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 Massime della sentenza

 

 

CORTE DI CASSAZIONE Sez. I del 23 luglio 2004, Sentenza n. 13801

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


Corte di Cassazione Sez. I del 23 luglio 2004, sentenza n. 13801
Pres. G. Losavio - Est. A. Ceccherini - Ric. Tanzillo

 


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE I CIVILE


Omissis

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

 

Con atto notificato il 21 dicembre 1998, la signora Rosa Tanzillo propose appello al Tribunale di Milano avverso la sentenza pronunciata in primo grado dal Pretore della stessa città,che aveva respinto la sua domanda di condanna del Comune di Milano ai risarcimento dei danni lamentati, dopo che la stessa parte aveva ottenuto l'archiviazione dei verbali di accertamento ingiustamente emessi dall'amministrazione a suo carico. Secondo l'appellante, la decisione impugnata era in contraddizione con il riconosciuto illegittimo comportamento del Comune di Milano.

L'appellato si costituì e resistette al gravame.

Con sentenza 16 novembre 2000, il Tribunale, premesso che l'appellante aveva già ottenuto la declaratoria dell'illegittimità degli impugnati verbali d'accertamento di violazioni delle norme sulla sosta degli autoveicoli, osservò che i danni richiesti (esborsi per la presentazione dei ricorsi al Prefetto e per l'inoltro degli stessi, eseguiti a cura del figlio della appellante, avvocato Sculco) erano di carattere eminentemente processuale, e che essi nascono e trovano la loro ragion d'essere nel procedimento cui ineriscono. Le medesime spese, riferite alla fase amministrativa, non erano qualificabili come danni, e non potevano quindi essere riconosciute alla parte. Il Tribunale, pertanto, respinse l'appello e dichiarò compensate le spese del giudizio tra le parti.

Per la cassazione della sentenza, non notificata, la signora Santoro ricorre con atto notificato il 6 luglio 2001, affidato a due motivi illustrati anche con memoria.

Il comune di Milano resiste con controricorso notificato il 28 settembre 2001.

 


MOTIVI DELLA DECISIONE


Con il primo motivo di ricorso si denunziano la violazione e falsa applicazione di norme di diritto - tra le altre, degli articoli 142 della 1. n. 393/1959 e 2043 c.c. - nonché vizi di motivazione della sentenza impugnata.

 

Si deduce che:

- l'art. 142 della legge n. 393/1959, nel disciplinare il ricorso al prefetto, non prevede la condanna al pagamento delle spese del procedimento amministrativo, e che il prefetto non ha alcun potere in relazione agli esborsi che il privato abbia ingiustamente affrontato per rimuovere l'illegittimo provvedimento; non esiste preclusione normativa ad ottenere in via giudiziale, dopo la rimozione in sede amministrativa degli atti illegittimi, il risarcimento del danno conseguente alla accertata lesione del diritto soggettivo;

- il diniego del giudice di marito violava l'art. 2043, e non considerava che il danno sofferto poteva essere evitato solo soggiacendo alla in giusta pretesa di pagamento di importi non dovuti;

- i principi dell'azione a amministrativa prescritti dall'art. 97 Cost. e quello della responsabilità dei dipendenti pubblici (art. 28 Cost.) fanno del cittadino il titolare del diritto di usufruire i sevizi pubblici, e non pongono a suo carico il dovere di sopportare i disservizi dell'attività amministrativa negligente ed illegittima;

- la facoltà prevista dallo speciale procedimento amministrativo di proporre personalmente il ricorso al prefetto non implica un divieto di assistenza legale, né postula nei cittadino cognizioni sufficienti alla proposizione dei ricorso, giacché altrimenti la portata del diritto di difesa (art. 24 Cost.) sarebbe fortemente sminuito; - l'unico criterio dell'obbligo del rimborso del danno ingiusto subito, per spese di assistenza legale, sarebbe l'illegittimità del provvedimento e/o del comportamento impugnato, e l'obbligo medesimo sarebbe regolato esclusivamente dai principio della soccombenza.

 

La prevalenza della azione amministrativa, conclude la ricorrente, non può verificarsi quando essa sia contrassegnata anche da dolo e/o colpa, e nella specie ci sarebbe stata colpa grave "per la notificazione di un accertamento di un'infrazione già estinta"'.

Il motivo è fondato. Il giudice del merito, senza procedere al compiuto accertamento della fattispecie di illecito denunciata dall'attrice, ha ritenuto di dover respingere la domanda di risarcimento con l'argomento che le spese legali, che si assumono sopportate per ottenere l'annullamento del provvedimento in sede di autotutela, potrebbero fissare riconosciute esclusivamente con riferimento ad un procedimento contenzioso, e che la qualificazione di tali spese come danno risarcibile sarebbe esclusa per il solo fatto che esse si riferiscono ad un procedimento amministrativo. Questa affermazione non è conforme alle regole generali in materia di risarcimento del danno, né a quella riferibili all'illecito della pubblica amministrazione, non potendosi escludere in modo aprioristico che anche tali spese, sempre che costituenti una conseguenza del fatto illecito, secondo le comuni regole dell'accertamento del nesso causale, siano risarcibili a titolo di danno ingiusto.

Con il secondo mezzo si svolgono argomenti a sostegno di un diverso regolamento delle spese processuali, che la parte si aspetta dall'accoglimento del precedente mezzo, e in particolare sulla esclusione della compensazione.

Questo motivo è assorbito dall'accoglimento del precedente, che importa la cassazione della sentenza impugnata con rinvio alla corte d'appello di Milano.

Il giudice del rinvio procederà, anche ai fini del regolamento delle spese di questo grado, ad un nuovo esame della domanda di risarcimento del danno proposta dalla parte, e, valutando a tali fini gli elementi offerti dalla parte nella fase introduttiva del giudizio in cui fu pronunciata la sentenza impugnata, accerterà in concreto l'esistenza dei requisiti anche soggettivi dell'illecito - non identificabili con la mera illegittimità dell'atto annullato, ma riferibili al comportamento dell'ente, nonché dei suoi funzionari e dipendenti, e qualificato dal dolo o dalla colpa -, nonché l'esistenza delle spese legali allegate e la dipendenza di esse dal fatto illecito secondo i consueti criteri di adeguatezza causale.

 


PER QUESTI MOTIVI


La Corte accoglie il primo motivo, assorbito il secondo, cassa a rinvia anche per le spese del giudizio di legittimità alla Corte d'appello di Milano.


 

M A S S I M E

Sentenza per esteso

Pubblica Amministrazione - Annullamento in via amministrativa del provvedimento - Spese sostenute per ottenere l'annullamento in via amministrativa del provvedimento - Responsabilità civile della Pubblica Amministrazione - Configurabilità - Presupposti - Fattispecie. La Pubblica Amministrazione può rispondere del danno subito dal privato a causa di un provvedimento amministrativo illegittimo, nella misura delle spese sostenute per ottenere l'annullamento in via amministrativa del provvedimento stesso. Sicché, non si può escludere in modo aprioristico che anche tali spese, sempre che costituenti una conseguenza del fatto illecito, secondo le comuni regole dell'accertamento del nesso causale, siano risarcibili a titolo di danno ingiusto. Nella specie la Suprema Corte ha imposto al giudice del rinvio, l'accertamento in concreto dell'esistenza dei requisiti anche soggettivi dell'illecito - non identificabili con la mera illegittimità dell'atto annullato, ma riferibili al comportamento dell'ente, nonché dei suoi funzionari e dipendenti, e qualificato dal dolo o dalla colpa -, nonché l'esistenza delle spese legali allegate e la dipendenza di esse dal fatto illecito secondo i consueti criteri di adeguatezza causale. Pres. G. Losavio - Est. A. Ceccherini - Ric. Tanzillo - (Rinvia alla Corte d'appello di Milano). CORTE DI CASSAZIONE Civile, sez. I, 23 luglio 2004, Sentenza n. 13801 CORTE DI CASSAZIONE Civile, sez. I, 23 luglio 2004, Sentenza n. 13801

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