Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso
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registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006
CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. 3, del 12/03/2004 (Ud. 10/12/2003), Sentenza n. 11870
Rifiuti - Smaltimento dei
rifiuti - Danno ambientale - Soggetti responsabili - Responsabilità - Art.
18 legge n. 349/1986 - Applicabilità nei rapporti di regresso tra i
condebitori- Reati ambientali. In tema di reati ambientali, la norma
contenuta nel comma 7 dell'art. 18 della legge 349 del 1986, secondo la
quale nei casi di concorso nello stesso evento di danno ciascuno risponde
nei limiti della propria responsabilità individuale, disciplina
esclusivamente i rapporti interni di regresso tra i condebitori, ponendosi
come deroga al principio generale della responsabilità solidale di cui
all'art. 2055 cod. civ.. Pres.: Zumbo A. Est.: Onorato P. Rel.: Onorato P.
Imp.: Giora ed altri. P.M. Izzo G. (Conf.) (Rigetta, Trib. Mantova, 13
Febbraio 2003). CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. 3, Sez. 3, del 12/03/2004
(Ud. 10/12/2003), Sentenza n. 11870
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. 3,
Sez. 3, del 12/03/2004 (Ud. 10/12/2003), Sentenza n. 11870
Pres.: Zumbo A. Est.: Onorato P. Rel.: Onorato P. Imp.: Giora ed altri. P.M.
Izzo G. (Conf.) (Rigetta, Trib. Mantova, 13 Febbraio 2003)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Udienza pubblica del 10/12/2003
SENTENZA N. 2019
REGISTRO GENERALE N. 17260/2003
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ZUMBO Antonio - Presidente -
Dott. ONORATO Pierluigi - est. Consigliere -
Dott. SQUASSONI Claudia - Consigliere -
Dott. PICCIALLI Luigi - Consigliere -
Dott. GRILLO Carlo - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) GIORA Aldo Paolo, nato a Padova il 30.7.1943;
2) FEROLDI Roberto, nato a Pontevico il 26.9.1953;
3) VETTORI Marco, nato a Rovereto il 29.4.1949;
avverso la sentenza la sentenza resa il 13.2.2003 dal tribunale monocratico di
Mantova.
Vista la sentenza denunciata e il ricorso;
Udita la relazione svolta in udienza dal Consigliere Dott. Pierluigi Onorato;
Udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
Izzo Gioacchino, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
Uditi i difensori delle parti civili, avv. Paolo Orecchia per il comune di
Mantova, e avv. Paolo Pellicini per il comune di S. Ambrogio di Valpolicella,
che hanno concluso per il rigetto dei ricorsi;
Uditi i difensori degli imputati, avv. Sergio Genovesi, per Giora, avv. Luigi
Frattini, per Feroldi, nonché, in sostituzione dell'avv. Fausto Amadei, per
Vettori, i quali hanno insistito nei rispettivi ricorsi;
Osserva:
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1 - Con sentenza del 13.2.2003 il tribunale monocratico di Mantova dichiarava:
- Aldo Paolo Giora, quale legale rappresentante della s.r.l. Agavi, colpevole:
a) del reato continuato di cui all'art. 51 comma l lett. a) D.Lgs. 22/1997, per
aver effettuato senza la prescritta autorizzazione attività di raccolta,
trasporto, recupero e smaltimento rifiuti non pericolosi (fumi di acciaieria,
prodotti da terzi, nello stato fisico di polveri di granulometria assia fine,
miste a pallets di notevoli dimensioni, che venivano frantumati e miscelati con
aggiunta di sabbia e/o calcare, per commercializzarli a mezzo di altre società
intermediarie e destinarli a sottofondi stradali come c.d. compoinerti con
funzione di stabilizzazione del terreno): in Campitello di Marcaria dall'aprile
1997 al 6.5.1999, data di esecuzione del sequestro preventivo dell'area dello
stabilimento gestito dalla società Agavi, nella quale erano accumulati i rifiuti
suddetti;
b) del reato continuato di cui all'art. 24, comma 2, DPR 203/1988, per aver
istallato un nuovo impianto di "frantumazione-trasporto su nastro-miscelazione"
delle polveri contenenti metalli tossici e contaminate, che comportava
l'immissione di fumi in atmosfera, senza dare comunicazione preventiva alle
autorità competenti: in Campitello Marcaria dall'aprile 1997 al 6.5.1999, data
di esecuzione del sequestro preventivo dello stabilimento anzidetto, denominato
"Fornace Mozzanega";
c) del reato continuato di cui all'art. 650 c.p., per non aver ottemperato ai
provvedimenti legalmente emessi dal sindaco del comune di Marcaria (MN), con
ordinanze del 5.1.2001, del 26.2.2001 e del 9.5.2001, che imponevano per ragioni
di salute e igiene pubblica di provvedere alla pulizia, al ripristino e al
mantenimento delle buone condizioni ambientali dello stabilimento Agavi per la
creazione del c.d. compoinerte: in Campitello di Marcaria sino al 2.4.2002, data
del decreto di citazione a giudizio;
- lo stesso Giora, nella suddetta qualità, Marco Vettori, quale direttore
tecnico e responsabile della produzione della società Agavi, e Roberto Feroldi,
quale amministratore della Eta Center s.r.l., colpevoli:
d) di vari reati continuati di cui all'art. 51, comma 1, lett. a) D.Lgs. 22/1997
- così riqualificate le ipotesi contravvenzionali loro ascritte - per avere, in
concorso tra loro, smaltito senza la prescritta autorizzazione i suddetti
rifiuti c.d. compoinerti, utilizzati per la stabilizzazione di terreni in
diversi cantieri edili: in Mantova, presso l'ospedale C. Poma sino alla data del
decreto di citazione a giudizio (2.4.2002); in Domegliara (VR) presso la sede
operativa della s.r.l. Inerti Fumane sino al 9.2.1999; in Modena per la
costruzione del cavalcavia della Monantolana, sino al 17.9.1998; in Asola, per
la lottizzione Oikia, sino al 28.9.1999; in Bologna presso il cantiere delle
Scuole Scandellara, sino all'11.6.1999.
Per l'effetto il tribunale, ritenuta la continuazione esterna tra i diversi
reati, condannava il Giora alla pena di E. 75.000 di ammenda, il Vettori alla
pena di E. 18.000 di ammenda e il Feroldi alla pena di E. 60.000 di ammenda.
Li condannava altresì in solido al risarcimento dei danni a favore delle parti
civili costituite, provincia di Mantova, comune di Mantova e comune di Sant'Ambrogio
di Valpolicella, concedendo una provvisionale immediatamente esecutiva,
rispettivamente di E. 200.000, di E. 100.000 e di E. 50.000, rinviando al
giudice civile competente per la liquidazione definitiva.
Infine ordinava al Giora e al Vettori il ripristino a loro spese e in solido
dello stabilimento di Campitello di Marcaria, al Giora, al Vettori e al Feroldi,
sempre a loro spese e in solido, il ripristino dello stato dei luoghi nel
piazzale dell'ospedale Carlo Poma di Mantova, della lottizzazione Oikia di Asola
e della sede della s.r.l. Inerti Fumane di Domegliara.
Il giudice assolveva invece i predetti imputati da vari reati di discarica
abusiva loro ascritti ai sensi dell'art. 51, comma 3, D.Lgs 22/1997 perché il
fatto non sussisteva, il Giora e il Vettori dal reato di falsità ideologica
commessa da privati in atto pubblico (art. 483) perché il fatto non sussisteva,
nonché il Vettori dal reato di cui all'art. 650 c.p., contestatogli in concorso
col Giora, per non aver commesso il fatto.
Il tribunale riassumeva le complesse indagini e gli accertamenti acquisiti,
sottolinenado in estrema sintesi quanto segue. La società Agavi aveva sede
legale in Padova, ma sede operativa in Campitello di Marcaria (MN) presso uno
stabilimento avuto in comodato dalla ditta proprietaria Fornace di Mozzanega.
Essa prelevava da numerose acciaierie dell'Italia settentrionale polveri di
abbattimento fumi (classificate come rifiuti sotto il codice CER 100203), di cui
le acciaierie si disfacevano pagando la società Agavi (per evitare di smaltirle
in discariche di tipo 2B super o 2C previa inertizzazione, all'elevato costo di
200/220 lire al kg.). Nel frattempo la società presentava domanda per
l'autorizzazione, e quindi per il regime ordinario ai sensi degli artt. 27 e 29
D.Lgs. 22/1997. Ma il PMIP comunicava che la ripresa dell'attività sarebbe stata
subordinata al positivo esito del test di cessione in acqua carbonata (per
accertare che il materiale, una volta a contatto col suolo, per effetto del
dilavamento meteorico, non rilasciasse piombo, selenio, cromo esavalente,
cloruri e solfati); e la ditta a questo punto presentava una ulteriore
comunicazione ai sensi dell'art. 33 D.Lgs. 22/1997 per la continuazione in
regime semplificato dell'attività di recupero di rifiuti non pericolosi. I
consulenti tecnici nominati dal pubblico ministero - ricordava infine il
tribunale - avevano stabilito che il materiale de qua era da considerarsi
rifiuto tossico-nocivo ai sensi del DPR 10.9.1982 n. 915 e rifiuto non
pericoloso ai sensi del sopravvenuto D.Lgs. 5.2.1997 n. 22; e che non poteva
applicarsi la procedura semplificata sia perché il ciclo produttivo non era
conforme alle prescrizioni tecniche di cui al DM 5.9.1994 e al DM 5.2.1998, sia
perché l'impianto della società Agavi non effettuava alcun lavaggio declorurante
del rifiuto, ma si limitava a una frantumazione delle pellets con aggiunta di
alcuni stabilizzatori chimici e a una miscelazione con materiale inerte.
Intanto il sindaco di Marcaria nel corso del 2001 emanava tre ordinanze per
imporre alla società Agavi di provvedere alla pulizia, al ripristino e al
mantenimento in buone condizioni ambientali dello stabilimento utilizzato dalla
stessa società.
Sulla base di queste risultanze il tribunale riteneva la penale responsabilità
del legale rappresentante della società Agavi, Aldo Paolo Giora, per abusiva
gestione di rifiuti non pericolosi sino alla data del sequestro dello
stabilimento (art. 51, lett. a) D.Lgs. 22/1997), per abusiva istallazione
dell'impianto di frantumazione e miscelazione comportante emissioni in atmosfera
(art. 24, comma 2, DPR 203/1988) e per inottemperanza delle ordinanze sindacali
relative alla pulizia del citato stabilimento (art. 650 c.p.); nonché dello
stesso Giora, del direttore tecnico e responsabile per la produzione della
società Agavi, Marco Vettori, e dell'amministratore della s.r.l. Età Center,
Roberto Feroldi, in ordine a vari reati di abusivo smaltimento di rifiuti (così
riqualificati i contestati reati di discarica abusiva), per avere, in concorso
tra loro, smaltito senza la prescritta autorizzazione i rifiuti c.d. compoinerti,
commercializzandoli a ditte che li utilizzavano per la stabilizzazione di
terreni. Inoltre il tribunale dichiarava assorbito il reato di discarica abusiva
contestato al Giora nel reato di illecita gestione di rifiuti su richiamato;
assolveva gli imputati dai reati di discarica abusiva e di omessa bonifica di
siti inquinati loro contestati, perché il fatto non sussisteva; emetteva infine
altre statuizioni che non interessano in questa sede. 2 - Avverso detta sentenza
hanno proposto ricorso il difensore del Giora, deducendo dodici motivi a
sostegno, il Vettori personalmente, con sei motivi, e il difensore del Feroldi,
che ha articolato tre motivi.
Poiché i motivi dei ricorrenti e le argomentazioni che le sorreggono spesso
ripetono o riformulano le stesse censure, conviene esporre cumulativamente i
motivi dedotti, raggruppandoli secondo il loro contenuto sostanziale. Le
doglianze formulate dai ricorrenti si possono quindi sintetizzare nel modo
seguente.
2.1 - Sia le norme tecniche del D.M. 5.9.1994 sia quelle del D.M. 5.2.1998
consentivano alla società Agavi l'accesso alle procedure semplificate, che la
società attivò con due comunicazioni sull'inizio della sua attività. In questa
prospettiva, il mancato trattamento dei materiali mediante il lavaggio
declurante configurava solo una violazione delle prescrizioni tecniche imposte
dalla normativa, sanzionata solo sul piano amministrativo.
2.2 - Non è stata integrata nessuna violazione delle prescrizioni richieste
dalla comunicazione, e quindi non sussiste neppure il minor reato di cui
all'art. 51, comma 4 D.Lgs. 22/1997. Il giudice penale si è illegittimamente
sostituito al TAR, che aveva sospeso i provvedimenti amministrativi che
inibivano l'attività dell'Agavi, autorizzando la ripresa dell'attività stessa a
condizione che fossero rispettate le prescrizioni imposte dal PMIP.
2.3 - Illegittima è pure la condanna per la contravvenzione di cui all'art. 24
DPR 203/1988, posto che la procedura semplificata sostituiva anche
l'autorizzazione prevista dall'art. 15 dello stesso DPR 203/1988 (motivo 9 del
ricorso Giora).
2.4 - Inutilizzabilità delle analisi per violazione dell'art. 223 disp. att.
c.p.p., perché il Feroldi non ricevette alcun avviso della data fissata per le
analisi stesse (ric. Giara e Feroldi).
2.5 - Il consulente del P.M. Dott. Filini era incompatibile perché assunse due
incarichi di collaborazione con la Provincia di Mantova, costituita parte civile
(motivo n. 2 ricorso Vettori).
2.6 - Illegittimità dell'ordinanza 4.6.2002 con cui il tribunale negò al
difensore del Vettori un termine a difesa: nominato difensore d'ufficio in
udienza per assenza del precedente difensore d'ufficio, l'avv. Giuseppe
Angiolillo chiese inutilmente termine a difesa ai sensi dell'art. 108 c.p.p.
(motivo 1 ricorso Vettori).
2.7 - Mancanza di motivazione perché il tribunale non ha indicato quale fosse il
reato più grave, con conseguenze sia in ordine alla determinazione della pena,
sia in ordine alla competenza territoriale (motivo 4 ric. Vettori e motivo 5
ric. Giara)
2.8 - Mancata correlazione tra reati contestati e reati giudicati, laddove il
giudice ha riqualificato la discarica abusiva di cui all'art. 51, comma 3, come
illecito smaltimento di cui all'art. 51, comma 1, che è reato ontologicamente
diverso (motivo 5 ric. Vettori e motivo 7 ric. Giara).
2.9 - Manifesta contraddittorietà del dispositivo della sentenza impugnata,
laddove prima ha dichiarato assorbita nel reato di cui all'art. 51, comma 1,
D.Lgs. 22/1997 l'ipotesi di cui all'art. 51, comma 3, stesso decreto, e poi ha
assolto il Giara e il Vettori dal reato di cui allo stesso art. 51, comma 3
(motivo 6 ric. Vettori e motivo 8 ric. Giara).
2.10 - Erronea applicazione della legge penale e manifesta illogicità di
motivazione, laddove la sentenza ha ritenuto la natura dolosa delle
contravvenzioni e l'unicità del disegno criminoso, mentre il materiale
probatorio dimostra semmai solo una colpa generica e non certo l'intenzionalità
della condotta dell'imputato (motivo 3 ric. Giara).
2.11 - Mancanza della motivazione ed erronea applicazione dell'art. 42 c.p.,
laddove la sentenza ha dato atto della delega al Vettori conferita dal Giora,
senza considerare l'efficacia P di una delega siffatta, che esonera il delegante
da ogni responsabilità in materia (motivo 4 ric. Giora).
2.12 - Manifesta illogicità di motivazione ed erronea applicazione della legge
penale laddove la sentenza ha condannato il Giora per la contravvenzione di cui
all'art. 650 c.p. per inosservanza delle ordinanze del sindaco di Marcaria.
Invero - secondo il ricorrente - in linea di fatto il sindaco aveva riferito che
Agavi aveva adempito alle prescrizioni ricevute e la stessa sentenza ha
riconosciuto che nello stabilimento di Campitello era in corso la bonifica del
sito; mentre in linea di diritto il reato di cui all'art. 650 ha natura
sussidiaria, sicché esso non ricorre ove possa configurarsi la contravvenzione
di cui all'art. 51 bis D.Lgs. 22/1997 per mancata bonifica del sito (motivo 10
ric. Giora).
2.13 - Erronea applicazione della legge penale e manifesta illogicità di
motivazione, laddove il tribunale laddove il tribunale ha assolto il Giora dal
reato di cui all'art. 51 bis D.Lgs. 22/1997, per omessa bonifica del sito,
perché il fatto non sussiste, ma lo ha condannato per la contravvenzione di cui
all'art. 650 c.p., e laddove ha affermato che quest'ultimo reato era interno ad
un unico progetto criminoso (motivo 11 ric. Giora).
2.14 - Annullamento delle statuizioni civili della sentenza sotto vari profili
(motivo 12 del ricorso Giora).
In primo luogo il giudice ha affermato la responsabilità civile in via solidale
degli imputati condannati dopo aver stralciato la posizione dell'imputato
Maurizio Rocca (per difetto di notifica) e dopo aver applicato in sede
preliminare la pena patteggiata all'imputato Luciano Faccioli, violando così il
litisconsorzio necessario.
In secondo luogo il giudice dopo aver affermato la responsabilità solidale "ha
ripartito la condanna risarcitoria in misura diversa secondo i limiti delle
responsabilità individuali ai sensi dell'art. 18, comma 7, legge 349/1986".
In terzo luogo il giudice ha illegittimamente cumulato il risarcimento per
equivalente con il risarcimento in forma specifica laddove ha ordinato il
ripristino dello stato dei luoghi. 3 - Con memoria ritualmente depositata in
cancelleria il 24.11.2003 la parte civile Provincia di Mantova ha puntualmente
confutato tutte le tesi e le argomentazione dei ricorrenti, concludendo per
l'inammissibilità o per il rigetto dei ricorsi.
MOTIVI DELLA DECISIONE
4 - Vanno prima esaminate le eccezioni in rito, che non possono essere accolte.
Anzitutto non è illegittima l'ordinanza con cui il 4.6.2002 il giudice ha negato
all'avv. Giuseppe Angelillo il termine a difesa. L'imputato Vettori era difeso
d'ufficio dall'avv. (Omissis), che, pur essendo stata regolarmente
avvisata, non era comparsa all'udienza dibattimentale del 4.6.2002 senza addurre
alcun impedimento. Preso atto di ciò, il giudice nominava difensore d'ufficio ex
art. 97 c.p.p. l'avv. Giuseppe Angelillo, immediatamente reperibile e inserito
nell'apposito elenco dei difensori d'ufficio, disponendo contestualmente la
trasmissione di copia del verbale al Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di
Mantova in relazione alla mancata comparsa del difensore (Omissis).
Correttamente poi il giudice non concedeva il termine a difesa all'avv.
Angelillo, considerando espressamente che si trattava di un caso di sostituzione
ex art. 97 c.p.p., che non rientrava nelle ipotesi per cui l'art. 108 prevede il
diritto di un termine a difesa.
Si deve notare che il quarto comma dell'art. 97 citato prevede proprio il caso
in cui il difensore (di fiducia o d'ufficio) non è stato reperito, non è
comparso o ha abbandonato la difesa, demandando in questi casi al giudice il
potere-dovere di designare "come sostituto un altro difensore immediatamente
reperibile per il quale si applicano le disposizioni di cui all'art. 102", e
segnatamente quella per cui il sostituto esercita i diritti e assume i doveri
del difensore.
D'altro lato, ai sensi dell'art. 108 c.p.p. il nuovo difensore dell'imputato, o
quello designato d'ufficio, ha diritto a un congruo termine per prendere
cognizione degli atti processuali solo in caso di rinuncia, revoca,
incompatibilità o abbandono del precedente difensore.
Dal combinato disposto di queste due norme, quindi, si deve dedurre che, nei
casi in cui il difensore ha solo momentaneamente sospeso la sua funzione
processuale, ovverosia non è stato reperito o non è comparso, il difensore
nominato come sostituto non ha diritto al termine a difesa; mentre nel caso ben
diverso in cui il difensore abbia definitivamente cessato dal suo ufficio, per
rinuncia, revoca, incompatibilità o abbandono, il nuovo difensore, che
propriamente non è un sostituto (in tal senso deve ritenersi impropria la
previsione del sostituto anche nel caso di abbandono contenuta nel quarto comma
dell'art. 97) ha diritto al termine a difesa per prendere visione degli atti. E
la ragione di ciò è intuitiva, giacché nella ipotesi della momentanea assenza il
sostituto agisce in vece del difensore momentaneamente sostituito, che continua
a poter gestire con cognizione di causa la posizione processuale del suo
assistito, sia direttamente sia indirettamente attraverso il sostituto; mentre
nella ipotesi della definitiva cessazione dell'ufficio professionale, subentra
in toto un nuovo difensore, il quale deve gestire da solo la posizione
processuale dell'imputato, senza poter fruire della conoscenza degli atti già
acquisita dal precedente difensore.
Orbene, nella fattispecie concreta non ricorreva nessuno dei casi previsti
dall'art. 108, e in particolare non ricorreva un caso di abbandono, posto che -
come ha espressamente osservato il giudice di merito - dalla mancata
comparizione a una udienza dell'avv. C. non si poteva desumere un
abbandono della difesa.
Che in seguito l'avv. Angiolillo sia diventato difensore di fiducia del Vettori,
mentre l'avv. C. sia stato revocato o abbia rinunziato è fatto successivo
all'ordinanza impugnata, che non assume alcun rilievo in ordine alla legittimità
della stessa. 5 - È anche infondata la censura con cui il Vettori sostiene
l'incompatibilità del consulente del p.m. Dott. Filini perché assunse due
incarichi di collaborazione con la parte civile Provincia di Mantova.
È pacifico in fatto che il Dott. Filini divenne collaboratore della Provincia
dopo che era stata depositata la relazione di consulenza tecnica, anche se -
come ha sottolineato nella odierna udienza l'avv. Frattini - egli fu sentito a
dibattimento quando aveva già espletato l'incarico di collaboratore con l'ente
pubblico.
In linea di diritto, ai sensi del combinato disposto degli artt. 359, 233, comma
3, e 225, comma 3, c.p.p., non può essere nominato consulente tecnico chi si
trova in una delle condizioni previste dalle lettere a) b) c) e d) dell'art. 222
c.p.p., e cioè il minorenne, l'interdetto, chi è sottoposto a misure di
sicurezza personali o a misure di prevenzione, chi non può essere assunto come
testimone o ha facoltà di astenersi dal testimoniare o chi è chiamato a prestare
ufficio di testimone o di interprete. Orbene il Dott. Filini non si trovava in
nessuna delle citate condizioni, ne' al momento in cui assunse l'incarico di
consulente tecnico del p.m. ne' al momento in cui fu sentito a chiarimenti
durante la istruttoria dibattimentale. In particolare non si trovava in una di
quelle condizioni previste dall'art. 197 c.p.p che sono incompatibili con
l'ufficio di testimone e quindi -indirettamente - con l'ufficio di consulente
tecnico. Ancor più specificamente egli non rientrava tra "coloro che nel
medesimo procedimento svolgono o hanno svolto la funzione di giudice, pubblico
ministero o loro ausiliario" (come recita la lettera d) dello stesso art. 197),
atteso che per ausiliario del magistrato - come si evince dal sistema
processuale e dal tenore L globale della disposizione di cui alla citata lettera
d) - si intende il cancelliere o il segretario che lo assiste nel compimento
degli atti.
Del resto la doglianza non tiene conto che il consulente tecnico svolge
un'assistenza professionale al servizio delle parti processuali (art. 225 c.p.p.);
non è perciò un perito, che svolge una funzione professionale imparziale al
servizio del giudice, neppure quando è stato nominato dal pubblico ministero.
Non a caso, infatti, al consulente tecnico non si applica la disciplina della
ricusazione e della astensione prevista per il perito (art. 223, non richiamato
dall'art. 225).
6 - Va infine disattesa la tesi formulata nei ricorsi Giora e Feroldi, secondo
cui i risultati delle analisi delle polveri di fumo sarebbero inutilizzabili per
violazione dell'art. 223 disp. att. c.p.p. giacché le analisi furono compiute
senza alcun preavviso al Feroldi.
In realtà, quando i funzionari addetti, nel corso del loro servizio di
vigilanza, prelevarono campioni di polveri di fumo presso lo stabilimento della
società Agavi, il Feroldi, amministratore della s.r.l. Età Center, non era
ancora, ne' poteva apparire, interessato alle analisi, sicché i predetti
funzionari agirono in perfetta conformità all'art. 223 disp. att. dando
preavviso solo alla società Agavi e non anche alla società Eta Center, di cui
non potevano immaginare il coinvolgimento.
In secondo luogo - come ha osservato il giudice di merito nella sua ordinanza
dell' 1.7.2002 -non v'è prova che si trattasse di campioni deperibili per i
quali non fosse possibile la revisione, sicché il Feroldi, una volta sottoposto
alle indagini, ben poteva esercitare il suo diritto di richiedere la revisione
delle analisi già compiute. In terzo luogo, l'eventuale inutilizzabilità
sussisterebbe soltanto nei confronti del Ferodi, e non certo del Giora.
Da ultimo, ma non è la considerazione meno importante, non può essere sottaciuto
che il risultato delle analisi non è stato direttamente utilizzato per fondare
il giudizio di responsabilità, posto che il giudice non aveva e non ha avuto
bisogno di quel risultato per accertare la natura di rifiuto del materiale
raccolto, smaltito e commercializzato dalla società Agavi, come hanno
opportunamente rilevato il pubblico ministero e la parte civile Comune di
Mantova nella discussione orale.
7 - Passando ora al merito delle imputazioni, si deve rilevare che la sentenza
impugnata è esente da qualsiasi censura di illegittimità o di illogicità.
In ordine ai reati di abusivo smaltimento di rifiuti specificati nei capi a) e
d) della narrativa, non è sostenibile la tesi dei ricorrenti secondo cui si
trattava di attività soggetta a procedura semplificata e come tale lecita, posto
che la società Agavi aveva regolarmente presentato la prescritta comunicazione
all'autorità amministrativa competente.
È vero invece il contrario. Fino all'entrata in vigore del decreto legislativo
previsto per il recepimento coordinato delle direttive comunitarie emanate nella
soggetta materia, le attività di raccolta e di trasporto di rifiuti individuati
come residui negli allegati 2 e 3 del D.M. 5.9.1994 (tra cui i residui
costituiti da ossidi di metalli non ferrosi provenienti da impianti di
abbattimento fumi di acciaieria, di cui al n. 4.2 dell'allegato 3 succitato),
che fossero effettivamente destinati al riutilizzo, potevano essere intraprese
entro trenta giorni dalla comunicazione inviala alla regione competente, purché
nel rispetto delle norme tecniche e delle condizioni stabilite nello stesso D.M.
5.9.1994 (art. 2 D.L. 6.9.1996 n. 462, fatto salvo e richiamato dall'art. 1
legge 11.11.1996 n. 575). In mancanza della comunicazione, ovvero in caso di
comunicazione incompleta, falsa o mendace, si continuavano ad applicare le
sanzioni penali previste dall'allora vigente DPR 10.9.1982 n. 915 per le
attività di smaltimento non autorizzate. Nel caso di specie la comunicazione
presentata dalla società Agavi era sicuramente mendace quanto meno perché
attestava falsamente di procedere alla prescritta attività di "lavaggio chimico
fisico declorurante" (ex n. 4.2.3 dell'allegato 3 menzionato), che invece non
veniva eseguita, giacché la società si limitava a una semplice miscelazione
delle polveri con sabbia e molte volte al solo stratagemma del "girobolla",
attraverso cui le polveri venivano commercializzate "tal quali" con una semplice
modifica del nome nel documento di trasporto (da polveri di fumi di acciaieria a
"compoinerti").
Entrato in vigore il D.Lgs. 5.2.1997 n. 22, che appunto ha dato attuazione alle
direttive 91/156/CEE e 91/689/CEE, le attività di recupero dei materiali de
quibus sono state assoggettate alle procedure semplificate della comunicazione
(artt. 31 e 33), ma sempre nel rispetto delle norme tecniche e delle condizioni
stabilite dal D.M. 5.9.1994, in attesa dell'adozione delle nuove norme tecniche
(art. 33, comma 6): sicché in questa fase transitoria la società Agavi continuò
a recuperare e smaltire le polveri di fumo delle acciaierie senza possedere un
valido titolo di abilitazione. Con l'adozione del nuovo D.M. 5.2.1998 sono stati
individuati i rifiuti non pericolosi per il cui recupero è ammessa la procedura
semplificata della comunicazione, purché non costituisca un pericolo per la
salute dell'auomo e un pregiudizio per l'ambiente (in particolare per l'acqua e
il suolo: v. art. 1).
Sennonché, come ha osservato il giudice di merito sulla scia del consulente
tecnico del p.m., il rifiuto recuperato e commercializzato dalla società Agavi
non rientrava tra quelli ammessi alla procedura semplificata. In particolare,
non rientravatra tra i rifiuti da abbattimento fumi di industrie siderurgiche
(silicei fumes) (codice CER 100203) di cui al n. 7.22 del D.M. 5.2.1998, perché
non conteneva una percentuale di silice di almeno il 92-94% (come richiesto dal
n. 7.22.2); e non rientrava tra i fanghi da abbattimento emissioni aeriformi da
industria siderurgica (codice CER 100203) di cui al n. 12.17, perché non
consisteva in fanghi e polveri di natura prevalentemente inorganica con frazione
organica inferiore a 30 non contenenti cromo (come richiesto dal n. 12.17.2).
Sicché, anche per la normativa sopravvenuta, la società Agavi doveva ottenere
una apposita autorizzazione, in mancanza della quale la semplice comunicazione
non la abilitava a esercitare la sua attività di recupero e smaltimento.
Ne deriva, in conclusione, la sussistenza del reato di cui all'art. 51, comma 1
lett. a) D.Lgs. 22/1997.
In questo quadro, risulta priva di fondamento la doglianza secondo cui il
giudice di merito si sarebbe illegittimamente sostituito al TAR di Brescia,
laddove questo aveva sospeso i provvedimenti inibitori purché fossero
"preventivamente posti in essere tutti quegli accorgimenti promananti dalla
prescrizioni già redatte dal PMIP". Del resto, la società Agavi non ottemperò
alle prescrizioni stabilite dal PMIP, sicché non aveva alcun titolo, neppure
sotto questo profilo, a riprendere la sua attività.
7.1 - Ciò detto sotto il profilo oggettivo, risulta legittimamente affermata la
penale responsabilità di tutti i ricorrenti in ordine ai reati di cui al citato
art. 51, comma 1.
Quella del Vettori, perché, quale direttore tecnico e responsabile della
produzione della società Agavi, aveva offerto e realizzato la sua fattiva
collaborazione al complesso sistema di recupero e smaltimento delle polveri da
fumi di acciaeria.
Quella del Giora, perché, quale legale rappresentante della società Agavi,
diresse personalmente gli aspetti imprenditoriali e amministrativi della
operazione: la delega conferita al Vettori quale responsabile della produzione
non lo esonerava perciò dalla responsabilità, posto che continuò a ingerirsi
nell'attività illecita, intrattenendo direttamente -come lui stesso ha
dichiarato - tutti i rapporti con le acciaierie e le ditte intermediarie (v.
pag. 15 della sentenza impugnata).
Quella del Feroldi, perché, pur non facendo parte della società Agavi, partecipò
consapevolmente all'attività illecita, addirittura ideando lo stesso nome di "compoinerte"
e offrendo la società da lui amministrata (Eta Center) come tramite esclusivo
per la commercializzazione del prodotto quale sottofondo stradale, curandone la
vendita alle imprese produttrici di inerti (Cave Rocca e Inerti Fumane), che a
loro volta lo "piazzavano" alle ditte appaltatrici di lavori stradali, a prezzi
per queste molto convenienti rispetto al comune "mistone" tradizionalmente
utilizzato per gli stessi scopi (pag. 14 sentenza impugnata).
7.2 - A questo proposito vanno dichiarati inammissibili i motivi proposti nei
ricorsi Giora e Vettori, con i quali si lamenta mancata correlazione tra reati
contestati e reati giudicati e manifesta contraddittorietà della sentenza nel
punto in cui dapprima dichiara assorbita la contravvenzione di discarica abusiva
(art. 51, comma 3, D.Lgs. 22/1997) nella contravvenzione di illecito smaltimento
di rifiuti (art. 51, comma 1, D.Lgs. 22/1997) e poi assolve i ricorrenti dalla
stessa contravvenzione di discarica abusiva con la formula perché il fatto non
sussiste (v. nn. 2.8 e 2.9).
Da una parte infatti il reato di cui all'art. 51, comma 1, era già stato
originariamente contestato al Giora e al Vettori in altro capo di imputazione
(n. 1 dell'originaria rubrica), sicché la condanna non è stata pronunciata per
un fatto nuovo. Dall'altra, se è vero che per la discarica abusiva di cui
all'art. 51, comma 3, (capo n. 2 dell'originaria rubrica) doveva essere
pronunciata assoluzione e non dichiarato l'assorbimento, è anche vero che i
predetti ricorrenti non hanno alcun interesse a censurare l'errore giuridico,
posto che non gliene deriva alcun pregiudizio. Come correttamente osserva la
memoria della parte civile Provincia di Mantova, l'inciso relativo
all'assorbimento del reato resta privo di portata decisoria. 8 - Sussiste anche
la contravvenzione di cui all'art. 24, comma 2 del D.P.R. 24.5.1988 n. 203,
contestato al Giora per aver attivato l'esercizio di un nuovo impianto che dava
luogo a emissioni nell'atmosfera senza averne dato comunicazione preventiva
all'autorità competente. Giova notare che diversa è l'ipotesi contravvenzionale
(non contestata) prevista dal primo comma dell'art. 24, che punisce con pena
congiunta e più grave il fatto di chi inizia la costruzione di un nuovo impianto
senza l'autorizzazione. Secondo il tenore letterale e logico della norma è solo
questa autorizzazione alla costruzione o alla modifica dell'impianto, e non la
comunicazione della sua attivazione, che è sostituita dalla procedura
semplificata, prevista per l'attività di recupero di rifiuti, ai sensi del
settimo comma dell'art. 33 D.Lgs. 22/1997. È per questa ragione, oltre che per
inapplicabilità della procedura semplificata, che è privo di fondamento
giuridico il richiamo del citato art. 33 operato dal ricorrente Giora al fine di
sostenere l'insussistenza del reato di cui all'art. 24, comma 2, D.P.R. 203/1988
(v. sopra n. 2.3).
9 - Sussiste anche la contravvenzione di cui all'art. 650 c.p. a carico del
Giora, per non aver ottemperato alle tre ordinanze del sindaco di Marcaria che
imponevano la pulizia, il ripristino e il mantenimento in buone condizioni
ambientali dello stabilimento Agavi di Campitello. L'asserzione contenuta nel
ricorso del Giora (motivo n. 10) secondo cui il sindaco avrebbe riconosciuto
l'effettivo adempimento delle prescrizioni (peraltro smentita nella citata
memoria della Provincia di Mantova) si risolve in una rivalutazione delle
risultanze processuali che non ha ingresso in sede di legittimità.
La tesi giuridica dell'inapplicabilità dell'art. 650 c.p. in ragione della sua
esplicita natura sussidiaria è infondata. Invero, non è esatto che il fatto
contestato dell'inosservanza delle ordinanze sindacali costituisse il più grave
reato di cui all'art. 51 bis D.Lgs. 22/1997, atteso che quest'ultima è
fattispecie ontologicamente del tutto diversa. Questa norma infatti punisce
chiunque abbia cagionato l'inquinamento o il pericolo di inquinamento di un sito
e non provveda alla bonifica secondo una sequenza procedurale ben determinata;
mentre l'art. 650 c.p. punisce semplicemente chiunque non ottempera
all'ordinanza emessa dal sindaco per ragioni di igiene, che nella specie
prescindeva completamente dalle complesse procedure stabilite nell'art. 17 D.Lgs.
1997. Inoltre nella struttura della contravvenzione codicistica non rientra la
condotta inquinante, che è prevista come presupposto o elemento materiale della
contravvenzione speciale in materia di rifiuti. 9.1 - Proprio questa ontologica
diversità tra i due reati contravvenzionali spiega la condanna per il reato di
cui all'art. 650 c.p. e l'assoluzione per il reato di cui all'art. 51 bis D.Lgs.
2271997; e porta quindi a disattendere la censura di manifesta illogicità di
motivazione sollevata al riguardo nel motivo 11 del ricorso Giora.
10 - La sentenza impugnata, con motivazione assolutamente logica e legittima, ha
anche accertato la natura dolosa delle suddette contravvenzioni e l'unicità del
disegno criminoso che le ha ispirate, sottolineando come i protagonisti della
ben architettata strategia di speculazione commerciale sul recupero delle
polveri di acciaierie abbiano pervicamente continuato a violare le norme di
legge, le prescrizioni tecniche e anche la "tanto invocata" ordinanza del TAR di
Brescia, eludendo sistematicamente (anche con mezzi fraudolenti) i controlli e
le ispezioni delle autorità di vigilanza, con grave pericolo per l'integrità
ambientale.
Per questa ragione è inammissibile il terzo motivo del ricorso Giora (v. sopra
n. 2.10), laddove sostiene che il materiale probatorio ha dimostrato solo una
colpa generica e non certo una intenzionalità della condotta degli imputati,
sicché non poteva affermarsi la unicità del disegno criminoso, che quella
intenzionalità necessariamente presuppone: si tratta all'evidenza di una
rivalutazione delle risultanze processuali che è preclusa in sede di
legittimità.
Ciò senza considerare che il difensore dello stesso Giora, nelle conclusioni
dibattimentali, ha chiesto in via subordinata il beneficio della continuazione.
11 - Ai fini della determinazione della pena, diversamente graduata per i tre
imputati ricorrenti, il giudice di merito ha anche correttamente individuato il
reato più grave nella contravvenzione di cui all'art. 51, comma 1, D.Lgs.
22/1997 (pag. 17 della sentenza). Per conseguenza sono inammissibili per
manifesta infondatezza il quarto motivo del ricorso vettori e il quinto motivo
del ricorso Giora (v. sopra n. 2.7).
12 - I reati per i quali gli imputati sono stati condannati non sono ancora
estinti per prescrizione, contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso Feroldi
e nella discussione orale dal suo difensore. Trattandosi di reati continuati,
com'è noto, la prescrizione inizia a decorrere dal giorno in cui è cessata la
continuazione (art. 158 c.p.). Sotto questo profilo la continuazione risulta
cessata per tutti gli imputati alla data del 28.9.1999 (che è la data sino a
quando è stato commesso lo smaltimento abusivo di rifiuti presso un cantiere di
Asola, contestato al capo 14 del decreto di citazione a giudizio) o addirittura
alla data del 2.4.2002 (che è la data sino a quando è stato commesso lo
smaltimento abusivo di rifiuti presso l'Ospedale "Carlo Poma" di Mantova,
contestato al capo 8 del decreto di citazione di citazione a giudizio. Il reato
è stato contestato come commesso "sino alla data odierna", appunto il 2.4.2002,
che è la data di emissione del decreto di citazione. È alla luce di questa
contestazione che si deve intendere l'affermazione della sentenza secondo cui
l'ultimo atto di smaltimento abusivo è quello di Mantova, anche se si aggiunge
che il materiale veniva rinvenuto accumulato nel piazzale dell'Ospedale in data
2.12.1998. Non sembra che il giudice voglia intendere che quest'ultima sia la
data di cessazione dell'attività criminosa, ma solo la data dell'ultimo
accertamento). In conclusione, anche nella ipotesi più benevola per gli
imputati, la prescrizione non maturerà prima del 28.3.2004. 13 - Infine, sono da
disattendere anche le censure formulate (con l'ultimo motivo del ricorso Giora)
in ordine alle statuizioni civili emesse dal giudice di merito in forza
dell'art. 18 legge 8.7.1986 n. 349 (n. 2.14).
13.1 - È priva di fondamento giuridico la tesi secondo cui la sentenza impugnata
ha violato il principio del litisconsorzio necessario, laddove ha condannato in
solido i tre imputati ricorrenti a risarcire il danno, dopo aver stralciato la
posizione dell'imputato Maurizio Rocca e dopo aver applicato la pena patteggiata
all'imputato Luciano Faccioli. In altri termini, secondo questa tesi, ricorreva
un litisconsorzio necessario a fini civili tra gli imputati condannati in questo
processo e Rocca e Faccioli.
Al contrario, la giurisprudenza delle sezioni civili di questa corte ha
costantemente precisato che non sussiste litisconsorzio necessario per le
obbligazioni passive al risarcimento del danno. "Nel caso di giudizio instaurato
dal soggetto danneggiato nei confronti di uno (o solo di alcuni) e non di tutti
i corresponsabili dell'evento lesivo, nessuna violazione del principio del
contraddittorio può dirsi consumata, alla luce della regola generale, dettata in
tema di solidarietà passiva, secondo la quale non sussiste alcuna ipotesi di
litisconsorzio necessario per il soddisfacimento giudiziale di tale tipo di
obbligazioni" (Cass. Civ., Sez. 3^, n. 5944 del 2.7.1997, Italimmobiliare s.p.a.
e, Berruti, rv. 505668).
L'obbligazione solidale passiva non comporta, sul piano processuale,
l'inscindibilità delle cause e non da luogo a litisconsorzio necessario in
quanto, avendo il creditore titolo per rivalersi per l'intero nei confronti di
ogni debitore, è sempre possibile la scissione del rapporto processuale, il
quale può utilmente svolgersi anche nei confronti di uno solo dei coobbligati"
(Cass. Civ., Sez. 2^, n. 5106 del 22.5.1998, Porcelli c. Bucci, rv. 515690).
13.2 - È parimenti infondato sostenere che il giudice è incorso in
contraddizione logica laddove ha condannato i tre imputati ricorrenti in via
solidale e poi ha ripartito la condanna in misura diversa secondo i limiti della
responsabilità individuale. Giova sottolineare che il giudice ha differenziato
il danno subito dalle parti civili, laddove ha determinato in via equitativa una
provvisionale provvisoriamente esecutiva di E. 50.000 a favore del Comune di
Sant'Ambrogio di Valpolicella, di E. 100.000 a favore del Comune di Mantova e di
E. 200.000 a favore della Provincia di Mantova; ma ha tenuto ferma la
solidarietà passiva dei condannati nell'ambito di ogni singola obbligazione
risarcitoria. Inoltre, ai sensi dell'ottavo comma dell'art. 18 legge 349/1986,
ha condannato al ripristino dello stato dei luoghi differenziando i responsabili
dell'inquinamento in relazione ai vari siti. Infatti ha condannato Giora e
Vettori in solido al ripristino dello stabilimento di Campitello di Marciana,
perché solo loro, rispettivamente come amministratore e come direttore di
produzione della società Agavi, erano responsabili dell'inquinamento ambientale
prodotto nel predetto stabilimento.
Ha poi condannato solidalmente Giora, Vettori e Feroldi al ripristino dello
stato dei luoghi nel piazzale dell'Ospedale "Carlo Poma" di Mantova, nella
lottizzazione Oikia di Asola e nella sede di Inerti Fumane di Domegliara, perché
all'inquinamento di questi siti aveva contribuito anche il Ferodi come tramite
esclusivo tra società Agavi e ditte appaltatrici di lavori stradali per la
commercializzazione del più volte citato "compoinerte".
Quanto al risarcimento provvisorio stabilito in via equitativa il tribunale
mantovano, soltanto in motivazione, ha precisato che la condanna risarcitoria
resta passivamente solidale nei confronti delle parti civili creditrici, ma
dovrà essere diversamente ripartita nei rapporti interni di regresso tra i
condebitori, in relazione alla loro diversa partecipazione al reato; e ha
stabilito al tal fine la misura del 60% a carico del Giora, del 10% a carico del
Vettori e del 30% a carico del Feroldi.
La norma applicata dal giudice è quella del settimo comma del citato art. 18,
secondo cui "nei casi di concorso nello stesso evento di danno, ciascuno
risponde nei limiti della propria responsabilità individuale".
Orbene, secondo una corretta ermeneutica della norma, si deve intendere che con
essa il legislatore non ha inteso trasformare l'obbligazione solidale per il
risarcimento del danno ambientale in obbligazione parziaria, ma ha semplicemente
affermato che nei rapporti interni di regresso tra i condebitori ciascuno
risponde nei limiti della propria responsabilità, in deroga alla norma stabilita
dall'art. 2055, comma 3, cod. civ., secondo cui in caso di dubbio le colpe si
presumono uguali.
E ciò perché costituisce principio generale del nostro ordinamento la
solidarietà passiva nelle obbligazioni risarcitorie ex delicto (art. 187, comma
2, c.p.) e da fatto illecito (art. 2055, comma 1, cod. civ.), e sarebbe assurdo
che una legge, come la 349/1986, che ha inteso approntare nuovi strumenti di
tutela dello Stato, degli enti territoriali e delle associazioni ambientaliste a
fronte del danno ambientale, abbia poi affievolito la garanzia dei soggetti
danneggiati nei confronti dei responsabili del danno, trasformando da solidale
in parziaria l'obbligazione risarcitoria di questi. 13.3 - Il terzo profilo di
illegittimità prospettato in tema di statuizioni civili, con il quale si
sostiene l'incompatibilità tra risarcimento per equivalente e risarcimento in
forma specifica, ai sensi dell'art. 2058 cod. civ., merita un approfondimento.
Giova ricordare che il tribunale monocratico di Mantova ha quantificato in via
equitativa la provvisionale a favore delle parti civili costituite, e ha inoltre
ordinato la restituzione in pristino dello stato dei luoghi inquinati a spese
degli imputati condannati. Orbene, tali statuizioni sono conformi alle
disposizioni previste dall'art. 18 legge 8.7.1986 n. 349 in tema di danno
ambientale, secondo le quali "il giudice, ove non sia possibile una precisa
quantificazione del danno, ne determina l'ammontare in via equitativa, tenendo
comunque conto della gravità della colpa individuale, del costo necessario per
il ripristino, e del profitto conseguito dal trasgressore in conseguenza del suo
comportamento lesivo dei beni ambientali" (comma 6), e inoltre "dispone, ove sia
possibile, il ripristino dello stato dei luoghi a spese del responsabile" (comma
8).
Il sistema che ne deriva prevede come possibile un risarcimento in forma
specifica (ripristino dello stato dei luoghi) che non esaurisce l'ammontare del
danno. Tanto è vero che questo può essere risarcito per equivalente considerando
in via equitativa più parametri, e cioè non soltanto il costo monetario del
ripristino, ma anche il profitto conseguito dal contravventore e la gravità
della sua colpa. In altri termini la tutela risarcitoria è più ampia e non è
alternativa alla tutela riparatoria (ripristino), poiché quest'ultima non è (può
non essere) pienamente satisfattiva del danno arrecato ai soggetti portatori del
diritto fondamentale all'integrità dell'ambiente.
Questa interpretazione è stata adottata anche dalla giurisprudenza civilistica,
la quale ha stabilito che il risarcimento del danno informa specifica non
esaurisce in sè, di regola, tutte le possibili conseguenze dannose del fatto
lesivo - ed in particolare quelle prodottesi prima che la riduzione in pristino
sia materialmente eseguita ovvero quelle diverse residuate nonostante tale
riduzione in pristino (Sez. 2^, sent. n. 3802 del 11-04-1991, Scrocca c.
Scrocca, rv. 471619).
Il principio è confermato anche dalla giurisprudenza penalistica, la quale ha
precisato, proprio in tema di smaltimento di rifiuti che l'ordine di ripristino
dello stato dei luoghi a spese del responsabile, a norma dell'art. 18, comma
ottavo, legge 8 luglio 1986, n. 349, discende dalla legge ed è perfettamente
compatibile con la condanna al risarcimento del danno ambientale e a quello dei
danni generici recati ai privati costituitisi parte civile, trattandosi di
misure diverse, predisposte a tutela di beni diversi, che ben possono, quindi,
essere congiuntamente applicate a carico di una stessa persona: la legge da
ultimo citata non esclude, ma integra i principi generali dell'ordinamento in
materia di danni (artt. 2043 cod. civ. e 185 cod. pen.) (Cass. Sez. 3^, sent. n.
07567 del 27/06/1992, ud. 22/04/1992, Abortivi rv. 190929). Anche sotto questo
profilo, pertanto, la censura è infondata.
14 - Tutti i ricorsi vanno quindi respinti.
Consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna dei ricorrenti in solido al pagamento
delle spese processuali. Considerato il contenuto dei motivi non si commina
anche la sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende.
I ricorrenti vanno altresì condannati alla rifusione delle spese a favore delle
parti civili intervenute nella discussione orale, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti in solido al
pagamento delle spese processuali e quelle di costituzione di parte civile, che
liquida in complessivi euro 2.500 ciascuno per il comune di Mantova e per il
comune di S. Ambrogio Valpolicella, oltre I.V.A e C.A..
Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2003.
Depositato in Cancelleria il 12 marzo 2004
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