Legislazione Giurisprudenza Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso
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CORTE DI CASSAZIONE Sez. III , 8 APRILE 2004 (Ud. 19 febbraio 2004), sentenza n. 16728
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE DI CASSAZIONE Sez. III , 8 APRILE 2004 (Ud. 19 febbraio 2004), sentenza
n. 16728
Pres. PAPADIA – FRANCO – Ric. Parodi – P.M. IZZO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE III PENALE
Composta dagli IlI.mi Sigg.ri
Magistrati: Udienza pubblica
Dott. PAPADIA Umberto - Presidente-
Dott. RAIMONDI Raffaele - Consigliere-
Dott. TARDINO Vincenzo - Consigliere-
Dott. LO MB ARDI Alfredo Maria - Consigliere-
Dott. FRANCO Amedeo - est. Consigliere-
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso - erroneamente qualificato come appello - proposto da: Paro di
Adriano, nato a Genova il21 maggio 1922, nonche' sulla impugnazione agli effetti
civili proposta dalle parti civili Rebora Luigi, Marcenaro Annamaria, Traverso
Maria Rosa, Poire' Mario, Bertuccio Moira, Parodi.
Anna, Buzzone Leonilde, Vigo Nadia, Gatto Marianna, Marchese Delia, Rebora
Vilma, Squillari Giuliano, Squillari Mario e Cervetto Liliana;
avverso la sentenza emessa il 19 settembre 2001 dal giudice del tribunale di
Genova;
udita nella Pubblica udienza del 19 marzo 2004 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
Izzo Gioacchino, che ha concluso per la inammissibilità del ricorso delle parti
civili e per il rigetto di quello dell'imputato;
Svolgimento del processo
Parodi Adriano, quale legale rappresentante della ditta F.lli Parodi s.r.l.,
venne rinviato a giudizio per rispondere
dei reati:
a) di cui all'art. 674 cod. f)en. per avere, sversando nella pubblica fognatura residui delle lavorazioni effettuate all'interno del proprio stabilimento ed aventi ad oggetto la trasformazione di acidi grassi ed oli vegetali in prodotti di sintesi, cagionato immissioni di odori molesti e di vapori irritanti delle mucose congiuntivali e delle prime vie aeree agli abitanti delle zone viciniori;
b) di cui all'art. 25, comma 2, del D.P.R. n. 203 del 1988 per non avere, esercitando un impianto esistente, osservato i punti 1), 13) e 16) delle prescrizioni del provvedimento dirigenziale della provincia di Genova del 7/6/1999, ed in particolare per non avere realizzato entro il 15 luglio 1999 l'allacciamento al postcombustore dello sfiato del serbatoio del LUW A, non avere provveduto al trasferimento del TMP caldo del sego e dell'olio fritto ai serbatoi 185, 191 e 199 e non avere comunicato alla provincia in disservizio occorso al postcombustore il2 settembre 1999.
Il giudice del tribunale di Genova, con sentenza del 19 settembre 2001, dichiarò non doversi procedere in ordine al reato di cui al capo A) perché estinto per prescrizione mentre lo dichiarò responsabile del reato di cui al capo B), limitatamente all'inosservanza delle prescrizioni di cui ai punti 1) e 13) del suddetto provvedimento dirigenziale, condannando lo alla pena di lire 800.000 di ammenda.
Il Parodi propone ricorso per Cassazione - erroneamente qualificato come appello
- deducendo:
a) quanto all'imputazione sub A) di cui all'art. 674 cod. pen. nullità della sentenza per omessa applicazione dell'art. 129 cod. proc.pen. in relazione all'art. 674 cod. pen. per erronea interpretazione ed applicazione dello stesso art. 674 c.p.. Osserva che la sentenza impugnata ha accertato due circostanze fondamentali:
a) che la contestazione mossagli e' quella di avere arrecato molestie a mezzo di odori mediante sversamento degli scarichi della propria azienda nella pubblica fognatura;
b) che mai in tutti gli anni di indagini e' risultato che la sua azienda avesse superato nelle emissioni i limiti imposti dalla legge.
Il giudice
di primo grado ha però ritenuto di
aderire alla interpretazione dell'art. 674 cod. pen. secondo cui l'inciso "nei
casi non consentiti dalla legge"
dovrebbe intendersi come comprendere anche l'esercizio di attività che, pur
autorizzate, producono molestie
eccedenti l'ordinaria tollerabilità. Di conseguenza ha privilegiato la
declaratoria di prescrizione rispetto
all'assoluzione per insussistenza del fatto o perché il fatto non costituisce
reato. Sostiene quindi che la
interpretazione seguita dal giudice non può ritenersi esatta sia sulla base
della interpretazione letterale della
disposizione (da cui si ricava che l'art. 674 c.p). consente di sanzionare le
emissioni di gas, vapori o fumo solo
nei casi non consentiti dalla legge, ossia quando si verifichino al di fuori
della autorizzazioni concesse in tema di
emissioni), sia sulla base della interpretazione sistematica (considerando che
la prima parte della disposizione
riguarda la condotta di chi getta o versa cose atte ad imbrattare, offendere o
molestare persone, mentre la
seconda parte individua in modo specifico la condotta di chi produca emissioni
nell'esercizio di una attività
industriale o produttiva, come tale disciplinata da tutta una serie di norme
specifiche che, deve presupporsi,
garantiscano adeguatamente dai rischi di emissione), sia in applicazione del
principio generale in materia penale
secondo cui una condotta improntata al rispetto delle leggi che disciplinano una
determinata materia non può
mai integrare reato, principio estrinsecato dall'art. 51 cod. pen. Nella specie
la ditta di cui il Parodi era
amministratore godeva di tutte le autorizzazioni di legge e non ha mai superato
nelle emissioni i severi parametri
impostigli dalle nonne e dai provvedimenti amministrativi. Ne consegue la
inconfigurabilità del reato contestato
e l'obbligo del giudice di dare la prevalenza alla assoluzione nel merito.
b) in subordine nullità della sentenza impugnata per omessa applicazione dell'art. 47 cod. pen. attesa la plausibilità dell'errore dell'imputato sul fatto costituente reato, segnatamente sui presuppostI amministrativi inerenti il fatto stesso. Infatti, quanto meno l'esistenza di tutte le autorizzazioni amministrative alle emissioni ed addirittura l'ordinanza cogente del sindaco che imponeva all'azienda lo scarico in fognatura dovevano essere considerate quali cause di induzione in errore dell'imputato che, in virtù di provvedimenti legalmente dati, ere convinto di versare in situazione di piena legalità.
c) nullità della sentenza impugnata, sempre in relazione all'art. 674 cod.
pen. per contraddittorietà e manifesta illogicità di motivazione in relazione al fatto che le esalazioni sono
risultate moleste solo perché convogliate in
fognatura, condotta cui il Parodi era stato obbligato - pena la commissione del
reato di cui all'art. 650 cod. - da un'ordinanza sindacale. Osserva che la sentenza impugnata ha accertato
che i fenomeni di molestia
alle persone si sono manifestati all'interno della abitazioni non dotate di
idonea sifonatura per effetto delle
esalazioni provenienti dalle fogne (le uniche a lui contestate); che la sua
azienda fu obbligata a convogliare gli
scarichi nelle fogne, nonostante fosse autorizzata a versarle nel torrente, da
una ordinanza del comune. E' quindi
evidente la contraddizione logica della sentenza impugnata laddove dapprima
afferma che il Parodi non e'
discriminato dal fatto che lo scarico in fognature era stato ordinato dal
sindaco perché tale ordine non poteva
autorizzarlo a superare i limiti della normale tollerabilità e poi afferma che
lo scarico in fognatura ha solo
comportato l'esistenza di un nuovo veicolo di propagazione degli odori, ma non
la creazione degli odori stessi.
Ed infatti, secondo le affermazione del consulente tecnico, l'aver convogliato i
reflui nella fognatura ha
determinato la concentrazione degli odori e la loro propalazione per l'effetto
camino svolto dalla condotta e per
il mescolamento con altre immissioni. E' perciò evidente che le esalazioni
verificatesi nelle abitazioni sono state
la conseguenza di odori formatisi nella condotta fognaria nella quale il
conferimento del Parodi ere uno dei tanti
e grazie alla quale, comunque, gli odori delle emissioni dell'azienda sono stati
concentrati e resi più acri e
potenti, mentre la loro emissione in atmosfera o nel fiume non determinava alcun
fenomeno di rilievo. Le
molestie sono state perciò in ogni caso determinate dalle carenze dello
impianto comunale.
d) nullità della sentenza in ordine al reato sub B) per violazione dell'art.
25, comma 2, del D.P.R. n. 203 del 1988, erronea applicazione dell'art. 43, ultimo comma, al reato di cui al detto
art. 25 del D.P.R. n. 203 del 1988, travisamento delle risultanze istruttorie. Lamenta che il giudice non ha
valutato la sussistenza dell'elemento
soggettivo della contravvenzione, consistente nella coscienza e volontà
dell'azione. Invero il teste Marini ha
riferito che l'azienda rappresentò alla provincia ed agli altri organismi di
controllo che l'allaccio al postcombustore dello sfiato dei serbatoi di alimento del Luwa doveva esser
posticipato a causa della necessità
di sostituire integralmente i serbatoi stessi. Deve quindi ritenersi provato che
il Parodi, a fronte di comunicazioni
effettuate dai suoi tecnici alla provincia circa la sostituzione dei serbatoi
(poi realmente avvenuta) versasse nella più assoluta buona fede quando decise di attendere un breve periodo di tempo
nell'effettuare l'allaccio per i
serbatoi che dovevano essere sostituiti. Allo stesso modo andava ritenuta la sua
buona fede nella segnalazione
delle brevi interruzioni del tracciato grafico del postcombustore, essendo tra
l'altro evidente che una interruzione
di circa mezzore non poteva influire sensibilmente sul regime delle emissioni.
Le costituite parti civili hanno a loro volta proposto, a mezzo dei loro rispettivi difensori, impugnazione per gli effetti civili della sentenza. Successivamente, peraltro, le medesime parti civili hanno depositato separati atti con i quali revocano le rispettive costituzioni di parte civile e dichiarano di rinunciare alla proposta impugnazione.
Con ordinanza del 17 dicembre 2003 la corte d'appello di Genova ha dichiarato la propria incompetenza a decidere e trasmesso gli atti a questa Corte.
Motivi della decisione
Va preliminarmente rilevato che tutte le parti civili impugnanti hanno
regolarmente depositato dichiarazione di
rinuncia al ricorso per Cassazione, il quale pertanto va dichiarato
inammissibile.
In applicazione dell'art. 616 cod. proc. pen., segue la condanna delle ricorrenti parti civili in solido al pagamento delle spese processuali. Sussistono tuttavia valide regioni per far ritenere non colpevole la causa di inammissibilità del detto ricorso, di modo non occorre pronunciare condanna delle parti civili ricorrenti al pagamento di una somma in favore della cassa delle ammende.
Quanto ai primi tre motivi del ricorso del Parodi, deve innanzitutto ricordarsi
che, secondo la costante
giurisprudenza di questa Suprema Corte, in presenza di una causa estintiva del
reato, il giudice e' legittimato a
pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell'art. 129 cod. proc. pen. solo
nei casi in cui le circostanze
idonee ad escludere l'esistenza del fatto, la sua rilevanza penale e la non
commissione del medesimo da parte
dell'imputato emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile; tanto
che la valutazione da compiersi
in proposito appartiene più al concetto di "constatazione" che a quello di
"apprezzamento". Ed invero il
concetto di "evidenza", richiesto dal secondo comma dell'art. 129 cod. proc. pen.,
presuppone la
manifestazione di una verità processuale così chiara, manifesta ed obiettiva,
che renda superflua ogni
dimostrazione, concretizzandosi così in qualcosa di più di quanto la legge
richiede per l'assoluzione ampia, oltre
la correlazione ad un accertamento immediato (Sez. VI, 15 febbraio 1999, Di
Pinto, m. 213882; Sez. III, 4
dicembre 1997, Pasqualetti, m. 209793; Sez. VI, 9 febbraio 1995, Cardillo, m.
201255; Sez. I, 7 luglio
1994, Boiani, m. 199579).
Dalla applicazione di questo principio, si e' poi fatto discendere quello
secondo cui all'applicazione di una causa
estintiva del reato e' sottinteso il giudizio relativo all'inesistenza di prova
evidente circa la non ricorrenza delle
condizioni per un proscioglimento nel merito, e che in tal caso, pertanto, la
decisione del giudice del merito e'
insindacabile in sede di legittimità sotto il profilo del vizio di motivazione,
posto che un eventuale annullamento
con rinvio imporrebbe la prosecuzione del giudizio resa incompatibile
dall'obbligo di immediata declaratoria
della causa estintiva (Cass. Sez. I, 7 luglio 1994, Boiani, m. 199579; Sez. VI, 9
febbraio 1995, Cardillo, m.
201255).
Orbene, per quanto riguarda più particolarmente il primo motivo, esattamente il
ricorrente lamenta che il
giudice a quo abbia dato una erronea interpretazione della seconda parte
dell'art. 674 cod. pen., ritenendo che
la fattispecie penale ivi prevista sarebbe integrata tutte le volte chele
emissioni superino la normale tollerabilità
indipendentemente dalla esistenza di una autorizzazione amministrativa, e ciò
perché l'inciso "nei casi non
consentiti una autorizzazione amministrativa, e ciò perché l'inciso "nei casi
non consentiti dalla legge" dovrebbe
essere inteso comprendente anche l'esercizio di attività che, pur autorizzate,
producano molestie eccedenti la
normale tollerabilità e siano eliminabili con accorgimenti tecnici.
In realtà, il giudice non ha affermato un principio di per se' errato, ma
sembra non avere colto il reale significato
della questione di diritto che era stata prospettate dalla difesa. Il giudice,
infatti, si e' richiamato all'orientamento
giurisprudenziale, del tutto condivisibile, il quale afferma che "le emissioni
odorifere moleste alle persone
integrano il reato di cui all'art. 674 cod. ven. anche quando provengono da
un'industria la cui attività sia stata
autorizzata. L'esistenza di un'autorizzazione amministrativa per l'esercizio di
un'industria e' sufficiente a
rimuovere un limite all'attività dell'imprenditore, ma non esonera quest'ultimo
dal dovere di adottare tutte le
misure consigliate dall'esperienza e dalla tecnica atte ad evitare un
pregiudizio per la salute pubblica. Il fatto che
l'esercizio di una attività sia autorizzato non comporta che le modalità siano
lasciate alla discrezione
dell'operatore economico, il quale non può invocare il carattere necessario
delle emissioni maleodoranti (quale
naturale conseguenza dell'attività autorizzata) e neppure un principio di
prevalenza in danno di altri soggetti in
considerazione della localizzazione dell'impianto fuori del centro abitato, in
quanto anche le persone che vivono in campagna nei pressi di insediamenti
produttivi hanno uguale diritto a svolgere il loro lavoro socialmente utile
senza danni alla loro salute" (Sez. 3^, 21 dicembre 1994, Rinaldi, m. 201.229);
e che la sussistenza di una
regolare autorizzazione amministrativa all'esercizio di un'attività, come pure
l'avvenuta messa in opera dei
dispositivi anti-inquinamento previsti dalla legge, non escludono di per se' la
configurabilità della
contravvenzione di cui all'art. 674 cod. pen. ove da tale esercizio derivi
l'emissione di gas, vapori, fumi atti ad
offendere, molestare o imbrattare i vicini, dovendosi tale autorizzazione
intendere comunque condizionata ad un
esercizio che non superi i limiti della più stretta tollerabilità, con
l'adozione cioe', di tutte le misure che, secondo
la particolarità del lavoro, sono imposte dalla migliore esperienza e dalla
tecnica più avanzata per evitare
pericoli o molestie (Sez 1^, 6 aprile 1993, Dal Sasso, m. 194214; Sez. 1^, 21
novembre 1991, Vicario, m.189532; Sez. 1^, 23 gennaio 1991, Cremonini, m. 188115; Sez. 1^, 4 ottobre
1984, Franchi, m. 166795). ;
Il problema che si poneva nella specie era però diverso, in quanto l'imputato
aveva invocato come causa di
esclusione della antigiuridicità della sua condotta non già la mera esistenza
di un'autorizzazione amministrativa
all'esercizio di quella detenninata industria (che di per se', ovviamente, viene
concessa sempre con salvezza dei
diritti dei terzi e non può escludere il reato) ne' la generica messa in opera
di dispositivi anti-inquinamento
che in concreto si erano rivelati inefficaci, bensì il fatto che egli era in
possesso non solo delle generiche
autorizzazioni amministrative all'esercizio dell'industria ma anche delle
specifiche autorizzazioni ad effettuare gli
scarichi e le emissioni che da quella industria derivavano ed inoltre il fatto
che non aveva mai superato i limiti
previsti dalle leggi speciali in materia di scarichi ed emissioni ne' aveva mai
violato gli specifici limiti e le
specifiche prescrizioni impostegli dalle competenti autorità amministrative con
i provvedimenti autorizzativi degli
scarichi e delle emissioni. Sostiene quindi con il ricorso che, nel caso di
specie, la giurisprudenza richiamata dal
giudice a quo non e' conferente ne' applicabile, sia in base ad
un'interpretazione letterale della disposizione
penale sia in base ad un'interpretazione sistematica sia in applicazione al
principio generale valevole in materia
penale (e desumibile dall'art. 51 cod. pen.) secondo cui una condotta
improntata al rispetto delle leggi che
disciplinano una determinata materia non può giammai integrare reato. E ciò
anche perché l'inciso "nei casi non
consentiti dalla legge" contenuto nell'art. 674 c.p. in relazione alle
emissioni di gas, di vapori o di fumo,
verrebbe praticamente ad essere svuotato di qualsiasi rilevanza e significato,
con sostanziale violazione della
nonna penale e della volontà del legislatore, il quale ha chiaramente voluto
che le emissioni di gas, vapori o
fumo siano sanzionabili solo quando si verifichino al di fuori delle
prescrizioni contenute nelle specifiche leggi e
nei concreti provvedimenti amministrativi emanati in tema di emissioni. Del
resto, la seconda parte dell'art.
674 cod. pen. individua in modo specifico la condotta di chi produca emissioni
nell'esercizio di un'attività
industriale o produttiva come tale disciplinata da tutta una serie di nonne
specifiche che dovrebbe presupporsi
garantiscano adeguatamente dai rischi delle emissioni e comunque servano a
rendere non punibile, in quanto
esplicazione dell'esercizio di un diritto, l'attività che si svolga nel loro
rispetto.
Come si vede, questo specifica e differente questione non e' stata affrontata
dal giudice a quo, il quale si e'
limitato a richiamare principi ed orientamenti giurisprudenziali relativi ad una
fattispecie similare, ma diversa.
Ed a questa specifica questione che rileva nel caso in esame, la giurisprudenza
di questa Corte ha dato risposta
affermando, in via generale, che "la previsione normativa della seconda ipotesi
dell'art. 674 cod. pen. - nel
punire determinati comportamenti molesti (emissioni di gas, di vapori o di fumo)
al di fuori dei casi consentiti
dalla legge - tende ad operare un bilanciamento di opposti interessi,
consentendo l'esercizio di attività
socialmente utili, purché ciò avvenga nel rigoroso rispetto dei limiti
fissati dalla legge, superati i quali riacquista
prevalenza l'esigenza di tutela dell'incolumità pubblica" (Sez. 1^, Il aprile
1997, Sartor, m. 207383).
Più in particolare, con la più recente sentenza della Sez. I, n. 8094/2000, ud. 16/06/2000, ric. Meo, m.
216621, e' stato affermato che, perché possa configurarsi il reato di cui
all'art. 674 cod. pen., nella ipotesi
dell'emissione di gas, di vapori o di fumo atti a molestare le persone, "e'
necessaria la dimostrazione, con
motivazione adeguata e convincente, non della astratta idoneità delle emissioni
ad arrecare disturbo, ma
essenzialmente della circostanza che le stesse avvengano al di fuori delle
prescrizioni fissate dalla legge.
L'espressione 'nei casi non consentiti dalla legge - contenuta nella seconda
parte dell'art. 674 c.p. e riferita
specificamente alla ipotesi di emissione di gas, vapori o fumi rappresenta
infatti una precisa indicazione, ai fini
della configurabilità del reato, circa la necessità che tale emissione avvenga
in violazione delle nonne che
regolano l'inquinamento atmosferico e, nella fattispecie, delle nonne
contenute nel citato D.P.R. n. 203 del 1988.
In altri termini, si può affermare che la legge contenga una sorta di presunzione di legittimità delle emissioni di fumi, vapori ecc. che non superino i limiti fissati dalle leggi speciali in materia, per cui non basta l'affermazione che le stesse siano astrattamente idonee ad arrecare fastidio, ma e' indispensabile la puntuale e specifica dimostrazione che le stesse superino gli 'standard' fissati dalla legge, nel qual caso il reato di cui all'art. 674 c.p. concorrerà con quelli previsti dal D.P.R. n. 203 del 1988, mentre quando, pur essendo le emissioni contenute nei limiti di legge, abbiano arrecato e arrechino concretamente fastidio alle persone, superando la normale tollerabilità, si applicheranno le norme di carattere civilistico contenute nell'art. 844 cod. civ. Sotto tale profilo appare erronea l'affermazione del giudice di merito, secondo cui la contravvenzione in esame sia un reato di pericolo, in quanto, come sopra spiegato, lo e' soltanto in riferimento alla prima ipotesi, e cioe' a quella del getto di cose atte ad offendere, e non in riferimento alla seconda, relativa alla emissione di fumi, nella quale e' indispensabile che l'attività di emissione avvenga al di fuori e contro la regolamentazione vigente in materia.
Per altro, come da tempo affermato da questa Corte, 'in tema di reato di cui all'art. 674 cod. pen. la penale responsabilità dell'imputato non va fondata sulla mera constatazione dell'elemento materiale, ma anche attraverso l'indagine sull'elemento psicologico che pure deve essere presente nella condotta del contravventore in quanto anche nella contravvenzione l'antigiuridicità del comportamento non può prescindere da un coefficiente di colpevolezza. Ne consegue che, quando l'imputato agisca in virtù di un provvedimento amministrativo, che faccia ritenere del tutto lecita la sua condotta, si verifica un evidente errore sul fatto costituente reato, in quanto il suddetto provvedimento, alle cui prescrizioni risulta conforme la conduzione dell'esercizio industriale da parte del suo titolare, ha determinato una falsa rappresentazione dei suoi elementi costitutivi ed in primo luogo di quello di ordine psicologico inerente alla liceità della condotta (Cass., Sez. I, sent, n. 1476 del 14-02-1986, Minghini; e più recentemente, Sez. III, sent. n. 10021 del 30.9.1995, Catarci, che, in fattispecie analoga, ha ribadito che ai fini dell'affermazione della responsabilità penale non e' sufficiente che la condotta dell'agente sia in rapporto di causalità con l'evento, ma e' necessaria anche la sussistenza della colpevolezza della condotta stessà)".
Ritiene però il Collegio che il fatto che questa sia la corretta
interpretazione dell'art. 674 cod. ven. che doveva
essere applicata nel caso di specie, non possa comportare, per i motivi
preliminarmente evidenziati,
l'accoglimento del ricorso e l'annullamento della sentenza impugnata.
Dal contenuto di quest'ultima, e dagli atti processuali, non emerge invero in modo evidente ed inequivocabile che il Parodi non abbia sicuramente superato i limiti fissati dalle leggi speciali e violato le prescrizioni dei provvedimenti che disciplinavano in concreto l'esercizio della sua attività industriale.
Ne consegue che la sentenza impugnata dovrebbe essere annullata con rinvio
affinche' il giudice del merito,
uniformandosi al principio come sopra affermato, verifichi in concreto se vi sia
stato o meno da parte
dell'imputato il superamento dei parametri e dei limiti fissati dalle specifiche
leggi in materia di emissione ovvero
la violazione delle prescrizioni dettate dai provvedimenti autorizzativi e
dirette ad evitare emissioni di gas o
vapori atte ad offendere o molestare le persone. Senonche', come dianzi
rilevato, un annullamento con rinvio al
giudice del merito sarebbe incompatibile con l'obbligo di declaratoria immediata
della causa estintiva del reato
(Sez. VI, 9 febbraio 1995, Cardillo, m. 201.255).
Analoghe considerazioni valgono per il secondo ed il terzo motivo.
E' vero, infatti, che, come del resto già ricordato, che "quando l'imputato agisca in virtù di un provvedimento amministrativo, che faccia ritenere del tutto lecita la sua condotta, si verifica un evidente errore sul fatto costituente reato, in quanto il suddetto provvedimento, alle cui prescrizioni sul fatto costituente reato, in quanto il suddetto provvedimento, alle cui prescrizioni risulta conforme la conduzione dell'esercizio industriale da parte del suo titolare, ha determinato una falsa rappresentazione dei suoi elementi costitutivi ed in primo luogo di quello di ordine psicologico inerente alla liceità della condotta" (Cass., Sez. 1/\, sent, n. 1476 del 14-02-1986, Minghini, m. 171.918) e che ai fini dell'affermazione della responsabilità penale per il reato di cui all'art. 674 cod. ven. non e' sufficiente che la condotta dell'agente sia in rapporto di causalità con l'evento, ma e' necessaria anche la sussistenza della colpevolezza della condotta stessa (Sez. III, 19 aprile 1995, Catarri, m. 203481; v. anche Sez. I, 19 marzo 1996, Capaci, m. 204635). Tuttavia, anche a questo proposito non emerge in modo evidente dagli atti la sussistenza di un errore incolpevole dell'imputato sul fatto costituente reato ed in particolare sul fatto che la convinzione della liceità della sua condotta derivasse dal pieno rispetto delle prescrizioni legislative ed amministrative e specialmente dall'ordinanza del sindaco che gli aveva imposto lo scarico in fognatura. Sarebbe quindi anche sotto questo profilo necessario un annullamento con rinvio al giudice del merito, affinche' compia i dovuti accertamenti sulla esistenza dello elemento soggettivo e di una colpa inescusabile, annullamento che invece e' impedito dall'obbligo di declaratoria immediata della causa estintiva del reato.
Quanto al terzo motivo, va altresì ricordato che la decisione del giudice del merito relativa all'inesistenza di prova evidente circa la non ricorrenza delle condizioni per un proscioglimento nel merito (decisione sottintesa all'applicazione di una causa estintiva del reato) e' insindacabile in sede di legittimità sotto il profilo del vizio di motivazione, posto che un eventuale annullamento con rinvio imporrebbe la prosecuzione del giudizio resa incompatibile dall'obbligo di immediata declaratoria della causa estintiva (Sez. 1^, 7 luglio 1994, Boiani, m. 199.579; Sez. 6^, 9 febbraio 1995, Cardillo, m. 201.255).
Il quarto motivo e' infondato. Il giudice del merito, invero, ha fornito
congrua, specifica ed adeguata
motivazione delle ragioni per le quali ha ritenuto sussistente la inosservanza
delle prescrizioni di cui a punti 1) e
13) del provvedimento dirigenziale della provincia di Genova del 7/6/1999, e
quindi sussistente la
contravvenzione di cui all'art. 25, secondo comma, D.P.R. n. 203 del 1988, anche
sotto il profilo dello elemento psicologico costituito dalla colpa per negligenza. Per quanto riguarda invero la prescrizione di cui
al
punto 1), ha osservato sia che non vi era la prova che le lettere, dalle quali
si evinceva l'intenzione di procedere
alla sostituzione di taluni serbatoi e la presa d'atto della USL che prescriveva
ulteriori interventi di ripristino,
fossero riferibili proprio ai serbatoi di cui al detto punto 1); sia che tali
lettere e la presa d'atto non potevano
comunque valere quale autorizzazione a procrastinare gli adempimenti imposti,
autorizzazione che avrebbe
invece dovuto essere richiesta alla provincia competente in materia e da questa
rilasciata; sia che la
comunicazione all' ARP AL intervenne dopo il sopralluogo e quindi appare come
una giustificazione postuma.
Quanto alla prescrizione di cui al punto 13), ha osservato che il 2/9/1999 vi
era stata una fermata del
post-combustore di circa mezz'ora non segnalata alla provincia, come invece
prescritto, e cioe' una interruzione
che aveva certamente superato un disservizio di pochi minuti per il quale,
secondo le intese verbali, la
comunicazione non sarebbe stata necessaria, e che quindi avrebbe dovuto essere
segnalata potendo essere
sicuramente rilevante ai fini del regolare funzionamento del post-combustore e
del conseguente controllo delle
emissioni.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato con conseguente condanna del
ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
rigetta il ricorso del Parodi e dichiara inammissibile quello delle parti civili
e condanna i ricorrenti in solido al
pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 19 marzo
2004.
Depositato in Cancelleria il 8 aprile 2004
Inquinamento atmosferico – Emissioni autorizzate – Odori molesti per le persone – Reato di cui all’art. 674 cod. pen. – Configurabilità - Messa in opera dei dispositivi anti-inquinamento - Migliore esperienza e dalla tecnica più avanzata per evitare pericoli o molestie - Necessità. Le emissioni odorifere moleste alle persone integrano il reato di cui all’art. 674 cod. pen. anche quando provengono da un’industria la cui attività sia stata regolarmente autorizzata. Sicché la sussistenza di regolare autorizzazione amministrativa all’esercizio di un’attività, come pure l’avvenuta messa in opera dei dispositivi anti-inquinamento previsti dalla legge, non escludono di per sé la configurabilità della contravvenzione di cui all’art. 674 c.p. ove da tale esercizio derivi l’emissione di gas, vapori, fumi atti ad offendere, molestare o imbrattare i vicini, dovendosi tale autorizzazione intendere comunque condizionata ad un esercizio che non superi i limiti della più stretta tollerabilità, con l’adozione cioè, di tutte le misure che, secondo la particolarità del lavoro, sono imposte dalla migliore esperienza e dalla tecnica più avanzata per evitare pericoli o molestie. (Cass. Sez. I, 6 aprile 1993, Dal Sasso; Sez. I, 21 novembre 1991, Vicario; Sez. I, 23 gennaio 1991, Cremonini; Sez. I, 4 ottobre 1984, Franchi). Pres. PAPADIA – FRANCO – Ric. Parodi – P.M. IZZO – (Rigetta il ricorso avverso Tribunale di Genova del 19/09/2001). CORTE DI CASSAZIONE Sez. III , 8 APRILE 2004 (Ud. 19 febbraio 2004), sentenza n. 16728
Inquinamento atmosferico – Autorizzazione amministrativa - Esonero dal dovere di adottare tutte le misure atte ad evitare un pregiudizio per la salute pubblica – Esclusione. In tema d’inquinamento atmosferico, l’esistenza dell’autorizzazione amministrativa per l’esercizio di un’attività industriale è sufficiente a rimuovere un limite all’attività dell’imprenditore, ma non esonera quest’ultimo dal dovere di adottare tutte le misure consigliate dall’esperienza e dalla tecnica atte ad evitare un pregiudizio per la salute pubblica. Nella specie, il fatto che l’esercizio di una attività sia autorizzato non comporta che le modalità siano lasciate alla discrezione dell’operatore economico, il quale non può invocare il carattere “necessario” delle emissioni maleodoranti (quale naturale conseguenza dell’attività autorizzata) e neppure un principio di prevalenza in danno ad altri soggetti in considerazione della localizzazione della localizzazione dell’impianto fuori del centro abitato, in quanto anche le persone che vivono in campagna nei pressi dell’insediamenti produttivi hanno uguale diritto a svolgere il loro lavoro socialmente utile senza danni alla loro salute. (Cass. Sez. III, 21.12.1994, Rinaldi). Pres. PAPADIA – FRANCO – Ric. Parodi – P.M. IZZO – (Rigetta il ricorso avverso Tribunale di Genova del 19/09/2001). CORTE DI CASSAZIONE Sez. III , 8 APRILE 2004 (Ud. 19 febbraio 2004), sentenza n. 16728
Inquinamento atmosferico – Emissioni di gas, di vapori o di fumo - Esigenza di tutela dell’incolumità pubblica - Art. 674 c.p.. La previsione normativa contenuta nel secondo comma dell’art. 674 c.p. nel punire determinati comportamenti molesti (emissioni di gas, di vapori o di fumo), al di fuori dei casi consentiti dalla legge – tende ad operare un bilanciamento di opposti interessi, consentendo l’esercizio di attività socialmente utili, purché ciò avvenga nel rigoroso rispetto dei limiti fissati dalla legge, superati i quali riacquista prevalenza l’esigenza di tutela dell’incolumità pubblica. (Cass. I, 11 aprile 1997, Sartor). Pres. PAPADIA – FRANCO – Ric. Parodi – P.M. IZZO – (Rigetta il ricorso avverso Tribunale di Genova del 19/09/2001). CORTE DI CASSAZIONE Sez. III , 8 APRILE 2004 (Ud. 19 febbraio 2004), sentenza n. 16728
Inquinamento atmosferico – Configurazione del reato di cui all’art. 674 c.p., 1° e 2° c. – Fondamento – C.d. presunzione di legittimità delle emissioni di fumi – Onere della prova - Superamento della normale tollerabilità - Art. 844 cod.civ. - D.P.R. n.203/1988. Affinché possa configurarsi il reato di cui all’art. 674 c.p. nella ipotesi di “emissione di gas, di vapori o di fumo atti a molestare le persone” è necessaria la dimostrazione, con motivazione adeguata e convincente non della astratta idoneità delle emissioni ad arrecare disturbo, ma essenzialmente della circostanza che le stesse avvengano al di fuori delle prescrizioni fissate dalla legge. In altri termini, si può affermare che la legge contenga una sorta di presunzione di legittimità delle emissioni di fumi, vapori ecc. che non superino i limiti fissati dalle leggi speciali in materia, per cui non basta l’affermazione che le stesse siano astrattamente idonee ad arrecare fastidio, ma è indispensabile la puntuale e specifica dimostrazione che le stesse superino gli “standard” fissati dalla legge, nel caso il reato di cui all’art. 674 c.p., concorrerà con quelli previsti dal D.P.R. n.203 del 1988, mentre quando, pur essendo le emissioni contenute nei limiti di legge, abbiano arrecato e arrechino concretamente fastidio alle persone, superando la normale tollerabilità, si applicheranno le norme di carattere civilistico contenute nell’art. 844 cod.civ.. Pres. PAPADIA – FRANCO – Ric. Parodi – P.M. IZZO – (Rigetta il ricorso avverso Tribunale di Genova del 19/09/2001). CORTE DI CASSAZIONE Sez. III , 8 APRILE 2004 (Ud. 19 febbraio 2004), sentenza n. 16728
Inquinamento atmosferico – Art. 674 c.p., 1° c. - Reato di pericolo - Configurazione del reato – Fondamento. Il reato contenuto nell’art. 674 c.p. riferito alla prima ipotesi, cioè al getto pericoloso di cose atte ad offendere, è reato di pericolo, mentre per la contravvenzione contenuta nella seconda ipotesi, relativa alle emissioni di fumi è indispensabile che l’attività di emissione avvenga al di fuori e contro la regolamentazione vigente in materia. Pres. PAPADIA – FRANCO – Ric. Parodi – P.M. IZZO – (Rigetta il ricorso avverso Tribunale di Genova del 19/09/2001). CORTE DI CASSAZIONE Sez. III , 8 APRILE 2004 (Ud. 19 febbraio 2004), sentenza n. 16728
Procedure e varie - Causa estintiva del reato - Pronuncia di sentenza di assoluzione a norma dell'art. 129 cod. proc. pen. - Presupposti e limiti - Concetto di "evidenza". In presenza di una causa estintiva del reato, il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell'art. 129 cod. proc. pen. solo nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l'esistenza del fatto, la sua rilevanza penale e la non commissione del medesimo da parte dell'imputato emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile; tanto che la valutazione da compiersi in proposito appartiene più al concetto di "constatazione" che a quello di "apprezzamento". Ed invero il concetto di "evidenza", richiesto dal secondo comma dell'art. 129 cod. proc. pen., presuppone la manifestazione di una verità processuale così chiara, manifesta ed obiettiva, che renda superflua ogni dimostrazione, concretizzandosi così in qualcosa di più di quanto la legge richiede per l'assoluzione ampia, oltre la correlazione ad un accertamento immediato (Sez. VI, 15 febbraio 1999, Di Pinto, m. 213882; Sez. III, 4 dicembre 1997, Pasqualetti, m. 209793; Sez. VI, 9 febbraio 1995, Cardillo, m. 201255; Sez. I, 7 luglio 1994, Boiani, m. 199579). Pres. PAPADIA – FRANCO – Ric. Parodi – P.M. IZZO – (Rigetta il ricorso avverso Tribunale di Genova del 19/09/2001). CORTE DI CASSAZIONE Sez. III , 8 APRILE 2004 (Ud. 19 febbraio 2004), sentenza n. 16728
Procedure e varie - Applicazione di una causa estintiva del reato - Insindacabilità in sede di legittimità sotto il profilo del vizio di motivazione. All'applicazione di una causa estintiva del reato e' sottinteso il giudizio relativo all'inesistenza di prova evidente circa la non ricorrenza delle condizioni per un proscioglimento nel merito, e che in tal caso, la decisione del giudice del merito e' insindacabile in sede di legittimità sotto il profilo del vizio di motivazione, posto che un eventuale annullamento con rinvio imporrebbe la prosecuzione del giudizio resa incompatibile dall'obbligo di immediata declaratoria della causa estintiva (Cass. Sez. I, 7 luglio 1994, Boiani, m. 199579; Sez. VI, 9 febbraio 1995, Cardillo, m. 201255). Pres. PAPADIA – FRANCO – Ric. Parodi – P.M. IZZO – (Rigetta il ricorso avverso Tribunale di Genova del 19/09/2001). CORTE DI CASSAZIONE Sez. III , 8 APRILE 2004 (Ud. 19 febbraio 2004), sentenza n. 16728
Inquinamento atmosferico – Procedure e varie - Art. 674 cod. pen. - Penale responsabilità - Coefficiente di colpevolezza - Falsa rappresentazione degli elementi costitutivi - Condotta colpevole dell'agente - Rapporto di causalità con l'evento - Necessità. In tema di reato di cui all'art. 674 cod. pen. la penale responsabilità dell'imputato non va fondata sulla mera constatazione dell'elemento materiale, ma anche attraverso l'indagine sull'elemento psicologico che pure deve essere presente nella condotta del contravventore in quanto anche nella contravvenzione l'antigiuridicità del comportamento non può prescindere da un coefficiente di colpevolezza. Ne consegue che, quando l'imputato agisca in virtù di un provvedimento amministrativo, che faccia ritenere del tutto lecita la sua condotta, si verifica un evidente errore sul fatto costituente reato, in quanto il suddetto provvedimento, alle cui prescrizioni risulta conforme la conduzione dell'esercizio industriale da parte del suo titolare, ha determinato una falsa rappresentazione dei suoi elementi costitutivi ed in primo luogo di quello di ordine psicologico inerente alla liceità della condotta (Cass., Sez. I, sent, n. 1476 del 14-02-1986, Minghini; e più recentemente, Sez. III, sent. n. 10021 del 30.9.1995, Catarci, che, in fattispecie analoga, ha ribadito che ai fini dell'affermazione della responsabilità penale non e' sufficiente che la condotta dell'agente sia in rapporto di causalità con l'evento, ma e' necessaria anche la sussistenza della colpevolezza della condotta stessà)". Pres. PAPADIA – FRANCO – Ric. Parodi – P.M. IZZO – (Rigetta il ricorso avverso Tribunale di Genova del 19/09/2001). CORTE DI CASSAZIONE Sez. III , 8 APRILE 2004 (Ud. 19 febbraio 2004), sentenza n. 16728
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