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 Massime della sentenza

 

 

CORTE DI CASSAZIONE Sez. I del 29 marzo 2004, (Cc. 10.03.2004), Sentenza n. 15066

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


Corte di Cassazione Sez. I del 29 marzo 2004, (Cc. 10/03/2004), sentenza n. 15066
Pres. Teresi R. – Est. Chieffi S - P.M. Esposito V.– Imp.Luci.

 


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE I PENALE

 


Composta dagli Ill.mi Sigg.:


Dott. TERESI Renato - Presidente
1. Dott. CHIEFFI Saverio - Consigliere
2. Dott. MOCALI Piero - Consigliere 
3. Dott. RIGGIO Gianfranco - Consigliere 
4. Dott.  CANZIO Giovanni - Consigliere

ha pronunciato la seguente


SENTENZA


Sul ricorso proposto da:
1) LUCI GRAZIANO N. IL 23/11/1953;
avverso ORDINANZA del 17/09/2003 TRIB. LIBERTÀ di TARANTO;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dr. CHIEFFI SEVERO;
sentite le conclusioni del P.G. Vitaliano Esposito, che ha chiesto il rigetto del ricorso e quelle del difensore Avv. Granco Giampietro, che ha chiesto l'annullamento senza rinvio dell'ordinanza impugnata.

 


CONSIDERATO IN FATTO E IN DIRITTO


Con ordinanza 17/03/2003 il Tribunale di Taranto, a seguito di richiesta di riesame avanzata Luci Graziano nella qualità di presidente della "Aseco s.p.a.", confermava il decreto 22/08/2003, con il quale il P.M. in sede, ai sensi dell'art. 253 c.p.p., ritenendoli corpi di reato o cose pertinenti al reato, aveva proceduto al sequestro a fine probatorio dello stabilimento e delle attrezzature della suddetta società, sita in Ginosa Marina, operante nell'attività di recupero di rifiuti destinati alla produzione di compost di qualità.


Il Tribunale - dopo aver premesso che al Luci, nella qualità di presidente della suddetta società, erano stati contestati i reati previsti dall'art. 650 c.p. e dall'art. 51 co. 1 lett. a) D. Lgs. 22/1997 per non aver ottemperato alla determinazione n. 145 del 30/07/2003 del dirigente del settore ecologia ed ambiente della Provincia di Taranto "che prevedeva il divieto di prosecuzione dell'attività di recupero dei rifiuti destinati alla produzione di compost di qualità e, così, svolgeva anche attività di discarica non autorizzata" - riteneva che nella fattispecie fosse astrattamente configurabile il reato previsto dall'art. 650 c.p., tenuto conto che dalle relazioni del nucleo operativo per la tutela dell'ambiente era emerso che l'impianto di raccolta delle acque di drenaggio del piazzale a servizio della struttura era inadeguato, in quanto vi era sversamento sul suolo delle acque meteoriche provenienti dai piazzali ove erano presenti i cicli di lavorazione del compost. Inoltre era astrattamente configurabile anche il reato previsto dall'art. 51 lett. a) L. 22/1997, in quanto risultava che la suddetta società non aveva richiesto l'autorizzazione regionale a norma del D.P.R. 203/1988 in materia di inquinamento atmosferico e, quindi, svolgeva attività di gestione dei rifiuti non autorizzata, tanto più che con determinazione del dirigente del settore ecologia ed ambiente della Provincia di Taranto n. 149 del 7/08/2003 era stata rigettata la richiesta di rinnovo della comunicazione ex art. 33 D. Lgs. 22/1997 avanzata dalla società "Aseco" in data 18/03/2003.

 

Pertanto, secondo il Tribunale, il sequestro a fini probatori doveva ritenersi pienamente legittimo, in quanto vi era necessità di accertare a mezzo di una consulenza tecnica l'effettiva consistenza delle violazioni denunciate.


Avverso la predetta ordinanza hanno proposto ricorso i difensori, i quali, anche con memoria presentata successivamente, ne hanno chiesto l'annullamento, deducendo: a) violazione degli artt. 107 co. 5, 50 co. 1 e 3 D. Lgs. 267/2000, 33 co. 4 D. Lgs. 22/1997 sul rilievo che il reato previsto dall'art. 650 c.p. doveva ritenersi insussistente, in quanto solo il Presidente della Provincia, e non il dirigente del settore ecologia ed ambiente della Provincia, poteva emettere l'ordine previsto dall'art. 33 co. 4 D. Lgs. citato; b) violazione dell'art. 39 D. Lgs. 152/1999 come modificato dal D. Lgs. 258/2000 sul rilievo che il Tribunale non aveva tenuto conto dei criteri stabiliti per la disciplina delle acque meteoriche di prima pioggia e di lavaggio delle aree esterne; e) violazione degli artt. 31 e 33 co. 7 D. Lgs. 22/1997 sul rilievo che, poiché la società "Aseco" svolgeva attività di recupero di rifiuti non pericolosi, non era applicabile nei suoi confronti la procedura prevista dal D.P.R. 203/1988, mancando emissioni inquinanti; d) violazione dell'art. 253 c.p.p. sul rilievo che il Tribunale, senza considerare che dalla nota del presidio multizonale era risultato che l'inquinamento era poco significativo e che dalle ispezioni non era risultata alcuna forma di inquinamento, aveva confermato il decreto di sequestro senza tenere conto che le indagini potevano essere svolte senza necessità di procedere al sequestro. Inoltre con memoria successivamente presentata è stato evidenziato che, attesa la tipologia dei reati contestati (cosiddetti formali), non vi era necessità di procedere a sequestro probatorio, tenuto anche conto che dal provvedimento di sequestro e dalla stessa motivazione del Tribunale si evinceva che il provvedimento di sequestro era stato adottato per finalità preventive e non per scopi probatori.


Il ricorso è fondato.


Quanto al motivo sub a), va premesso che, ai sensi dei commi 3 e 4 dell'art. 33 D. Lgs. 22/1997, il Presidente della Provincia è il solo organo preposto a disporre il divieto di inizio o di prosecuzione dell'attività in tema di operazioni di recupero dei rifiuti. Pertanto, poiché la determinazione n. 145 fu adottata dal dirigente del settore ecologia ed ambiente della Provincia di Taranto e non dal Presidente della Provincia, in mancanza di una specifica delega o di specifiche modalità stabilite dallo statuto o dai regolamenti dell'ente, l'inosservanza all'ordine impartito con la suddetta determinazione non integra il reato previsto dall'art. 650 c.p., in quanto il dirigente non era competente ad emettere tale ordine, trattandosi di funzioni attribuite per legge al Presidente della Provincia ai sensi dell'art. 50 co. 3 D. Lgs. 267/2000 e non ai dirigenti della Provincia, le cui funzioni sono elencate nell'art. 107 D. Lgs. citato (vedi caso analogo in materia di sicurezza pubblica deciso da questa prima sezione penale con sentenza n. 7025 del 12/02/2003, rv. 223488).


Parimenti fondato deve ritenersi il motivo sub d), atteso che, in mancanza di specifiche esigenze probatorie, il decreto di sequestro in esame fu adottato in violazione dell'art. 253 c.p.p.. Non vi è dubbio che, in tema di sequestro probatorio, è sufficiente che sulla base degli elementi acquisiti risulti da un lato l'astratta configurabilità di un reato riferibile alla condotta dell'indagato, e dall'altro che il bene in sequestro costituisca corpo di reato o cosa a questo pertinente. Ma è pur vero, secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale che si condivide (Cass. Sez. Un. sentenza n. 5876 del 28/01/2004, proc. Ferazzi), che il decreto di sequestro a fini di prova del corpo di reato o di cosa pertinente al reato deve essere sorretto da idonea motivazione in ordine al presupposto della finalità perseguita in concreto per l'accertamento dei fatti.


Orbene nel caso di specie è assorbente la circostanza che sia dal decreto di sequestro che dalla motivazione del Tribunale risulta in modo evidente che il sequestro dello stabilimento e delle attrezzature della "Aseco s.p.a." fu disposto per finalità preventive e non allo scopo di accertamento dei fatti. In particolare ciò si desume non solo dal tenore della determinazione n. 145 del dirigente del settore ecologia ed ambiente della Provincia di Taranto ("che prevedeva il divieto di prosecuzione dell'attività di recupero dei rifiuti"), ma ancor più dalla tipologia dei reati contestati (cosiddetti formali), che si perfezionano con la mera realizzazione della condotta. Infatti, per la sussistenza del reato previsto dall'art. 650 c.p., è sufficiente accertare che la società abbia continuato a svolgere attività di recupero dei rifiuti, mentre, per la sussistenza del reato previsto dall'art. 51 lett. a) D. Lgs. 22/1997, è sufficiente verificare se l'impianto abbia ottenuto o meno la prescritta autorizzazione al trattamento dei rifiuti. Pertanto, attesa la mancata allegazione di esigenze probatorie, non vi era alcuna necessità di disporre il sequestro dello stabilimento e delle relative attrezzature, tanto più che la consulenza tecnica diretta ad accertare eventuale inquinamento in atto poteva essere eseguita senza procedere al sequestro dello stabilimento. Ne consegue che l'ordinanza impugnata deve essere annullata senza rinvio con conseguente declaratoria di inefficacia del disposto sequestro e restituzione delle cose all'avente diritto.

 


P.Q.M.


La Corte Suprema di Cassazione annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata e per l'effetto ordina la cessazione del sequestro disposto con provvedimento del 22/08/2003 dal Procuratore della Repubblica di Taranto; ordina la restituzione delle cose in sequestro all'avente diritto; si comunichi al Pubblico Ministero procedente.

 

Così deciso in Roma, il 10 marzo 2004.
Depositato in Cancelleria il 29 marzo 2004


 

M A S S I M A

 

Sentenza per esteso

 

1) Rifiuti - Divieto di inizio o di prosecuzione dell'attività in tema di operazioni di recupero dei rifiuti - Competenza - Presidente della Provincia - Determinazione adottata dal Dirigente in mancanza di una specifica delega - Inosservanza - Non integra il reato di cui all'art. 650 c.p.. In tema di rifiuti, ai sensi dei commi 3 e 4 dell'art. 33 D. Lgs. 22/1997, il Presidente della Provincia è il solo organo preposto a disporre il divieto di inizio o di prosecuzione dell'attività in tema di operazioni di recupero dei rifiuti. Pertanto, l'inosservanza all'ordine impartito con una determinazione adottata dal dirigente (settore ecologia ed ambiente della Provincia di Taranto) e non dal Presidente della Provincia, in mancanza di una specifica delega o di specifiche modalità stabilite dallo statuto o dai regolamenti dell'ente, non integra il reato previsto dall'art. 650 c.p., in quanto il dirigente non era competente ad emettere tale ordine, trattandosi di funzioni attribuite per legge al Presidente della Provincia ai sensi dell'art. 50 co. 3 D. Lgs. 267/2000 e non ai dirigenti della Provincia, le cui funzioni sono elencate nell'art. 107 D. Lgs. citato (vedi caso analogo in materia di sicurezza pubblica deciso da questa prima sezione penale con sentenza n. 7025 del 12/02/2003, rv. 223488). Pres. Teresi R. – Est. Chieffi S – Imp.Luci. – P.M. Esposito V. (Diff.). (Annulla senza rinvio, Trib. Taranto, 17 settembre 2003). CORTE DI CASSAZIONE Sez. I del 29 marzo 2004, (Cc. 10/03/2004), sentenza n. 15066

 

2) Rifiuti - Smaltimento e autorizzazione - Legalità formale e sostanziale del provvedimento dell'autorità - Competenza dell'organo all'emissione del provvedimento - Smaltimento di rifiuti - Provvedimento assunto non dal Presidente della provincia, ma da un funzionario, in assenza di deleghe - Configurabilità del reato - Insussistenza. In tema di smaltimento di rifiuti, poiché il Presidente della Provincia è il solo organo preposto a disporre il divieto di inizio o di prosecuzione delle operazioni di recupero dei rifiuti stessi, qualora il relativo provvedimento sia emesso, in assenza di una specifica delega o di specifiche modalità stabilite dallo statuto o dai regolamenti dell'ente, da un dirigente del settore ecologia di quest'ultimo, la sua inosservanza non configura il reato previsto dall'art. 650 cod. pen.  Pres. Teresi R. – Est. Chieffi S   – Imp.Luci. – P.M. Esposito V.  (Diff.). (Annulla senza rinvio, Trib. Taranto, 17 settembre 2003). CORTE DI CASSAZIONE  Sez. I del del 29 marzo 2004, (Cc. 10/03/2004 n. 01304) Rv. 227933, sentenza n. 15066

3) Inquinamento - Sequestro probatorio - Presupposti - Idonea motivazione - Necessità. In tema di sequestro probatorio, è sufficiente che sulla base degli elementi acquisiti risulti da un lato l'astratta configurabilità di un reato riferibile alla condotta dell'indagato, e dall'altro che il bene in sequestro costituisca corpo di reato o cosa a questo pertinente. Ma è pur vero, secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale (Cass. Sez. Un. sentenza n. 5876 del 28/01/2004, proc. Ferazzi), che il decreto di sequestro a fini di prova del corpo di reato o di cosa pertinente al reato deve essere sorretto da idonea motivazione in ordine al presupposto della finalità perseguita in concreto per l'accertamento dei fatti. (Fattispecie: Conferma del decreto di sequestro senza tenere conto che le indagini potevano essere svolte senza necessità di procedere al sequestro in quanto le emissioni inquinanti erano poco significativi e dalle ispezioni non era risultata alcuna forma di inquinamento). Pres. Teresi R. – Est. Chieffi S – Imp.Luci. – P.M. Esposito V. (Diff.). (Annulla senza rinvio, Trib. Taranto, 17 settembre 2003). CORTE DI CASSAZIONE Sez. I del 29 marzo 2004, (Cc. 10/03/2004), sentenza n. 15066

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