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Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso


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CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. 3, del 12/03/2004 (Ud. 10/12/2003), Sentenza n. 11870



Rifiuti - Smaltimento dei rifiuti - Danno ambientale - Soggetti responsabili - Responsabilità - Art. 18 legge n. 349/1986 - Applicabilità nei rapporti di regresso tra i condebitori- Reati ambientali. In tema di reati ambientali, la norma contenuta nel comma 7 dell'art. 18 della legge 349 del 1986, secondo la quale nei casi di concorso nello stesso evento di danno ciascuno risponde nei limiti della propria responsabilità individuale, disciplina esclusivamente i rapporti interni di regresso tra i condebitori, ponendosi come deroga al principio generale della responsabilità solidale di cui all'art. 2055 cod. civ.. Pres.: Zumbo A. Est.: Onorato P. Rel.: Onorato P. Imp.: Giora ed altri. P.M. Izzo G. (Conf.) (Rigetta, Trib. Mantova, 13 Febbraio 2003). CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. 3, Sez. 3, del 12/03/2004 (Ud. 10/12/2003), Sentenza n. 11870


 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. 3, Sez. 3, del 12/03/2004 (Ud. 10/12/2003), Sentenza n. 11870
Pres.: Zumbo A. Est.: Onorato P. Rel.: Onorato P. Imp.: Giora ed altri. P.M. Izzo G. (Conf.) (Rigetta, Trib. Mantova, 13 Febbraio 2003)
 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Udienza pubblica del 10/12/2003

SENTENZA N. 2019

REGISTRO GENERALE N. 17260/2003


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
 

Dott. ZUMBO Antonio - Presidente -
Dott. ONORATO Pierluigi - est. Consigliere -
Dott. SQUASSONI Claudia - Consigliere -
Dott. PICCIALLI Luigi - Consigliere -
Dott. GRILLO Carlo - Consigliere -


ha pronunciato la seguente:


SENTENZA


sul ricorso proposto da:
1) GIORA Aldo Paolo, nato a Padova il 30.7.1943;
2) FEROLDI Roberto, nato a Pontevico il 26.9.1953;
3) VETTORI Marco, nato a Rovereto il 29.4.1949;
avverso la sentenza la sentenza resa il 13.2.2003 dal tribunale monocratico di Mantova.
Vista la sentenza denunciata e il ricorso;
Udita la relazione svolta in udienza dal Consigliere Dott. Pierluigi Onorato;
Udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Izzo Gioacchino, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
Uditi i difensori delle parti civili, avv. Paolo Orecchia per il comune di Mantova, e avv. Paolo Pellicini per il comune di S. Ambrogio di Valpolicella, che hanno concluso per il rigetto dei ricorsi;
Uditi i difensori degli imputati, avv. Sergio Genovesi, per Giora, avv. Luigi Frattini, per Feroldi, nonché, in sostituzione dell'avv. Fausto Amadei, per Vettori, i quali hanno insistito nei rispettivi ricorsi;
Osserva:


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO


1 - Con sentenza del 13.2.2003 il tribunale monocratico di Mantova dichiarava:
- Aldo Paolo Giora, quale legale rappresentante della s.r.l. Agavi, colpevole:
a) del reato continuato di cui all'art. 51 comma l lett. a) D.Lgs. 22/1997, per aver effettuato senza la prescritta autorizzazione attività di raccolta, trasporto, recupero e smaltimento rifiuti non pericolosi (fumi di acciaieria, prodotti da terzi, nello stato fisico di polveri di granulometria assia fine, miste a pallets di notevoli dimensioni, che venivano frantumati e miscelati con aggiunta di sabbia e/o calcare, per commercializzarli a mezzo di altre società intermediarie e destinarli a sottofondi stradali come c.d. compoinerti con funzione di stabilizzazione del terreno): in Campitello di Marcaria dall'aprile 1997 al 6.5.1999, data di esecuzione del sequestro preventivo dell'area dello stabilimento gestito dalla società Agavi, nella quale erano accumulati i rifiuti suddetti;


b) del reato continuato di cui all'art. 24, comma 2, DPR 203/1988, per aver istallato un nuovo impianto di "frantumazione-trasporto su nastro-miscelazione" delle polveri contenenti metalli tossici e contaminate, che comportava l'immissione di fumi in atmosfera, senza dare comunicazione preventiva alle autorità competenti: in Campitello Marcaria dall'aprile 1997 al 6.5.1999, data di esecuzione del sequestro preventivo dello stabilimento anzidetto, denominato "Fornace Mozzanega";


c) del reato continuato di cui all'art. 650 c.p., per non aver ottemperato ai provvedimenti legalmente emessi dal sindaco del comune di Marcaria (MN), con ordinanze del 5.1.2001, del 26.2.2001 e del 9.5.2001, che imponevano per ragioni di salute e igiene pubblica di provvedere alla pulizia, al ripristino e al mantenimento delle buone condizioni ambientali dello stabilimento Agavi per la creazione del c.d. compoinerte: in Campitello di Marcaria sino al 2.4.2002, data del decreto di citazione a giudizio;


- lo stesso Giora, nella suddetta qualità, Marco Vettori, quale direttore tecnico e responsabile della produzione della società Agavi, e Roberto Feroldi, quale amministratore della Eta Center s.r.l., colpevoli:
d) di vari reati continuati di cui all'art. 51, comma 1, lett. a) D.Lgs. 22/1997 - così riqualificate le ipotesi contravvenzionali loro ascritte - per avere, in concorso tra loro, smaltito senza la prescritta autorizzazione i suddetti rifiuti c.d. compoinerti, utilizzati per la stabilizzazione di terreni in diversi cantieri edili: in Mantova, presso l'ospedale C. Poma sino alla data del decreto di citazione a giudizio (2.4.2002); in Domegliara (VR) presso la sede operativa della s.r.l. Inerti Fumane sino al 9.2.1999; in Modena per la costruzione del cavalcavia della Monantolana, sino al 17.9.1998; in Asola, per la lottizzione Oikia, sino al 28.9.1999; in Bologna presso il cantiere delle Scuole Scandellara, sino all'11.6.1999.


Per l'effetto il tribunale, ritenuta la continuazione esterna tra i diversi reati, condannava il Giora alla pena di E. 75.000 di ammenda, il Vettori alla pena di E. 18.000 di ammenda e il Feroldi alla pena di E. 60.000 di ammenda.


Li condannava altresì in solido al risarcimento dei danni a favore delle parti civili costituite, provincia di Mantova, comune di Mantova e comune di Sant'Ambrogio di Valpolicella, concedendo una provvisionale immediatamente esecutiva, rispettivamente di E. 200.000, di E. 100.000 e di E. 50.000, rinviando al giudice civile competente per la liquidazione definitiva.


Infine ordinava al Giora e al Vettori il ripristino a loro spese e in solido dello stabilimento di Campitello di Marcaria, al Giora, al Vettori e al Feroldi, sempre a loro spese e in solido, il ripristino dello stato dei luoghi nel piazzale dell'ospedale Carlo Poma di Mantova, della lottizzazione Oikia di Asola e della sede della s.r.l. Inerti Fumane di Domegliara.


Il giudice assolveva invece i predetti imputati da vari reati di discarica abusiva loro ascritti ai sensi dell'art. 51, comma 3, D.Lgs 22/1997 perché il fatto non sussisteva, il Giora e il Vettori dal reato di falsità ideologica commessa da privati in atto pubblico (art. 483) perché il fatto non sussisteva, nonché il Vettori dal reato di cui all'art. 650 c.p., contestatogli in concorso col Giora, per non aver commesso il fatto.


Il tribunale riassumeva le complesse indagini e gli accertamenti acquisiti, sottolinenado in estrema sintesi quanto segue. La società Agavi aveva sede legale in Padova, ma sede operativa in Campitello di Marcaria (MN) presso uno stabilimento avuto in comodato dalla ditta proprietaria Fornace di Mozzanega. Essa prelevava da numerose acciaierie dell'Italia settentrionale polveri di abbattimento fumi (classificate come rifiuti sotto il codice CER 100203), di cui le acciaierie si disfacevano pagando la società Agavi (per evitare di smaltirle in discariche di tipo 2B super o 2C previa inertizzazione, all'elevato costo di 200/220 lire al kg.). Nel frattempo la società presentava domanda per l'autorizzazione, e quindi per il regime ordinario ai sensi degli artt. 27 e 29 D.Lgs. 22/1997. Ma il PMIP comunicava che la ripresa dell'attività sarebbe stata subordinata al positivo esito del test di cessione in acqua carbonata (per accertare che il materiale, una volta a contatto col suolo, per effetto del dilavamento meteorico, non rilasciasse piombo, selenio, cromo esavalente, cloruri e solfati); e la ditta a questo punto presentava una ulteriore comunicazione ai sensi dell'art. 33 D.Lgs. 22/1997 per la continuazione in regime semplificato dell'attività di recupero di rifiuti non pericolosi. I consulenti tecnici nominati dal pubblico ministero - ricordava infine il tribunale - avevano stabilito che il materiale de qua era da considerarsi rifiuto tossico-nocivo ai sensi del DPR 10.9.1982 n. 915 e rifiuto non pericoloso ai sensi del sopravvenuto D.Lgs. 5.2.1997 n. 22; e che non poteva applicarsi la procedura semplificata sia perché il ciclo produttivo non era conforme alle prescrizioni tecniche di cui al DM 5.9.1994 e al DM 5.2.1998, sia perché l'impianto della società Agavi non effettuava alcun lavaggio declorurante del rifiuto, ma si limitava a una frantumazione delle pellets con aggiunta di alcuni stabilizzatori chimici e a una miscelazione con materiale inerte.


Intanto il sindaco di Marcaria nel corso del 2001 emanava tre ordinanze per imporre alla società Agavi di provvedere alla pulizia, al ripristino e al mantenimento in buone condizioni ambientali dello stabilimento utilizzato dalla stessa società.


Sulla base di queste risultanze il tribunale riteneva la penale responsabilità del legale rappresentante della società Agavi, Aldo Paolo Giora, per abusiva gestione di rifiuti non pericolosi sino alla data del sequestro dello stabilimento (art. 51, lett. a) D.Lgs. 22/1997), per abusiva istallazione dell'impianto di frantumazione e miscelazione comportante emissioni in atmosfera (art. 24, comma 2, DPR 203/1988) e per inottemperanza delle ordinanze sindacali relative alla pulizia del citato stabilimento (art. 650 c.p.); nonché dello stesso Giora, del direttore tecnico e responsabile per la produzione della società Agavi, Marco Vettori, e dell'amministratore della s.r.l. Età Center, Roberto Feroldi, in ordine a vari reati di abusivo smaltimento di rifiuti (così riqualificati i contestati reati di discarica abusiva), per avere, in concorso tra loro, smaltito senza la prescritta autorizzazione i rifiuti c.d. compoinerti, commercializzandoli a ditte che li utilizzavano per la stabilizzazione di terreni. Inoltre il tribunale dichiarava assorbito il reato di discarica abusiva contestato al Giora nel reato di illecita gestione di rifiuti su richiamato; assolveva gli imputati dai reati di discarica abusiva e di omessa bonifica di siti inquinati loro contestati, perché il fatto non sussisteva; emetteva infine altre statuizioni che non interessano in questa sede. 2 - Avverso detta sentenza hanno proposto ricorso il difensore del Giora, deducendo dodici motivi a sostegno, il Vettori personalmente, con sei motivi, e il difensore del Feroldi, che ha articolato tre motivi.


Poiché i motivi dei ricorrenti e le argomentazioni che le sorreggono spesso ripetono o riformulano le stesse censure, conviene esporre cumulativamente i motivi dedotti, raggruppandoli secondo il loro contenuto sostanziale. Le doglianze formulate dai ricorrenti si possono quindi sintetizzare nel modo seguente.


2.1 - Sia le norme tecniche del D.M. 5.9.1994 sia quelle del D.M. 5.2.1998 consentivano alla società Agavi l'accesso alle procedure semplificate, che la società attivò con due comunicazioni sull'inizio della sua attività. In questa prospettiva, il mancato trattamento dei materiali mediante il lavaggio declurante configurava solo una violazione delle prescrizioni tecniche imposte dalla normativa, sanzionata solo sul piano amministrativo.


2.2 - Non è stata integrata nessuna violazione delle prescrizioni richieste dalla comunicazione, e quindi non sussiste neppure il minor reato di cui all'art. 51, comma 4 D.Lgs. 22/1997. Il giudice penale si è illegittimamente sostituito al TAR, che aveva sospeso i provvedimenti amministrativi che inibivano l'attività dell'Agavi, autorizzando la ripresa dell'attività stessa a condizione che fossero rispettate le prescrizioni imposte dal PMIP.


2.3 - Illegittima è pure la condanna per la contravvenzione di cui all'art. 24 DPR 203/1988, posto che la procedura semplificata sostituiva anche l'autorizzazione prevista dall'art. 15 dello stesso DPR 203/1988 (motivo 9 del ricorso Giora).


2.4 - Inutilizzabilità delle analisi per violazione dell'art. 223 disp. att. c.p.p., perché il Feroldi non ricevette alcun avviso della data fissata per le analisi stesse (ric. Giara e Feroldi).


2.5 - Il consulente del P.M. Dott. Filini era incompatibile perché assunse due incarichi di collaborazione con la Provincia di Mantova, costituita parte civile (motivo n. 2 ricorso Vettori).


2.6 - Illegittimità dell'ordinanza 4.6.2002 con cui il tribunale negò al difensore del Vettori un termine a difesa: nominato difensore d'ufficio in udienza per assenza del precedente difensore d'ufficio, l'avv. Giuseppe Angiolillo chiese inutilmente termine a difesa ai sensi dell'art. 108 c.p.p. (motivo 1 ricorso Vettori).


2.7 - Mancanza di motivazione perché il tribunale non ha indicato quale fosse il reato più grave, con conseguenze sia in ordine alla determinazione della pena, sia in ordine alla competenza territoriale (motivo 4 ric. Vettori e motivo 5 ric. Giara)


2.8 - Mancata correlazione tra reati contestati e reati giudicati, laddove il giudice ha riqualificato la discarica abusiva di cui all'art. 51, comma 3, come illecito smaltimento di cui all'art. 51, comma 1, che è reato ontologicamente diverso (motivo 5 ric. Vettori e motivo 7 ric. Giara).


2.9 - Manifesta contraddittorietà del dispositivo della sentenza impugnata, laddove prima ha dichiarato assorbita nel reato di cui all'art. 51, comma 1, D.Lgs. 22/1997 l'ipotesi di cui all'art. 51, comma 3, stesso decreto, e poi ha assolto il Giara e il Vettori dal reato di cui allo stesso art. 51, comma 3 (motivo 6 ric. Vettori e motivo 8 ric. Giara).


2.10 - Erronea applicazione della legge penale e manifesta illogicità di motivazione, laddove la sentenza ha ritenuto la natura dolosa delle contravvenzioni e l'unicità del disegno criminoso, mentre il materiale probatorio dimostra semmai solo una colpa generica e non certo l'intenzionalità della condotta dell'imputato (motivo 3 ric. Giara).


2.11 - Mancanza della motivazione ed erronea applicazione dell'art. 42 c.p., laddove la sentenza ha dato atto della delega al Vettori conferita dal Giora, senza considerare l'efficacia P di una delega siffatta, che esonera il delegante da ogni responsabilità in materia (motivo 4 ric. Giora).


2.12 - Manifesta illogicità di motivazione ed erronea applicazione della legge penale laddove la sentenza ha condannato il Giora per la contravvenzione di cui all'art. 650 c.p. per inosservanza delle ordinanze del sindaco di Marcaria.


Invero - secondo il ricorrente - in linea di fatto il sindaco aveva riferito che Agavi aveva adempito alle prescrizioni ricevute e la stessa sentenza ha riconosciuto che nello stabilimento di Campitello era in corso la bonifica del sito; mentre in linea di diritto il reato di cui all'art. 650 ha natura sussidiaria, sicché esso non ricorre ove possa configurarsi la contravvenzione di cui all'art. 51 bis D.Lgs. 22/1997 per mancata bonifica del sito (motivo 10 ric. Giora).


2.13 - Erronea applicazione della legge penale e manifesta illogicità di motivazione, laddove il tribunale laddove il tribunale ha assolto il Giora dal reato di cui all'art. 51 bis D.Lgs. 22/1997, per omessa bonifica del sito, perché il fatto non sussiste, ma lo ha condannato per la contravvenzione di cui all'art. 650 c.p., e laddove ha affermato che quest'ultimo reato era interno ad un unico progetto criminoso (motivo 11 ric. Giora).


2.14 - Annullamento delle statuizioni civili della sentenza sotto vari profili (motivo 12 del ricorso Giora).


In primo luogo il giudice ha affermato la responsabilità civile in via solidale degli imputati condannati dopo aver stralciato la posizione dell'imputato Maurizio Rocca (per difetto di notifica) e dopo aver applicato in sede preliminare la pena patteggiata all'imputato Luciano Faccioli, violando così il litisconsorzio necessario.


In secondo luogo il giudice dopo aver affermato la responsabilità solidale "ha ripartito la condanna risarcitoria in misura diversa secondo i limiti delle responsabilità individuali ai sensi dell'art. 18, comma 7, legge 349/1986".


In terzo luogo il giudice ha illegittimamente cumulato il risarcimento per equivalente con il risarcimento in forma specifica laddove ha ordinato il ripristino dello stato dei luoghi. 3 - Con memoria ritualmente depositata in cancelleria il 24.11.2003 la parte civile Provincia di Mantova ha puntualmente confutato tutte le tesi e le argomentazione dei ricorrenti, concludendo per l'inammissibilità o per il rigetto dei ricorsi.


MOTIVI DELLA DECISIONE


4 - Vanno prima esaminate le eccezioni in rito, che non possono essere accolte.


Anzitutto non è illegittima l'ordinanza con cui il 4.6.2002 il giudice ha negato all'avv. Giuseppe Angelillo il termine a difesa. L'imputato Vettori era difeso d'ufficio dall'avv. (Omissis), che, pur essendo stata regolarmente avvisata, non era comparsa all'udienza dibattimentale del 4.6.2002 senza addurre alcun impedimento. Preso atto di ciò, il giudice nominava difensore d'ufficio ex art. 97 c.p.p. l'avv. Giuseppe Angelillo, immediatamente reperibile e inserito nell'apposito elenco dei difensori d'ufficio, disponendo contestualmente la trasmissione di copia del verbale al Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Mantova in relazione alla mancata comparsa del difensore (Omissis). Correttamente poi il giudice non concedeva il termine a difesa all'avv. Angelillo, considerando espressamente che si trattava di un caso di sostituzione ex art. 97 c.p.p., che non rientrava nelle ipotesi per cui l'art. 108 prevede il diritto di un termine a difesa.


Si deve notare che il quarto comma dell'art. 97 citato prevede proprio il caso in cui il difensore (di fiducia o d'ufficio) non è stato reperito, non è comparso o ha abbandonato la difesa, demandando in questi casi al giudice il potere-dovere di designare "come sostituto un altro difensore immediatamente reperibile per il quale si applicano le disposizioni di cui all'art. 102", e segnatamente quella per cui il sostituto esercita i diritti e assume i doveri del difensore.


D'altro lato, ai sensi dell'art. 108 c.p.p. il nuovo difensore dell'imputato, o quello designato d'ufficio, ha diritto a un congruo termine per prendere cognizione degli atti processuali solo in caso di rinuncia, revoca, incompatibilità o abbandono del precedente difensore.


Dal combinato disposto di queste due norme, quindi, si deve dedurre che, nei casi in cui il difensore ha solo momentaneamente sospeso la sua funzione processuale, ovverosia non è stato reperito o non è comparso, il difensore nominato come sostituto non ha diritto al termine a difesa; mentre nel caso ben diverso in cui il difensore abbia definitivamente cessato dal suo ufficio, per rinuncia, revoca, incompatibilità o abbandono, il nuovo difensore, che propriamente non è un sostituto (in tal senso deve ritenersi impropria la previsione del sostituto anche nel caso di abbandono contenuta nel quarto comma dell'art. 97) ha diritto al termine a difesa per prendere visione degli atti. E la ragione di ciò è intuitiva, giacché nella ipotesi della momentanea assenza il sostituto agisce in vece del difensore momentaneamente sostituito, che continua a poter gestire con cognizione di causa la posizione processuale del suo assistito, sia direttamente sia indirettamente attraverso il sostituto; mentre nella ipotesi della definitiva cessazione dell'ufficio professionale, subentra in toto un nuovo difensore, il quale deve gestire da solo la posizione processuale dell'imputato, senza poter fruire della conoscenza degli atti già acquisita dal precedente difensore.


Orbene, nella fattispecie concreta non ricorreva nessuno dei casi previsti dall'art. 108, e in particolare non ricorreva un caso di abbandono, posto che - come ha espressamente osservato il giudice di merito - dalla mancata comparizione a una udienza dell'avv. C. non si poteva desumere un abbandono della difesa.


Che in seguito l'avv. Angiolillo sia diventato difensore di fiducia del Vettori, mentre l'avv. C. sia stato revocato o abbia rinunziato è fatto successivo all'ordinanza impugnata, che non assume alcun rilievo in ordine alla legittimità della stessa. 5 - È anche infondata la censura con cui il Vettori sostiene l'incompatibilità del consulente del p.m. Dott. Filini perché assunse due incarichi di collaborazione con la parte civile Provincia di Mantova.


È pacifico in fatto che il Dott. Filini divenne collaboratore della Provincia dopo che era stata depositata la relazione di consulenza tecnica, anche se - come ha sottolineato nella odierna udienza l'avv. Frattini - egli fu sentito a dibattimento quando aveva già espletato l'incarico di collaboratore con l'ente pubblico.


In linea di diritto, ai sensi del combinato disposto degli artt. 359, 233, comma 3, e 225, comma 3, c.p.p., non può essere nominato consulente tecnico chi si trova in una delle condizioni previste dalle lettere a) b) c) e d) dell'art. 222 c.p.p., e cioè il minorenne, l'interdetto, chi è sottoposto a misure di sicurezza personali o a misure di prevenzione, chi non può essere assunto come testimone o ha facoltà di astenersi dal testimoniare o chi è chiamato a prestare ufficio di testimone o di interprete. Orbene il Dott. Filini non si trovava in nessuna delle citate condizioni, ne' al momento in cui assunse l'incarico di consulente tecnico del p.m. ne' al momento in cui fu sentito a chiarimenti durante la istruttoria dibattimentale. In particolare non si trovava in una di quelle condizioni previste dall'art. 197 c.p.p che sono incompatibili con l'ufficio di testimone e quindi -indirettamente - con l'ufficio di consulente tecnico. Ancor più specificamente egli non rientrava tra "coloro che nel medesimo procedimento svolgono o hanno svolto la funzione di giudice, pubblico ministero o loro ausiliario" (come recita la lettera d) dello stesso art. 197), atteso che per ausiliario del magistrato - come si evince dal sistema processuale e dal tenore L globale della disposizione di cui alla citata lettera d) - si intende il cancelliere o il segretario che lo assiste nel compimento degli atti.


Del resto la doglianza non tiene conto che il consulente tecnico svolge un'assistenza professionale al servizio delle parti processuali (art. 225 c.p.p.); non è perciò un perito, che svolge una funzione professionale imparziale al servizio del giudice, neppure quando è stato nominato dal pubblico ministero. Non a caso, infatti, al consulente tecnico non si applica la disciplina della ricusazione e della astensione prevista per il perito (art. 223, non richiamato dall'art. 225).


6 - Va infine disattesa la tesi formulata nei ricorsi Giora e Feroldi, secondo cui i risultati delle analisi delle polveri di fumo sarebbero inutilizzabili per violazione dell'art. 223 disp. att. c.p.p. giacché le analisi furono compiute senza alcun preavviso al Feroldi.


In realtà, quando i funzionari addetti, nel corso del loro servizio di vigilanza, prelevarono campioni di polveri di fumo presso lo stabilimento della società Agavi, il Feroldi, amministratore della s.r.l. Età Center, non era ancora, ne' poteva apparire, interessato alle analisi, sicché i predetti funzionari agirono in perfetta conformità all'art. 223 disp. att. dando preavviso solo alla società Agavi e non anche alla società Eta Center, di cui non potevano immaginare il coinvolgimento.


In secondo luogo - come ha osservato il giudice di merito nella sua ordinanza dell' 1.7.2002 -non v'è prova che si trattasse di campioni deperibili per i quali non fosse possibile la revisione, sicché il Feroldi, una volta sottoposto alle indagini, ben poteva esercitare il suo diritto di richiedere la revisione delle analisi già compiute. In terzo luogo, l'eventuale inutilizzabilità sussisterebbe soltanto nei confronti del Ferodi, e non certo del Giora.


Da ultimo, ma non è la considerazione meno importante, non può essere sottaciuto che il risultato delle analisi non è stato direttamente utilizzato per fondare il giudizio di responsabilità, posto che il giudice non aveva e non ha avuto bisogno di quel risultato per accertare la natura di rifiuto del materiale raccolto, smaltito e commercializzato dalla società Agavi, come hanno opportunamente rilevato il pubblico ministero e la parte civile Comune di Mantova nella discussione orale.


7 - Passando ora al merito delle imputazioni, si deve rilevare che la sentenza impugnata è esente da qualsiasi censura di illegittimità o di illogicità.


In ordine ai reati di abusivo smaltimento di rifiuti specificati nei capi a) e d) della narrativa, non è sostenibile la tesi dei ricorrenti secondo cui si trattava di attività soggetta a procedura semplificata e come tale lecita, posto che la società Agavi aveva regolarmente presentato la prescritta comunicazione all'autorità amministrativa competente.


È vero invece il contrario. Fino all'entrata in vigore del decreto legislativo previsto per il recepimento coordinato delle direttive comunitarie emanate nella soggetta materia, le attività di raccolta e di trasporto di rifiuti individuati come residui negli allegati 2 e 3 del D.M. 5.9.1994 (tra cui i residui costituiti da ossidi di metalli non ferrosi provenienti da impianti di abbattimento fumi di acciaieria, di cui al n. 4.2 dell'allegato 3 succitato), che fossero effettivamente destinati al riutilizzo, potevano essere intraprese entro trenta giorni dalla comunicazione inviala alla regione competente, purché nel rispetto delle norme tecniche e delle condizioni stabilite nello stesso D.M. 5.9.1994 (art. 2 D.L. 6.9.1996 n. 462, fatto salvo e richiamato dall'art. 1 legge 11.11.1996 n. 575). In mancanza della comunicazione, ovvero in caso di comunicazione incompleta, falsa o mendace, si continuavano ad applicare le sanzioni penali previste dall'allora vigente DPR 10.9.1982 n. 915 per le attività di smaltimento non autorizzate. Nel caso di specie la comunicazione presentata dalla società Agavi era sicuramente mendace quanto meno perché attestava falsamente di procedere alla prescritta attività di "lavaggio chimico fisico declorurante" (ex n. 4.2.3 dell'allegato 3 menzionato), che invece non veniva eseguita, giacché la società si limitava a una semplice miscelazione delle polveri con sabbia e molte volte al solo stratagemma del "girobolla", attraverso cui le polveri venivano commercializzate "tal quali" con una semplice modifica del nome nel documento di trasporto (da polveri di fumi di acciaieria a "compoinerti").


Entrato in vigore il D.Lgs. 5.2.1997 n. 22, che appunto ha dato attuazione alle direttive 91/156/CEE e 91/689/CEE, le attività di recupero dei materiali de quibus sono state assoggettate alle procedure semplificate della comunicazione (artt. 31 e 33), ma sempre nel rispetto delle norme tecniche e delle condizioni stabilite dal D.M. 5.9.1994, in attesa dell'adozione delle nuove norme tecniche (art. 33, comma 6): sicché in questa fase transitoria la società Agavi continuò a recuperare e smaltire le polveri di fumo delle acciaierie senza possedere un valido titolo di abilitazione. Con l'adozione del nuovo D.M. 5.2.1998 sono stati individuati i rifiuti non pericolosi per il cui recupero è ammessa la procedura semplificata della comunicazione, purché non costituisca un pericolo per la salute dell'auomo e un pregiudizio per l'ambiente (in particolare per l'acqua e il suolo: v. art. 1).


Sennonché, come ha osservato il giudice di merito sulla scia del consulente tecnico del p.m., il rifiuto recuperato e commercializzato dalla società Agavi non rientrava tra quelli ammessi alla procedura semplificata. In particolare, non rientravatra tra i rifiuti da abbattimento fumi di industrie siderurgiche (silicei fumes) (codice CER 100203) di cui al n. 7.22 del D.M. 5.2.1998, perché non conteneva una percentuale di silice di almeno il 92-94% (come richiesto dal n. 7.22.2); e non rientrava tra i fanghi da abbattimento emissioni aeriformi da industria siderurgica (codice CER 100203) di cui al n. 12.17, perché non consisteva in fanghi e polveri di natura prevalentemente inorganica con frazione organica inferiore a 30 non contenenti cromo (come richiesto dal n. 12.17.2). Sicché, anche per la normativa sopravvenuta, la società Agavi doveva ottenere una apposita autorizzazione, in mancanza della quale la semplice comunicazione non la abilitava a esercitare la sua attività di recupero e smaltimento.
Ne deriva, in conclusione, la sussistenza del reato di cui all'art. 51, comma 1 lett. a) D.Lgs. 22/1997.


In questo quadro, risulta priva di fondamento la doglianza secondo cui il giudice di merito si sarebbe illegittimamente sostituito al TAR di Brescia, laddove questo aveva sospeso i provvedimenti inibitori purché fossero "preventivamente posti in essere tutti quegli accorgimenti promananti dalla prescrizioni già redatte dal PMIP". Del resto, la società Agavi non ottemperò alle prescrizioni stabilite dal PMIP, sicché non aveva alcun titolo, neppure sotto questo profilo, a riprendere la sua attività.


7.1 - Ciò detto sotto il profilo oggettivo, risulta legittimamente affermata la penale responsabilità di tutti i ricorrenti in ordine ai reati di cui al citato art. 51, comma 1.


Quella del Vettori, perché, quale direttore tecnico e responsabile della produzione della società Agavi, aveva offerto e realizzato la sua fattiva collaborazione al complesso sistema di recupero e smaltimento delle polveri da fumi di acciaeria.


Quella del Giora, perché, quale legale rappresentante della società Agavi, diresse personalmente gli aspetti imprenditoriali e amministrativi della operazione: la delega conferita al Vettori quale responsabile della produzione non lo esonerava perciò dalla responsabilità, posto che continuò a ingerirsi nell'attività illecita, intrattenendo direttamente -come lui stesso ha dichiarato - tutti i rapporti con le acciaierie e le ditte intermediarie (v. pag. 15 della sentenza impugnata).


Quella del Feroldi, perché, pur non facendo parte della società Agavi, partecipò consapevolmente all'attività illecita, addirittura ideando lo stesso nome di "compoinerte" e offrendo la società da lui amministrata (Eta Center) come tramite esclusivo per la commercializzazione del prodotto quale sottofondo stradale, curandone la vendita alle imprese produttrici di inerti (Cave Rocca e Inerti Fumane), che a loro volta lo "piazzavano" alle ditte appaltatrici di lavori stradali, a prezzi per queste molto convenienti rispetto al comune "mistone" tradizionalmente utilizzato per gli stessi scopi (pag. 14 sentenza impugnata).


7.2 - A questo proposito vanno dichiarati inammissibili i motivi proposti nei ricorsi Giora e Vettori, con i quali si lamenta mancata correlazione tra reati contestati e reati giudicati e manifesta contraddittorietà della sentenza nel punto in cui dapprima dichiara assorbita la contravvenzione di discarica abusiva (art. 51, comma 3, D.Lgs. 22/1997) nella contravvenzione di illecito smaltimento di rifiuti (art. 51, comma 1, D.Lgs. 22/1997) e poi assolve i ricorrenti dalla stessa contravvenzione di discarica abusiva con la formula perché il fatto non sussiste (v. nn. 2.8 e 2.9).


Da una parte infatti il reato di cui all'art. 51, comma 1, era già stato originariamente contestato al Giora e al Vettori in altro capo di imputazione (n. 1 dell'originaria rubrica), sicché la condanna non è stata pronunciata per un fatto nuovo. Dall'altra, se è vero che per la discarica abusiva di cui all'art. 51, comma 3, (capo n. 2 dell'originaria rubrica) doveva essere pronunciata assoluzione e non dichiarato l'assorbimento, è anche vero che i predetti ricorrenti non hanno alcun interesse a censurare l'errore giuridico, posto che non gliene deriva alcun pregiudizio. Come correttamente osserva la memoria della parte civile Provincia di Mantova, l'inciso relativo all'assorbimento del reato resta privo di portata decisoria. 8 - Sussiste anche la contravvenzione di cui all'art. 24, comma 2 del D.P.R. 24.5.1988 n. 203, contestato al Giora per aver attivato l'esercizio di un nuovo impianto che dava luogo a emissioni nell'atmosfera senza averne dato comunicazione preventiva all'autorità competente. Giova notare che diversa è l'ipotesi contravvenzionale (non contestata) prevista dal primo comma dell'art. 24, che punisce con pena congiunta e più grave il fatto di chi inizia la costruzione di un nuovo impianto senza l'autorizzazione. Secondo il tenore letterale e logico della norma è solo questa autorizzazione alla costruzione o alla modifica dell'impianto, e non la comunicazione della sua attivazione, che è sostituita dalla procedura semplificata, prevista per l'attività di recupero di rifiuti, ai sensi del settimo comma dell'art. 33 D.Lgs. 22/1997. È per questa ragione, oltre che per inapplicabilità della procedura semplificata, che è privo di fondamento giuridico il richiamo del citato art. 33 operato dal ricorrente Giora al fine di sostenere l'insussistenza del reato di cui all'art. 24, comma 2, D.P.R. 203/1988 (v. sopra n. 2.3).


9 - Sussiste anche la contravvenzione di cui all'art. 650 c.p. a carico del Giora, per non aver ottemperato alle tre ordinanze del sindaco di Marcaria che imponevano la pulizia, il ripristino e il mantenimento in buone condizioni ambientali dello stabilimento Agavi di Campitello. L'asserzione contenuta nel ricorso del Giora (motivo n. 10) secondo cui il sindaco avrebbe riconosciuto l'effettivo adempimento delle prescrizioni (peraltro smentita nella citata memoria della Provincia di Mantova) si risolve in una rivalutazione delle risultanze processuali che non ha ingresso in sede di legittimità.
La tesi giuridica dell'inapplicabilità dell'art. 650 c.p. in ragione della sua esplicita natura sussidiaria è infondata. Invero, non è esatto che il fatto contestato dell'inosservanza delle ordinanze sindacali costituisse il più grave reato di cui all'art. 51 bis D.Lgs. 22/1997, atteso che quest'ultima è fattispecie ontologicamente del tutto diversa. Questa norma infatti punisce chiunque abbia cagionato l'inquinamento o il pericolo di inquinamento di un sito e non provveda alla bonifica secondo una sequenza procedurale ben determinata; mentre l'art. 650 c.p. punisce semplicemente chiunque non ottempera all'ordinanza emessa dal sindaco per ragioni di igiene, che nella specie prescindeva completamente dalle complesse procedure stabilite nell'art. 17 D.Lgs. 1997. Inoltre nella struttura della contravvenzione codicistica non rientra la condotta inquinante, che è prevista come presupposto o elemento materiale della contravvenzione speciale in materia di rifiuti. 9.1 - Proprio questa ontologica diversità tra i due reati contravvenzionali spiega la condanna per il reato di cui all'art. 650 c.p. e l'assoluzione per il reato di cui all'art. 51 bis D.Lgs. 2271997; e porta quindi a disattendere la censura di manifesta illogicità di motivazione sollevata al riguardo nel motivo 11 del ricorso Giora.


10 - La sentenza impugnata, con motivazione assolutamente logica e legittima, ha anche accertato la natura dolosa delle suddette contravvenzioni e l'unicità del disegno criminoso che le ha ispirate, sottolineando come i protagonisti della ben architettata strategia di speculazione commerciale sul recupero delle polveri di acciaierie abbiano pervicamente continuato a violare le norme di legge, le prescrizioni tecniche e anche la "tanto invocata" ordinanza del TAR di Brescia, eludendo sistematicamente (anche con mezzi fraudolenti) i controlli e le ispezioni delle autorità di vigilanza, con grave pericolo per l'integrità ambientale.


Per questa ragione è inammissibile il terzo motivo del ricorso Giora (v. sopra n. 2.10), laddove sostiene che il materiale probatorio ha dimostrato solo una colpa generica e non certo una intenzionalità della condotta degli imputati, sicché non poteva affermarsi la unicità del disegno criminoso, che quella intenzionalità necessariamente presuppone: si tratta all'evidenza di una rivalutazione delle risultanze processuali che è preclusa in sede di legittimità.


Ciò senza considerare che il difensore dello stesso Giora, nelle conclusioni dibattimentali, ha chiesto in via subordinata il beneficio della continuazione.


11 - Ai fini della determinazione della pena, diversamente graduata per i tre imputati ricorrenti, il giudice di merito ha anche correttamente individuato il reato più grave nella contravvenzione di cui all'art. 51, comma 1, D.Lgs. 22/1997 (pag. 17 della sentenza). Per conseguenza sono inammissibili per manifesta infondatezza il quarto motivo del ricorso vettori e il quinto motivo del ricorso Giora (v. sopra n. 2.7).


12 - I reati per i quali gli imputati sono stati condannati non sono ancora estinti per prescrizione, contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso Feroldi e nella discussione orale dal suo difensore. Trattandosi di reati continuati, com'è noto, la prescrizione inizia a decorrere dal giorno in cui è cessata la continuazione (art. 158 c.p.). Sotto questo profilo la continuazione risulta cessata per tutti gli imputati alla data del 28.9.1999 (che è la data sino a quando è stato commesso lo smaltimento abusivo di rifiuti presso un cantiere di Asola, contestato al capo 14 del decreto di citazione a giudizio) o addirittura alla data del 2.4.2002 (che è la data sino a quando è stato commesso lo smaltimento abusivo di rifiuti presso l'Ospedale "Carlo Poma" di Mantova, contestato al capo 8 del decreto di citazione di citazione a giudizio. Il reato è stato contestato come commesso "sino alla data odierna", appunto il 2.4.2002, che è la data di emissione del decreto di citazione. È alla luce di questa contestazione che si deve intendere l'affermazione della sentenza secondo cui l'ultimo atto di smaltimento abusivo è quello di Mantova, anche se si aggiunge che il materiale veniva rinvenuto accumulato nel piazzale dell'Ospedale in data 2.12.1998. Non sembra che il giudice voglia intendere che quest'ultima sia la data di cessazione dell'attività criminosa, ma solo la data dell'ultimo accertamento). In conclusione, anche nella ipotesi più benevola per gli imputati, la prescrizione non maturerà prima del 28.3.2004. 13 - Infine, sono da disattendere anche le censure formulate (con l'ultimo motivo del ricorso Giora) in ordine alle statuizioni civili emesse dal giudice di merito in forza dell'art. 18 legge 8.7.1986 n. 349 (n. 2.14).


13.1 - È priva di fondamento giuridico la tesi secondo cui la sentenza impugnata ha violato il principio del litisconsorzio necessario, laddove ha condannato in solido i tre imputati ricorrenti a risarcire il danno, dopo aver stralciato la posizione dell'imputato Maurizio Rocca e dopo aver applicato la pena patteggiata all'imputato Luciano Faccioli. In altri termini, secondo questa tesi, ricorreva un litisconsorzio necessario a fini civili tra gli imputati condannati in questo processo e Rocca e Faccioli.


Al contrario, la giurisprudenza delle sezioni civili di questa corte ha costantemente precisato che non sussiste litisconsorzio necessario per le obbligazioni passive al risarcimento del danno. "Nel caso di giudizio instaurato dal soggetto danneggiato nei confronti di uno (o solo di alcuni) e non di tutti i corresponsabili dell'evento lesivo, nessuna violazione del principio del contraddittorio può dirsi consumata, alla luce della regola generale, dettata in tema di solidarietà passiva, secondo la quale non sussiste alcuna ipotesi di litisconsorzio necessario per il soddisfacimento giudiziale di tale tipo di obbligazioni" (Cass. Civ., Sez. 3^, n. 5944 del 2.7.1997, Italimmobiliare s.p.a. e, Berruti, rv. 505668).


L'obbligazione solidale passiva non comporta, sul piano processuale, l'inscindibilità delle cause e non da luogo a litisconsorzio necessario in quanto, avendo il creditore titolo per rivalersi per l'intero nei confronti di ogni debitore, è sempre possibile la scissione del rapporto processuale, il quale può utilmente svolgersi anche nei confronti di uno solo dei coobbligati" (Cass. Civ., Sez. 2^, n. 5106 del 22.5.1998, Porcelli c. Bucci, rv. 515690). 13.2 - È parimenti infondato sostenere che il giudice è incorso in contraddizione logica laddove ha condannato i tre imputati ricorrenti in via solidale e poi ha ripartito la condanna in misura diversa secondo i limiti della responsabilità individuale. Giova sottolineare che il giudice ha differenziato il danno subito dalle parti civili, laddove ha determinato in via equitativa una provvisionale provvisoriamente esecutiva di E. 50.000 a favore del Comune di Sant'Ambrogio di Valpolicella, di E. 100.000 a favore del Comune di Mantova e di E. 200.000 a favore della Provincia di Mantova; ma ha tenuto ferma la solidarietà passiva dei condannati nell'ambito di ogni singola obbligazione risarcitoria. Inoltre, ai sensi dell'ottavo comma dell'art. 18 legge 349/1986, ha condannato al ripristino dello stato dei luoghi differenziando i responsabili dell'inquinamento in relazione ai vari siti. Infatti ha condannato Giora e Vettori in solido al ripristino dello stabilimento di Campitello di Marciana, perché solo loro, rispettivamente come amministratore e come direttore di produzione della società Agavi, erano responsabili dell'inquinamento ambientale prodotto nel predetto stabilimento.


Ha poi condannato solidalmente Giora, Vettori e Feroldi al ripristino dello stato dei luoghi nel piazzale dell'Ospedale "Carlo Poma" di Mantova, nella lottizzazione Oikia di Asola e nella sede di Inerti Fumane di Domegliara, perché all'inquinamento di questi siti aveva contribuito anche il Ferodi come tramite esclusivo tra società Agavi e ditte appaltatrici di lavori stradali per la commercializzazione del più volte citato "compoinerte".


Quanto al risarcimento provvisorio stabilito in via equitativa il tribunale mantovano, soltanto in motivazione, ha precisato che la condanna risarcitoria resta passivamente solidale nei confronti delle parti civili creditrici, ma dovrà essere diversamente ripartita nei rapporti interni di regresso tra i condebitori, in relazione alla loro diversa partecipazione al reato; e ha stabilito al tal fine la misura del 60% a carico del Giora, del 10% a carico del Vettori e del 30% a carico del Feroldi.


La norma applicata dal giudice è quella del settimo comma del citato art. 18, secondo cui "nei casi di concorso nello stesso evento di danno, ciascuno risponde nei limiti della propria responsabilità individuale".


Orbene, secondo una corretta ermeneutica della norma, si deve intendere che con essa il legislatore non ha inteso trasformare l'obbligazione solidale per il risarcimento del danno ambientale in obbligazione parziaria, ma ha semplicemente affermato che nei rapporti interni di regresso tra i condebitori ciascuno risponde nei limiti della propria responsabilità, in deroga alla norma stabilita dall'art. 2055, comma 3, cod. civ., secondo cui in caso di dubbio le colpe si presumono uguali.


E ciò perché costituisce principio generale del nostro ordinamento la solidarietà passiva nelle obbligazioni risarcitorie ex delicto (art. 187, comma 2, c.p.) e da fatto illecito (art. 2055, comma 1, cod. civ.), e sarebbe assurdo che una legge, come la 349/1986, che ha inteso approntare nuovi strumenti di tutela dello Stato, degli enti territoriali e delle associazioni ambientaliste a fronte del danno ambientale, abbia poi affievolito la garanzia dei soggetti danneggiati nei confronti dei responsabili del danno, trasformando da solidale in parziaria l'obbligazione risarcitoria di questi. 13.3 - Il terzo profilo di illegittimità prospettato in tema di statuizioni civili, con il quale si sostiene l'incompatibilità tra risarcimento per equivalente e risarcimento in forma specifica, ai sensi dell'art. 2058 cod. civ., merita un approfondimento. Giova ricordare che il tribunale monocratico di Mantova ha quantificato in via equitativa la provvisionale a favore delle parti civili costituite, e ha inoltre ordinato la restituzione in pristino dello stato dei luoghi inquinati a spese degli imputati condannati. Orbene, tali statuizioni sono conformi alle disposizioni previste dall'art. 18 legge 8.7.1986 n. 349 in tema di danno ambientale, secondo le quali "il giudice, ove non sia possibile una precisa quantificazione del danno, ne determina l'ammontare in via equitativa, tenendo comunque conto della gravità della colpa individuale, del costo necessario per il ripristino, e del profitto conseguito dal trasgressore in conseguenza del suo comportamento lesivo dei beni ambientali" (comma 6), e inoltre "dispone, ove sia possibile, il ripristino dello stato dei luoghi a spese del responsabile" (comma 8).


Il sistema che ne deriva prevede come possibile un risarcimento in forma specifica (ripristino dello stato dei luoghi) che non esaurisce l'ammontare del danno. Tanto è vero che questo può essere risarcito per equivalente considerando in via equitativa più parametri, e cioè non soltanto il costo monetario del ripristino, ma anche il profitto conseguito dal contravventore e la gravità della sua colpa. In altri termini la tutela risarcitoria è più ampia e non è alternativa alla tutela riparatoria (ripristino), poiché quest'ultima non è (può non essere) pienamente satisfattiva del danno arrecato ai soggetti portatori del diritto fondamentale all'integrità dell'ambiente.


Questa interpretazione è stata adottata anche dalla giurisprudenza civilistica, la quale ha stabilito che il risarcimento del danno informa specifica non esaurisce in sè, di regola, tutte le possibili conseguenze dannose del fatto lesivo - ed in particolare quelle prodottesi prima che la riduzione in pristino sia materialmente eseguita ovvero quelle diverse residuate nonostante tale riduzione in pristino (Sez. 2^, sent. n. 3802 del 11-04-1991, Scrocca c. Scrocca, rv. 471619).


Il principio è confermato anche dalla giurisprudenza penalistica, la quale ha precisato, proprio in tema di smaltimento di rifiuti che l'ordine di ripristino dello stato dei luoghi a spese del responsabile, a norma dell'art. 18, comma ottavo, legge 8 luglio 1986, n. 349, discende dalla legge ed è perfettamente compatibile con la condanna al risarcimento del danno ambientale e a quello dei danni generici recati ai privati costituitisi parte civile, trattandosi di misure diverse, predisposte a tutela di beni diversi, che ben possono, quindi, essere congiuntamente applicate a carico di una stessa persona: la legge da ultimo citata non esclude, ma integra i principi generali dell'ordinamento in materia di danni (artt. 2043 cod. civ. e 185 cod. pen.) (Cass. Sez. 3^, sent. n. 07567 del 27/06/1992, ud. 22/04/1992, Abortivi rv. 190929). Anche sotto questo profilo, pertanto, la censura è infondata.


14 - Tutti i ricorsi vanno quindi respinti.


Consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna dei ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali. Considerato il contenuto dei motivi non si commina anche la sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende.


I ricorrenti vanno altresì condannati alla rifusione delle spese a favore delle parti civili intervenute nella discussione orale, liquidate come in dispositivo.


P.Q.M.


La Corte di Cassazione rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali e quelle di costituzione di parte civile, che liquida in complessivi euro 2.500 ciascuno per il comune di Mantova e per il comune di S. Ambrogio Valpolicella, oltre I.V.A e C.A..


Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2003.
Depositato in Cancelleria il 12 marzo 2004
 

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