Adamoli, rappresentate e difese dagli Avv.ti Alfonso Vasile e Patrizia Silvestri, presso lo studio dei quali, in Pescara, sono domiciliate
C O N T R O
Il Comune di Teramo, in persona del Sindaco p.t., n.c.
e C O N T R O
la Soprintendenza Archeologica d’Abruzzo con sede in Chieti, rappresentata e difesa dall’Avvocatura distrettuale dello Stato dell’Aquila, nonché
C O N T R O
Il Ministero per i Beni Culturali ed Ambientali, Direzione IV, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato dell’Aquila,
PER L’ANNULLAMENTO
quanto al ricorso n 819/1998: della concessione edilizia 22.6.1998, n. 7035, integrata con nota 28.7.1998, 37814, nella parte in cui prescrive la produzione dei nulla-osta delle competenti Soprintendenze “prima dell’inizio dei lavori”, nonché del provvedimento della Soprintendenza Archeologica di Chieti 9.6.1998, n.2880 che esprime parere negativo in ordine alla esecuzione dei lavori di cui alla concessione edilizia di cui sopra e del successivo provvedimento della stessa Autorità di conferma del parere negativo;
quanto al ricorso n.104/1999: del Decreto del Direttore generale del Ministero per i beni culturali e ambientali – Direzione IV – del 31.7.1998, notificato il 25 settembre successivo, di apposizione del vincolo di cui alla L.1.6.1939, n.1089 su alcuni immobili circostanti i resti del teatro romano, tra cui l fabbricato delle ricorrenti, nonché per l’accertamento del diritto a non subìre vincoli al di fuori di quelli di legge e al risarcimento dei danni sofferti, con la conseguente condanna dell’Amministrazione che emesso il provvedimento impugnato.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione intimata;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla pubblica udienza del 14 maggio 2003 il Consigliere Luciano RASOLA; udito altresì l’Avv. Fabio Tortora per l’Amministrazione statale;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:


FATTO


RICORSO n.819/ 1998.
Le ricorrenti sono comproprietarie di un fabbricato sito in Teramo, nelle immediate vicinanze dei resti del Teatro romano.


Per le condizioni di degrado di detto immobile, le ricorrenti hanno deciso di intervenire con opere di restauro e risanamento conservativo, impegnandosi, per mancanza di propri mezzi finanziari, a vendere l’edificio, con contratto preliminare, ove fosse stata rilasciata concessione edilizia entro il 30.6.1998.


Detta concessione, in effetti rilasciata il 22.6.1998, è stata seguita in data 28.7.1998 da una nota del Comune con cui si è prescritto che prima dell’inizio dei lavori dovessero essere acquisiti i nulla-osta delle competenti Soprintendenze.


Mentre la Soprintendenza dei Beni Ambientali e Monumentali, con nota del 1°.8.1998, ha comunicato di non avere osservazioni da formulare considerata la inesistenza di vincolo monumentale, la Soprintendenza Archeologica ha affermato di non poter concedere il nulla-osta a motivo che i lavori prevedono numerose alterazioni sia interne che esterne con aperture di finestre, balconi, lucernai e terrazze, creazioni di nuove e numerose divisioni interne tali da non poter essere considerati manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo, nulla, peraltro, rilevando circa la inesistenza del vincolo archeologico. Detto parere negativo è stato confermato con la nota 4.8.1998, n.4469.


Le ricorrenti, avverso gli atti di cui sopra, hanno proposto ricorso, riepilogando preliminarmente il quadro normativo di riferimento, di cui alla legge 1°.6.1939, n.1089, alla stregua del quale, in buona sostanza, rilevano che, stante l’inesistenza di qualsiasi vincolo, il Comune non poteva prescrivere quanto imposto con la nota del 28.7.1998, mentre la Soprintendenza non poteva da parte sua esprimere alcun parere.


Le ricorrenti rivendicano, quindi, il diritto ad ottenere la concessione edilizia e a poter eseguirne i lavori, chiedendo anche il risarcimento dei danni subìti, nella entità da definirsi.


Si è costituita in giudizio, tramite l’Avvocatura dello Stato, l’Amministrazione intimata, che replica agli argomenti di parte ricorrente, difendendo l’operato avversato e chiedendo che il ricorso sia respinto, siccome infondato.


RICORSO N. 104/ 1999.
Oggetto del presente ricorso è il Decreto del Direttore Generale del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali del 31.7.1998, notificato il 25.9.1998, di assoggettamento al vincolo archeologico di alcuni fabbricati, tra cui quello delle ricorrenti, circostanti le strutture dell’Anfiteatro romano.


Con tale decreto detti fabbricati sono stati dichiarati di interesse particolarmente importante ai seni della L.1089/1939 e sottoposti pertanto a tutte le disposizioni di tutela contenute nella legge stessa.


A sostegno del gravame si deduce, in primis, la violazione dell’art.7 della l.241/1990, in quanto il vincolo è stato apposto senza alcuna previa partecipazione al procedimento da parte delle ricorrenti.


Si deduce, quindi, la violazione della legge 1089/1939 in quanto non si comprende, in primo luogo, se si è inteso apporre un vincolo diretto o un vincolo indiretto.


Si deduce, in ogni caso, che il fabbricato delle ricorrenti non è un immobile di interesse artistico o storico e meno che mai di interesse archeologico, trattandosi di un vecchio fabbricato fatiscente che aveva bisogno di essere risanato e per il quale non sono state mai disposte le prescrizioni del vincolo indiretto, posto che non è mai stato costituito il vincolo archeologico diretto sui resti del Teatro romano; il Decreto impugnato risulta, pertanto, viziato per difetto assoluto di istruttoria e di motivazione.


Il progettato intervento, peraltro, non determina le paventate alterazioni, trattandosi di un mero intervento di restauro e risanamento conservativo; le considerazioni, inoltre, riguardanti le prospettate alterazioni attengono a profili di ordine urbanistico, che esulano dalla competenza e dal potere della Soprintendenza archeologica.


Le ricorrenti rivendicano quindi il diritto di eseguire i lavori assentiti e il diritto al risarcimento dei danni subìti, per i quali chiedono la condanna dell’Amministrazione.


Anche nel presente giudizio si è costituita, tramite l’Avvocatura distrettuale dello Stato dell’Aquila, l’Amministrazione intimata, che replica alle argomentazioni ex adverso prospettate, ritenendole infondate e chiedendo la reiezione del ricorso.


Le cause sono state poste in decisione nell’udienza pubblica del 14 maggio 2003.


D I R I T T O


I due ricorsi vanno riuniti e decisi con un’unica pronuncia per gli evidenti profili di connessione soggettiva e oggettiva esistenti.


1. In ordine logico, va data priorità all’esame del ricorso n.104/1999 che è fondato e va, pertanto, accolto.


La prima censura formulata, di violazione dell’art.7 L. n. 241/1990, non può non essere apprezzata positivamente.


Anche in materia d’imposizione di vincolo storico-artistico vige il principio sancito dalla norma suindicata, per cui, qualora si avvii il procedimento di assoggettamento di un bene immobile o mobile al vincolo di cui alla legge 1°.6.1939, n. 1089, occorre previamente procedere a comunicare l’avvio del procedimento da notificare ai soggetti interessati, in applicazione della L. n.241/1990, a pena di invalidità del provvedimento di vincolo (cfr. C.S., sez.VI, 16.1.1997, n.57; 16.4.1998, n.515 ).


Il principio trova applicazione sia nell’ipotesi di vincolo diretto, di cui agli artt. 1, 2 e 3 della L.1089/1939, sia nel caso di imposizione del c.d. vincolo indiretto, di cui all’art. 21 del medesimo testo normativo (cfr. C.S., sez. VI, n. 515/1998 citata).


Da ciò consegue l’invalidità del provvedimento impugnato, istitutivo di un vincolo emesso a conclusione di un procedimento attivato senza che sia stata consentita la partecipazione delle proprietarie ricorrenti..


2. Nonostante il carattere assorbente della censura appena esaminata, ritiene il Collegio, tuttavia, di valutare anche i successivi motivi di merito del ricorso al fine di una pronuncia che verifichi la legittimità o meno sostanziale dell’operato dell’Amministrazione.


Anche il secondo e il terzo motivo dedotti appaiono fondati.


Dall’impugnato provvedimento di vincolo non si comprende, così come si sostiene, se si è inteso apporre un vincolo diretto, di cui agli artt.1, 2 e 3 della L.1089/1939, o un vincolo indiretto di cui al successivo art. 21, per cui il contenuto del provvedimento appare alquanto equivoco, generico e comunque carente di una congrua motivazione, non specificando se il fabbricato delle ricorrenti sia stato ritenuto esso stesso un bene di interesse archeologico, alla stessa stregua dei resti dell’antico anfiteatro romano o se sia stato ritenuto sottoposto al vincolo indiretto per sorgere nell’immediata prossimità di tali resti.


La differenza non è irrilevante, perché, mentre il vincolo diretto incide proprio sul bene avente valore storico o artistico e non oltrepassa i confini esterni dell’opera tutelata, esplicando un maggiore effetto limitativo dei poteri di disposizione, godimento e manutenzione del bene, il vincolo indiretto, in quanto riguarda gli immobili compresi nella fascia di rispetto, ha una minore forza di penetrazione giuridica nella sfera della proprietà privata, atteso che tale tipologia di vincolo si esplica attraverso l’esercizio della facoltà, da parte dell’Amministrazione preposta alla tutela del bene, di emettere prescrizioni idonee a salvaguardare l’integrità delle cose immobili soggette alla disciplina della legge in esame.


Nel caso in esame è accaduto che il Ministero per i beni culturali e ambientali, tramite il Direttore Generale, ha dichiarato gli immobili indicati nella premessa dell’atto e individuati in base alle particelle catastali su cui insistono, di interesse particolarmente importante, ai sensi della L.1089/1939, sottoponendoli, quindi, “ a tutte le disposizioni di tutela contenute nella legge stessa “, mentre nella parte motiva del provvedimento si richiamano solo gli artt.1, 2 e 3 della legge, il che lascerebbe intendere che si sia voluto apporre un vincolo diretto su tutti gli immobili come sopra individuati.


E’ indubbio, quindi, che la determinazione assunta incorre nel vizio di genericità ed equivocità, oltre che di carenza di motivazione.


Sul punto, va ricordato che, se la valutazione in ordine alla necessità di apposizione del vincolo storico o archeologico è rimessa alla discrezionalità di carattere tecnico dell’Amministrazione, non sindacabile dal giudice amministrativo, tuttavia, il controllo giurisdizionale di tale valutazione è sempre ammissibile ab extrinseco, sotto il profilo dell’errore di fatto, della congruità della motivazione e della logicità ( C.S., Sez.VI, 12.12.1992, n.1055; 29.9.1998, n. 1034).


Se, dunque, con il provvedimento impugnato si è inteso vincolare in modo diretto tutti gli immobili ivi individuati e non solo i resti dell’anfiteatro romano, il che si desume anche dall’assoluta mancanza di misure e prescrizioni di dettaglio riguardanti l’immobile delle ricorrenti (oltre che gli altri immobili vincolati) che avrebbero potuto far pensare all’imposizione di un vincolo indiretto, ex art.21 della legge, il provvedimento si appalesa illegittimo perché un vincolo diretto sull’immobile delle ricorrenti non trova giustificazione alcuna ed è stato possibile solo a seguito di una istruttoria del tutto inadeguata, risolventesi in un palese e macroscopico difetto di motivazione, nonché nel vizio di eccesso di potere per errore nei presupposti di fatto.


Il fabbricato delle ricorrenti è, sì, posto nelle vicinanze più immediate dell’anfiteatro romano, incuneandosi quasi in esso e poggiando le sue fondazioni su parte dello stesso, ma trattasi di vecchio e fatiscente fabbricato, per il quale non sussistono elementi di sorta che possano farlo ritenere un bene storico, monumentale o archeologico, di tal che del tutto irrazionale appare il suo assoggettamento al vincolo diretto, mentre del tutto plausibile sarebbe apparsa la determinazione di sottoporlo ad un vincolo indiretto, ex art.21 della legge, con la indicazione dei limiti e delle prescrizioni da osservare nella esecuzione dei lavori di restauro e risanamento conservativo, peraltro, quanto mai opportuni e necessari per sottrarre l’immobile al preesistente stato di degrado, onde presentarsi quale decorosa cornice dei resti dell’anfiteatro romano.


Le esposte considerazioni conducono all’annullamento del provvedimento impugnato, che non può essere disposto, peraltro, se non nei limiti dell’interesse fatto valere e, quindi, esclusivamente nella parte in cui esso riguarda l’immobile delle ricorrenti.


3. Va ora esaminato il ricorso n.819/1998, avente ad oggetto: a) la richiesta di annullamento della concessione edilizia rilasciata il 12.6.1998 dal Comune di Teramo, nella parte in cui, con nota aggiuntiva del 28.7.1998, prescrive la produzione “prima dell’inizio dei lavori” dei nulla-osta “delle competenti Soprintendenze”; b) il parere negativo espresso dalla Soprintendenza archeologica dell’Abruzzo di Chieti del 9.6.1998; c) la nota della stessa Soprintendenza del 4.8.1998 di conferma del parere negativo espresso.


Il ricorso è fondato.


Come visto nell’esame della precedente impugnativa, il fabbricato delle ricorrenti non era, al momento del rilascio della concessione edilizia, immobile di interesse artistico, storico o archeologico, né è divenuto tale successivamente per l’annullamento in parte qua del provvedimento di vincolo diretto su di esso apposto; né, all’atto del rilascio del titolo abilitante, esisteva il vincolo archeologico diretto sui resti del Teatro romano, intervenuto con atto del 31.7.1998, notificato il 25.9.1998, né erano e sono state mai impartite le prescrizioni tipiche del vincolo indiretto , ex art.21 della legge.


Da ciò consegue che il Comune, da un canto, non poteva imporre la prescrizione contestata, dall’altro, non poteva la Soprintendenza archeologica esprimere alcun parere, dovendo invece dare atto dell’inesistenza del vincolo e della carenza di potere ad esprimere lo stesso, così come ha correttamente fatto la Soprintendenza ai BBAAAS dell’Aquila con nota del 7.8.1998, n. 29066.


Proprio per la mancanza di vincolo, l’unica motivazione che la Soprintendenza archeologica adduce – così come le ricorrenti rilevano – riguarda profili di natura urbanistica estranei al potere attribuito a detta Amministrazione, sostenendosi che non tratterebbesi di lavori di restauro e risanamento conservativo, senza però nulla chiaramente dire circa la incompatibilità delle opere con l’interesse archeologico.


Per le ragioni che precedono va annullata la prescrizione aggiunta alla concessione edilizia rilasciata, come pure va annullato il parere negativo della Soprintendenza archeologica di Chieti, mentre va riconosciuto il diritto delle ricorrenti ad eseguire l’intervento edilizio in conformità delle eventuali prescrizioni che, ex art.21 della legge, la Soprintendenza archeologica vorrà impartire, previa imposizione del vincolo indiretto, da stabilire con apposito provvedimento, che, come noto, diviene operante dopo la notifica alle proprietarie o la trascrizione.


Per quanto concerne la richiesta di risarcimento danni, la stessa va allo stato disattesa in quanto nessuna prova concreta è stata offerta relativamente ai pretesi danni subìti, in relazione ai quali si prospettano affermazioni prive di qualsiasi documento probante.


Per le ragioni tutte innanzi esposte i ricorsi vanno accolti nei limiti dell’interesse delle ricorrenti, così come in premessa specificato.


Si ravvisano, tuttavia, eque ragioni per compensare tra le parti le spese dei giudizi.


P. Q. M.


Il Tribunale Amministrativo regionale per l’Abruzzo, L’Aquila, previa riunione dei ricorsi specificati in epigrafe, li accoglie nei limiti dell’interesse delle ricorrenti e, per l’effetto, annulla entro tali limiti gli atti impugnati.


Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Amministrazione.
Così deciso in L’Aquila, nella Camera di consiglio del 14 maggio 2003, con l’intervento dei magistrati:
SANTO BALBA - PRESIDENTE
ROLANDO SPECA - CONSIGLIERE
LUCIANO RASOLA - CONSIGLIERE Relatore, Estensore
 

M A S S I M E

 

Sentenza per esteso

 

1) Beni culturali e ambientali – Vincolo storico-artistico – Vincolo diretto e vincolo indiretto – differenza – Comunicazione di avvio del procedimento – Occorre – Discrezionalità tecnica della Amministrazione – Sindacato giurisdizionale – Limiti - Vincolo storico artistico – Provvedimento di imposizione – Equivocità nella definizione del vincolo - Illegittimità. In materia d’imposizione di vincolo storico-artistico di cui alla legge 1 giugno 1939, n. 1089, vige il principio sancito dall’art. 7 L. 241/1990, per cui occorre previamente procedere a comunicare l’avvio del procedimento ai soggetti interessati, a pena di invalidità del provvedimento di vincolo. Il principio trova applicazione sia nell’ipotesi di vincolo diretto, di cui agli artt. 1, 2 e 3 della L.1089/1939, sia nel caso di imposizione del c.d. vincolo indiretto, di cui all’art. 21 del medesimo testo normativo. Il vincolo diretto incide sul bene avente valore storico o artistico e non oltrepassa i confini esterni dell’opera tutelata, esplicando un maggiore effetto limitativo dei poteri di disposizione, godimento e manutenzione del bene; il vincolo indiretto, in quanto riguarda gli immobili compresi nella fascia di rispetto, ha una minore forza di penetrazione giuridica nella sfera della proprietà privata, atteso che tale tipologia di vincolo si esplica attraverso l’esercizio della facoltà, da parte dell’Amministrazione preposta alla tutela del bene, di emettere prescrizioni idonee a salvaguardare l’integrità delle cose immobili soggette alla disciplina della legge in esame. La valutazione in ordine alla necessità di apposizione del vincolo storico o archeologico è rimessa alla discrezionalità di carattere tecnico dell’Amministrazione, non sindacabile dal giudice amministrativo, se non sotto il profilo dell’errore di fatto, della congruità della motivazione e della logicità ( C.S., Sez.VI, 12.12.1992, n.1055; 29.9.1998, n. 1034 ) E’ illegittimo per genericità ed equivocità, oltre che di carenza di motivazione, il provvedimento di vincolo dal quale non sia chiaramente evincibile se il vincolo stesso sia finalizzato a tutelare in modo diretto tutti gli immobili o se il provvedimento sia volto all’imposizione di un vincolo indiretto, ex art.21 della legge L.1089/1939. Pres. BALBA, Est. RASOLA – Adamoli e altro (Avv.ti Vasile e Silvestri) c. Comune di Teramo (n.c.), Soprintendenza Archeologica d’Abruzzo (Avv. Stato) e Ministero per i Beni Culturali e Ambientali (Avv. Stato). T.A.R. ABRUZZO, L’Aquila – 25 luglio 2003, n. 523

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