Legislazione Giurisprudenza Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso
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CORTE DI CASSAZIONE Sez. III del 23 aprile 2004 (Cc. 18/03/2004 n.00362 ), Sentenza n. 19034
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Corte di Cassazione Sez. III del 23
aprile
2004 (Cc. 18/03/2004 n.00362 ). sentenza n. 19034
Pres. Zumbo A. - Est. Novarese F. - P.m.
Favalli M. (Conf.) - Imp. Calzoni.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE
III PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ZUMBO Antonio - Presidente
Dott. SQUASSONI Claudia - Consigliere
Dott. PICCIALLI Luigi - Consigliere
Dott. NOVARESE Francesco - Consigliere
Dott. FRANCO Amedeo - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Calzoni Rosmundo n. a Perugia il 2 aprile 1927;
avverso l'ordinanza del Tribunale di Perugia in sede di riesame del 30 luglio
2003;
Sentita la relazione fatta dal Consigliere Dr. F. Novarese;
udito il Pubblico Ministero nella persona del Dr. M. Favalli che ha concluso per
il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Calzoni Rosmundo ha proposto ricorso per Cassazione avverso l'ordinanza del Tribunale di Perugia in sede di riesame, emessa in data 30 luglio 2003, con la quale veniva confermato il sequestro probatorio di un immobile ex rurale e relativi annessi, eseguito in parziale (il casale) e totale difformità (gli annessi rustici) e senza concessione edilizia (vasca interrata in calcestruzzo, forse una piscina, muro in c. a. e marciapiede a ridosso della vasca, scale esterne di collegamento tra gli annessi rustici, realizzazione di una pista e piazzale al servizio del casale e recinzione intorno al predetto) in zona soggetta a vincolo paesaggistico, deducendo quali motivi la violazione, dell'art. 253 c.p.p. per carenza del "fumus delicti" e delle esigenze probatorie, l'erronea applicazione dell'art. 44 lett. b) D. P. R. n. 380 del 2001 e s. m. in relazione agli artt. 10, 22, 23, 31 e 32 D.P.R. cit., giacché non sussistevano le difformità imputate, non rientranti nella totale difformità dalla concessione edilizia (ora permesso di costruire), perché, in ordine al casale, non si tratta di un organismo edilizio diverso ed autonomo e non si è in presenza di variazioni essenziali su immobile soggetto a vincolo ambientale equiparabile a totale difformità, mentre i due annessi sono stati demoliti e ricostruiti secondo la concessione edilizia e l'autorizzazione paesaggistica rilasciate e le difformità erano relative ad un lieve spostamento dell'area di sedime, ad opere interne ed alla modifica delle aperture esterne per numero, dimensioni e posizione, non rilevanti urbanisticamente, e le altre opere non necessitavano di permesso di costruire, ma di semplice d. i. a., sicché non erano penalmente rilevanti.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I motivi addotti, al limite dell'inammissibilità, sono infondati, sicché il
ricorso deve essere rigettato con la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali.
Infatti, nei procedimenti incidentali aventi ad oggetto sequestri, non è
configurabile una "plena cognitio" del Tribunale del riesame al quale è
conferita solo la competenza a verificare la legittimità del vincolo ed il
permanere degli obiettivi endoprocessuali della misura.
Ed invero il giudice del riesame deve controllare se il reato ipotizzato sia
astrattamente configurabile in relazione agli elementi processuali già acquisiti
(Cass. sez. un. 4 maggio 2000 n. 7, Mariano rv. 215840 che supera e rilegge
Cass. sez. un. 29 gennaio 1997 n. 23, Bassi rv. 206657, con un'esegesi logico -
sistematica delle norme) e se il sequestro sia o meno giustificato ai sensi
dell'art. 253 c.p.p..
Inoltre, occorre ribadire che, anche nei procedimenti incidentali, costituiscono
motivi non consentiti in sede di legittimità le deduzioni in fatto e le
differenti valutazioni delle risultanze processuali, sicché sono inammissibili
tutte quelle deduzioni relative alla descrizione degli interventi sugli annessi
rustici operata dalle ordinanze n. 34 del Comune di Perugia ed alla pretesa
sussistenza del permesso di costruire per gli altri interventi, che si assumono
realizzabili con d. i. a..
Peraltro, sarebbe sufficiente rilevare che il ricorrente non contesta la
sussistenza di un vincolo paesaggistico) confermato della sentenza del T.a.r.
Umbria n. 508 del 23 giugno 2003 e che le esigenze probatorie, in particolare
l'eventuale effettuazione di una C.T.U. ed, in dibattimento, di una perizia,
sono affermate dal P.M. nel suo decreto del Tribunale nell'ordinanza e
confermate dalle varie deduzioni difensive per ritenere inammissibile
l'impugnazione. Ed invero, la realizzazione delle diverse aperture per numero e
dimensioni degli annessi rustici, ammessa dallo stesso ricorrente, le opere
effettuate senza permesso di costruire, su indicate in maniera specifica in base
all'accertamento del Tribunale perugino, e le difformità parziali, secondo il
ricorrente, del casale, perché esterne, richiedevano il rilascio di una nuova
autorizzazione paesaggistica, sicché è, in ogni caso, integrato il reato di cui
all'art. 163 d.l.vo n. 490 del 1999.
Tuttavia, anche sotto il profilo urbanistico, le doglianze sono infondate sia
perché considerano i vari interventi edilizi in maniera particellizzata in
contrasto con la valutazione globale della costruzione sia perché alcuni degli
interventi effettuati senza permesso di costruire non sono assentibili con d. i.
a. sia perché accanto alla totale difformità dal permesso di costruire esiste
anche quella parziale, che, nelle zone non soggette a vincolo, configura il
reato di cui all'art. 44 lett. a) d. P. R. n. 380 del 2001, sicché
sussisterebbe, comunque, detta contravvenzione, peraltro punibile ai sensi della
lettera c) poiché la costruzione è effettuata in zona paesaggisticamente
vincolata.
Ed invero, poiché tutti gli interventi effettuati in immobili sottoposti a
vincolo paesistico e ambientale sono considerati in variazione essenziale dalla
normativa urbanistica (art. 8 ult. comma l. n. 47 del 1985 ed art. 32 ult. comma
d. P.R. n. 380 del 2001), e l'art. 20 lett. c) l. cit. (art. 44 lett. c) d.P.R.
n. 380 del 2001) punisce quelli effettuati in base a detta tipologia nelle zone
predette, la sanzione applicabile è quest'ultima e non la più mite di cui alla
lettera a) (cfr. Cass. sez. 3^ 3 marzo 2003 n. 9538, Pedrazzini ed altri rv.
223816 con massima che non coglie il concetto espresso e su riportato relativo
alla contravvenzione urbanistica e non a quella paesaggistica).
Inoltre, per quel che concerne le demolizioni e le ricostruzioni degli annessi
rustici, anche a volersi attenere alla descrizione del ricorrente, lo stesso
ammette non solo l'esecuzione di aperture esterne difformi per numero e
dimensione, ma anche la loro ricostruzione "con lieve spostamento", sicché non
risultano costruite sulla stessa area di sedime.
Pertanto, nonostante l'assentibilità con d. i. a. della demolizione e
ricostruzione, che non comportino modificazioni di volume e sagoma, in questo
caso è necessario il permesso di costruire. Infatti, il d.l.vo n. 301 del 2002
nell'adeguare il T.U. cit. alle modificazioni introdotte successivamente (l. n.
443 del 2001) ha escluso la necessità della ricostruzione identica all'opera
demolita quanto ad area di sedime e materiali, ritenendo sufficiente l'identità
di sagoma e volumi ed ha anche eliminato il riferimento alla "successiva fedele
ricostruzione".
Le soppressioni operate dal d. l. vo n. 301 del 2002, però, riguardano solo
l'identità dei materiali dell'edificio ricostruito rispetto a quello
preesistente, in quanto la necessità della costruzione dell'edificio demolito
nell'area di sedime originaria è un requisito insito nella nozione di
ristrutturazione edilizia, in quanto sarebbe veramente strano poter
ristrutturare il fabbricato altrove.
Peraltro, uniforme giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato sez. 5^ 11 maggio
1998 n. 552 e T. a. r. Toscana sez. 3^ 17 gennaio 2000 n. 3) ed anche
costituzionale (Corte Cost. 26 giugno 1991 n. 296 in Cons. Stato 1991, 11, 1043)
ha ritenuto che costituisce ipotesi diversa dalla ristrutturazione edilizia la
totale demolizione e successiva ricostruzione di un edificio in un suolo
diverso, ancorché contiguo, in quanto conferisce alla costruzione elementi
territoriali e costruttivi autonomi e differenziati, sicché deve prediligersi
questa interpretazione, perché costituzionalmente orientata.
Inoltre, la nuova nozione di "ristrutturazione edilizia" tale da includere la
demolizione e ricostruzione di un edificio nella stessa area di sedime, con la
medesima volumetria e sagoma, in tempi brevi e quando esiste effettivamente una
costruzione e non un rudere deve essere oggetto di un'interpretazione
restrittiva, poiché costituisce un'eccezione al principio generale riaffermato
dal T. U. ED. secondo cui ogni trasformazione urbanistica ed edilizi del
territorio, che comporti una rilevante modifica del suo assetto, necessita di
essere assentita con il permesso di costruire.
Pertanto, bisogna soffermarsi pure sulla nozione di sagoma, anche se
l'edificazione in area diversa, pur se contigua, dei due annessi rustici, ne
esclude l'assentibilità con d. i. a..
Orbene, secondo giurisprudenza costante (Cass. sez. 3^ 15 luglio 1994 n. 8081,
Soprani rv. 200121 e Cass. sez. 3^ 27 marzo 1998 n. 3849 in Riv. pen. 1998, 693
e in maniera sintetica e poco chiara Cass. sez. 3^ 25 novembre 1987 n. 11864,
Giannotti rv. 177109), per sagoma si intende la conformazione planovolumetrica
della costruzione ed il suo perimetro considerato in senso verticale ed
orizzontale, mentre il prospetto si riferisce alla relativa superficie, sicché
solo le aperture che non prevedano superfici sporgenti non rientrano nella
nozione di sagoma.
Perciò, nella fattispecie, vi sarebbe, persino, una modifica della sagoma sulla
base delle stesse ammissioni del ricorrente. Rilevata la configurabilità pure
delle contravvenzioni urbanistiche per quanto attiene al casale ed ai due
annessi rustici, oltre quella paesaggistica, sicuramente sussistente per le
ragioni già svolte, bisogna soffermarsi sulle altre opere, sfornite di permesso
di costruire, per le quali il ricorrente sostiene la possibilità di assentirle
con d. i. a. semplice e, quindi, l'irrilevanza penale. A tal proposito, è
opportuno considerare i criteri ermeneutici, cui attenersi nell'interpretare il
citato T.U.ED., accennando ai connotati peculiari, sotto il profilo formale e
strutturale, del Testo unico (con tre testi: uno legislativo, l'altro
regolamentare ed il terzo comprensivo di entrambe le normazioni e con le
correlate problematiche sulla loro forza come fonti) e richiamando i limiti
propri della delega (l'art. 7 primo comma della legge n. 50 del 1999, come
modificato dall'art. 1 sesto comma lettere d) ed e) della legge n. 340 del 2000,
si limita a prevedere il riordino normativo della materia "urbanistica ed
espropriazione", anche se, poi, l'altro T.U., secondo unanime dottrina, ha un
più spiccato profilo innovativo), sicché ne discende, secondo confermata
giurisprudenza della Corte Costituzionale (Cfr. fra tante Corte Cost. sent. n.
472 del 2002 e n. 173 del 2002) l'obbligo del giudice di interpretare le norme
delegate in modo conforme o, almeno, non confligente con quella delegante e con
i principi espressi dalla legge - delega ed, in ogni caso, di un'esegesi
adeguatrice. Pertanto, anche in ragione della natura eminentemente compilativa
con funzioni di riordino e semplificazione del T.U.ED, deve sempre privilegiarsi
un'analisi esegetica che lasci immutata la disciplina penale degli interventi
edilizi, tanto più che l'elencazione degli interventi soggetti a permesso di
costruire non è tassativa, ma esemplificativa, ed occorre sempre tener presenti
i principi fondamentali della legislazione statale, ed il carattere "residuale"
della d. i. a. non può prescindere dalla clausola generale, contenuta nella
lettera e) prima parte dell'art. 3 T.U.ED. La possibile utilizzazione
alternativa della d. i. a. per alcuni tipi di interventi edilizi, assentibili
con permesso di costruire (art. 22 terzo comma T.U.ED), poi, non ne esclude la
rilevanza penale, giacché, in questo caso, la facoltativa sottoposizione
dell'intervento a d.i.a. ha natura procedimentale e non sostanziale. Infatti,
l'elencazione contenuta nell'art. 3 lett. e) è esemplificativa e non tassativa,
e tale carattere è ammesso da dottrina e giurisprudenza quasi massimi, essendo
soltanto da alcuni desunto anche dalla possibilità delle Regioni di estendere o
ridurre la necessità di detto titolo a soli fini procedurali senza incidere
sulla disciplina penale, tranne pochi autori che si basano o sul carattere
residuale, della definizione degli interventi soggetti a d. i. a. o sulla lunga
elencazione degli interventi. Tuttavia, detta caratteristica della nozione di
cui all'art. 22 T.U. cit. non esclude che gli interventi elencati nella lettera
e) non abbiano carattere tassativo, giacché è la categoria della "nuova
costruzione" ad essere contraddistinta da una clausola generale (la
trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio) all'interno della quale
possono essere reperiti altri interventi da ascrivere a detta nozione, giacché
l'elencazione si è limitata a risolvere alcune problematiche esistenti, ma non
ha inteso esaurire le ipotesi di nuova costruzione, sicché è la definizione
degli interventi assoggettati a d. i. a. ad avere carattere residuale ed è la
nozione di nuova costruzione insieme con quella di attività libera a
delimitarla, ma non ne discende necessariamente la tassatività dell'elencazione
delle ipotesi previste alla lettera e) dell'art. 3 T.U. cit..
La clausola generale, stabilita dalla prima parte della lettera e), secondo cui
sono interventi di nuova costruzione quelli di trasformazione edilizia ed
urbanistica del territorio non rientranti nelle precedenti lettere, dimostra
come la nozione è ricavata in via residuale e ripropone tutta la tematica della
"trasformazione" del territorio, già considerata dalla dottrina e dalla
giurisprudenza alla luce del dettato dell'art. 1 l. n. 10 del 1977.
Tale analisi esegetica è confortata dal dato testuale e dalla locuzione "sono
comunque da considerarsi tali", con i quali sono introdotti gli interventi a
carattere semplificativo ed esplicativo. Pertanto, affinché la nuova costruzione
assuma rilevanza sotto il profilo giuridico è necessario che raggiunga una
soglia di rilevanza edilizia o urbanistica, giacché, altrimenti, per l'esiguità
delle dimensioni dell'opera, non si verifica quell'apprezzabile modificazione
dello stato dei luoghi, potendosi rinvenire un parametro solo indicativo nella
disciplina più specifica delle pertinenze quale risultante dall'art. 3 lett. e6)
T.U.ED.. Peraltro, l'ambito generale del controllo edilizio e degli interventi
soggetti a permesso di costruire è ampliato dal T.U. ED., in quanto nella
nozione generale è escluso il riferimento all'"esecuzione di opere" con la
possibilità di considerare sottoposti a questo regime rilevanti trasformazioni
del territorio senza alcuna opera o con modesti impianti (vedi art. 3 lett. e7)
T.U. cit.) e le aree destinate ad attività sportive senza creazione di
volumetrie (ex. gr. i campi da golf), sicché, nella fattispecie, in detto tipo
di interventi non rientra la "vasca" ritenuta "piscina" o le recinzioni ed i
muri di contenimento a meno che non siano inquadrati fra le pertinenze con
difficoltà evidenti per il limite volumetrico e sempre che comportino
effettivamente un'apprezzabile trasformazione urbanistica ed edilizia del
territorio, recuperando la precedente giurisprudenza sulle recinzioni, i muri di
cinta e quelli di contenimento in modo da non determinare una generalizzata
penalizzazione, che comporterebbe dubbi di legittimità costituzionale sotto il
profilo dell'eccesso di delega. L'elencazione contenuta nelle lettere da e1) ad
e7) dell'art. 3 T.U. cit. assume rilievo con riferimento alle opere indicate
nell'ordinanza impugnata con riguardo alla prima, in cui si conferma nell'ambito
delle nuove costruzioni, necessitanti il permesso di costruire e penalmente
rilevanti, i piani interrati, perché trasformano durevolmente l'area impegnata e
determinano un aumento del e. d. carico urbanistico (Cons. Stato sez. 5^ 10
aprile 1991 n. 486 in Riv. giur. ed. 1991, 1, 637 e Cass. sez. 3^ 1 giugno 1994
n. 6367, Gargiulo in Mass. Cass. pen. fase. 5^, 136 cui adde id. 14 luglio 1997
n. 6875, Ciotti rv. 208433 e Cass. 27 settembre 1999 n. 11011, Bocellari rv.
214273 e con particolare riferimento alla problematica dell'edificazione delle
piscine Cass. sez. 3^ 22 ottobre 1999 n. 12104, Iorio rv. 215521 cui adde Cass.
29 novembre 2000 n. 12288, Cimaglia rv. 21800 e sotto il visore del T.U.ED.
Cass. sez. 3^ 18 giugno 2003 n. 26197, Agresti rv. 225388) ed il regime delle
pertinenze. A tal ultimo proposito, il legislatore delegato ha fornito un
criterio quantitativo nel senso di considerare nuova costruzione le pertinenze
con un volume superiore al 20% rispetto a quello dell'edificio principale e
quelle assoggettate dagli enti locali al provvedimento di approvazione esplicito
in sede di pianificazione, individuate in relazione alla zonizzazione ed al
pregio ambientale e paesaggistico delle aree.
Quest'ultima previsione potrebbe sottrarre un determinato intervento al permesso
di costruire, sicché produrrebbe innegabili effetti penali e determinerebbe
dubbi di legittimità costituzionale in considerazione del principio di riserva
assoluta di legge in materia penale la cui competenza esclusiva è statale,
sicché è necessario procedere ad un'interpretazione adeguatrice.
Infatti, nonostante la genericità dei parametri attraverso i quali i Comuni sono
tenuti ad individuare gli interventi qualificabili come pertinenza ed
assentibili con permesso di costruire ed il riferimento alle N. T. A. degli
strumenti urbanistici comunali, i quali potrebbero collidere con il principio di
determinatezza e tassatività della fattispecie penale, bisogna tener presente
non solo il limite quantitativo già indicato ma anche che deve trattarsi di un
intervento pertinenziale nel senso recepito dalla giurisprudenza amministrativa
(Cons. Stato sez. 6^ 8 marzo 2000 n. 174 in Riv. giur. c.d. 2000, 1^, 650, che
qualifica la pertinenza urbanistica con i seguenti connotati: mancanza di un
autonomo valore di mercato, modesta consistenza volumetrica, rapporto di
strumentalità con la costruzione principale, assenza di un carico urbanistico) e
penale (Cass. sez. 3^ 9 gennaio 2003 n. 239, Cipolla rv. 223036, in cui si
richiede: il nesso oggettivo strumentale e funzionale con la cosa principale,
l'assenza di una pluralità di destinazioni; un carattere durevole; la non
utilizzabilità economica in modo diverso; una individualità fisica e strutturale
propria cioè autonomia rispetto all'edificio principale; l'accessione ad un
edificio preesistente edificato legittimamente, in quanto il bene accessorio,
che ripete le sue caratteristiche dall'opera principale, a cui è intimamente
connesso, risulta perciò anch'esso in contrasto con l'assetto urbanistico del
territorio (Cass. sez. 3^ 6 aprile 2001 n. 13997, Capocchi ed altro rv. 218683);
l'assenza di un autonomo valore di mercato ed una ridotta dimensione. Vedi anche
tutte sotto il vigore per breve tempo del T.U.ED. Cass. sez. 3^ ud. 27 novembre
2002 dep. 21 gennaio 2003, Veronese Luciana, non massimata e Cass. sez. 3^ ud.
20 dicembre 2002 dep. 27 gennaio 2003, Perfetto Antonio, non massimata, in cui
in virtù dell'art. 3 lett. e6) T.U. cit. è stata annullata senza rinvio una
pronuncia di condanna per l'esecuzione di un vano adibito a bagno posto
all'esterno del fabbricato in un cortile interno).
I numerosi caratteri differenziali rispetto alla pertinenza civilistica, su
indicati, dimostrano che il campo di intervento della normazione comunale appare
ulteriormente delimitato, anche se non può negarsi il pericolo di un'eccessiva
frammentazione della disciplina controbilanciato, però, dall'interesse dei
Comuni ad adeguare la disciplina delle pertinenze alle peculiarità locali, onde
il dubbio di legittimità costituzionale è superato con riferimento al principio
del bilanciamento degli interessi ed ai caratteri risultanti dal nuovo titolo 5^
della Costituzione ed in particolare dagli artt. 117 e 118 (cfr. Corte Cost. n.
303 e 307 del 2003 fra tante).
Alla luce dei principi su riferiti certamente la "piscina" con il marciapiede ed
il muro da considerare globalmente necessita di permesso di costruire, giacché
non è inquadrabile tra gli impianti sportivi senza volumetria, ne' tra le
pertinenze, anche per la pluralità di usi, allo stato non individuabili, per la
dimensione (sembrerebbe un autonomo impianto con rilevante volumetria,
delimitata allo stato da un muro), per l'autonomo valore economico, per
l'edificazione insieme con le altre costruzioni da valutare globalmente, e per
l'aumento di carico urbanistico determinato dalla possibilità di fruizione da
parte di un numero indeterminato di soggetti.
Tuttavia anche la realizzazione di una pista e di un piazzale deve essere
assentita dal permesso di costruire, determinando una trasformazione edilizia ed
urbanistica del territorio, non qualificabile come pertinenza, mentre la
costruzione delle scale esterne di collegamento tra i due annessi va esaminata
globalmente con l'intervento cui accede e palesa ancor più l'impossibilità di
inquadrare l'intervento nella demolizione - ricostruzione parificata alla
ristrutturazione edilizia, di cui si è detto, in quanto è chiaramente modificata
la sagoma dei due edifici.
Resta solo da considerare la recinzione di circa 400 metri, che, essendo stata
realizzata insieme ai vari edifici e non prevista in alcuna concessione
edilizia, determina una totale difformità per l'entità dell'opera, per la sua
autonomia e funzionalità distinte dalle altre costruzioni e per l'impossibilità
di ritenerla pertinenza sotto il profilo quantitativo e qualitativo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 18 marzo 2004.
Depositato in Cancelleria il 23 aprile 2004
Urbanistica e edilizia - Costruzione edilizia - Ristrutturazione edilizia - Area di sedime originaria - Necessità - Fondamento. In tema di ristrutturazione edilizia, la necessità della costruzione dell'edificio demolito nell'area di sedime originaria è un requisito insito nella nozione stessa di ristrutturazione, atteso che tale nozione deve essere oggetto di interpretazione restrittiva poiché la sua disciplina costituisce un'eccezione al principio generale secondo il quale ogni trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio, che ne comporti una rilevante modifica nel suo assetto, necessita di essere assentita con il permesso di costruire. Al fine di ricomprendere nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione di un fabbricato con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente, per sagoma deve intendersi la conformazione planovolumetrica della costruzione ed il suo perimetro considerato in senso verticale ed orizzontale, così che solo le aperture che non prevedano superfici sporgenti vanno escluse dalla nozione stessa di sagoma. Gli interventi effettuati su immobili sottoposti a vincolo paesistico e ambientale vanno considerati in variazione essenziale dalla normativa urbanistica e vanno sanzionati ai sensi dell'art. 20 lett. c) della legge 28 febbraio 1985 n. 47 (ora sostituito dall'art. 44, comma primo, lett c), del d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, con riferimento all'art. 32 stesso testo). Pres. Zumbo A. - Est. Novarese F. - P.M. Favalli M. (Conf.) - Imp. Calzoni. (Rigetta, Trib. Riesame Perugia, 30 luglio 2003). CORTE DI CASSAZIONE Penale, sez. III, 23 aprile 2004 (ud. 18.03.2004), Sentenza n. 19034
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