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 Massime della sentenza

 

 

T.A.R. Umbria, sentenza 10 gennaio 2003, n. 15

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

T.A.R. Umbria, sentenza 10 gennaio 2003, n. 15


PIER GIORGIO LIGNANI Presidente, relatore  CARLO LUIGI CARDONI Cons. PIERFRANCESCO UNGARI Cons.

 

omissis

SENTENZA


nella Camera di Consiglio del 08 Gennaio 2003
Visto il ricorso 5/2003 proposto da U.G. e C.R. rappresentato e difeso da P.P. con domicilio eletto in ...
contro
COMUNE DI GUBBIO rappresentato e difeso da M.M. con domicilio eletto in ... e nei confronti di DIRIGENTE UFFICIO CONTROLLO ATTIVITA' EDILIZIA
per l'annullamento, previa sospensione dell'esecuzione, della determinazione dirigenziale del 24 ottobre 2002, con la quale si ordinava ai ricorrenti, la demolizione nel termine di giorni 90 dalla notificazione delle opere site su area agricola EC distinta al catasto Foglio 164 e particella 710, realizzate in difformità dalla concessione edilizia n. 8 del 10 gennaio 1996, nonché di ogni altro atto e/o provvedimento presupposto, precedente, connesso, conseguente e/o collegato.
Visti gli atti e i documenti depositati con il ricorso;
Vista la domanda di sospensione della esecuzione del provvedimento impugnato, presentata in via incidentale dal ricorrente;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di: COMUNE DI GUBBIO;
Udito il relatore Pres. PIER GIORGIO LIGNANI e udite le parti come da verbale.
Visti gli artt. 19 e 21 della Legge 6 dicembre 1971, n. 1034, e l'art. 36 del R.D. 17 agosto 1907, n. 642;
Ritenuto di poter definire immediatamente la controversia, come previsto dall’art. 26 della legge n. 1034/71, nel testo modificato dalla legge n. 205/2000;


RITENUTO:


1. Con l'ordinanza impugnata (n. 8585 prot. 36366 in data 24 ottobre 2002) il Comune di Gubbio ha ordinato ai signori G.U. e R.C. demolizione di un fabbricato abusivo, da eseguire entro il termine di novanta giorni dalla notifica dell'ordinanza stessa. Ha inoltre identificato, anche mediante il riferimento alla planimetria allegata all'ordinanza, le dimensioni, la posizione ed i confini dell'area che in caso d'inottemperanza sarà acquisita "ope legis" al patrimonio comunale, ai sensi dell'art. 7 della legge n. 47 del 1985.


L'ordinanza fa seguito ad un complesso procedimento, iniziato con un verbale di constatazione in data 28 febbraio 1996, e proseguito con un'ordinanza di sospensione lavori (2 marzo 1996), una prima ordinanza di demolizione (2 maggio 1996), un verbale di accertamento dell'inottemperanza (7 agosto 1996) nonché reiterate richieste di concessione in sanatoria (art. 13, legge 47/85) tutte respinte.


2. Con il primo motivo del ricorso, i ricorrenti deducono la «inesistenza della fattispecie sanzionatoria della demolizione e/o acquisizione ex art. 7 legge 28 febbraio 1985, n. 47».


Il motivo viene dedotto con riferimento alla circostanza che l'art. 7 della legge n. 47/85 risulta esplicitamente abrogato dal d.P.R. n. 380/2001, che è (o sarebbe) entrato in vigore il 1° gennaio 2002. Secondo i ricorrenti non rileverebbe in contrario il fatto che l'entrata in vigore del d.P.R. n. 380/2001, sia stata rinviata (con contestuale proroga della vigenza della legge n. 47/85) dal decreto legge 23 novembre 2001, n. 411, convertito in legge 31 dicembre 2001, n. 463: quest'ultima, infatti, risulta pubblicata il 9 gennaio 2002 ed è entrata in vigore il 10 gennaio determinandosi così un intervallo durante il quale la legge n. 47/85 non è (o non sarebbe) stata più in vigore.


Sulla base di questa loro ricostruzione della successione delle leggi nel tempo, i ricorrenti deducono che la sanzione non è (non sarebbe) più applicabile in forza del "principio di legalità".


3. Il Collegio osserva che il motivo è manifestamente infondato.


Si può anche prescindere dalle acute argomentazioni svolte dalla difesa del Comune in base alla considerazione che il d.P.R. n. 380/2001 ha la natura di "testo unico" e si colloca pertanto, nel sistema delle fonti, in una posizione peculiare: dal che deriverebbe che la legge n. 47/1985 non potrebbe considerarsi veramente abrogata per effetto della (supposta) entrata in vigore del suddetto decreto legislativo.


Si può altresì prescindere dall'approfondire la questione se le regole stabilite dall'articolo 2 del codice penale in materia di successione delle leggi nel tempo siano interamente applicabili anche alle sanzioni amministrative.


Ad avviso del Collegio, infatti, è sufficiente considerare che anche nel sistema dell'art. 2 del codice penale ciò che fa venir meno la punibilità non è che la norma incriminatrice sia stata formalmente abrogata, bensì che la legge sopravvenuta non preveda più il fatto come reato. Così, testualmente, il secondo comma: «Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge posteriore, non costituisce reato». E allo stesso modo il terzo comma: «Se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo».


E' evidente che nel sistema dell'art. 2 del codice penale non ha rilevanza il fatto formale della successione di leggi nel tempo, bensì che le leggi di volta in volta succedutesi dispongano diversamente l'una dall'altra.


Se la legge penale anteriore viene abrogata per effetto di una legge sopravvenuta, ma quest'ultima ne riproduce il contenuto (non necessariamente con le stesse parole), non viene meno la punibilità.


Ora, sta di fatto che l'art. 7 della legge n. 47/85 è pedissequamente riprodotto dal testo dell'art. 31 del d.P.R. n. 380/2001 (quanto meno per la parte che qui interessa). Ne consegue che, al di là di ogni anche pregevole disquisizione sui rapporti fra legge e testo unico, ed anche se si fosse in presenza di due (o più) leggi ordinarie succedutesi nel tempo, la sostanziale identità e continuità del contenuto dispositivo esclude che si possa invocare la "abolitio criminis".


Per questa parte il ricorso va dunque respinto.


4. Con il secondo motivo i ricorrenti deducono un vizio del procedimento, riferendosi alla circostanza che l'ordinanza impugnata è stata emessa a seguito di un sopraluogo effettuato il 21 ottobre 2002, senza che il relativo preavviso fosse stato tempestivamente recapitato agli interessati.


In punto di fatto, si può ritenere incontroverso che le comunicazioni di preavviso (una per ciascuno dei due interessati) sono datate 4 ottobre 2002; che nelle "relazioni di notifica" in calce è indicata, come data della notifica a mezzo posta (cioè della spedizione) il 15 ottobre; che, tuttavia, sulla relativa busta (prodotta in giudizio dai ricorrenti) il bollo a data (apposto dalla macchina affrancatrice dello stesso Comune di Gubbio) reca la data del 24 ottobre mentre sul "verso" della stessa busta il bollo a data dell'ufficio postale reca quella del 25 ottobre. Si può dunque ritenere sufficientemente provato che la convocazione ad assistere al sopraluogo del 21 ottobre è stata spedita il 24 ottobre e ricevuta non prima del 25. Che è come dire che gli interessati non sono stati convocati per assistere al sopraluogo.


5. Si deve ora vedere se ed in quale misura l'omissione di quella formalità incida sulla legittimità del provvedimento impugnato.


Al riguardo si osserva che il problema investe (al più) il singolo atto e non l'intero procedimento sanzionatorio, dato che il procedimento, come già detto, ha avuto origine nel 1996 e da allora gli interessati hanno avuto costantemente la possibilità di effettuare ogni possibile atto a propria tutela. Inoltre uno specifico avviso di procedimento è stato comunicato agli interessati con atto in data 27 agosto 2002 (doc. 7 nel fascicolo di parte resistente) e la circostanza si può ritenere incontroversa.


E' anche vero, però, che il Comune si era autolimitato determinandosi a convocare formalmente gli interessati affinché intervenissero al sopraluogo del 21 ottobre. Una volta scelto questo modo di procedere, il Comune doveva attenervisi e curare che la convocazione fosse recapitata in tempo utile e non a cose fatte, o, in alternativa, aggiornare le operazioni.


E' quindi inevitabile concludere che vi è stato un vizio del procedimento.


6. Tale vizio, però, non tocca l'ordine di demolizione. Il sopraluogo non era finalizzato a questa parte del provvedimento, essendo incontroverse da un lato l'identificazione del fabbricato e dall'altro la sua connotazione come abusivo. A tacer d'altro, infatti, va ricordato che vi erano già stati provvedimenti sanzionatori non impugnati e domande di sanatoria respinte con provvedimenti a loro volta non impugnati. L'unica novità che potesse emergere dal nuovo accertamento sarebbe stata l'eventuale demolizione del fabbricato, ma è pacifico che così non è stato.


In questa luce l'ordinanza di demolizione appare non solo interamente vincolata, ma meramente reiterativa di analoghi atti rimasti inadempiuti, e come tale priva di effetti autonomi; ovvero, al più, produttiva di un unico effetto giuridico: che è quello di rimettere gli interessati in termini per eseguire spontaneamente la demolizione ed evitare così l'acquisizione gratuita del bene al patrimonio del Comune. Un effetto favorevole ai privati, piuttosto che sfavorevole.


L'accesso e la verifica in contraddittorio, invece, avevano una relativa rilevanza ai fini dell'individuazione dell'area da acquisire al patrimonio comunale in caso d'inottemperanza. In effetti, l'organo comunale ha allegato all'ordinanza impugnata una planimetria nella quale sono stati tracciati, con un certo grado di discrezionalità, i confini dell'area da acquisire. Per questa parte, il provvedimento è viziato dalla omissione del contraddittorio.


7. In conclusione, il ricorso va accolto entro i suddetti limiti.


Ne consegue che l'ordinanza impugnata conserva legittimità ed efficacia nella parte in cui ordina la demolizione del fabbricato abusivo, e fissa il termine per l'adempimento, mentre viene annullata nella parte in cui determina l'estensione dell'area da acquisire e ne individua i confini.
Le spese del giudizio possono essere compensate.


P.Q.M.


il Tribunale Amministrativo Regionale dell’Umbria, definendo immediatamente la controversia, come previsto dall’art. 26 della legge n. 1034/71, nel testo modificato dalla legge n. 205/2000, accoglie il ricorso nei sensi e nei limiti di cui in motivazione, annullando per quanto di ragione l'atto impugnato. Spese compensate.


La presente sentenza sarà eseguita dalla Amministrazione ed è depositata presso la Segreteria del Tribunale che provvederà a darne comunicazione alle parti.


Così deciso in Perugia l’8 gennaio 2003.

 

M A S S I M E

 

Sentenza per esteso

 

1) La punibilità dei reati urbanistici con l’entrata in vigore del DPR 380/2001 e l’abrogazione della legge 47/85 - fase transitoria - esclusione della "abolitio criminis".  Nel sistema dell'art. 2 del codice penale ciò che fa venir meno la punibilità non è che la norma incriminatrice sia stata formalmente abrogata, bensì che la legge sopravvenuta non preveda più il fatto come reato. Così, testualmente, il secondo comma: «Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge posteriore, non costituisce reato». E allo stesso modo il terzo comma: «Se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo». E' evidente che nel sistema dell'art. 2 del codice penale non ha rilevanza il fatto formale della successione di leggi nel tempo, bensì che le leggi di volta in volta succedutesi dispongano diversamente l'una dall'altra. Se la legge penale anteriore viene abrogata per effetto di una legge sopravvenuta, ma quest'ultima ne riproduce il contenuto (non necessariamente con le stesse parole), non viene meno la punibilità. Ora, sta di fatto che l'art. 7 della legge n. 47/85 è pedissequamente riprodotto dal testo dell'art. 31 del d.P.R. n. 380/2001 (quanto meno per la parte che qui interessa). Ne consegue che, al di là di ogni anche pregevole disquisizione sui rapporti fra legge e testo unico, ed anche se si fosse in presenza di due (o più) leggi ordinarie succedutesi nel tempo, la sostanziale identità e continuità del contenuto dispositivo esclude che si possa invocare la "abolitio criminis". T.A.R. Umbria, sentenza 10 gennaio 2003, n. 15

 

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