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Legislazione  giurisprudenza                                                      Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso


 

 Massime della sentenza

Commento di Vittorio Triggiani

 

TAR LAZIO, SEZ. III TER - Sentenza 15 gennaio 2003 n. 126 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TAR LAZIO, SEZ. III TER – Sentenza 15 gennaio 2003 n. 126 Pres. Corsaro, Est. Santoleri - ha pronunciato la seguente

 

S E N T E N Z A

 

sul ricorso del Consiglio dell’ordine degli Ingegneri della Provincia di Teramo (Avv. M. Di Dalmazio)

contro Istituto Nazionale di Fisica Nucleare – I.N.F.N. (Avv.ra Stato) - (accoglie).

per l'annullamento del silenzio diniego sulla richiesta di accesso ai documenti inoltrata dal Consiglio ricorrente in data 10/6/02 e ricevuta in data 12/6/02, nonché per la declaratoria del diritto del ricorrente a detto accesso e per il conseguente ordine all’ente di ostensione della documentazione richiesta.

(omissis)


ESPOSIZIONE IN FATTO.



Con nota del 10-12/6/02 il Consiglio dell’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Teramo, inoltrava al Laboratorio Nazionale del Gran Sasso – Istituto Nazionale di Fisica Nucleare – una richiesta di accesso e conseguente estrazione di copia di tutte le informazioni disponibili in forma scritta, visiva o sonora relative a studi, progetti e dati inerenti la sicurezza del sistema integrato dei laboratori sotterranei e delle attività ivi svolte, delle gallerie stradali, delle falde idriche del Gran Sasso con riferimento, altresì, all’incidenza che esso sistema assume sullo stato delle acque, dell’aria, del suolo, della flora, della fauna e del territorio interessato, nonché sulle attività, le misure e gli strumenti di tutela delle predette componenti ambientali.

L’Amministrazione non ha dato riscontro alla richiesta del ricorrente.

Si è quindi formato il silenzio rifiuto avverso il quale insorge con il presente ricorso il Consiglio dell’Ordine degli Ingegneri di Teramo, deducendo i seguenti motivi di impugnazione:

1) Illegittimità del diniego e declaratoria di legittimità dell’accesso ai sensi degli artt. 1 e ss. del D.Lgs. 24/2/97 n. 39

La fattispecie in esame ricadrebbe nell’ambito della disciplina di cui al D.Lgs. n. 39/97 che avrebbe liberalizzato l’accesso alle informazioni in materia ambientale, in modo da garantire un controllo e una protezione diffusi.

In base alla suddetta disciplina, di origine comunitaria, sarebbero venuti meno i limiti soggettivi ed oggettivi già previsti in materia di accesso dalla L. n. 241/90.

Ne consegue l’illegittimità del diniego tacito opposto dall’I.N.F.N., soggetto destinatario della domanda e ricompreso nel novero delle Amministrazioni cui risulta applicabile la disciplina del D.Lgs. n. 39/97, considerato che gli atti richiesti, sufficientemente individuati, non sarebbero ricompresi tra quelli di indicati nell’art. 4 dello stesso D.Lgs. n. 39/97 per i quali non sarebbe possibile l’accesso.

2) Illegittimità del silenzio-diniego e conseguente illegittimità del diritto di accesso ai sensi dell’art. 22 e ss. della L. 241/90

Ritiene il ricorrente che, comunque, anche alla stregua della disciplina comune, il diniego sarebbe illegittimo.

Il Consiglio dell’Ordine ricorrente, infatti, sarebbe titolare di una posizione differenziata, avendo un interesse concreto ed attuale alla conoscenza dei suddetti documenti per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti.

L’acquisizione delle informazioni in questione sarebbe necessaria agli iscritti per poter svolgere senza rischi la loro attività professionale (che si svolge sul territorio sul quale insiste principalmente il sistema Gran Sasso), essendo indispensabile per effettuare i lavori di progettazione, la conoscenza della morfologia dei terreni, dei fenomeni di infiltrazioni idriche, dei possibili cedimenti strutturali, ecc.

Insistono quindi per l’accoglimento del ricorso.

L’Amministrazione intimata si è costituita in giudizio.

Alla Camera di Consiglio del 28 novembre 2002, su richiesta di parte ricorrente, il ricorso è stato trattenuto in decisione.
 

DIRITTO


Con la raccomandata del 10/6/02, pervenuta il 12/6/02, il Consiglio dell’Ordine degli Ingegneri di Teramo, aveva chiesto all’I.N.F.N. di “fornire tutte le informazioni disponibili in forma scritta, visiva o sonora relative a studi, progetti e dati inerenti alla sicurezza del sistema integrato dei laboratori sotterranei e delle attività ivi svolte, delle gallerie stradali, della compresenza di persone, delle captazioni idropotabili, delle falde idriche del Gran Sasso con riferimento altresì all’incidenza che esso sistema assume sullo stato delle acque, dell’aria, del suolo, della flora, della fauna e del territorio interessato, nonché sulle attività, le misure e gli strumenti di tutela delle predette componenti ambientali”.

A questa richiesta l’Istituto non ha dato riscontro, e quindi il Consiglio dell’Ordine ricorrente ha provveduto alla rituale impugnazione del silenzio rifiuto sostenendone l’illegittimità e chiedendo al Tribunale di accertare il suo diritto all’esibizione della documentazione (o meglio delle informazioni) richieste.

Deduce il ricorrente, con il primo motivo di impugnazione, che il diritto ad ottenere le informazioni in questione, di natura ambientale, discenderebbe direttamente dalla disciplina contenuta nel D.Lgs. n. 39/97 che assicura “a chiunque” la libertà di accesso alle informazioni relative all’ambiente in possesso delle autorità pubbliche, non essendo neppure previsto per il richiedente di fornire giustificazioni in ordine al proprio interesse.

Il Legislatore, infatti, al fine di garantire un controllo diffuso sulla qualità del bene ambientale, avrebbe introdotto una sorta di tutela desoggettivizzata, che prescinde cioè, da qualunque limitazione di ordine soggettivo e dunque dall’accertamento di qualsivoglia posizione di interesse.

Di qui la propria legittimazione a richiedere la documentazione in questione, documentazione, peraltro, non ricadente nei divieti di cui all’art. 4 del D.Lgs. n. 39/97, e sufficientemente individuata.

Il ricorrente, ha sostenuto poi, con il secondo motivo, la sussistenza del suo diritto all’esibizione degli atti anche in applicazione della disciplina comune contenuta nella L. n. 241/90, avendovi un interesse concreto ed attuale, per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti.

Il Consiglio dell’Ordine degli Ingegneri di Teramo, che è deputato alla cura degli interessi della categoria, ha chiesto i suddetti documenti in modo da garantire ai propri iscritti la necessaria informazione sulla morfologia dei terreni, sui fenomeni di infiltrazioni idriche con i correlati indebolimenti strutturali, al fine di consentire loro di svolgere al meglio la loro attività professionale, che si attua, di fatto, nella zona del Teramano nel quale sono collocati i Laboratori dell’I.N.F.N.

Ritiene il Collegio di dover preventivamente svolgere alcune osservazioni in ordine alla legittimazione al ricorso da parte degli ordini professionali, ai requisiti previsti dalla L. n. 241/90 per l’accesso ai documenti, e alla diversa disciplina, di origine comunitaria, contenuta nel D.Lgs. 24/2/97 n. 39.

Secondo il costante orientamento giurisprudenziale, gli ordini professionali sono legittimati ad impugnare in sede giurisdizionale gli atti lesivi non solo della sfera giuridica dell’ente come soggetto di diritto, ma anche gli interessi di categoria dei soggetti appartenenti all’ordine, di cui l’ente ha la rappresentanza istituzionale (T.A.R. Marche 11/2/2000 n. 167; C.d.S. Sez. VI 15/4/99 n. 471; C.d.S. Sez. V 7/3/01 n. 1339; ecc.); essi, infatti, per la loro peculiare posizione esponenziale nell’ambito della rispettiva categoria e per le funzioni di autogoverno della categoria stessa, costituiscono enti che, pur se su base associativa e volontaristica, sono istituzionalmente preordinati a curare gli interessi giuridici ed economici della categoria obiettivamente ed unitariamente considerata (così T.A.R. Sicilia Sez. I Catania 1/8/95 n. 1982) e vantano pertanto una posizione legittimante quando contestino la legittimità di un atto amministrativo suscettibile di recare danno ad un interesse generale della categoria rappresentata, comprimendo arbitrariamente la sfera delle attribuzioni professionali o, comunque, incidendo negativamente sulla stessa (T.A.R. Calabria Sez. Catanzaro 29/10/97 n. 627).

Abbastanza recentemente la giurisprudenza si è occupata della questione relativa alla legittimazione all’accesso da parte di un soggetto portatore di un interesse collettivo (nella fattispecie si trattava del Codacons) ed ha chiarito che il diritto di accesso ai documenti amministrativi ex art. 22 comma 1 della L. 7/8/90 n. 241 non può legittimamente concernere gli atti contenenti elementi informativi estranei alla sfera soggettiva del richiedente, in quanto, è necessario un diretto nesso di strumentalità tra il contenuto dei documenti che il privato chiede di conoscere ed il fine di tutela della situazione giuridicamente rilevante di cui egli è titolare (cfr. C.d.S. Sez. V 19/1/99 n. 45).

L’interesse giuridicamente rilevante che legittima la richiesta di accesso deve essere infatti concreto e personale, e cioè immediatamente riferibile al soggetto che pretende di conoscere i documenti e specificamente inerente alla situazione da tutelare (C.d.S. Sez. VI 3/12/98 n. 1649).

In altre parole, proprio perché l’accesso non è consentito a “chiunque”, ma solo a chi vanti un interesse qualificato per la tutela di una posizione giuridicamente rilevante (posizione più ampia di quella richiesta per l’interesse all’impugnazione), che ricorre, in sintesi, quando il documento in questione sia idoneo a spiegare effetti diretti o indiretti nei suoi confronti (C.d.S. Sez. IV 3/2/96 n. 98; 14/1/99 n. 32; ecc.), nel caso della richiesta di accesso presentata da un soggetto deputato alla cura di un interesse collettivo, qual è l’ordine professionale, deve trattarsi di un documento inerente al medesimo interesse collettivo di cui è titolare.

L’ordine professionale, non potrebbe quindi chiedere, alla stregua dei principi sopra esposti, informazioni non aventi alcuna pertinenza con gli interessi di categoria, dovendo sempre sussistere quel legame teleologico tra gli interessi di competenza dell’ordine ed i documenti dei quali si chiede l’esibizione.

In questo sistema, delineato dalla L. 7/8/90 n. 241, nel quale il diritto di accesso ai documenti amministrativi non si atteggia come una sorta di azione popolare diretta a consentire una sorta di controllo generalizzato sull’Amministrazione - giacché da un lato l’interesse che legittima ciascun soggetto all’istanza, da accertare caso per caso, deve essere personale e concreto e ricollegabile al soggetto stesso da uno specifico nesso, e dall’altro la documentazione richiesta deve essere direttamente riferibile a tale interesse oltre che individuata o ben individuabile - (C.d.S. Sez. VI 17/3/2000 n. 1414; 3/11/2000 n. 5930), si innesta la disciplina speciale, di origine comunitaria, che riguarda propriamente la libertà di accesso alle informazioni in materia di ambiente.

Il D.Lgs. 24 febbraio 1997 n. 39, nel suo settore di applicazione, stravolge il sistema comune ampliando sia soggettivamente che oggettivamente l’accesso alle informazioni ambientali, ed introducendo quell’azione popolare che la giurisprudenza aveva negato in relazione alla disciplina contenuta nella L. n. 241/90.

Il legislatore, nel prevedere che il diritto alle informazioni in materia ambientale spetta a chiunque ne faccia richiesta senza che questi debba dimostrare il proprio interesse, ha svincolato l’accesso da una particolare posizione legittimante del richiedente, dando per presupposto, attesa la particolare rilevanza del bene in questione, l’interesse all’informazione sulle condizioni ambientali e consentendo altresì il controllo diffuso su detti beni.

Anche dal punto di vista oggettivo vi è stata un’estensione del diritto di accesso, che non riguarda più soltanto i documenti (anche se estensivamente individuati) ma le “informazioni relative all’ambiente” intese come “qualsiasi informazioni in forma scritta, visiva, sonora o contenuta nelle basi di dati riguardante lo stato delle acque, dell’aria, del suolo, della fauna, della flora, del territorio e degli spazi naturali, nonché le attività, comprese quelle nocive, o le misure che incidono o possono incidere negativamente sulle predette componenti ambientali e le attività o le misure destinate a tutelarle, ivi compresi le misure amministrative e i programmi di gestione dell’ambiente”.

Infine, l’art. 4 del D.Lgs. n. 39/97 esclude il diritto all’informazione ambientale quando dalla divulgazione dei dati possa derivare un danno all’ambiente stesso, ovvero in casi tassativamente determinati dalla medesima disposizione; il rifiuto può essere altresì disposto quando la richiesta sia talmente generica da non consentire l’individuazione dei dati da mettere a disposizione.

Terminata questa breve premessa, è possibile esaminare la questione dedotta in giudizio.

Ritiene parte ricorrente che la propria richiesta, riguardando la materia ambientale, debba essere esaminata alla stregua della disciplina del D.Lgs. n. 39/97 con tutte le necessarie conseguenze in ordine alla legittimazione, all’interesse, e al tipo di informazioni ivi previste.

La tesi attorea è soltanto in parte condivisibile, poiché soltanto taluni dei documenti dei quali si chiede l’accesso attengono specificatamente alla materia ambientale.

Pertanto, solo ove si tratti di informazioni ambientali, può ritenersi sussistente la legittimazione da parte del Consiglio dell’Ordine Professionale, giacché nel concetto di “chiunque” previsto dall’art. 1 del più volte citato D.Lgs. n. 39/97, non può non ricomprendersi qualunque soggetto, e quindi anche l’ordine professionale.

D’altronde, come ricordato, il legislatore non ha richiesto neppure l’allegazione di un particolare interesse per accedere alle informazioni ambientali: se ne deve dedurre che il Consiglio dell’Ordine degli Ingegneri di Teramo ben poteva chiedere all’I.N.F.N. di fornire le informazioni ambientali in suo possesso.

Correlativamente l’Istituto, sicuramente destinatario delle norme in questione perché ricompreso nel concetto di “autorità pubbliche” di cui alla lett. b) dell’art. 2 del D.Lgs. n. 39/97, avrebbe dovuto fornire le informazioni di cui aveva disponibilità.

Ciò, ovviamente, solo purché si tratti effettivamente di informazioni ambientali, e non nell’ipotesi in cui, unitamente ad esse, siano state chieste ulteriori informazioni che esulano dal campo di applicazione della disciplina speciale di cui al D.Lgs. n. 39/97, e ricadano invece nell’ambito della disciplina comune della L. n. 241/90.

In questo ultimo caso, infatti, la domanda di accesso e l’impugnazione del silenzio rifiuto devono essere esaminate alla stregua dei principi in precedenza esposti in ordine alla legittimazione e all’interesse dell’ordine professionale.

Questa distinzione è importante perché, a giudizio del Collegio, con la richiesta del 10/6/02, il Consiglio dell’Ordine degli Ingegneri di Teramo non intendeva acquisire soltanto informazioni propriamente ambientali (quali sono quelle che riguardano le “captazioni idropotabili, le falde idriche, lo stato dell’acqua, dell’aria, del suolo, della flora, della fauna, e del territorio interessato, nonché le attività, le misure e gli strumenti di tutela delle predette componenti ambientali”), ma anche informazioni “relative a studi, progetti e dati inerenti alla sicurezza del sistema integrato dei laboratori sotterranei e delle attività ivi svolte, delle gallerie stradali, della compresenza di persone”, informazioni queste, che non possono essere annoverate tra quelle propriamente ambientali per le quali il legislatore ha introdotto il principio della massima trasparenza.

Sebbene il Legislatore abbia ricompreso nell’ambito delle informazioni in materia ambientale non soltanto quelle relative allo stato dei beni ambientali, ma anche quelle relative alle “attività, comprese quelle nocive,… che incidono o possono incidere negativamente sulle predette componenti ambientali” ovvero “le attività o le misure destinate a tutelarle”, nondimeno ritiene il Collegio che la richiesta di accesso agli studi compiuti sulla sicurezza dei laboratori sotterranei e delle attività ivi svolte, al fine di consentire allo stesso soggetto richiedente di poter valutare quali siano i rischi connessi allo svolgimento dell’attività di ricerca ivi svolta, esuli dall’ambito di applicazione della predetta disposizione.

Il Collegio, in mancanza di informazioni da parte dell’Istituto intimato, non conosce compiutamente quale sia l’attività propriamente svolta all’interno dei laboratori sotterranei del Gran Sasso, e se vi sia una qualche tipologia di attività che non possa essere divulgata (e correlativamente non possano essere oggetto di esibizione gli eventuali progetti che la riguardano), ma in generale ritiene che la divulgazione degli studi sulla sicurezza delle strutture sotterranee, degli impianti ivi realizzati (a quanto consta, già da molto tempo) per poter svolgere l’attività di ricerca, non possa essere giustificata da ragioni ambientali che risultano adeguatamente soddisfatte attraverso l’acquisizione diretta delle informazioni su tutte le sue componenti.

La sicurezza degli impianti, delle gallerie, e le misure adottate perché l’attività di ricerca non arrechi danni a terzi, è un interesse che trascende la tutela ambientale, investendo anche e soprattutto, la sicurezza e l’incolumità delle persone che operano all’interno dei laboratori.

Pertanto, ritiene il Collegio, che non possa ragionevolmente fondarsi sulla disciplina sulla trasparenza in materia ambientale, la richiesta di accesso agli studi sulla sicurezza dei laboratori.

Né potrebbe ritenersi legittimato l’ordine professionale in questione sulla base della disciplina comune della L. n. 241/90, non essendo istituzionalmente deputato alla cura della sicurezza né dei luoghi, né delle persone che vi operano.

Il Consiglio dell’Ordine è legittimato ad agire solo per la cura di interessi collettivi e può richiedere la sola documentazione ad essa pertinente: la sicurezza dei laboratori sotterranei non rientra negli interessi della categoria, non essendo gli ingegneri, liberi professionisti, istituzionalmente deputati alla valutazione dei rischi connessi allo svolgimento dell’attività di ricerca svolta presso i laboratori dell’I.N.F.N.

Ritiene il Collegio, però, che nonostante non possa ritenersi ammissibile l’accesso alle informazioni “sugli studi, progetti e dati inerenti alla sicurezza del sistema integrato dei laboratori sotterranei e delle attività ivi svolte, delle gallerie stradali e della compresenza di persone”, nondimeno attraverso l’acquisizione di tutte le altre informazioni richieste con l’istanza del 10/6/02 e relative propriamente ai beni ambientali, l’interesse del ricorrente sia sostanzialmente soddisfatto ben potendo conoscere compiutamente qual’è la condizione attuale del territorio, delle captazioni idropotabili e delle falde idriche, elementi questi che, dalla lettura degli atti, paiono particolarmente significativi per il Consiglio dell’Ordine ricorrente.

La conoscenza dei dati in possesso dell’Amministrazione intimata e relativi ai suddetti elementi, può scongiurare quei rischi paventati nel ricorso, e consentire agli iscritti di poter validamente svolgere la loro attività di progettazione.

In conclusione, il ricorso deve essere accolto solo in parte, disponendosi l’ordine per l’I.N.F.N. di fornire tutte le informazioni disponibili in forma scritta visiva o sonora relative alle captazioni idropotabili, alle falde idriche del Gran Sasso, allo stato delle acque, dell’aria, del suolo, della flora, della fauna e del territorio interessato, alle attività, alle misure e agli strumenti di tutela delle predette componenti ambientali.

Le spese di lite possono essere equamente compensate tra le parti, ricorrendone giusti motivi.


P. Q. M.


Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio- Sezione Terza Ter- accoglie nei limiti di cui in motivazione il ricorso in epigrafe indicato, e per l’effetto ordina all’I.N.F.N. in persona del legale rappresentante p.t., di fornire al Consiglio dell’Ordine ricorrente tutte le informazioni disponibili in forma scritta visiva o sonora relative alle captazioni idropotabili, alle falde idriche del Gran Sasso, allo stato delle acque, dell’aria, del suolo, della flora, della fauna e del territorio interessato, alle attività, alle misure e agli strumenti di tutela delle predette componenti ambientali.

Compensa tra le parti le spese del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 28 novembre 2002.
Francesco Corsaro PRESIDENTE
Stefania Santoleri ESTENSORE
Depositata in segreteria in data 15 gennaio 2003.

 

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L’ACCESSO ALLE INFORMAZIONI IN MATERIA AMBIENTALE ALLA LUCE DEL D.LGS. 24.2.1997 N. 39

 (NOTE A MARGINE DI TAR LAZIO - III TER, N. 123/2003)

di Vittorio Triggiani

 

1.- Il quadro normativo previgente

Il primo intervento legislativo che ha previsto forme generali di tutela preventiva e procedimentale dell’ambiente coincide, come noto, con la legge n. 349/1986, che peraltro, riflettendo una concezione evoluta dell’attività amministrativa (attinta dagli orientamenti della giurisprudenza più sensibile alle nuove esigenze di valorizzazione del ruolo della parte privata nello svolgimento dell’azione della p.A.) ha anticipato di ben quattro anni talune delle innovazioni successivamente introdotte, in via generalizzata, dalla legge n. 241/1990 [1].

In particolare, il provvedimento normativo in esame ha introdotto, limitatamente alla materia della tutela ambientale, gli istituti della partecipazione al procedimento e dell’accesso ai documenti amministrativi.

Si rinvia ad altra sede l’esame della disciplina degli istituti partecipativi, esorbitante dal thema decidendum della pronuncia in rassegna.

Quanto al diritto di accesso all’informazione in materia ambientale, esso è normato dall’art. 14, comma 3, l. cit., secondo cui: “Qualsiasi cittadino ha diritto di accesso alle informazioni sullo stato dell’ambiente disponibili, in conformità delle leggi vigenti, presso gli uffici della Pubblica Amministrazione e può ottenere copia previo rimborso delle spese di riproduzione e delle spese effettive di ufficio, il cui importo è stabilito con atto dell’Amministrazione interessata”.

L’indeterminata formulazione di tale disposizione ha alimentato diversità di opinioni in dottrina, determinando la nascita di due contrapposte scuole di pensiero in ordine alla portata del diritto di accesso alle informazioni relative all’ambiente.

Secondo un primo orientamento la disposizione normativa in esame avrebbe conferito a qualsiasi cittadino un diritto soggettivo incondizionato ad ottenere l’informazione richiesta, a prescindere dalla prova della titolarità di una posizione di interesse personale e qualificato [2]. Di contro, incomberebbe sulle Autorità pubbliche il dovere di fornire informazioni a chiunque, esclusa la sussistenza di margini di valutazione discrezionale in ordine alla accoglibilità delle richieste di informazione pervenute (fatta eccezione per i casi di sottrazione dei dati alla divulgazione espressamente previsti dalla legge [3]).

Con tali conclusioni non concorda altra parte della dottrina sul rilievo della natura programmatica (e non immediatamente precettiva) della disposizione normativa in esame, che si sarebbe limitata a riconoscere in termini generali il diritto di accesso in materia ambientale, il cui esercizio resterebbe quindi disciplinato dalle “leggi vigenti”. A questa stregua dovrebbe escludersi la sussistenza di speciali forme di accesso in materia ambientale, con conseguente soggezione dell’esercizio del diritto di acquisizione di documenti ed informazioni alle regole generali in materia [4].

La rilevanza pratica della questione - evidentissima al momento di entrata in vigore della l. n. 349/1986, stante il difetto, a quell’epoca, di normative generali in materia di trasparenza dell’attività amministrativa - si è fortemente attenuata a seguito dell’entrata in vigore della l. n. 241/1990, che, come noto, ha generalizzato l’istituto.

Va peraltro osservato come le previsioni racchiuse nella legge sulla trasparenza non consenta comunque l’accesso alle informazioni in possesso dell’Amministrazione (l’obbligo di ostensione imposto alla p.A. essendo, come noto, circoscritto ai soli documenti amministrativi [5]). Sotto tale profilo, dunque, le previsioni dell’art. 14, comma 3, l. cit., avrebbero disegnato un’area di possibile accesso ai dati in possesso della p.A. (comprensivo delle “informazioni sullo stato dell’ambiente”) oggettivamente più esteso di quello delineato dalla legge sulla trasparenza amministrativa.

Tale lacuna viene colmata, limitatamente però all’ordinamento delle Autonomie locali, dall’art. 7, comma 4, l. n. 142/1990, che riconosce ai cittadini, singoli ed associati, il diritto “di accedere, in generale, alle informazioni di cui è in possesso l'amministrazione”. La disposizione in esame ha trovato conferma nel T.U. delle Autonomie Locali approvato con d.lgs. n. 267/2000 (art. 10, comma 2), che peraltro ha rafforzato le prerogative delle associazioni e delle organizzazioni di volontariato consentendo a tali entità l’accesso alle strutture ed ai servizi degli Enti locali (art. 10, comma 3) [6].


2.- Le innovazioni introdotte dal D.Lgs. n. 39/1997 attuativo della direttiva CE 90/313.

Dal quadro normativo dianzi illustrato emerge come, di fatto, anche a seguito dell’entrata in vigore della legge sulla trasparenza, ai fini dell’esplicazione del diritto di accesso alle informazioni ambientali si sia posto il problema della titolarità di una posizione legittimante ex art. 22, l. n. 241/1990.

La materia è stata fortemente innovata dal d.lgs. n. 39/1997, che ha recepito - con il consueto ritardo riservato dal legislatore italiano all’immissione nell’ordinamento interno delle normative comunitarie derivate - la direttiva 7.6.1990 n. 90/313/CEE.

La direttiva, muovendo dal presupposto che una migliore protezione dell’ambiente si realizza attraverso una corretta e libera informazione del cittadino, esclude (a differenza della coeva normativa interna sulla trasparenza) ogni possibile selezione dei soggetti legittimati, operando un esteso riconoscimento del diritto di accesso indipendentemente dalla esistenza e dalla verifica di un qualsivoglia interesse qualificato.

Anche il d.lgs. 39/1997, all’esplicitato fine di “assicurare a chiunque la libertà di accesso alle informazioni relative all’ambiente” (art. 1), appresta, sulla falsariga della disciplina comunitaria, una tutela che è stata opportunamente definita “desoggettivata” [7]. Una tutela, cioè, che prescinde da qualunque limitazione di ordine soggettivo, instaurando una sorta di controllo sociale diffuso sulla qualità del bene ambiente ed affermando un principio di accessibilità generale ed indifferenziata: “le autorità pubbliche sono tenute a rendere disponibili le informazioni relative all’ambiente a chiunque ne faccia richiesta, senza che questi debba dimostrare il proprio interesse” (art. 3).

Non meno significativa risulta la dilatazione dell’accesso, operata dalla citata direttiva, sul versante oggettivo, attraverso l’accoglimento di una nozione di documento ostensibile ben più ampia di quella delineata dall’art. 22 della legge 241/1990.

In particolare l’art. 2, lett. a), della direttiva, riprodotto testualmente dall’art. 2, lett. a), del d. lgs. n. 39/1997, include nella nozione di “informazione relativa all’ambiente” qualsiasi informazione relativa allo stato dei vari settori dell’ambiente ivi menzionati, nonché le attività o le misure che possono pregiudicare o tutelare lo stato dei detti settori, “ivi compresi misure amministrative e programmi di gestione dell’ambiente”. Sul punto la Corte di giustizia delle Comunità europee [8] ha precisato che, liddove la direttiva (art. 2 cit), fa riferimento alle informazioni in merito a “misure che incidono negativamente” sullo stato dell’ambiente, per “misura” si debba intendere non soltanto il provvedimento amministrativo comunemente inteso, ma anche qualsiasi atto ed attività della pubblica amministrazione, che in qualche modo possa pregiudicare lo stato dei settori indicati dalla direttiva stessa.

La descritta portata ampliativa delle innovazioni introdotte dal decreto legislativo in esame trovano pieno riconoscimento nella pronuncia in rassegna, liddove si chiarisce che “Il D.Lgs. 24 febbraio 1997 n. 39, nel suo settore di applicazione, stravolge il sistema comune ampliando sia soggettivamente che oggettivamente l’accesso alle informazioni ambientali, ed introducendo quell’azione popolare che la giurisprudenza aveva negato in relazione alla disciplina contenuta nella L. n. 241/90.

Il legislatore, nel prevedere che il diritto alle informazioni in materia ambientale spetta a chiunque ne faccia richiesta senza che questi debba dimostrare il proprio interesse, ha svincolato l’accesso da una particolare posizione legittimante del richiedente, dando per presupposto, attesa la particolare rilevanza del bene in questione, l’interesse all’informazione sulle condizioni ambientali e consentendo altresì il controllo diffuso su detti beni.

Anche dal punto di vista oggettivo vi è stata un’estensione del diritto di accesso, che non riguarda più soltanto i documenti (anche se estensivamente individuati) ma le “informazioni relative all’ambiente” intese come “qualsiasi informazioni in forma scritta, visiva, sonora o contenuta nelle basi di dati riguardante lo stato delle acque, dell’aria, del suolo, della fauna, della flora, del territorio e degli spazi naturali, nonché le attività, comprese quelle nocive, o le misure che incidono o possono incidere negativamente sulle predette componenti ambientali e le attività o le misure destinate a tutelarle, ivi compresi le misure amministrative e i programmi di gestione dell’ambiente.

Infine, l’art. 4 del D.Lgs. n. 39/97 esclude il diritto all’informazione ambientale quando dalla divulgazione dei dati possa derivare un danno all’ambiente stesso, ovvero in casi tassativamente determinati dalla medesima disposizione; il rifiuto può essere altresì disposto quando la richiesta sia talmente generica da non consentire l’individuazione dei dati da mettere a disposizione”.

Ed infatti, anche la fonte comunitaria derivata prevede limitazioni al principio della libertà di accesso all’informazione ambientale sancito dall’art. 1 della direttiva. Nel VII considerando di detto articolo si sottolinea, infatti, che il rifiuto di dar seguito ad una richiesta di informazione relativa all’ambiente può essere giustificato “in taluni casi specifici e chiaramente definiti”.

L’art. 3, n. 2, della stessa direttiva individua, a tal fine, una serie di interessi, di cui la stessa tende a garantire la tutela, che consentono una deroga all’accesso all’informazione ambientale.

A specificazione della norma comunitaria, quella nazionale precisa all’art. 4, comma 2, che “le informazioni non possono essere sottratte all’accesso se non quando sono suscettibili di produrre un pregiudizio concreto ed attuale agli interessi indicati al comma 1” (che sono poi sostanzialmente gli stessi di cui all’art. 3, n.2 della direttiva e cioè: riservatezza delle deliberazioni, relazioni internazionali, difesa nazionale, ordine e sicurezza pubblica, questioni che sono in discussione o sotto inchiesta od oggetto di azione investigativa preliminare, riservatezza commerciale ed industriale, riservatezza dei dati o schedari personali, materiale fornito da terzi).

La giurisprudenza, in sede di interpretazione dell’art. 4, comma 2, cit., ha chiarito che gli interessi a presidio dei quali è posta la limitazione in esame sono interessi ben diversi da quello ambientale. Viene, dunque, in considerazione, a tali fini, non già il “pregiudizio concreto ed attuale all’ambiente”, ma gli interessi dianzi specificati (cioè quelli indicati dal comma 1 dell’art. 4 cit.). Pertanto, ove l’accesso alle informazioni ambientali possa “produrre un pregiudizio concreto e attuale” ad uno o più di detti interessi, le informazioni in questione potranno legittimamente essere sottratte all’accesso, con la puntuale indicazione, in sede di diniego, dell’interesse che tale limitazione giustifichi e del pregiudizio allo stesso paventato per effetto della divulgazione [9].

In conclusione, nel volgere di poco più di un decennio il legislatore italiano - guidato dalla elaborazione della giurisprudenza più evoluta ed incalzato dal legislatore comunitario - ha predisposto ed affinato strumenti sempre più penetranti di accesso alle informazioni sull’ambiente (ampliando progressivamente il novero dei soggetti legittimati al loro utilizzo) allo specifico, inequivoco scopo di favorire una sorta di controllo sociale diffuso sulla qualità del bene ambiente.

Vi è da auspicare, peraltro, che all’evoluzione del quadro normativo si accompagni una contestuale presa di coscienza dell’Amministrazione sulla centralità della questione ambientale e sulla conseguente ineludibilità di innovazioni organizzative ed operative idonee ad adeguare alle mutate esigenze il ruolo delle pubbliche Autorità.

Esigenza già da tempo rilevata e sottolineata anche dalla dottrina e dalla giurisprudenza, convergenti nel rimarcare la necessità “che la pubblica amministrazione si adoperi nello sviluppo di una nuova cultura dell’amministrare che sia in grado di soddisfare le nuove esigenze e le richieste dei cittadini, superando l’inefficienza e l’eccessiva burocratizzazione dei servizi e organizzando in maniera più adatta e funzionale la propria struttura. Ciò al fine di rendere concretamente applicabile un fondamentale diritto rimasto fino ad ora prevalentemente disatteso, quale quello dell’accesso alle informazioni ambientali” [10].

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[1] Si veda sul punto DELL’ANNO P., Manuale di diritto ambientale, CEDAM, 2000.
 

[2] Cfr. DELL’ANNO P., op. cit.
 

[3] Si vedano M. LIBERTINI, Il diritto all’informazione in materia ambientale, in Rivista Critica del Diritto Privato, 1989, 640; U. SALANITRO, Il diritto all’informazione in materia ambientale alla luce della recente normativa sull’accesso ai documenti della Pubblica Amministrazione, in Riv. Giur. Ambiente, 1992; T.E.FROSINI, Sul nuovo diritto all’informazione ambientale, in Giurisprudenza Costituzionale, 1992.

[4] In tal senso cfr. MORANDI G., Informazione ambientale e accessori documenti amministrativi, in Riv. giur. ambiente, 1992; BORGONOVO RE D., L’accesso ai documenti amministrativi, Il Mulino, Bologna, 1991.

[5] Come osserva CASSANO G., in Diritto d’accesso ai documenti amministrativi o richiesta surrettizia? - note a margine di Cons. St., Sez. VI, 19.1.2001, n. 191, in Giust.it, anno V, n. 5/2001, “L’impostazione normativa presenta un’ampia articolazione del concetto di documento che, tuttavia, parte della dottrina tende a restringere rispetto al concetto generale di documento, dovendosi pur sempre «trattare di un documento amministrativo (formato o in formazione che sia, ma in ogni caso individuato o individuabile in sé stesso e, comunque, “amministrativo”); non potendo essere considerata tutelabile alcuna richiesta di accesso che abbia per oggetto non tanto un documento, quanto la promozione di un’attività di tipo ricognitivo della p.a., com’è il tentativo di acquisire informazioni a seguito di una specifica indagine dell’Amministrazione e non documenti già formati»”.

[6] “Al fine di rendere effettiva la partecipazione dei cittadini all'attività dell'amministrazione, gli enti locali assicurano l'accesso alle strutture ed ai servizi agli enti, alle organizzazioni di volontariato e alle associazioni”.

[7] Cfr. TAR Lombardia, Brescia, 30 aprile 1999, n. 397.

[8] Corte Giustizia delle Comunità Europee, sez. VI, 17.6.1998 (causa 321/96).

[9] Cfr. TAR Lombardia n. 397/1999 cit.

[10] LANDI G., in Riv. giur. ambiente, 1999, 355 e ss. - commento a TAR Lombardia n. 397/1999 cit.


 

 

M A S S I M E

 

Sentenza per esteso

 

1) I principi generali in materia di diritto di accesso - il requisito della personalità dell’interesse che legittima l’accesso - il diritto alle informazioni in materia ambientale. I principi generali in materia di diritto di accesso ed in particolare il requisito della personalità dell’interesse che legittima l’accesso non sono applicabili nel caso di accesso alle informazioni in materia di ambiente, materia questa disciplinata dalla normativa speciale, di origine comunitaria, prevista dal D.Lgs. 24 febbraio 1997, n. 39. Il legislatore, infatti, nel prevedere che il diritto alle informazioni in materia ambientale spetta a chiunque ne faccia richiesta senza che questi debba dimostrare il proprio interesse, ha svincolato l’accesso da una particolare posizione legittimante del richiedente, dando per presupposto, attesa la particolare rilevanza del bene in questione, l’interesse all’informazione sulle condizioni ambientali e consentendo altresì il controllo diffuso su detti beni. TAR LAZIO, SEZ. III TER - Sentenza 15 gennaio 2003 n. 126

2) Gli ordini professionali sono legittimati ad impugnare in sede giurisdizionale gli atti lesivi non solo della sfera giuridica dell’ente come soggetto di diritto, ma anche gli interessi di categoria dei soggetti appartenenti all’ordine, di cui l’ente ha la rappresentanza istituzionale. Secondo il costante orientamento giurisprudenziale, gli ordini professionali sono legittimati ad impugnare in sede giurisdizionale gli atti lesivi non solo della sfera giuridica dell’ente come soggetto di diritto, ma anche gli interessi di categoria dei soggetti appartenenti all’ordine, di cui l’ente ha la rappresentanza istituzionale (T.A.R. Marche 11/2/2000 n. 167; C.d.S. Sez. VI 15/4/99 n. 471; C.d.S. Sez. V 7/3/01 n. 1339; ecc.); essi, infatti, per la loro peculiare posizione esponenziale nell’ambito della rispettiva categoria e per le funzioni di autogoverno della categoria stessa, costituiscono enti che, pur se su base associativa e volontaristica, sono istituzionalmente preordinati a curare gli interessi giuridici ed economici della categoria obiettivamente ed unitariamente considerata (così T.A.R. Sicilia Sez. I Catania 1/8/95 n. 1982) e vantano pertanto una posizione legittimante quando contestino la legittimità di un atto amministrativo suscettibile di recare danno ad un interesse generale della categoria rappresentata, comprimendo arbitrariamente la sfera delle attribuzioni professionali o, comunque, incidendo negativamente sulla stessa (T.A.R. Calabria Sez. Catanzaro 29/10/97 n. 627). TAR LAZIO, SEZ. III TER - Sentenza 15 gennaio 2003 n. 126

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