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Legislazione Giurisprudenza Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso
TAR EMILIA ROMAGNA, Sez. di PARMA - Ordinanza 20 novembre 2003 n. 27
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TAR EMILIA ROMAGNA, Sez. dI PARMA - Ordinanza 20 novembre 2003 n. 27
Pres. ed Est. Cicciò - Garulli (Avv.
Foglia) c. Comune di Neviano degli Arduini (n.c.) - (solleva questione di
legittimità costituzionale).
(omissis)
per ottenere
l’esecuzione del giudicato di cui alla sentenza n. 177 del 10/04/2001 con la
quale, in accoglimento del ricorso n. R.G. 752/96, si annullava la sanzione
pecuniaria di € 868,33 (L. 1.681.326) disposta con ordinanza sindacale n. 23 del
12/07/1996 del Comune di Neviano degli Arduini a carico di Garulli Carmelina,
per un abuso edilizio;
(omissis)
FATTO
Con ricorso proposto ai sensi del combinato disposto dell’art. 27, 1° comma, n.
4 della legge 6/12/1971, n. 1034, dell’art. 27, n. 4, del R.D. 26/6/1924, n.
1054 e dell’art. 90 del R.D. 17/8/1907, n. 642, Carmelina Garulli ha chiesto a
questa Sezione che venga disposta, anche a mezzo della nomina di un commissario,
l’ottemperanza al giudicato di cui alla sentenza n. 177/2001, che ha accolto il
ricorso n. 752/96, disponendo l’annullamento di sanzione pecuniaria per abuso
edilizio (esecuzione di opere in parziale difformità della concessione edilizia
n. 270 del 13/12/1996) in luogo della doverosa misura demolitoria.
Lamentava la ricorrente che il Comune era rimasto sostanzialmente inerte,
nonostante l’atto di diffida e di costituzione in mora ritualmente notificato,
con assegnazione di un termine per l’esecuzione della sentenza.
Il Comune, al quale il ricorso era stato comunicato da questo Ufficio ai sensi
di legge faceva pervenire la comunicazione del 3/4/2003, n. 3464, con la quale
si faceva presente l’immediato avvio del procedimento di esecuzione coattiva del
giudicato e di demolizione a cura dell’Amministrazione.
La ricorrente, da ultimo, lamentava che dopo tale avvio del procedimento di
demolizione nessuna ulteriore attività era stata compiuta dal Comune, così di
fatto premiandosi una strategia dilatoria, e frustandosi ogni legittima
aspettativa di tutela della sua situazione soggettiva pretensiva.
DIRITTO
Osserva la Sezione che nelle more
del giudizio di ottemperanza è stato emanato il D.L. 30/09/2003, n. 269 (in G.U.
n. 229 del 2/10/2003 – suppl. ord. n. 157/L) recante disposizioni urgenti per
favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici, il
quale fra l’altro, all’art. 32, formula una complessa normativa "per la
riqualificazione urbanistica, ambientale e paesaggistica, per l’incentivazione
dell’attività di repressione dell’abusivismo edilizio, nonché per la definizione
degli illeciti edilizi e delle occupazioni di aree demaniali".
Tale articolo dispone, per quanto qui interessa:
1) al primo, secondo e terzo comma il rilascio del titolo abilitativo edilizio
in sanatoria delle opere esistenti non conformi alla disciplina vigente, nelle
more dell’adeguamento della disciplina regionale ai principi contenuti nel testo
unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia,
approvato con D.P.R. 6/6/2001, n. 380, in conformità al titolo V della
Costituzione come modificato dalla legge costituzionale 18/10/2001, n. 3, e
comunque fatte salve le competenze delle autonomie locali sul governo del
territorio (sostanzialmente peraltro tale autonomia viene contenuta negli
angusti termini nel rispetto delle condizioni, dei limiti e delle modalità del
rilascio del titolo abilitativo sanante);
2) dal quattordicesimo al ventitreesimo comma la sanabilità, con alcuni limiti,
oneri e autorizzazioni, delle opere abusive costruite nelle aree demaniali o
patrimoniali dello Stato, anche se soggette a vincoli; 3) la proroga temporale
delle disposizioni in materia di sanatoria contenute nei capi IV e V della legge
28/2/1985, n. 47, e successive modificazioni e integrazioni, come ulteriormente
modificate dall’art. 39 della legge 23/12/1994, n. 724, e successive
modificazioni e integrazioni, proroga che consente la sanatoria delle opere
abusive ultimate entro il 31/3/2003 entro taluni limiti quantitativi,
soggettivi, tipologici e attinenti da ultimo alle aree vincolate sui quali esse
insistono, con decorrenza dei termini previsti dalle disposizioni prorogate a
far tempo dalla data di entrata in vigore del decreto legge; con applicazione
per quanto compatibile della legge n. 47 del 1985 e dell’art. 39 della legge n.
724 del 1924; con salvezza dei diritti dei terzi; con possibilità delle Regioni
di disciplinare il procedimento relativo al rilascio del titolo abilitativo in
sanatoria e di aumentare l’oblazione e gli oneri di concessione; con minuta
descrizione, peraltro, del procedimento di sanatoria e della sua conclusione e
dei suoi effetti; con una modifica della disciplina condonistica relativamente
alle aeree vincolate (dal venticinquesimo al quarantanovesimo comma).
Orbene, appare rilevante notare, per quanto riguarda la presente controversia,
che:
a) l’abuso commesso da Garulli Regina, come osservato dalla sentenza di cui si
chiede l’esecuzione, consiste in sovralzo della falda del tetto dell’immobile,
con costruzione di una mansarda; nell’apertura di tre finestre; nella posa in
opera di una grondaia e di un comignolo sovrastante le ragioni della ricorrente,
senza alcun rispetto delle distanze legali all’immobile di quest’ultima:
trattasi di abusi consistenti e non condonabili ai sensi dell’art. 13 della
legge n. 47/1985, e ascrivibili alla tipologia di cui alla tab. C), n. 1,
allegata al D.L. n. 269/2003 (opere in assenza o in difformità dal titolo
abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni
degli strumenti urbanistici);
b) nelle more del procedimento di sanatoria e fino alla scadenza dei termini
fissati dall’art. 35 della legge n. 47/1985 (come sopra rilevato, richiamati e
prorogati a far tempo dalla data in vigore del decreto legge, unitamente a tutte
le disposizioni che li contengono, da quest’ultimo decreto) dovrebbe operare la
sospensione del procedimento amministrativo sanzionatorio e del presente
procedimento giurisdizionale, ex art. 44 della legge n. 47/1985.
Premesso, quindi, che la predetta normativa è senza dubbio applicabile al caso
qui in esame, ritiene il Collegio che vi siano fondati dubbi per sostenerne la
sua non conformità ai principi costituzionali.
Vero è che, come osservato dalla Corte costituzionale (v. soprattutto le
sentenze nn. 369/1988, 169/1994, 416/1995, 427/1995 e 256/1996), le norme sul
condono prendono atto di una situazione di illegalità di massa che si intende
ricondurre, per esigenze di carattere economico-sociale e contemporaneamente per
esigenze di bilancio che spingono a ricercare spasmodicamente pronte risorse
finanziarie, nell’alveo del diritto, con attribuzione ad una fattispecie
mediatrice (l’autodenuncia) dell’efficacia di estinzione dell’illiceità; ma le
stesse sentenze sottolineano che tale esercizio del potere di clemenza deve
avere carattere di eccezionalità e di chiusura di un’epoca, perché in caso
contrario non si giustificherebbe il contrasto insito nella natura per così dire
premiale dell’abusivismo con il comportamento della maggioranza dei cittadini
onesti e osservanti la legge, con conseguente violazione dei principi di
eguaglianza, di ragionevolezza e di buona amministrazione.
Deve tenersi conto, inoltre, che una rottura del menzionato carattere
eccezionale della misura condonistica attenuerebbe le remore della generalità
dei soggetti alla commissione di abusi, per speranza ed anzi per la certezza che
in un prossimo futuro tale misura sarebbe senz’altro riadottata e, per altro
verso, ingenererebbe nei pubblici poteri un senso di sfiducia, di inutilità
delle misure repressive e di inammissibile lassismo, a sua volta, per effetto
perverso, generatore di ulteriori illeciti urbanistico-edilizi.
In particolare la Corte, con la sentenza n. 416/1995, sia pure ribadendo che la
riapertura dei termini del condono, nei limiti dell’eccezionalità sopra
evidenziata, non sembrava confliggere con i principi di ragionevolezza e di
eguaglianza, non ha legittimato l’equazione fra carenza di controllo e nuova
necessità di condono, preannunciando sostanzialmente un eventuale giudizio di
incostituzionalità qualora in futuro fosse stata emanata una nuova legge al
riguardo, soprattutto (come di fatto è ora avvenuto) nella forma della mera
riapertura dei termini precedentemente scaduti, sia pure in un contesto – del
tutto insufficiente, anche per la scarsità delle risorse stanziate – di misure
di riqualificazione del territorio.
Né sembra poter giustificare un siffatta e rinnovata misura la semplice
considerazione delle esigenze di natura finanziaria, che ormai ricorrono in modo
del tutto ordinario e permanente, anche se non si tenga conto delle ingenti
risorse (che fra l’altro bilanciano le entrate del condono) necessarie agli Enti
locali per oneri urbanizzativi e misure di inserimento delle costruzioni abusive
nel contesto dei piani regolatori.
In particolare, la Corte ha osservato che sarebbe stato inevitabile un giudizio
negativo nel caso di altra reiterazione della norma sul condono, soprattutto con
ulteriore e persistente spostamento dei termini temporali di riferimento del
commesso abuso edilizio, anche perché la gestione del territorio sarebbe stata
certamente compromessa sul piano della ragionevolezza da una ciclica o
ricorrente possibilità di condono sanatoria con conseguente convinzione di
impunità.
Un’eccezione non può quindi risolversi in un principio.
Inoltre, rilevante è la considerazione – come sopra accennato – che il condono
realizza un sistema ingiusto e discriminatorio proprio nei confronti dei
cittadini rispettosi delle leggi, che si vedono privare di quei beni che
anch’essi avrebbero potuto costruire violando le norme, e che dall’altro
sarebbero costretti, soprattutto in mancanza delle specifiche situazioni di
diritto soggettivo, esse sole salvaguardate dalla legislazione condonistica, a
subire il degrado urbanistico prodotto dall’illegalità edilizia, riemersa con
ostentazione e legalizzata con rischio che in futuro si producano le condizioni
per un ulteriore degrado.
La normativa censurata non sembra poi violare soltanto i principi di
eguaglianza, ragionevolezza, buona amministrazione e di tutela ambientale, ma
anche le competenze regionali concorrenti in materia di governo del territorio
stabilite dall’art. 117, 3° comma, della Costituzione (v. al riguardo, la
sentenza n. 303/2003 della Corte costituzionale).
Infatti, come è stato ben osservato anche dalla dottrina, con il condono lo
Stato non detta principi generali (che sono a lui riservati) ma introduce
un’eccezione, invadendo una competenza regionale, anche se ai primi commi
dell’art. 32 il D.L. n. 269/2003 si preoccupa di dichiararle salve.
Al riguardo, mentre non è ben chiaro il riferimento (che non sembra pertinente
alla materia in esame) all’adeguamento delle norme regionali alle disposizioni
di cui al D.P.R. n. 380/2001, che infatti fissa principi e non già eccezioni – a
meno che non si consideri la possibilità di una disciplina ricorrente e anzi
permanente del condono che possa assorgere ai caratteri di principio –, le
statuizioni condonistiche sono estremamente precise e dettagliate, e fissano in
modo esaustivo ogni aspetto della materia, per cui il riferimento alla
competenza regionale per il "rispetto delle condizioni dei limiti e delle
modalità del rilascio del titolo abilitativo sanante" non può che limitarsi di
fatto, nonostante la ridondanza dell’espressione, che ad aspetti di semplice
dettaglio del procedimento.
Sembra pertanto che il legislatore statale abbia esorbitato dalla sua competenza
che consiste nella semplice emanazione dei principi fondamentali, che non
possono essere di dettaglio o addirittura regolamentari. Né può fondatamente
affermarsi che nella specie si tratta di principi generali dell’ordinamento
giuridico e di riforma fondamentale economico-sociale: si tratta invece soltanto
di introduzione di un sistema moralmente discutibile per reperire subito e
comunque risorse finanziarie.
Infine, sembra indubbio che il condono (come nel caso qui in esame) sia
suscettibile di introdurre di deroghe, e quindi limitate varianti, ai piani
regolatori, che vengono contraddetti, sanandosi costruzioni del tutto contrarie
alle disposizioni in essi contenuti, con invasione delle competenze al riguardo
del legislatore regionale e degli Enti locali.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia-Romagna, Sezione staccata di
Parma, ritenuta d’ufficio rilevante e non manifestamente infondata la questione
di costituzionalità dell’art. 32 del D.L. 30/09/2003, n. 269, per contrasto con
gli artt. 3, 9, 2° comma, 32, 1° comma, 97, 1° comma, 117, 3° comma, della
Costituzione:
- sospende il giudizio in corso;
- ordina la trasmissione di questa ordinanza e degli atti del giudizio alla
Corte Costituzionale;
- ordina la notificazione di questa ordinanza alle parti in causa e alla
Presidenza del Consiglio dei Ministri e la sua comunicazione ai Presidenti dei
due rami del Parlamento.
Depositata in segreteria in data 20 novembre 2003.
1) Urbanistica e edilizia - norme sul “nuovo” condono edilizio - questione di legittimità costituzionale delle norme contenute nell’art. 32 del D.L. 30 settembre 2003 n. 269, sul condono edilizio, in relazione agli artt. 3, 9, 2° comma, 32, 1° comma, 97, 1° comma, 117, 3° comma, della Costituzione - carattere di eccezionalità e di chiusura di un’epoca - il contrasto insito nella natura per così dire premiale dell’abusivismo con il comportamento della maggioranza dei cittadini onesti e osservanti la legge - violazione dei principi di eguaglianza, di ragionevolezza e di buona amministrazione - Enti locali - oneri urbanizzativi e misure di inserimento delle costruzioni abusive nel contesto dei piani regolatori - convinzione di impunità. Le norme sul condono, ad avviso della C. Cost., prendono atto di una situazione di illegalità di massa che si intende ricondurre, per esigenze di carattere economico-sociale e contemporaneamente per esigenze di bilancio che spingono a ricercare spasmodicamente pronte risorse finanziarie, nell’alveo del diritto, con attribuzione ad una fattispecie mediatrice (l’autodenuncia) dell’efficacia di estinzione dell’illiceità; ma le stesse sentenze della Corte costituzionale (v. soprattutto le sentenze nn. 369/1988, 169/1994, 416/1995, 427/1995 e 256/1996), sottolineano che tale esercizio del potere di clemenza deve avere carattere di eccezionalità e di chiusura di un’epoca, perché in caso contrario non si giustificherebbe il contrasto insito nella natura per così dire premiale dell’abusivismo con il comportamento della maggioranza dei cittadini onesti e osservanti la legge, con conseguente violazione dei principi di eguaglianza, di ragionevolezza e di buona amministrazione. Deve tenersi conto, inoltre, che una rottura del menzionato carattere eccezionale della misura condonistica attenuerebbe le remore della generalità dei soggetti alla commissione di abusi, per speranza ed anzi per la certezza che in un prossimo futuro tale misura sarebbe senz’altro riadottata e, per altro verso, ingenererebbe nei pubblici poteri un senso di sfiducia, di inutilità delle misure repressive e di inammissibile lassismo, a sua volta, per effetto perverso, generatore di ulteriori illeciti urbanistico-edilizi. In particolare la Corte, con la sentenza n. 416/1995, sia pure ribadendo che la riapertura dei termini del condono, nei limiti dell’eccezionalità sopra evidenziata, non sembrava confliggere con i principi di ragionevolezza e di eguaglianza, non ha legittimato l’equazione fra carenza di controllo e nuova necessità di condono, preannunciando sostanzialmente un eventuale giudizio di incostituzionalità qualora in futuro fosse stata emanata una nuova legge al riguardo, soprattutto (come di fatto è ora avvenuto) nella forma della mera riapertura dei termini precedentemente scaduti, sia pure in un contesto – del tutto insufficiente, anche per la scarsità delle risorse stanziate – di misure di riqualificazione del territorio. Né sembra poter giustificare un siffatta e rinnovata misura la semplice considerazione delle esigenze di natura finanziaria, che ormai ricorrono in modo del tutto ordinario e permanente, anche se non si tenga conto delle ingenti risorse (che fra l’altro bilanciano le entrate del condono) necessarie agli Enti locali per oneri urbanizzativi e misure di inserimento delle costruzioni abusive nel contesto dei piani regolatori. In particolare, la Corte ha osservato che sarebbe stato inevitabile un giudizio negativo nel caso di altra reiterazione della norma sul condono, soprattutto con ulteriore e persistente spostamento dei termini temporali di riferimento del commesso abuso edilizio, anche perché la gestione del territorio sarebbe stata certamente compromessa sul piano della ragionevolezza da una ciclica o ricorrente possibilità di condono sanatoria con conseguente convinzione di impunità. Pres. ed Est. Cicciò - Garulli (Avv. Foglia) c. Comune di Neviano degli Arduini (n.c.) - (solleva questione di legittimità costituzionale). TAR EMILIA ROMAGNA, SEZ. DI PARMA - ordinanza 20 novembre 2003 n. 27
2) Urbanistica e edilizia - legislazione condonistica - giudizio di incostituzionalità - il condono realizza un sistema ingiusto e discriminatorio proprio nei confronti dei cittadini rispettosi delle leggi - i principi di eguaglianza, ragionevolezza, buona amministrazione e di tutela ambientale - D.L. 30/09/2003, n. 269 - art. 117, 3° comma, Cost. - invasione delle competenze al riguardo del legislatore regionale e degli Enti locali. Il condono realizza un sistema ingiusto e discriminatorio proprio nei confronti dei cittadini rispettosi delle leggi, che si vedono privare di quei beni che anch’essi avrebbero potuto costruire violando le norme, e che dall’altro sarebbero costretti, soprattutto in mancanza delle specifiche situazioni di diritto soggettivo, esse sole salvaguardate dalla legislazione condonistica, a subire il degrado urbanistico prodotto dall’illegalità edilizia, riemersa con ostentazione e legalizzata con rischio che in futuro si producano le condizioni per un ulteriore degrado. La normativa censurata (Decreto Legge 30/09/2003, n. 269 (in G.U. n. 229 del 2/10/2003 – suppl. ord. n. 157/L) non sembra poi violare soltanto i principi di eguaglianza, ragionevolezza, buona amministrazione e di tutela ambientale, ma anche le competenze regionali concorrenti in materia di governo del territorio stabilite dall’art. 117, 3° comma, della Costituzione (v. al riguardo, la sentenza n. 303/2003 della Corte costituzionale). Infatti, come è stato ben osservato anche dalla dottrina, con il condono lo Stato non detta principi generali (che sono a lui riservati) ma introduce un’eccezione, invadendo una competenza regionale, anche se ai primi commi dell’art. 32 il D.L. n. 269/2003 si preoccupa di dichiararle salve. Al riguardo, mentre non è ben chiaro il riferimento (che non sembra pertinente alla materia in esame) all’adeguamento delle norme regionali alle disposizioni di cui al D.P.R. n. 380/2001, che infatti fissa principi e non già eccezioni – a meno che non si consideri la possibilità di una disciplina ricorrente e anzi permanente del condono che possa assorgere ai caratteri di principio –, le statuizioni condonistiche sono estremamente precise e dettagliate, e fissano in modo esaustivo ogni aspetto della materia, per cui il riferimento alla competenza regionale per il "rispetto delle condizioni dei limiti e delle modalità del rilascio del titolo abilitativo sanante" non può che limitarsi di fatto, nonostante la ridondanza dell’espressione, che ad aspetti di semplice dettaglio del procedimento. Sembra pertanto che il legislatore statale abbia esorbitato dalla sua competenza che consiste nella semplice emanazione dei principi fondamentali, che non possono essere di dettaglio o addirittura regolamentari. Né può fondatamente affermarsi che nella specie si tratta di principi generali dell’ordinamento giuridico e di riforma fondamentale economico-sociale: si tratta invece soltanto di introduzione di un sistema moralmente discutibile per reperire subito e comunque risorse finanziarie. Infine, sembra indubbio che il condono (come nel caso qui in esame) sia suscettibile di introdurre di deroghe, e quindi limitate varianti, ai piani regolatori, che vengono contraddetti, sanandosi costruzioni del tutto contrarie alle disposizioni in essi contenuti, con invasione delle competenze al riguardo del legislatore regionale e degli Enti locali. Pres. ed Est. Cicciò - Garulli (Avv. Foglia) c. Comune di Neviano degli Arduini (n.c.) - (solleva questione di legittimità costituzionale). TAR EMILIA ROMAGNA, SEZ. DI PARMA - ordinanza 20 novembre 2003 n. 27
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