Legislazione Giurisprudenza Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso
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CORTE DI CASSAZIONE Sez. III del 18 marzo 2004 (Ud. 20.02.2004), sentenza n. 13219
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Corte di Cassazione Sez. III del
18 marzo 2004, (ud. 20/02/2004 n. 00335), sentenza n.
13219
Pres.Papadia U. – Est. De Maio G. - Pm Izzo G.– Imp. Bavado ed altro
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE III PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.:
- Dott. PAPADIA Umberto - Presidente
- Dott. DE MAIO Guido - Consigliere
- Dott. TERESI Alfredo- Consigliere
- Dott. VANGELISTA Vittorio - Consigliere
- Dott. LOMBARDI Alfredo Maria - Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) BAVADO GIUSEPPE N. IL 12/08/1938;
2) ROTTINO GIOVANNA N. IL 16/11/1945;
avverso SENTENZA del 08/04/2003 CORTE APPELLO di MESSINA;
visti gli atti, la sentenza ed il procedimento;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dr. DE MAIO GUIDO;
Udito il P.M. nella persona del Dott. IZZO che ha concluso:
sospensione;
Udito il difensore Avv. GANGEMI Domenico (Messina).
MOTIVAZIONE
Bavado Giuseppe e Rottino Giovanna furono rinviati al giudizio del Giudice
monocratico del Tribunale di Messina perché rispondessero rispettivamente
entrambi: A)del reato di cui agli artt. 81, 110 c.p. e 20 lett. b) l. 47/85 per
avere, in concorso tra di loro, quali proprietari e committenti dei lavori, in
corso la realizzazione, del piano terra (pari a mq. 570,72), del primo piano
(pari a mq. 348) e della terza elevazione f.t. di un fabbricato artigianale a
tre elevazioni f.t... in assenza di concessione edilizia (sospesa con ordinanza
del TAR Catania del 12.2.1998), acc. in Torregrotta il 15.10.99, il 29.10.99 e
il 12.11.99; e il primo inoltre: b)del reato di cui all'art. 349 capv. c.p.
perché, in qualità di custode giudiziario, violava i sigilli apposti dai VV.UU.
di Torregrotta in data 15.10.1999 al fine di assicurare la conservazione e
l'identità del fabbricato indicato al capo a), proseguendo i lavori, consistiti
nella collocazione di mattoni forati e di ferri per armatura, acc. in
Torregrossa il 23.10.99.
Con sentenza in data 2.7.2001 del suddetto Tribunale, gli imputati furono
riconosciuti colpevoli dei reati loro rispettivamente ascritti (limitatamente
alla realizzazione della seconda e terza elevazione f.t.), e, riconosciuta la
continuazione tra i reati ascritti al Bavado, condannati, quest'ultimo, alla
pena di mesi nove di reclusione, mesi uno di arresto, lire un milione di multa e
lire un milione di ammenda; la Rottino alla pena di mesi uno di arresto e lire
tre milioni di ammenda, con demolizione dell'opera abusiva e, per entrambi, la
sospensione condizionale subordinata alla demolizione stessa.
A seguito di impugnazione degli imputati, la Corte d'Appello di Messina confermò
la decisione di primo grado con sentenza in data 8.4.2003, avverso la quale il
difensore di entrambi gli imputati ha proposto ricorso per Cassazione.
Possono essere esaminati congiuntamente i due primi motivi, entrambi relativi
alla tesi difensiva secondo cui nella specie dovrebbe ritenersi l'esistenza di
una concessione edilizia in relazione alla "inequivocabile manifestazione di
volontà e di assenso all'esercizio dell'attività edificatoria da parte del
sindaco del comune di Torregrotta"; di ciò i giudici di merito non avrebbero
tenuto conto, con inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 20 lett. b) l.
47/85 e con mancata assunzione di una prova decisiva sul punto dedotto dalla
difesa. I due motivi sono inammissibili per manifesta infondatezza. Infatti, sul
punto si è consolidata una imponente elaborazione giurisprudenziale, in base
alla quale è del tutto pacifico che la concessione edilizia è un atto
amministrativo che acquista giuridica esistenza ed efficacia solo se emesso,
nelle forme che documentalmente lo individuano, da parte dell'autorità
competente e all'esito del procedimento per esso previsto dalla legge. Da qui,
il principio, anch'esso pacifico, che il reato di costruzione in assenza di
concessione edilizia comprende nella sua struttura, come elemento costitutivo
tipico, negativamente formulato, un atto amministrativo tipico,, non surrogabile
da equipollenti informali. La giurisprudenza amministrativa citata dal
ricorrente è in senso contrario solo apparentemente, perché si riferisce in
realtà al diverso problema della non necessità, nel concreto contenuto
dell'atto, di forme tipiche o sacramentali. Con il terzo e quarto motivo viene
denunciato che - con inosservanza di norme giuridiche di cui si deve tener conto
in applicazione detta legge penale, nonché con carenza e manifesta illogicità di
motivazione - "sia il Tribunale che la Corte d'Appello concentrano la loro
attenzione sul documento formale, peraltro sospeso dal TAR in via cautelare,
riconducendo a tale sospensione gli effetti di una revoca e/o di una sospensione
di concessione edilizia, che richiede invece un contrarius actus proveniente
dalla amministrazione". Il motivo è infondato, dovendosi ritenere non
condivisibile la tesi difensiva in base ai seguenti rilievi (già esposti nella
sentenza impugnata): 1) la concessione era stata, in concreto, sospesa con la
citata ordinanza del TAR immediatamente esecutiva; 2)la sospensione della
esecutività della concessione inibisce al privato le facoltà inerenti lo ius
edificandi, ristabilendo quegli ostacoli alla libera esplicazione di tale
diritto che il rilascio della concessione aveva provveduto ad eliminare; 3)che
dopo il citato provvedimento di sospensione, il Sindaco (che, peraltro,
opponendosi alla concessione aveva dato una precisa e inequivoca manifestazione
di volontà contraria al rilascio di un atto amministrativo che riteneva
illegittimo) non poteva adottare un provvedimento di revoca della concessione
(perché, appunto, questa era soltanto sospesa), revoca che, quindi, sarebbe
stata, oltre che contrastante con il provvedimento di sospensiva, inutiliter
data.
A tali rilievi della sentenza impugnata va aggiunto che la sospensione,
deliberata con il citato provvedimento del TAR, non avrebbe senso alcuno se non
fosse intesa a bloccare - immediatamente e cioè senza necessità di ulteriori
interventi - l'attività conseguente al rilascio della concessione edilizia; si
tratta di un provvedimento cautelare che, per la natura e struttura che lo
definiscono, deve, da un punto di vista generale, attuare "quelle misure che
appaiono, secondo le circostanze, più idonee ad assicurare interinalmente gli
effetti della decisione sul ricorso" (così, attualmente, l'art. 3 l. 21.7.2000
n. 205); e, per quanto riguarda il caso in esame, quindi, relativo ad ipotesi di
concessione illegittima, ripristinare l'ostacolo allo ius edificandi. Va,
infine, anche rilevato che il contrarius actus di cui discute il difensore
avrebbe dovuto concretizzarsi nella revoca della concessione (il ricorrente non
ha considerato l'annullamento), ma la più autorevole dottrina ritiene che la
concessione edilizia (al pari, ad esempio, delle licenze per lo svolgimento di
attività commerciali), in quanto provvedimento vincolato, esclude in capo alla
P.A. il potere di revoca; alla stessa conclusione della irrevocabilità giungono
altri autori in base al rilievo che l'autorizzazione a costruire (categoria alla
quale va, dal punto di vista dommatico, ricondotta la concessione edilizia)
produce effetti irreversibili, perché determina, immediatamente e
definitivamente, la nascita dello ius edificandi. Tale ragione condurrebbe a
escludere anche il potere di annullamento, essendo pacifico che sono annullabili
d'ufficio solo gli atti rispetto ai quali l'autorità è ancora investita del
potere di provvedere (e non anche, quindi, gli atti la cui emanazione implica il
venir meno di ogni potere sulla materia, potere che è, per così dire, consumato.
In ogni caso, anche a non voler aderire a tali teorie, risulta chiaro che le vie
dei rimedi d'ufficio (c.d. autotutela) e di quelli giurisdizionali sono tra di
loro autonome e indipendenti, nel senso che ben possono essere utilizzati
congiuntamente o meno, e, quindi, determinare gli effetti che sono loro propri,
senza che l'esperimento dell'una (o il mancato esperimento) possa in una qualche
misura inibire gli effetti dell'altra (almeno fin quando i diversi tipi di
rimedi siano, come nel caso in esame, ancora in itinere, e cioè non definitivi).
Quanto precede conferma che il fatto, accertato dai giudici di merito, di aver
costruito dopo che la concessione era stata cautelativamente sospesa, equivale a
costruire senza concessione. Nè, in base per l'appunto alle considerazioni che
precedono, vale obiettare che l'atto concessorio non ha mai perduto la sua
efficacia, essendo inidoneo il provvedimento della sospensiva del TAR a far
venir meno l'efficacia e l'idoneità dell'atto sotto il profilo della norma
penale che sanziona la costruzione posta in essere in assenza di concessione
edilizia e non già in presenza di una concessione sospesa". Anche in tale ultimo
senso di richiamo alla figura legale del reato, la questione è infondata,
perché, da un lato, si è visto che la sospensione della concessione non poteva
avere senso diverso dal determinare la interinale perdita di efficacia
dell'atto;
dall'altro e di conseguenza, tale perdita di efficacia si concretizzava nella
inibizione dello ius edificandi. Tale concretezza e essenzialità di effetti
comporta il superamento anche della questione meramente letterale, senza
possibilità di richiami al principio di legalità: è ben noto, infatti, che
costruisce senza concessione, anche chi è in possesso di concessione illegittima
o scaduta, ovvero anche chi costruisce in modo totalmente difforme dalla
ottenuta concessione.
Neppure, da ultimo, può avere rilievo l'osservazione che il provvedimento di
sospensiva sia stato notificato al Comune: la notifica, come esattamente
rilevato dai giudici di merito, rileva solo ai fini della conoscenza del Tatto
(conoscenza che gli attuali ricorrenti hanno pacificamente avuto) e della
decorrenza dei termini di impugnativa.
Deve, pertanto, concludersi che, essendo infondate le censure mosse, il ricorso
va rigettato, con conseguente condanna del ricorrente alle spese. È opportuno
precisare che l'opera incriminata non rientra, in ragione della sua entità (mq.
348 il primo piano, cui va aggiunta cubatura della terza elevazione), tra quelle
condonabili ex art. 32 co. 25 D.L. 269/03.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e
condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 20 febbraio
2004.
Depositato in Cancelleria il 18 marzo 2004
1) Urbanistica - Concessione edilizia - Sospensione da parte del giudice amministrativo - Realizzazione dell'opera - Reato di costruzione senza concessione - Configurabilità. La realizzazione di un manufatto successivamente alla sospensione della concessione da parte del giudice amministrativo integra il reato di cui all'art. 20 della legge 28 febbraio 1985 n. 47 (ora sostituito dall'art. 44 del d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380), atteso che la sospensione della esecutività della concessione inibisce al privato le facoltà relative allo "ius edificandi" ristabilendo gli ostacoli alla libera esplicazione di tale diritto che il provvedimento autorizzativo aveva rimosso. Pres.Papadia U. – Est. De Maio G. – Imp. Bavado ed altro – Pm Izzo G.(Parz. Diff.) CORTE DI CASSAZIONE Sez. III 18 marzo 2004, (ud. 20/02/2004 n. 00335) Rv. 227573, sentenza n. 13219
2) Urbanistica e edilizia - Costruzione in assenza di concessione edilizia - Configurabilità. La concessione edilizia è un atto amministrativo che acquista giuridica esistenza ed efficacia solo se emesso, nelle forme che documentalmente lo individuano, da parte dell'autorità competente e all'esito del procedimento per esso previsto dalla legge. Da qui, il principio, che il reato di costruzione in assenza di concessione edilizia comprende nella sua struttura, come elemento costitutivo tipico, negativamente formulato, un atto amministrativo tipico, non surrogabile da equipollenti informali. Pres.Papadia U. – Est. De Maio G. – Imp. Bavado ed altro – Pm Izzo G.(Parz. Diff.) CORTE DI CASSAZIONE Sez. III 18 marzo 2004, (ud. 20/02/2004), sentenza n. 13219
3) Pubblica amministrazione - Rimedi d'ufficio (c.d. autotutela) e giurisdizionali - Autonomia e indipendenza dei procedimenti - Sussiste - Condizioni. Le vie dei rimedi d'ufficio (c.d. autotutela) e di quelli giurisdizionali sono tra di loro autonome e indipendenti, nel senso che ben possono essere utilizzati congiuntamente o meno, e, quindi, determinare gli effetti che sono loro propri, senza che l'esperimento dell'una (o il mancato esperimento) possa in una qualche misura inibire gli effetti dell'altra (almeno fin quando i diversi tipi di rimedi siano, ancora in itinere, e cioè non definitivi). Pres.Papadia U. – Est. De Maio G. – Imp. Bavado ed altro – Pm Izzo G.(Parz. Diff.) CORTE DI CASSAZIONE Sez. III 18 marzo 2004, (ud. 20/02/2004), sentenza n. 13219
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