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Legislazione  Giurisprudenza                                                      Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso


 

 Massime della sentenza

 

 

T.A.R. LAZIO, SEZ. II BIS – Sentenza 22 luglio 2003 n. 6570

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione seconda Bis, ANNO 2003 composto da:

Pres. Giulia, Est. De Michele - Porto Torre s.p.a. ed altri (Avv. G. Lavitola) c. Comune di Roma (Avv.ra comunale)


(omissis)


per l'annullamento
della delibera di G.M. n. 1190/97 e delle note nn. Prot. 21376/97 e 21377/97 dell’Ufficio concessioni edilizie del Comune di Roma, e di ogni atto precedente, fra cui le ulteriori note del medesimo ufficio nn. 12663/97 e 12664/97, nonché dell’atto del Dipartimento VI° - Ufficio Concessioni edilizie in data 7.7.1997 , concernenti il pagamento di contributi concessori ex art. 3 L. n. 10/77;
e per l’accertamento
del diritto delle ricorrenti all’applicazione dell’art. 16 della legge n. 10/77, relativo a fattispecie di esonero dal pagamento dei contributi anzidetti;


(omissis)

FATTO


Torna all’esame del Collegio il ricorso n. 9805/97, notificato il 16.7.1997, già oggetto di sentenza parziale n. 1100/99 e di successiva sentenza interlocutoria n. 8986/02.


Attraverso tale ricorso era stato sollevato un duplice ordine di problemi, con riferimento agli oneri concessori corrisposti dalle società costruttrici per un complesso immobiliare, realizzato in zona M1 (destinata dal P.R.G. a servizi pubblici o gestiti da enti pubblici): per l’edificazione in tale zona le citate società sostenevano, in via principale, la gratuità del titolo concessorio, ai sensi dell’art. 9, lettera f) della legge n. 10/77; in via subordinata, erano poi contestate le modalità di determinazione e di calcolo del contributo, richiesto dal Comune ed effettivamente pagato dalle società concessionarie (senza che il pagamento costituisse rinuncia, da parte delle medesime, alla tutela delle proprie ragioni in via giudiziale).


In esito al giudizio instaurato, con sentenza parziale n. 1100/99 del 9.4.1999 (successivamente confermata con sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, 2.12.02, n. 6618) questo Tribunale respingeva la domanda formulata in via principale, negando che le ricorrenti avessero titolo all’applicazione del citato art. 9, lettera f) della legge n. 10/77; per quanto riguarda, invece, l’ammontare dei contributi in questione, nonché la possibilità di scomputo delle opere di urbanizzazione direttamente eseguite, veniva disposto un accertamento in contraddittorio fra le parti in causa, anche assistite da tecnici di fiducia, al fine di verificare – attraverso la relazione conclusiva – i criteri vigenti ed in concreto adottati per il calcolo dei contributi stessi, nonchè per la determinazione delle somme scomputabili dall’ammontare complessivo.


La predetta relazione veniva redatta in data 7.12.2000, senza tuttavia che emergessero posizioni realmente chiarificatrici e convergenti: in base alle diverse valutazioni effettuate, infatti, il Comune ribadiva l’esattezza del computo dei contributi di cui trattasi, nella misura già corrisposta dalle società ricorrenti, mentre queste ultime notificavano alla controparte, in data 22.11.2001, motivi aggiunti di gravame, per contestare ulteriori ragioni di illegittimità del computo stesso, anche sulla base degli accertamenti condotti nell’ambito dell’istruttoria, disposta da questo Tribunale.


Attraverso i predetti motivi aggiunti di gravame si formulavano le seguenti contestazioni:


violazione dei principi in materia di indici edilizi; violazione del D.M. n. 1444/68 e della legge della Regione Lazio n. 35/77, nonché delle delibere consiliari nn. 390/91 e 3612/80; violazione dell’art. 14 delle N.T.A. al P.R.G. del Comune di Roma sulle zone M, in quanto l’indice indicato per le predette zone avrebbe carattere territoriale e non fondiario, con conseguente erronea applicazione – nella fattispecie – della maggiore aliquota prevista appunto per l’indice fondiario;


violazione e falsa applicazione della legge della Regione Lazio n. 71/80 e della delibera consiliare n. 3612/80; travisamento dei fatti ed erroneità dei presupposti, in quanto l’area di cui trattasi dovrebbe essere considerata di tipo "C2" e non – come avvenuto – di tipo "C1", tenuto conto del livello di edificazione della zona e del conseguente parametro correttivo.


In tale situazione, con ulteriore sentenza interlocutoria (n. 8986/02 del 22.10.2002) veniva disposta consulenza tecnica d’ufficio, al fine di verificare i seguenti dati:


carattere territoriale o fondiario dell’indice di edificabilità, in base al quale doveva essere determinato il contributo per gli oneri di urbanizzazione, nei termini esposti al punto 1.A) della citata relazione in data 7.12.2000, tenuto conto sia delle contestazioni delle ricorrenti (riportate dal tecnico del Comune e reiterate attraverso il primo motivo aggiunto di gravame), sia delle concrete modalità di edificazione, assentite nel caso di specie ed in genere riscontrabili nell’area interessata, sotto il profilo volumetrico;


congruità dell’applicazione, nella fattispecie, del parametro corrispondente alla zona omogenea C1, propria delle zone M2 inedificate, in relazione allo stato dei luoghi;


ricalcolo conclusivo del contributo di concessione, sulla base dei parametri individuati nei precedenti punti a) e b) e delle conclusioni esposte nella relazione tecnica in data 7.12.2000, in materia di scomputo delle opere di urbanizzazione.


Il C.T.U. designato – ing. Claudio dello Vicario – ha depositato la propria relazione conclusiva in data 4 marzo 2003 e sulla base della medesima, nonché delle opposte argomentazioni al riguardo prospettate dalle parti, la causa è stata trattenuta in decisione.


DIRITTO


La prima questione, sottoposta all’esame del Collegio, concerne il carattere territoriale o fondiario dell’indice di edificabilità delle zone M2, discendendo direttamente anche da tale circostanza l’importo degli oneri concessori contestati: la tabella B allegata alla delibera consiliare n. 390/91, infatti, prevede due diverse aliquote per il calcolo del contributo di urbanizzazione, con un maggiore importo in caso di indice fondiario.


Detto maggiore importo è stato, appunto, preso come base per il conteggio effettuato nel caso di specie, ad avviso delle parti ricorrenti illegittimamente, in quanto per l’area che qui interessa il P.R.G. fisserebbe un indice di fabbricabilità territoriale.


Tale assunto è stato confermato dal C.T.U., che al riguardo afferma testualmente: "la normativa di riferimento presa in esame conduce correttamente alla determinazione che il contributo da calcolarsi per gli oneri di urbanizzazione debba riferirsi al carattere territoriale della ZTO in oggetto, poiché lo stesso è prioritariamente definito nelle NTA del PRG del Comune di Roma, ma anche perché i criteri urbanistici individuati dalle norme di interesse localistico individuano la tipologia dell’intervento, condotto dalle società concessionarie, secondo un criterio di incidenza territoriale; ciò appare confermato dalle caratteristiche e dalle dimensioni della parte del territorio su cui si interviene, che richiede espressamente la progettazione e la realizzazione di tutte le opere riferibili agli standards urbanistici, di cui al D.M. 1444/68…".


Il Comune di Roma contesta le conclusioni sopra riportate, in quanto la relazione del C.T.U. non conterrebbe "alcuna considerazione urbanistica, circa il carattere territoriale o fondiario dell’area in questione, né alcuna considerazione e/o riflessione, circa l’interpretazione fornita dall’Amministrazione comunale …per l’applicazione dell’indice fondiario in luogo dell’indice territoriale, in ragione della particolarità del caso in esame".


In particolare non si comprenderebbe – secondo il medesimo comune resistente – perché il C.T.U. "dopo avere fatto riferimento al carattere territoriale dell’area oggetto dell’intervento…e quindi alla necessità del rispetto degli standards urbanistici previsti dal D.M. 1444/68 non arrivi alla conclusione prescritta dal D.M. 1444/68 e cioè alla cessione gratuita all’Amministrazione comunale degli spazi pubblici, in ragione di non meno di 0,8 mq. di superficie lorda di pavimenti di edifici previsti escluse le sedi viarie, nel nostro caso pari a circa 85.000 mq. e quindi pari a circa la metà dell’area oggetto dell’intervento".


Sempre secondo la difesa comunale - che allega al riguardo una propria relazione tecnica - avrebbe senso "considerare il territorio, costituito dal fondo (area privata asservita alla costruzione) e dalle aree pubbliche (parcheggi e verde oltre alle sedi viarie) solo nel caso di cessione degli spazi pubblici; in caso contrario, il territorio coinciderebbe con il fondo e risulterebbe coerente la scelta dell’Amministrazione di considerare applicabile l’indice fondiario in luogo di quello territoriale"; in altre parole, l’Amministrazione ritiene che sia corretto imporre la più alta aliquota, prevista in correlazione all’indice fondiario, oppure ritenere "parte ricorrente …debitrice nei confronti del Comune di Roma della cessione di circa 85.000 mq. di area per standards oltre alle aree per la viabilità", essendo solo nella seconda ipotesi applicabile l’indice territoriale ed il correlativo costo.


Il Collegio non condivide le prospettazioni comunali sopra sintetizzate, in quanto introduttive di parametri che non appaiono consoni ai principi urbanistici, rilevanti nel caso di specie.


La situazione sottoposta all’esame del Collegio stesso, infatti, investe non la legittimità della volumetria in concreto assentita, ma l’entità del contributo di concessione richiesto, in base alla normativa, anche regolamentare, al riguardo applicabile.


Tale normativa, ovviamente, non può che avere carattere generale ed astratto, implicando la determinazione degli oneri finanziari, cui per legge è assoggettato l’esercizio dello ius aedificandi del privato proprietario dei suoli.


Deve essere individuato, quindi, un coefficiente uguale per tutti i cittadini, che in una certa area intendono esercitare il predetto diritto; nel caso di specie, tale coefficiente è stato individuato in misura proporzionale all’indice di fabbricabilità, con aliquote differenziate a seconda delle previsioni del piano regolatore: ove l’indice dal medesimo piano deducibile sia fondiario, l’aliquota risulta più alta, rispetto a quella corrispondente all’indice di edificabilità territoriale.


La ragione di tale diversità appare intuitiva, quando si rifletta sulla diversa natura degli indici in questione: il primo, per così dire, netto, ovvero "depurato" delle aree da destinare ad infrastrutture indispensabili, a norma del citato D.M. n. 1444/68; il secondo indice (quello territoriale), comprensivo di dette aree, di modo che l’edificabilità effettiva sul singolo lotto risulta maggiore, in termini di rapporto mc/mq.


In altri termini, il maggior onere imposto per l’indice fondiario è più apparente che reale, in quanto – ove l’indice sia territoriale – il privato può in concreto realizzare cubature superiori nel singolo lotto edificabile: a livello di territorio, dunque, l’Amministrazione dovrebbe avere introiti che, nelle due ipotesi, praticamente si equivalgono, ove l’intera cubatura ammissibile venga utilizzata.


Quanto sopra, va ribadito, a livello appunto di programmazione territoriale, fermo restando che gli oneri da applicare a chiunque ottenga la concessione edilizia in una zona territoriale omogenea dovranno applicarsi gli stessi parametri.


Nella zona che qui interessa il C.T.U. ha individuato il carattere territoriale dell’indice di fabbricabilità, senza che l’Amministrazione fornisca adeguate controdeduzioni al riguardo: per le ragioni appena illustrate, infatti, ove l’indice sia territoriale non può che applicarsi la relativa aliquota per il calcolo dei contributi di concessione, senza alcun irrituale obbligo di cessione di aree, da destinare a standards urbanistici (pur essendo tale cessione possibile a scomputo totale o parziale di oneri, comunque uguali per tutti i concessionari).


Per la zona che qui interessa (zona "M" di P.R.G.), l’art. 14 N.T.A. pone un indice di 2mc/mq, ma con una distribuzione – o, per meglio dire, una possibile concentrazione di volumi – "tale da consentire…la realizzazione di spazi pubblici o vincolati ad uso pubblico": una definizione che, in effetti, appare coincidente con la nozione di indice territoriale e che in tal senso è stata interpretata dal citato C.T.U., le cui conclusioni al riguardo sono condivise dal Collegio.


Il medesimo C.T.U., d’altra parte, non omette di fare rinvio ad ulteriori precisi presupposti normativi, posti a base delle proprie valutazioni: in primo luogo l’art. 5 della legge della Regione Lazio n. 35/77, che prescrive l’individuazione del costo base di urbanizzazione riferito alle singole zone – per i Comuni dotati di strumento urbanistico – in relazione alla densità territoriale stabilita per ciascuna di esse; in mancanza della densità territoriale è previsto che si prendano in considerazione gli indici di fabbricabilità territoriale e solo in mancanza di questi ultimi quelli di densità fondiaria.


Per quanto qui interessa, non risulta contestato che, di norma, l’indice di densità territoriale sia quello contenuto nel P.R.G. del Comune di Roma e che a tale indice si debba, quindi, fare riferimento.


Coerentemente, con ordine di servizio n. 15 del 24.9.1977, il Comune di Roma ha stabilito che il valore del costo di urbanizzazione sia prescelto "in relazione all’indice di densità territoriale, stabilito per ciascuna zona di P.R.G. e dei suoi strumenti di attuazione" e che "in mancanza di tali indici" si faccia riferimento all’indice di fabbricabilità territoriale ovvero – quando anche quest’ultimo manchi – all’indice di fabbricabilità fondiario.


Sul punto in questione, pertanto, le argomentazioni difensive della parte ricorrente appaiono fondate.


Non condivisibili risultano invece le ulteriori argomentazioni, con cui la medesima parte contesta, in via principale, l’"an debeatur", sotto il profilo della possibilità di applicazione analogica del contributo, previsto per le zone M2, di fronte ad un intervento di tipo M1 (opere destinate a servizi pubblici o gestiti da enti pubblici); ove tale assimilazione risulti ammissibile, poi, la medesima ricorrente ritiene che l’area di cui trattasi dovrebbe essere considerata di tipo "C/2" e non – come nella fattispecie avvenuto – di tipo "C1", ricadendo le zone "M" nelle aree omogenee di tipo "C", a loro volta suddivise in zone C/1 e C/2: le prime, comprendenti zone del territorio destinate a nuovi complessi insediativi, che risultino inedificate, le seconde individuate come porzioni territoriali – sempre destinate a nuovi complessi insediativi – che risultino già parzialmente edificate, ma nelle quali l’edificazione preesistente non raggiunga i limiti di superficie e densità, stabiliti dal D.I. 2.4.1968, n. 1444 per la classificazione come zone omogenee "B"; solo per queste ultime è prevista una diminuzione delle somme dovute a titolo di tributo, diminuzione cui le ricorrenti ritengono di avere titolo.


In rapporto a quanto sopra, va in primo luogo chiarito che l’assenza di parametri per l’individuazione degli oneri concessori, specificamente inerenti le aree classificate M1, non impedisce di ricorrere ai criteri, dettati per le zone territoriali omogenee che dette aree ricomprendano, e che si riferiscano ad edificazioni dello stesso tipo, di quelle nella fattispecie realizzate.


Non va dimenticato, infatti, che l’assenza di parametri specifici per le aree M1 dipende dal carattere normalmente gratuito delle concessioni edilizie in tali aree rilasciate, sulla base di presupposti ritenuti – con la ricordata sentenza parziale di questo Tribunale n. 1100/99 – non ravvisabili nella situazione in esame, mentre discendono direttamente dalla legge n. 10/77 i presupposti impositivi, corrispondenti in via generale alla onerosità della concessione edilizia.


Deve quindi ritenersi legittima, ad avviso del Collegio, l’applicazione di parametri, che solo impropriamente possono definirsi analogici (in quanto riguardano in senso lato le aree classificate "M"), e che sono già stati applicati dal Comune di Roma alle zone "M1", in occasione di fattispecie di condono edilizio (ovvero in situazioni eccezionali in cui - come nel caso di cui si discute - l’intervento edificatorio risultava effettuato da soggetti, non beneficiari del titolo concessorio gratuito).


Non appaiono condivisibili le contestazioni, al riguardo sollevate dalle parti resistenti, secondo le quali sarebbe stata applicata una prassi, "dedotta da una disposizione interna specificamente volta ad altri fini" (ordine di servizio n. 6/86, avente ad oggetto le modalità applicative dell’art. 13 L. n. 47/85): ad avviso del Collegio, infatti, detta disposizione interna non fa altro che recepire correttamente un presupposto impositivo dettato dalla legge, facendo ulteriore ricorso a norme regolamentari, applicabili al contesto territoriale e quindi anche alle specifiche aree di cui si discute.


Quanto alla contestazione subordinata (applicabilità dei più favorevoli parametri delle zone C2, parzialmente edificate), il Collegio stesso ritiene di dover recepire le conclusioni del C.T.U., che ritiene viceversa applicabili i parametri della zona omogenea C1, dovendosi fare riferimento – per la fissazione dei parametri stessi – alla data di rilascio della concessione ed essendo in tale data l’area di cui trattasi "di fatto inedificata", in quanto interessata "solo occasionalmente e marginalmente … da opere di urbanizzazione, realizzate dal Consorzio Golf Parco dei Medici".


Non meritano accoglimento le controdeduzioni delle parti ricorrenti, che non contestano il dato fattuale, ma rilevano l’avvenuto calcolo dei contributi in un momento successivo, rispetto alla data di rilascio della concessione: tale dato, evidentemente, non modifica la "ratio" della maggiore contribuzione, richiesta a chi vada a trasformare una porzione di territorio meno fornita di infrastrutture (infrastrutture, alla cui predisposizione il concessionario è chiamato a contribuire – evidentemente – in misura proporzionale agli oneri indotti dal proprio intervento, a prescindere dalla data in cui il calcolo venga effettuato).


Resta da definire lo scomputo delle opere di urbanizzazione, richiesto dalle medesime ricorrenti e contestato dal Comune.


Anche sotto quest’ultimo profilo, appaiono corrette le conclusioni del C.T.U., che ricorda la regola generale, secondo cui il soggetto interessato può – previa convenzione con il Comune (ovvero – come prescrive l’art. 11, comma 1 della legge 28.1.77, n. 10, ora sostituito dall’art. 16 del T.U., emanato con D.P.R. n. 380/2001 – "con le modalità e le garanzie stabilite dal Comune") – realizzare in tutto o in parte le opere di urbanizzazione, sia primarie che secondarie, a scomputo dei relativi oneri; quando anche, tuttavia, modalità e garanzie non siano state previamente concordate con il Comune stesso, la prevalente giurisprudenza ritiene che il concessionario abbia diritto allo scomputo, previa valutazione comunale della entità e della effettiva utilizzazione delle opere realizzate, ovvero della idoneità delle medesime a soddisfare le necessità del nuovo insediamento (in tal senso cfr. Cons. St., sez. V, 26.6.94, n. 716; Cons. St., sez. IV, 7.6.77, n. 578; Cons. Giust. Amm. Sic., 30.6.95, n. 245; TAR Calabria, Catanzaro, 24.7.97, n. 526 e 24.10.96, n. 797; TAR Toscana, 21.10.85, n. 849; TAR Lombardia, Milano,2.10.82, n. 924).


Il diritto sopra enunciato, dunque, non implica una pretesa indiscriminata allo scomputo del valore di qualsiasi opera di urbanizzazione, volontariamente eseguita dal concessionario al di fuori di un preventivo accordo con il Comune, ma esclude che il medesimo Comune possa – senza adeguata motivazione e con oggettivo, indebito arricchimento – porre a servizio della collettività e dello stesso concessionario opere da ques’ultimo eseguite, senza che il relativo valore venga scomputato dalla prestazione patrimoniale imposta, di tipo causale - ovvero, finalizzata appunto alla predisposizione di infrastrutture - corrispondente agli oneri di urbanizzazione (cfr., per il principio, Cons. St., sez. V, n. 716/94 cit. e 29.9.99, n. 1209; TAR Emilia Romagna, Parma, 7.4.98, n. 149 e TAR E.R., Bologna, 13.11.86, n. 597; TAR Veneto, 26.6.93, n. 522; TAR Lombardia, Milano, 20.5.98, n. 1036; TAR Marche, 28.4.95, n. 182).


Nel caso di specie, il Comune resistente sostiene la non scomputabilità, ai fini di cui trattasi, di opere "non comprese nell’atto d’obbligo del 1985…prive di qualsivoglia giustificazione contabile, prive di computo dettagliato, ma stimate solo in modo forfetario ed in parte realizzate secondo standard non accettabili dall’Amministrazione comunale"; il medesimo Comune, inoltre, afferma di non comprendere come possano scomputarsi opere "che insistono su aree che rimangono di proprietà privata, di cui non è prevista la cessione e che non sono state richieste dall’Amministrazione".


Il C.T.U. incaricato, invece, effettua un ricalcalo conclusivo degli oneri dovuti, scomputando una serie di opere di urbanizzazione.


In realtà, tenuto conto dei principi in precedenza esposti, nessuna delle posizioni sopra sintetizzate appare pienamente condivisibile; in una situazione come quella nella fattispecie verificatasi, infatti, a fronte di una concessione ritenuta originariamente gratuita, appare comprensibile che l’esecuzione di opere di urbanizzazione sia avvenuta con modalità peculiari e non integralmente concordate; non può ritenersi significativa, inoltre, la circostanza che le aree, interessate da dette opere, non siano state cedute al Comune, essendo la cessione gratuita una modalità possibile, ma non obbligata – ed anzi nemmeno prevista dal citato art. 11 L. n. 10/77 – ai fini dello scomputo degli oneri (cfr. in tal senso Cass., sez. I civile, 9.6.93, n. 6433).


Il diritto allo scomputo, per le opere realizzate dalle società concessionarie in relazione all’intervento di cui trattasi ed effettivamente poste a servizio del territorio, dunque, deve essere riconosciuto.


In assenza di motivata valutazione dell’Amministrazione, circa l’effettiva utilizzabilità e rilevanza delle opere in questione, in rapporto all’entità ed alla qualità degli insediamenti, tuttavia, una esatta quantificazione degli oneri deducibili non può essere effettuata, di modo che – ad avviso del Collegio – l’accertamento del diritto non può andare oltre i termini sopra specificati, con correlativa declaratoria dell’obbligo dell’Amministrazione di provvedere al ricalcolo del contributo di concessione di cui trattasi, con le modalità indicate nell’ambito della presente pronuncia.


Non possono sostituire le necessarie valutazioni degli organi competenti, d’altra parte, le considerazioni difensive esposte dall’Amministrazione (benché avallate dall’ufficio tecnico del Comune, peraltro con argomentazioni non condivisibili, sotto i profili in precedenza indicati).


Nei limiti sopra esposti, quindi, il ricorso può essere accolto, per la parte non già decisa con sentenza parziale n. 1100/99 del 9.4.1999 e con le conseguenze specificate nel dispositivo.


Quanto alle spese giudiziali, il Collegio ne ritiene equa la compensazione, mentre gli esiti della consulenza tecnica d’ufficio inducono a porre a carico del Comune di Roma il relativo onere, per la cui determinazione – rispetto al compenso richiesto dal C.T.U. di €. 14.776,19 – il Collegio stesso ritiene che possa essere applicato il potere riduttivo, da riconoscere in applicazione estensiva del principio, di cui all’art. 62 del R.D.23.10.1925, n. 2357, da intendersi riferito ai compensi di ingegneri ed architetti, non solo "impiegati di una pubblica amministrazione dello Stato, delle Province o dei Comuni", ma anche comunque investiti di una funzione pubblicistica (cfr., per il principio, Cons. St., sez. V, ordinanza 10.3.99, n. 226; Corte dei Conti, sez. contr. 5.12.85, det. n. 1607; cfr. inoltre, per la linea di indirizzo da adottare, la legge 8.7.1980, n. 319, sui compensi spettanti ai periti, ai consulenti tecnici, interpreti e traduttori per le operazioni eseguite a richiesta dell’Autorità Giudiziaria); nel caso in esame, detto coefficiente riduttivo viene individuato nella misura del 10%, tenuto conto della complessità delle valutazioni richieste, con conseguente liquidazione di un compenso pari a €. 13.298,57, con onere a carico della parte parzialmente soccombente.


P.Q.M.


Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, (Sez. II bis) ACCOGLIE in parte, nei termini di cui in motivazione, il ricorso n. 9805/97, specificato in epigrafe e, per l’effetto, ANNULLA gli atti specificati in epigrafe, limitatamente alla quantificazione del contributo di concessione dovuto; DICHIARA il diritto delle ricorrenti al ricalcalo del contributo stesso, nei modi pure specificati in motivazione; COMPENSA le spese giudiziali; LIQUIDA il compenso del C.T.U., ing. Claudio dello Vicario, nella misura di €. 13.298.57 (Euro tredicimiladuecentonovantotto/57), con onere a carico del Comune di Roma.


Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.


Così deciso in Roma, nelle Camere di Consiglio in data 8 maggio e 5 giugno 2003 con l'intervento dei Magistrati:
Presidente Patrizio Giulia
Consigliere Evasio Speranza
Consigliere est. Gabriella De Michele


Depositata in segreteria in data 22 luglio 2003.

 

M A S S I M E

 

Sentenza per esteso

 

1) Urbanistica - oneri concessori - concessione edilizia - scomputo delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria realizzate dal concessionario - possibilità per il comune di avvalersi senza motivazione di opere non scomputate - non sussiste - indebito arricchimento. Il diritto del titolare della concessione edilizia di realizzare in tutto o in parte le opere di urbanizzazione, sia primarie che secondarie, a scomputo dei relativi oneri, non implica una pretesa indiscriminata allo scomputo del valore di qualsiasi opera di urbanizzazione, volontariamente eseguita dal concessionario al di fuori di un preventivo accordo con il Comune, ma esclude che il medesimo Comune possa – senza adeguata motivazione e con oggettivo, indebito arricchimento – porre a servizio della collettività e dello stesso concessionario opere da ques’ultimo eseguite, senza che il relativo valore venga scomputato dalla prestazione patrimoniale imposta, di tipo causale - ovvero, finalizzata appunto alla predisposizione di infrastrutture - corrispondente agli oneri di urbanizzazione (cfr., per il principio, Cons. St., sez. V, n. 716/94 cit. e 29.9.99, n. 1209; TAR Emilia Romagna, Parma, 7.4.98, n. 149 e TAR E.R., Bologna, 13.11.86, n. 597; TAR Veneto, 26.6.93, n. 522; TAR Lombardia, Milano, 20.5.98, n. 1036; TAR Marche, 28.4.95, n. 182). TAR LAZIO, SEZ. II BIS – Sentenza 22 luglio 2003 n. 6570

2) Liquidazione delle spese giudiziali - spese della consulenza tecnica d’ufficio - compensi spettanti al c.t.u. - potere del g.a. di ridurli - sussiste - compensi di ingegneri ed architetti impiegati di una pubblica amministrazione dello Stato - coefficiente riduttivo del 10%. In sede di liquidazione delle spese giudiziali e relative spese della consulenza tecnica d’ufficio, il Collegio ne ritiene equa la compensazione delle prime, mentre gli esiti della consulenza tecnica d’ufficio inducono a porre a carico del Comune di Roma il relativo onere, per la cui determinazione - rispetto al compenso richiesto dal C.T.U. - il Collegio stesso ritiene che possa essere applicato il potere riduttivo, da riconoscere in applicazione estensiva del principio, di cui all’art. 62 del R.D.23.10.1925, n. 2357, da intendersi riferito ai compensi di ingegneri ed architetti, non solo "impiegati di una pubblica amministrazione dello Stato, delle Province o dei Comuni", ma anche comunque investiti di una funzione pubblicistica (cfr., per il principio, Cons. St., sez. V, ordinanza 10.3.99, n. 226; Corte dei Conti, sez. contr. 5.12.85, det. n. 1607; cfr. inoltre, per la linea di indirizzo da adottare, la legge 8.7.1980, n. 319, sui compensi spettanti ai periti, ai consulenti tecnici, interpreti e traduttori per le operazioni eseguite a richiesta dell’Autorità Giudiziaria); nel caso in esame, detto coefficiente riduttivo viene individuato nella misura del 10%, tenuto conto della complessità delle valutazioni richieste, con onere a carico della parte parzialmente soccombente. TAR LAZIO, SEZ. II BIS – Sentenza 22 luglio 2003 n. 6570

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