Legislazione Giurisprudenza Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso
Copyright © Ambiente Diritto.it
CORTE DI CASSAZIONE Sez. III 18 marzo 2004 (Ud. 12 febbraio 2004), Sentenza n. 13204
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Corte di Cassazione Sez. III 18 marzo 2004 (Ud. 12 febbraio 2004 n. 00253 ),
sentenza n. 13204
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE III PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. SAVIGNANO Giuseppe - Presidente - del 12/02/2004
Dott. ZUMBO Antonio - Consigliere - SENTENZA
Dott. SQUASSONI Claudia - Consigliere - N. 253
Dott. GRILLO Carlo M. - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. FIALE Aldo - Consigliere - N. 41117/2003
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul sul ricorso proposto da:
- MERICO EGIDIO, nato a Uggiano La Chiesa il 5/9/1950 e;
- RAMPINO RAFFAELE, nato a Trepuzzi il 9/8/1942;
avverso la sentenza n. 1101/2002 del 25/10/2002-27/5/2003, pronunciata dalla
Corte di Appello di Lecce.
- Letti gli atti, la sentenza denunciata ed il ricorso;
- udita in Pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere Dr. Carlo M.
Grillo;
- udite le conclusioni del P.M., in persona del S. Procuratore Generale Dr.
CONSOLO S., con le quali chiede il rigetto del ricorso;
- uditi i difensori, avv. P. Corleto e avv. G. Andreis per Rampino, e avv. A.
Pallara per Merico, i quali insistono sui motivi di ricorso, chiedendo, in
estremo subordine, la conversione della pena detentiva inflitta in quella
pecuniaria corrispondente, ai sensi della sopravvenuta L. n. 134/2003;
la Corte osserva:
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte di Appello di Lecce, con la decisione indicata in premessa, confermava
integralmente la sentenza 26/6/2000 del Tribunale di Lecce Sezione distaccata di
Maglie, che aveva condannato Merico Egidio e Rampino Raffaele, il primo quale
direttore dello stabilimento utilizzato dalla "Copersalento s.p.a." (in cui
erano in funzione due distinti impianti: un "sansificio", per il trattamento
della sansa, ed una "centrale di cogenerazione", per la produzione di energia
elettrica) ed il secondo quale legale rappresentante della detta società, alla
pena di mesi 5 di arresto ciascuno, con la sospensione condizionale della stessa
subordinata all'osservanza di determinate prescrizioni, in ordine ai reati,
accertati il 25/3/97, di cui agli artt.:
- 110-81 c.p. e 25, commi 1 e 3, D.P.R. n. 203/1988, per non aver rispettato i
valori di emissione stabiliti dalla normativa statale, superando i limiti del
D.M. 12/7/1990, senza che fosse stato presentato alcun progetto di adeguamento
all'atto della domanda di autorizzazione (capo "b");
- 110 c.p. e 25, comma 2, D.P.R. n. 203/1988, per non aver rispettato le
prescrizioni imposte nell'autorizzazione rilasciata dal Ministero dell'industria
in relazione alla centrale di cogenerazione (capo "c");
- 110 c.p. e 25, comma 6, D.P.R. n. 203/1988, per aver modificato le emissioni
prodotte dallo stabilimento, convogliandole in un solo camino, senza aver
richiesto ed ottenuto la necessaria autorizzazione (capo "d"); 110-81-674 c.p.,
per aver provocato, con le condotte sopra ricordate, emissione di polveri,
vapori e fumo atti ad offendere, imbrattare e molestare persone (capo "d").
All'affermazione di responsabilità seguiva la condanna in solido dei prevenuti
al risarcimento dei danni, liquidati equitativamente in L. 200.000.000, ed alla
rifusione delle spese in favore del Comune di Melpignano, costituitosi parte
civile.
Gli imputati ricorrono per Cassazione con un unico atto, deducendo:
1) inosservanza ed erronea applicazione della legge penale (art. 606, comma 1
lett. "b", c.p.p.) in relazione all'art. 158 c.p., in quanto la gravata
decisione considera permanenti i reati de quibus, fino alla pronuncia della
sentenza di primo grado, senza tenere conto che la permanenza comunque non
poteva protrarsi oltre la data di effettuazione dei campionamenti, e quindi di
accertamento dei fatti posti a fondamento della contestazione, se non sulla base
di apodittiche presunzioni, in violazione del principio di legalità;
inoltre il requisito della permanenza è incompatibile col "reiterato superamento
dei limiti prescritti", evidenziato in sentenza; comunque il P.M. avrebbe dovuto
procedere a nuova contestazione;
2) inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità (art. 606, comma 1 lett. "c", c.p.p.) in relazione agli artt. 521 e 522 c.p.p., con riferimento alla contestazione di cui al capo d) dell'imputazione, in quanto la contestazione riguarda la modificazione delle emissioni prodotte dagli impianti della Copersalento, mentre le sentenze di condanna fanno riferimento ad una modifica strutturale e sostanziale dell'impianto produttivo, che avrebbe comportato variazioni quantitative e qualitative delle emissioni inquinanti, erroneamente assimilando in tal modo la nozione di impianto a quella di emissione;
3) mancanza e manifesta illogicità della motivazione (artt. 606, comma 1 lett. "e", e 546, comma 1 lett. "e", c.p.p.) con riferimento alla contestazione di cui al capo d) dell'imputazione, essendosi i giudici distrettuali limitati a dichiarare l'infondatezza dell'eccepito difetto di correlazione tra sentenza ed accusa, senza tuttavia fornire alcuna spiegazione di tale assunto in relazione alle doglianze prospettate;
4) inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità (art. 606,
comma 1 lett. "c", c.p.p.) in relazione agli artt. 360, 178 lett. c) e 180
c.p.p., non essendo stato dato avviso ai difensori ed al C.T. della difesa -
nello svolgimento della consulenza tecnica del P.M. ex art. 360 c.p.p.- delle
operazioni di taratura dell'apparecchiatura utilizzata per effettuare i rilievi
delle emissioni;
5) inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e di altre norme giuridiche di cui si deve tenere conto nell'applicazione della legge penale (art. 606, comma 1 lett. "b", c.p.p.) in relazione agli artt. 15, comma 1 e 25, comma 6, D.P.R. n. 203/1988, nonché mancanza e manifesta illogicità della motivazione sul punto (artt. 606, comma 1 lett. "e", e 546, comma 1 lett. "e", c.p.p.), giacché la legge assoggetta a preventiva autorizzazione la modifica sostanziale dell'impianto, che comporti variazioni quantitative o qualitative delle emissioni inquinanti, mentre nel caso di specie nessuna modifica era stata apportata al ciclo produttivo, e quindi agli impianti, ma erano state, solo convogliate in un unico camino le emissioni dei vari impianti del sansificio e di quello di cogenerazione ed inoltre era stato introdotto un ulteriore sistema di abbattimento dei fumi ("ad umido"), per cui non vi era stato nessun aumento quantitativo e peggioramento qualitativo delle emissioni;
6) mancanza e manifesta illogicità della motivazione (artt. 606, comma 1 lett. "e", e 546, comma 1 lett. "e", c.p.p.) con riferimento alla contestazione di cui al capo d) dell'imputazione, laddove si afferma che "una realtà impiantistica" diversa rispetto a quella autorizzata sarebbe stata evidenziata dagli stessi consulenti, tenuto conto del numero e della potenzialità degli essiccatori installati, in relazione al modificato contenuto in umidità della sanse (dal 15-20% al 40-50%), giacché le autorizzazioni rilasciate non stabiliscono alcun limite di umidità ed inoltre manca la prova che la percentuale iniziale fosse quella ritenuta in sentenza;
7) mancanza e manifesta illogicità della motivazione (artt. 606, comma 1 lett. "e", e 546, comma 1 lett. "e", c.p.p.) con riferimento alla contestazione di cui ai capi b) e c) dell'imputazione, per quanto concerne il preteso superamento dei limiti prescritti per le emissioni atmosferiche dal D.M. 12/7/1990 e dall'autorizzazione ministeriale rilasciata alla Copersalento, essendo irrituale, per le ragioni prima indicate (4^ motivo), l'indagine compiuta, per cui era necessario l'espletamento di un'altra perizia;
8) inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e di altre norme giuridiche di cui si deve tenere conto nell'applicazione della legge penale (art. 606, comma 1 lett. "b", c.p.p.) in relazione agli artt. 25, commi 1 e 3, D.P.R. n. 203/1988 e 4 D.M. 12/7/1990, nonché mancanza e manifesta illogicità della motivazione sul punto (artt. 606, comma 1 lett. "e", e 546, comma 1 lett. "e", c.p.p.), in quanto, innanzi tutto, a seguito dell'ordinanza 8/4/99 n. 1023 del T.A.R. Lazio, è stata sospesa l'efficacia del menzionato D.M. in relazione ai limiti previsti dal sub allegato 2, per cui non può più farsi riferimento ad essi ai fini della sussistenza del reato previsto dal richiamato art. 25, commi 1 e 3, D.P.R. n. 203/1988; in secondo luogo, le conclusioni cui sono pervenuti i C.T. del P.M. sono inficiate dall'applicazione di una metodologia non corretta ed in totale difformità dalle indicazioni contenute nel D.M. 12/7/1990, relativamente al campionamento dei fumi, essendo stati effettuati un numero insufficiente di prelievi, peraltro concentrati nell'arco di poche ore, benché l'impianto operasse a ciclo continuo, con conseguente impossibilità di calcolare il valore medio giornaliero delle emissioni;
9) inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e di altre norme giuridiche di cui si deve tenere conto nell'applicazione della legge penale (art. 606, comma 1 lett. "b", c.p.p.) in relazione all'art. 2, comma 2, D.M. 21/12/1995, con riferimento alla contestazione di cui ai capi b) e c) dell'imputazione, in quanto i C.T. del P.M. avrebbero dovuto monitorare le emissioni dello stabilimento, eseguendo il calcolo del valore medio giornaliero riferito alle ore di effettivo funzionamento degli impianti;
10) mancanza e manifesta illogicità della motivazione (artt. 606, comma 1 lett. "e", e 546, comma 1 lett. "e", c.p.p.) con riferimento alla contestazione di cui al capo b) dell'imputazione, giacché, per supportare le proprie conclusioni, i giudici di merito richiamano i risultati di altri accertamenti analitici eseguiti dall'A.S.L. di Lecce in data 12/3/2000, dei quali però non può tenersi conto perché assunti al di fuori del processo ed in totale assenza di contraddittorio, nonostante il carattere irripetibile delle analisi;
11) mancanza e manifesta illogicità della motivazione (artt. 606, comma 1 lett. "e", e 546, comma 1 lett. "e", c.p.p.) con riferimento alla contestazione di cui al capo d) dell'imputazione, non spiegando i giudici distrettuali le ragioni per le quali non vi sarebbe difetto di correlazione tra sentenza ed accusa;
12) inosservanza ed erronea applicazione della legge penale (art. 606, comma 1 lett. "b", c.p.p.) in relazione all'art. 674 c.p., con riferimento alla contestazione di cui al capo e) dell'imputazione, giacché la detta contravvenzione non può essere ravvisata quando le emissioni siano state debitamente autorizzate, come nel caso di specie, ed il superamento dei limiti normativamente posti può concretare, per il principio di specialità, solo la violazione degli artt. 24 e 25 D.P.R. n. 203/1988;
13) mancanza e manifesta illogicità della motivazione (artt. 606, comma 1 lett. "e", e 546, comma 1 lett. "e", c.p.p.) con riferimento alla contestazione di cui al capo e) dell'imputazione, ed in particolare alla prova della sussistenza del reato, in ordine alla quale la sentenza si limita a recepire in maniera acritica le doglianze dei testimoni, senza verificare il rapporto di causalità tra le turbative lamentate e l'attività dello stabilimento;
14) inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e di altre norme giuridiche di cui si deve tenere conto nell'applicazione della legge penale (art. 606, comma 1 lett. "b", c.p.p.) in relazione agli artt. 40, 43 e 110 c.p., nonché mancanza e manifesta illogicità della motivazione (artt. 606, comma 1 lett. "e", e 546, comma 1 lett. "e", c.p.p.), con riferimento a tutti i capi di imputazione, in relazione alla posizione dell'amministratore delegato della società, Raffaele Rampino, in quanto, all'epoca dei fatti de quibus, il responsabile dello stabilimento di Maglie, con l'incarico (sulla base di delega scritta) di vigilare sulla sicurezza del lavoro e l'osservanza delle norme anti-inquinamento, era il Merico, nominato il 13/5/99 "amministratore delegato dell'opificio", per cui a nessun titolo al Rampino potevano addebitarsi le contravvenzioni in questione, neppure ex art. 40 cpv. c.p., quale delegante, non essendo presidente del consiglio di amministrazione;
15) mancanza e manifesta illogicità della motivazione (artt. 606, comma 1 lett. "e", e 546, comma 1 lett. "e", c.p.p.) in relazione all'art. 133 c.p., giacché la sentenza non chiarisce le ragioni per le quali, pur essendo comminata dalla norma la pena alternativa, sia stata ritenuta congrua la pena detentiva irrogata, nonostante nei fatti in esame può ravvisarsi al massimo una culpa in vigilando e nonostante la concessione delle attenuanti generiche;
16) inosservanza ed erronea applicazione della legge penale (art. 606, comma 1 lett. "b", c.p.p.), in relazione all'art. 674 c.p., nonché mancanza e manifesta illogicità della motivazione (artt. 606, comma 1 lett. "e", e 546, comma 1 lett. "e", c.p.p.) in relazione all'art. 165 c.p., e specificamente alla subordinazione del beneficio della sospensione condizionale della pena all'adempimento di varie prescrizioni, in quanto, a parte la genericità di alcune di esse, la sostituzione degli impianti da modificare non rende più possibile l'adempimento;
inoltre "prevedibili variazioni dell'organigramma sociale" fino al passaggio in
giudicato della sentenza, potrebbero privare gl'imputati di ogni potere
decisionale, cosa già verificatasi per quanto concerne il Rampino;
17) inosservanza ed erronea applicazione della legge penale (art. 606, comma 1 lett. "b", c.p.p.), in relazione all'art. 674 c.p., nonché mancanza e manifesta illogicità della motivazione (artt. 606, comma 1 lett. "e", e 546, comma 1 lett. "e", c.p.p.) in relazione all'art. 185 c.p., avendo la Corte d'Appello confermato le statuizioni civili, non tenendo conto che trattasi di reati "di pericolo astratto", che prescindono quindi dalla verificazione di un effettivo danno, pertanto non quantificabile, neppure equitativamente; ne' può farsi riferimento all'art. 18 L. n. 349/1986, giacché esso presuppone comunque l'avvenuta lesione di beni ambientali, assolutamente non provata nel caso di specie; per quanto concerne, poi, la contravvenzione codicistica, il bene tutelato è costituito da una o più persone fisiche esattamente individuate e non da beni collettivi, come la salubrità dell'aria;
18) inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità (art. 606,
comma 1 lett. "c", c.p.p.) in relazione agli artt. 521 e 522 c.p.p., con
riferimento all'art. 185 c.p., in quanto, avendo i giudici dichiarato la
responsabilità civile dei prevenuti per la lesione di un interesse collettivo,
quale l'aria, gli atti sarebbero dovuti tornare al P.M. perché fosse contestato
il diverso fatto costituito dalla violazione dell'art. 24, comma 6, o 25, comma
4, D.P.R. n. 203/1988; il riconoscimento della lesione di beni ambientali, con
conseguente condanna al risarcimento del danno, non ha correlazione con la
contestazione: con riferimento alle contravvenzioni ritenute sussistenti,
infatti, la richiesta risarcitoria del Comune di Melpignano non avrebbe potuto
trovare accoglimento, se non nei limiti del danno morale.
All'odierna udienza il P.G. ed i difensori concludono come riportato in
epigrafe.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso è infondato.
- È pacifico in giurisprudenza (tra tante: (Cass. Sez. 3^, 3 marzo 1992, n.
2321, Forte; Sez. 3^, 12 dicembre 1995, n. 12220, PG/Candeloro; Sez. 1^, 12
aprile 1996, n. 5706, PM/Mazzi; Sez. 3^, 26 novembre 1999, n. 13534, Cipriani)
che la violazione dell'art. 25 comma 1 D.P.R. n. 203/1988 concreti un reato
formale di pericolo, che prescinde quindi dall'effettiva produzione di un evento
dannoso, giacché mira a realizzare, a scopo di prevenzione, un controllo
anticipato, da parte delle autorità competenti, anche relativamente agli
impianti esistenti.
È altrettanto pacifico, inoltre, che detto reato (omissivo) abbia natura
permanente, protraendosi la consumazione sino a quando il responsabile
dell'impianto esistente non presenti alla competente autorità amministrativa,
eventualmente anche oltre il termine prescritto, la domanda di autorizzazione
per le emissioni atmosferiche prodotte, ovvero fino a quando l'agente non abbia
desistito dal comportamento o ripristinato la situazione precedente (riguardano
specificamente gli "impianti esistenti": Cass. Sez. 3^, 25 luglio 1995, n. 8324,
Cascone; Sez. 3^, 12 dicembre 1995, n. 12220, PG/Candeloro; Sez. 3^, 20 luglio
1996, n. 7300, Simonetti ed altro; Sez. 3^, 18 dicembre 1997, n. 11836, Pasini;
Sez. 3^, 26 novembre 1999, n. 13534, Cipriani; Sez. 3^, 7 aprile 2000, n. 4355,
Ciccone; Sez. 3^, 2 aprile 2001, n. 12819, Motto).
Per le medesime considerazioni, la natura permanente del reato non può revocarsi
in dubbio neppure per quanto concerne la violazione di cui al secondo e sesto
comma dell'art. 25 suddetto. In relazione al secondo comma non risultano
contrasti interpretativi; relativamente al comma sesto, pur non registrandosi
unanimità, il Collegio condivide l'orientamento maggioritario, secondo cui "la
contravvenzione prevista dagli artt. 15 e 25, sesto comma, d.p.r. 24 maggio 1988
n. 203 (esecuzione senza autorizzazione di una modifica sostanziale di impianto
industriale) non integra un reato istantaneo, la cui epoca di commissione debba
farsi risalire al momento in cui avviene la modifica non autorizzata, bensì un
reato permanente in cui detta modifica costituisce solo il momento iniziale
della consumazione che si protrae sino alla conclusione del procedimento di
controllo ed al rilascio dell'autorizzazione (con cui si mira ad accertare la
compatibilità di quanto eseguito con la salvaguardia dell'interesse protetto),
ovvero sino a che l'agente non abbia desistito dal comportamento o ripristinato
la situazione precedente" (per tutte: Cass. Sez. 3^, 18 novembre 1997, n. 11836,
Pasini). Riguardo alla contestata contravvenzione codicistica (art. 674 c.p.),
deve invece rilevarsi che, pur essendole riconosciuto in genere carattere di
reato istantaneo, per cui può configurarsi anche in caso di una sola emissione
contra legem, assume tuttavia carattere permanente (e quindi trattasi di reato
eventualmente permanente) quando le emissioni pericolose sono continuative, come
si verifica, ad esempio, se le stesse siano connesse ad un'attività produttiva
che non registri pause o interruzioni di rilevante entità, ipotesi analoga alla
fattispecie in esame (Cass. Sez. 1^, 10 febbraio 1995, n. 1360, Montano ed
altro; Sez. 1^, 27 febbraio 1998, n. 2598, PM/Garbo). Ne consegue che "se la
sentenza di primo grado abbia accertato la permanente attualità dell'attività
produttiva in termini non diversi da quelli del momento della contestazione,
quanto a strumenti della produzione, la permanenza nel reato deve ritenersi
cessata solo con la pronunzia di detta sentenza ed il termine prescrizionale, di
cui all'art. 158 c.p., comincia a decorrere dalla data di siffatta decisione"
(Cass. Sez. 1^, 10 agosto 1995, n. 9293, Zanforlini).
Dai ricordati arresti giurisprudenziali emerge chiara l'infondatezza della prima
doglianza, tendente ovviamente alla dichiarazione di estinzione dei reati per
prescrizione. Nel caso in esame, inoltre, i giudici del merito hanno desunto la
costante (e non episodica) qualità dello scarico dall'accertata continuatività
dell'emissione e la dipendenza del superamento dei limiti di legge da accertate
caratteristiche strutturali dell'impianto, confortati altresì ex post dai
risultati di analisi effettuate dall'A.S.L. su campionamenti del 12/3/90.
Quanto poi al problema della contestazione della permanenza che, secondo il
ricorrente si imponeva nel caso in esame, è sufficiente ricordare il principio
affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte (13 luglio 1998, n. 11021,
Montanari): "Poiché la contestazione del reato permanente, per l'intrinseca
natura del fatto che enuncia, contiene già l'elemento del perdurare della
condotta antigiuridica, qualora il pubblico ministero si sia limitato ad
indicare esclusivamente la data iniziale (o la data dell'accertamento) e non
quella finale, la permanenza - intesa come dato della realtà - deve ritenersi
compresa nell'imputazione, sicché l'interessato è chiamato a difendersi nel
processo in relazione ad un fatto la cui essenziale connotazione è data dalla
sua persistenza nel tempo, senza alcuna necessità che il protrarsi della
condotta criminosa formi oggetto di contestazioni suppletive da parte del
titolare dell'azione penale".
Si ricorda che, nell'affermare detto principio, la Corte ha precisato che la
contestazione del reato permanente assume una sua vis expansiva fino alla
pronuncia della sentenza, e ciò non perché in quel momento cessi o si interrompa
naturalisticamente o sostanzialmente la condotta, sibbene solo perché le regole
del processo non ammettono che possa formare oggetto di contestazione, di
accertamento giudiziale e di sanzione una realtà fenomenica successiva alla
sentenza, pur se legata a quella giudicata da un nesso inscindibile per la
genesi comune, l'omogeneità e l'assenza di soluzione di continuità, la quale
potrà essere eventualmente oggetto di nuova contestazione.
Nel caso in esame, i reati sono stati contestati come "accertati il 25/3/97 con
permanenza". Essi, dunque, non sono prescritti. - La seconda, terza ed
undicesima doglianza - con le quali si prospetta la mancata correlazione tra
l'imputazione contestata e la sentenza, relativamente alla contravvenzione sub
d), e dunque la violazione degli artt. 521 e 522 c.p.p., nonché la mancanza e
manifesta illogicità della motivazione sul punto - sono già state
approfonditamente esaminate dalla Corte d'Appello, che le ha ritenute infondate
con motivazione logica e corretta.
Deve ricordarsi in proposito che, come è stato costantemente affermato da questa
Corte, per aversi mutamento del fatto, occorre una trasformazione radicale, nei
suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume
l'ipotesi astratta prevista dalla legge, si da determinare un' incertezza -
sull'oggetto dell'imputazione - produttiva di un reale pregiudizio dei diritti
della difesa. Pertanto l'indagine, volta ad accertare la violazione del
principio suddetto, non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente
letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie
di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso
l'iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di
difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione. Ed è quello che è avvenuto
nel caso di specie.
I giudici distrettuali hanno evidenziato che la contestazione nasce dalla
consulenza tecnica, ben nota agli imputati, i quali - in merito ad essa- hanno
avuto "ampia possibilità di difendersi, restando così pienamente soddisfatte
quelle esigenze che la correlazione tra accusa e sentenza è destinata a
salvaguardare". In particolare ben sapevano i prevenuti che, pur parlando il
capo di imputazione di "modifica delle emissioni prodotte", l'espressione era
chiaramente riferita ad una modifica strutturale anche dell'impianto, essendo
state fatte confluire in un unico camino (circostanza incontroversa) le
emissioni che prima sboccavano in sette camini.
- La quarta e la settima doglianza, di natura processuale, trovano anch'esse
esauriente e corretta risposta nella gravata decisione (pp. 8-9). La prospettata
irritualità degli accertamenti tecnici non ripetibili effettuati - ex art. 360
c.p.p. - dal P.M., per la mancata taratura in contraddittorio degli strumenti
utilizzati per gli stessi, che determinerebbe una nullità dell'indagine ai sensi
dell'art. 178, lett. c), c.p.p., è stata dichiarata infondata dai giudici
distrettuali per una serie di ragioni "in fatto" del tutto condivisibili, che
questo Collegio quindi si limita a richiamare. Peraltro, come è stato
correttamente rilevato, non vi è alcuna censura in concreto sul metodo adottato,
ma solo sull'assenza di contraddittorio, del resto nota sin dal primo
sopralluogo, e sulla considerazione di una possibile imperfetta taratura degli
strumenti, che comunque - secondo quanto ritenuto dai giudici di merito - non
avrebbe potuto mai portare alla registrazione di livelli delle emissioni tanto
superiori a quelli di legge.
- La quinta censura si basa sul rilievo che l'art. 15 D.P.R. n. 203/1988
sottopone ad autorizzazione "la modifica sostanziale dell'impianto che comporti
variazioni qualitative e/o quantitative delle emissioni inquinanti", mentre, nel
caso in esame, l'impianto sarebbe rimasto immutato, essendo stato modificato
solo il sistema di convogliamento delle emissioni e di abbattimento dei fumi,
per cui non poteva riscontrarsi neppure la variazione delle emissioni sopra
indicata.
La Corte del merito ha affrontato approfonditamente anche questa problematica,
fornendo ancora una volta risposta adeguata. In definitiva è pacifico che la
Copersalento, nello stabilimento di cui si discute, apportò una modifica,
consistente nell'unificazione degli originari sette punti di emissione con
convogliamento di essi in un solo camino, realizzando nel contempo un diverso
sistema di abbattimento dei fattori inquinanti, consistente nel c.d.
"trattamento ad umido" delle emissioni stesse.
Il primo problema che viene sollevato dai ricorrenti è quello di stabilire se
tali interventi possano considerarsi "modifiche sostanziali dell'impianto",
inteso questo, ovviamente, secondo la definizione fornitane dall'art. 2 n. 9 del
decreto presidenziale in esame ("lo stabilimento o altro impianto fisso che
serva per usi industriali o di pubblica utilità e possa provocare inquinamento
atmosferico").
Ebbene, ad avviso del Collegio, nessuna ragione logica induce ad escludere dal
concetto di impianto fisso - così come fanno disinvoltamente i ricorrenti- il
sistema di convogliamento delle emissioni e di abbattimento delle stesse, che
invece dell'impianto (anche se non propriamente del "ciclo produttivo") sono
parte integrante e rilevante, e dunque "sostanziale", almeno ai fini che qui
interessano. Non è indispensabile, infatti, che le modifiche comportino
differenti meccanismi del processo produttivo ovvero un' aumento dei fumi da
disperdere nell'atmosfera, come si sostiene nel ricorso, ma solo che tali
modifiche siano sostanziali. I ricorrenti dimostrano di confondere il "punto di
emissione", che ovviamente deve essere distinto dall'impianto, con il sistema
più o meno complesso di convogliamento delle emissioni e di abbattimento dei
fumi, che invece è parte "sostanziale" di esso.
Pertanto è assolutamente condivisibile la conclusione cui giungono i giudici di
merito, e cioè che, all'atto dell'accertamento dei fatti, "la realtà
impiantistica era diversa da quella descritta nelle note autorizzatole".
La seconda condizione, posta dal menzionato art. 15, perché sia obbligatoria la
preventiva autorizzazione, in caso di modifica dell'impianto, è quella che le
emissioni inquinanti, in conseguenza appunto dell'avvenuta modifica, subiscano
una variazione quantitativa o qualitativa, ovviamente in peius rispetto alla
precedente situazione. E sul punto la risposta è fornita dai risultati degli
accertamenti "in fatto" eseguiti nel caso di specie, che hanno determinato la
convinzione dei consulenti, recepita dalla gravata sentenza, che "l'unificazione
non ha sortito gli effetti sperati ma ha nuociuto ... all'abbattimento delle
sostanze inquinanti". Quindi è stato in concreto verificato un peggioramento
qualitativo delle emissioni stesse, attribuito ad un deficit strutturale
dell'impianto, "dovuto verosimilmente proprio all'insufficienza del 'trattamento
a umido' nella gestione di più emissioni", e non a fenomeni occasionali.
- Con la sesta doglianza si censura la motivazione della sentenza nella parte in
cui ritiene che la variazione del numero e della potenza degli essiccatori
installati per l'abbattimento dei fumi costituisca modifica sostanziale
dell'impianto. In proposito si ribadiscono le argomentazioni appena esposte,
precisando che, proprio grazie alla detta modifica - secondo accertamento in
fatto non censurabile in questa sede - l'impianto de quo è stato reso idoneo al
trattamento di sanse dal contenuto in umidità molto superiore a quelle
inizialmente trattate (dal 15-20% al 40-50%), donde l'infondatezza della
doglianza.
- L'ottavo ed il nono motivo di ricorso, coi quali si contestano le modalità
esecutive dei campionamenti delle emissioni, effettuati dai consulenti del P.M.,
riguardano la questione approfondita dalla Corte di Appello alle pagg. 9 e 10
della sentenza impugnata. Premesso che il consulente della difesa non ha mai,
neppure in dibattimento, sollevato alcuna riserva sul metodo adottato dai C.T.
del P.M., la Corte del merito ha evidenziato, argomentando in maniera logica e
corretta, l'ineccepibilità dello stesso, con riferimento a dati fattuali
specifici, per cui le doglianze si rivelano prive di fondamento. Per quanto
concerne, poi, specificamente il riferimento all'ordinanza 8/4/99 del TAR Lazio,
che - secondo il ricorso-avrebbe dichiarato l'inefficacia dei limiti posti dal
D.M. 12/7/1990, si osserva che, invece, trattasi semplicemente di una pronunzia
su istanza incidentale di sospensiva, peraltro del D.M. 5/2/98, recante
individuazione dei rifiuti non pericolosi, per cui non ha nessuna concreta
rilevanza nel caso trattato.
- Infondata è anche la decima doglianza con la quale si lamenta, come si è
detto, l'utilizzazione da parte dei giudici distrettuali di accertamenti
analitici dell'A.S.L. leccese, effettuati successivamente ai fatti per cui è
processo e senza il rispetto dei diritti della difesa.
Rileva, infatti, il Collegio che l'argomentazione utilizzata dalla Corte del
merito, come si evince chiaramente dalla sentenza (p. 10), non è essenziale ed
imprescindibile per l'affermazione di colpevolezza dei prevenuti, ma è solo un
elemento motivazionale ad adiuvandum, nel senso che conforterebbe e
confermerebbe ex post, ove ve ne fosse bisogno, la validità degli accertamenti
tecnici espletati dai consulenti del P.M.; pertanto il giudizio di penale
responsabilità de quo non riposa su detti elementi, acquisiti nel corso del
dibattimento (ud. 15/5/2000), ma si basa su tutte le altre emergenze
processuali.
- Con la dodicesima doglianza i ricorrenti deducono l'insussistenza della
contravvenzione di cui all'art. 674 c.p., essendo comunque autorizzate le
emissioni dello stabilimento in questione ed essendo sanzionato il superamento
dei limiti di esse dal D.P.R. n. 203/1988. Osserva il Collegio che il problema
del concorso tra norme speciali in materia ambientale e l'art. 674 c.p. è stato
da tempo espressamente affrontato, e risolto positivamente, dalla Suprema Corte
sia con riferimento all'inquinamento atmosferico (tra tante: Sez. 3^, 7 aprile
1994, n. 6598, Gastaldi; Sez. 1^, 31 agosto 1994, n. 9357, Turino; Sez. 3^, 26
giugno 1985, n. 6249, Boni), sia con riferimento all'inquinamento idrico (Sez.
1^, 10 novembre 1998, n. 13278, Mangione).
Pertanto la contravvenzione codicistica e quelle previste dalle specifiche
discipline di settore (in particolare la L. n. 615/1966 ed il D.P.R. n.
203/1988) possono ben concorrere, come si evince dalle indicate decisioni e
come, peraltro, gli stessi ricorrenti affermano negli ultimi motivi di ricorso,
quantunque ad altri fini, riconoscendo la diversità dei beni giuridici tutelati
da dette norme.
- Il tredicesimo motivo di ricorso è inammissibile, perché "in fatto", vertendo
sulla motivazione relativa alla prova della sussistenza della contravvenzione di
cui all'art. 674 c.p.. Ricordato che l'attuale codice di rito prevede come
motivo di ricorso per Cassazione, attinente alla motivazione della sentenza
impugnata, esclusivamente la mancanza o la manifesta illogicità di essa, quando
detti vizi però risultino dal testo stesso del provvedimento, reputa il Collegio
che, nel caso in esame, non ricorra alcuna di tali ipotesi, avendo la Corte
distrettuale, e prima ancora il Tribunale, spiegato congruamente le ragioni del
proprio convincimento (p. 17 sent.). Pertanto, essendo adeguatamente e
correttamente motivata dai giudici del merito la valutazione delle risultanze
processuali, ad essi riservata, la stessa è sottratta al vaglio di legittimità.
- La quattordicesima doglianza si riferisce alla posizione dell'imputato Dott.
Rampino, che, quale amministratore delegato della società per azioni, non
sarebbe colpevole dei fatti rubricati, giusta espressa delega "liberatoria" di
funzioni (e delle corrispondenti responsabilità) al direttore dello stabilimento
stesso, Dott. Merico.
Effettivamente, in relazione a tale rilievo, la Corte distrettuale è incorsa in
errore, facendo riferimento alla delibera assembleare della Copersalento in data
20/3/96, che avrebbe attribuito al Rampino l'incarico di sovrintendere al
settore della produzione, anche per quanto concerne lo stabilimento in
discussione, "ivi compresa la manutenzione degli impianti e la vigilanza sulla
sicurezza del lavoro e l'osservanza delle norme antinquinamento". Nella sentenza
di primo grado, è precisato correttamente, invece, che le dette mansioni furono
assegnate al Merico nell'Assemblea del 15/3/93 (verbale n. 37), mentre al
Rampino venne riconosciuta la qualifica di amministratore delegato della
società. Con la delibera 20/3/96 (n. 49), poi, la società si limitò a
confermare, in ordine alle predette posizioni personali, quanto in precedenza
stabilito. Ciò nondimeno, come ha osservato il primo giudice, la menzionata
delega di funzioni al Merico non può escludere la concorrente responsabilità del
Rampino per i reati de quibus, in quanto con la delibera del '93, confermata sul
punto da quella del '96, allo stesso venivano riconosciuti "i piu' ampi poteri
di ordinaria e straordinaria amministrazione, nessuno escluso, con il solo
limite delle materie di competenza dell'Assemblea dei soci", tra cui,
specificamente, quello di "richiedere alle autorita' competenti il rilascio di
concessioni, autorizzazioni o nulla osta".
Quindi il Rampino aveva l'obbligo societario di chiedere l'autorizzazione nel caso di specie, a meno che non fosse all'oscuro dell'importante modifica apportata all'impianto dello stabilimento in questione, circostanza non solo non risultante in atti, che anzi dimostrano il contrario, ma neppure dedotta dalla difesa. Emerge, peraltro, dagli atti processuali che è stato proprio il Rampino, nonostante la posizione societaria del Merico, a sottoscrivere le richieste concernenti le varie autorizzazioni relative alle emissioni dello stabilimento, coerentemente con le mansioni affidategli dall'Assemblea. Dunque correttamente è stata affermata anche la sua penale responsabilità relativamente ai fatti rubricai, donde l'infondatezza anche di questa censura. - La quindicesima doglianza attiene al trattamento sanzionatorio, per cui, inerendo a valutazioni discrezionali riservate al giudice del merito e motivate - nella fattispecie in esame (p. 19 sent.) - in maniera congrua e corretta, deve ritenersi inammissibile. - Con la sedicesima censura si dolgono i prevenuti della subordinazione del riconosciuto beneficio della sospensione condizionale della pena a diverse prescrizioni, alcune delle quali generiche ed altre divenute ormai inattuabili sia oggettivamente che soggettivamente.
Osserva il Collegio che i giudici del merito si sono semplicemente avvalsi della
facoltà ad essi conferita dall'art. 165 c.p., che, per la particolarità della
fattispecie, non richiedeva neppure specifica motivazione. Peraltro la
possibilità di far ricorso alla detta disposizione anche in materia ambientale è
pacificamente riconosciuta dalla giurisprudenza.
Quanto, poi, alla possibile futura rimozione dei prevenuti dalle cariche ora
ricoperte in ambito societario, con conseguente loro impossibilità di adempiere
alle prescrizioni, è un problema che per il momento non sussiste e, ove se ne
verificassero le condizioni, potrà essere prospettato in executivis, come già
rilevato nell'impugnata sentenza.
- Le ultime due doglianze riguardano le statuizioni civili; con la
diciassettesima censura si denuncia la violazione dell'art. 185 c.p.: per quanto
riguarda le violazioni della legge 203, essendo reati di pericolo astratto,
nessun danno all'ambiente può ravvisarsi e quindi quantificarsi, neppure
equitativamente; per quanto concerne l'art. 674 c.p., non essendo oggetto di
tutela un bene collettivo ma le singole persone fisiche, necessitava la
costituzione in giudizio di costoro e non del Comune, al quale dunque non poteva
essere riconosciuto alcun risarcimento.
L'infondatezza della doglianza è evidenziata nella gravata sentenza (pp. 18-19),
essendo stato accertato in fatto, e tale valutazione è sottratta al vaglio di
legittimità, che il continuo superamento dei valori limite di accettabilità
dell'emissioni ha pregiudicato la qualità dell'aria; pertanto, pur trattandosi
di reati di pericolo astratto, nel caso di specie risulta accertato in concreto
un danno, conseguentemente risarcibile. Il mancato risarcimento del danno
cagionato anche ai singoli dal reato codicistico, poi, non rileva, non essendo
stata promossa la relativa azione civile. - Con la diciottesima censura si
lamenta un ulteriore difetto di correlazione tra imputazione e sentenza, sotto
il profilo supra riportato.
La sentenza impugnata - ad avviso del Collegio - fornisce in proposito risposta
congrua e corretta (pp. 18-19), alla quale, in quanto condivisibile, si fa
rinvio, donde l'infondatezza anche di queste ultime doglianze.
- Merita accoglimento, infine, l'istanza subordinata proposta dai difensori
all'odierno dibattimento, conseguente all'entrata in vigore della L. n.
134/2003.
Com'è noto questa, modificando (all'art. 4) l'art. 53 L. n. 689/1981, ha reso
possibile la sostituzione della pena detentiva entro il nuovo limite di sei
mesi, per cui nel caso di specie i prevenuti potrebbero beneficiarne. Sennonché,
dopo aver richiamato i criteri indicati dall'art. 57 della legge dell''81, la
norma precisa che, per la determinazione dell'ammontare della pena pecuniaria
sostitutiva, il giudice deve individuare il valore giornaliero al quale può
essere assoggettato l'imputato, tenendo conto della condizione economica
complessiva dello stesso e del suo nucleo familiare; il giudicante, inoltre, in
relazione alle condizioni economiche del condannato, può disporre il pagamento
rateale, ex art. 133-ter c.p..
Ciò premesso, sebbene l'art. 5, comma 3, L. n. 134/2003, per i procedimenti in
corso all'entrata in vigore della legge, consenta alla Corte di Cassazione di
applicare direttamente le sanzioni sostitutive, ritiene il Collegio, nel caso di
specie di dover investire della questione il giudice del merito, sia per
valutare la sussistenza delle condizioni di applicabilità della sanzione
sostitutiva richiesta (la pena pecuniaria), anche in considerazione delle
statuizioni ex art. 165 c.p., sia per l'eventuale determinazione dell'importo di
essa, considerando che dagli atti non si evincono le circostanze di fatto sopra
indicate, indispensabili per farlo.
P.Q.M.
La Corte annulla la sentenza impugnata limitatamente alle condizioni di
applicabilità di sanzioni sostitutive, ex art. 4 e 5 L. n. 134/2003, con rinvio
ad altra Sezione della Corte di Appello di Lecce; rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, il 12 febbraio 2004.
Depositato in Cancelleria il 18 marzo 2004
Aria - Inquinamento atmosferico - Esecuzione senza autorizzazione di modifica sostanziale di impianto industriale - Reato di cui agli artt. 15 e 25, comma sesto, del d.P.R. n. 203/1988 - Natura - Reato permanente - Momento iniziale e protrazione del reato - Fondamento. In tema di inquinamento atmosferico, la contravvenzione prevista dagli artt. 15 e 25, comma sesto, del d.P.R. 24 maggio 1988 n. 203 (esecuzione senza autorizzazione di una modifica sostanziale di impianto industriale) configura un reato permanente, nel quale la modifica costituisce il momento iniziale della consumazione, che si protrae sino al rilascio della autorizzazione o al ripristino della situazione precedente. Pres: Savignano G. Est: Grillo C. Imp: Merico ed altro. P.M. Consolo S. (Parz. Diff.) (Annulla in parte con rinvio, App. Lecce, 25 ottobre 2002). CORTE DI CASSAZIONE Sez. III , 18 marzo 2004 (Ud. 12 febbraio 2004 n. 00253 ) Rv. 227571 sentenza n. 13204
Aria - Inquinamento atmosferico - Reato formale di pericolo - Sussiste - Natura permanente - Domanda di autorizzazione per le emissioni atmosferiche - Art. 25 c.1 d.P.R. n. 203/1988. La violazione dell'art. 25 comma 1 D.P.R. n. 203/1988 concreta un reato formale di pericolo, che prescinde dall'effettiva produzione di un evento dannoso, giacché mira a realizzare, a scopo di prevenzione, un controllo anticipato, da parte delle autorità competenti, anche relativamente agli impianti esistenti. (Cass. Sez. 3^, 3 marzo 1992, n. 2321, Forte; Sez. 3^, 12 dicembre 1995, n. 12220, PG/Candeloro; Sez. 1^, 12 aprile 1996, n. 5706, PM/Mazzi; Sez. 3^, 26 novembre 1999, n. 13534, Cipriani). È altrettanto pacifico, inoltre, che detto reato (omissivo) abbia natura permanente, protraendosi la consumazione sino a quando il responsabile dell'impianto esistente non presenti alla competente autorità amministrativa, eventualmente anche oltre il termine prescritto, la domanda di autorizzazione per le emissioni atmosferiche prodotte, ovvero fino a quando l'agente non abbia desistito dal comportamento o ripristinato la situazione precedente (riguardano specificamente gli "impianti esistenti": Cass. Sez. 3^, 25 luglio 1995, n. 8324, Cascone; Sez. 3^, 12 dicembre 1995, n. 12220, PG/Candeloro; Sez. 3^, 20 luglio 1996, n. 7300, Simonetti ed altro; Sez. 3^, 18 dicembre 1997, n. 11836, Pasini; Sez. 3^, 26 novembre 1999, n. 13534, Cipriani; Sez. 3^, 7 aprile 2000, n. 4355, Ciccone; Sez. 3^, 2 aprile 2001, n. 12819, Motto). Pres: Savignano G. Est: Grillo C. Imp: Merico ed altro. P.M. Consolo S. (Parz. Diff.) (Annulla in parte con rinvio, App. Lecce, 25 ottobre 2002). CORTE DI CASSAZIONE Sez. III , 18 marzo 2004 (Ud. 12 febbraio 2004), Sentenza n. 13204
Aria - Inquinamento atmosferico - Artt. 15 e 25, c. 6°, d.p.r., n. 203/1988 - Reato permanente - Art. 674 c.p.. In tema di inquinamento atmosferico, la contravvenzione prevista dagli artt. 15 e 25, sesto comma, d.p.r. 24 maggio 1988 n. 203 (esecuzione senza autorizzazione di una modifica sostanziale di impianto industriale) non integra un reato istantaneo, la cui epoca di commissione debba farsi risalire al momento in cui avviene la modifica non autorizzata, bensì un reato permanente in cui detta modifica costituisce solo il momento iniziale della consumazione che si protrae sino alla conclusione del procedimento di controllo ed al rilascio dell'autorizzazione (con cui si mira ad accertare la compatibilità di quanto eseguito con la salvaguardia dell'interesse protetto), ovvero sino a che l'agente non abbia desistito dal comportamento o ripristinato la situazione precedente" (per tutte: Cass. Sez. 3^, 18 novembre 1997, n. 11836, Pasini). Riguardo alla contestata contravvenzione codicistica (art. 674 c.p.), deve invece rilevarsi che, pur essendole riconosciuto in genere carattere di reato istantaneo, per cui può configurarsi anche in caso di una sola emissione contra legem, assume tuttavia carattere permanente (e quindi trattasi di reato eventualmente permanente) quando le emissioni pericolose sono continuative, come si verifica, ad esempio, se le stesse siano connesse ad un'attività produttiva che non registri pause o interruzioni di rilevante entità, ipotesi analoga alla fattispecie in esame (Cass. Sez. 1^, 10 febbraio 1995, n. 1360, Montano ed altro; Sez. 1^, 27 febbraio 1998, n. 2598, PM/Garbo). Ne consegue che "se la sentenza di primo grado abbia accertato la permanente attualità dell'attività produttiva in termini non diversi da quelli del momento della contestazione, quanto a strumenti della produzione, la permanenza nel reato deve ritenersi cessata solo con la pronunzia di detta sentenza ed il termine prescrizionale, di cui all'art. 158 c.p., comincia a decorrere dalla data di siffatta decisione" (Cass. Sez. 1^, 10 agosto 1995, n. 9293, Zanforlini). Pres: Savignano G. Est: Grillo C. Imp: Merico ed altro. P.M. Consolo S. (Parz. Diff.) (Annulla in parte con rinvio, App. Lecce, 25 ottobre 2002). CORTE DI CASSAZIONE Sez. III , 18 marzo 2004 (Ud. 12 febbraio 2004), Sentenza n. 13204
Inquinamento - Inquinamento atmosferico - Concetto di impianto fisso - Ciclo produttivo - Punto di emissione - Convogliamento delle emissioni e di abbattimento dei fumi. Non può escludersi dal concetto di impianto fisso il sistema di convogliamento delle emissioni e di abbattimento delle stesse, anche se non propriamente del "ciclo produttivo" se sono parte integrante e rilevante, e dunque "sostanziale". Infatti, non è indispensabile, che le modifiche comportino differenti meccanismi del processo produttivo ovvero un'aumento dei fumi da disperdere nell'atmosfera, ma solo che tali modifiche siano sostanziali. Non si deve confondere il "punto di emissione", che ovviamente deve essere distinto dall'impianto, con il sistema più o meno complesso di convogliamento delle emissioni e di abbattimento dei fumi, che invece è parte "sostanziale" di esso. Pres: Savignano G. Est: Grillo C. Imp: Merico ed altro. P.M. Consolo S. (Parz. Diff.) (Annulla in parte con rinvio, App. Lecce, 25 ottobre 2002). CORTE DI CASSAZIONE Sez. III , 18 marzo 2004 (Ud. 12 febbraio 2004), Sentenza n. 13204
Inquinamento - Inquinamento atmosferico - Inquinamento idrico - Concorso tra norme speciali in materia ambientale e l'art. 674 c.p. In tema di emissioni il problema del concorso tra norme speciali in materia ambientale e l'art. 674 c.p. (getto pericoloso di cose) è stato da tempo espressamente affrontato, e risolto positivamente, dalla Suprema Corte sia con riferimento all'inquinamento atmosferico (tra tante: Sez. 3^, 7 aprile 1994, n. 6598, Gastaldi; Sez. 1^, 31 agosto 1994, n. 9357, Turino; Sez. 3^, 26 giugno 1985, n. 6249, Boni), sia con riferimento all'inquinamento idrico (Sez. 1^, 10 novembre 1998, n. 13278, Mangione). Pertanto la contravvenzione codicistica e quelle previste dalle specifiche discipline di settore (in particolare la L. n. 615/1966 ed il D.P.R. n. 203/1988) possono ben concorrere, riconoscendo la diversità dei beni giuridici tutelati da dette norme. Pres: Savignano G. Est: Grillo C. Imp: Merico ed altro. P.M. Consolo S. (Parz. Diff.) (Annulla in parte con rinvio, App. Lecce, 25 ottobre 2002). CORTE DI CASSAZIONE Sez. III , 18 marzo 2004 (Ud. 12 febbraio 2004), Sentenza n. 13204
Inquinamento - Sostituzione della pena detentiva entro il nuovo limite di sei mesi - L. n. 134/2003. L'entrata in vigore della L. n. 134/2003, modificando (all'art. 4) l'art. 53 L. n. 689/1981, ha reso possibile la sostituzione della pena detentiva entro il nuovo limite di sei mesi. Pres: Savignano G. Est: Grillo C. Imp: Merico ed altro. P.M. Consolo S. (Parz. Diff.) (Annulla in parte con rinvio, App. Lecce, 25 ottobre 2002). CORTE DI CASSAZIONE Sez. III , 18 marzo 2004 (Ud. 12 febbraio 2004), Sentenza n. 13204
Per ulteriori approfondimenti ed altre massime vedi il canale: Giurisprudenza