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 Massime della sentenza

 

 

CORTE DI CASSAZIONE Sez. III del 23 aprile 2004 (Cc. 18/03/2004 n.00362 ), Sentenza n. 19034

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


Corte di Cassazione Sez. III del 23 aprile 2004 (Cc. 18/03/2004 n.00362 ). sentenza n. 19034
Pres. Zumbo A. - Est. Novarese F. - P.m. Favalli M. (Conf.) - Imp. Calzoni.

 


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE III PENALE

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ZUMBO Antonio - Presidente
Dott. SQUASSONI Claudia - Consigliere
Dott. PICCIALLI Luigi - Consigliere
Dott. NOVARESE Francesco - Consigliere
Dott. FRANCO Amedeo - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
 

SENTENZA

 

sul ricorso proposto da:

Calzoni Rosmundo n. a Perugia il 2 aprile 1927;
avverso l'ordinanza del Tribunale di Perugia in sede di riesame del 30 luglio 2003;
Sentita la relazione fatta dal Consigliere Dr. F. Novarese;
udito il Pubblico Ministero nella persona del Dr. M. Favalli che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

 

Calzoni Rosmundo ha proposto ricorso per Cassazione avverso l'ordinanza del Tribunale di Perugia in sede di riesame, emessa in data 30 luglio 2003, con la quale veniva confermato il sequestro probatorio di un immobile ex rurale e relativi annessi, eseguito in parziale (il casale) e totale difformità (gli annessi rustici) e senza concessione edilizia (vasca interrata in calcestruzzo, forse una piscina, muro in c. a. e marciapiede a ridosso della vasca, scale esterne di collegamento tra gli annessi rustici, realizzazione di una pista e piazzale al servizio del casale e recinzione intorno al predetto) in zona soggetta a vincolo paesaggistico, deducendo quali motivi la violazione, dell'art. 253 c.p.p. per carenza del "fumus delicti" e delle esigenze probatorie, l'erronea applicazione dell'art. 44 lett. b) D. P. R. n. 380 del 2001 e s. m. in relazione agli artt. 10, 22, 23, 31 e 32 D.P.R. cit., giacché non sussistevano le difformità imputate, non rientranti nella totale difformità dalla concessione edilizia (ora permesso di costruire), perché, in ordine al casale, non si tratta di un organismo edilizio diverso ed autonomo e non si è in presenza di variazioni essenziali su immobile soggetto a vincolo ambientale equiparabile a totale difformità, mentre i due annessi sono stati demoliti e ricostruiti secondo la concessione edilizia e l'autorizzazione paesaggistica rilasciate e le difformità erano relative ad un lieve spostamento dell'area di sedime, ad opere interne ed alla modifica delle aperture esterne per numero, dimensioni e posizione, non rilevanti urbanisticamente, e le altre opere non necessitavano di permesso di costruire, ma di semplice d. i. a., sicché non erano penalmente rilevanti.

 

 

MOTIVI DELLA DECISIONE


I motivi addotti, al limite dell'inammissibilità, sono infondati, sicché il ricorso deve essere rigettato con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.


Infatti, nei procedimenti incidentali aventi ad oggetto sequestri, non è configurabile una "plena cognitio" del Tribunale del riesame al quale è conferita solo la competenza a verificare la legittimità del vincolo ed il permanere degli obiettivi endoprocessuali della misura.


Ed invero il giudice del riesame deve controllare se il reato ipotizzato sia astrattamente configurabile in relazione agli elementi processuali già acquisiti (Cass. sez. un. 4 maggio 2000 n. 7, Mariano rv. 215840 che supera e rilegge Cass. sez. un. 29 gennaio 1997 n. 23, Bassi rv. 206657, con un'esegesi logico - sistematica delle norme) e se il sequestro sia o meno giustificato ai sensi dell'art. 253 c.p.p..


Inoltre, occorre ribadire che, anche nei procedimenti incidentali, costituiscono motivi non consentiti in sede di legittimità le deduzioni in fatto e le differenti valutazioni delle risultanze processuali, sicché sono inammissibili tutte quelle deduzioni relative alla descrizione degli interventi sugli annessi rustici operata dalle ordinanze n. 34 del Comune di Perugia ed alla pretesa sussistenza del permesso di costruire per gli altri interventi, che si assumono realizzabili con d. i. a..


Peraltro, sarebbe sufficiente rilevare che il ricorrente non contesta la sussistenza di un vincolo paesaggistico) confermato della sentenza del T.a.r. Umbria n. 508 del 23 giugno 2003 e che le esigenze probatorie, in particolare l'eventuale effettuazione di una C.T.U. ed, in dibattimento, di una perizia, sono affermate dal P.M. nel suo decreto del Tribunale nell'ordinanza e confermate dalle varie deduzioni difensive per ritenere inammissibile l'impugnazione. Ed invero, la realizzazione delle diverse aperture per numero e dimensioni degli annessi rustici, ammessa dallo stesso ricorrente, le opere effettuate senza permesso di costruire, su indicate in maniera specifica in base all'accertamento del Tribunale perugino, e le difformità parziali, secondo il ricorrente, del casale, perché esterne, richiedevano il rilascio di una nuova autorizzazione paesaggistica, sicché è, in ogni caso, integrato il reato di cui all'art. 163 d.l.vo n. 490 del 1999.


Tuttavia, anche sotto il profilo urbanistico, le doglianze sono infondate sia perché considerano i vari interventi edilizi in maniera particellizzata in contrasto con la valutazione globale della costruzione sia perché alcuni degli interventi effettuati senza permesso di costruire non sono assentibili con d. i. a. sia perché accanto alla totale difformità dal permesso di costruire esiste anche quella parziale, che, nelle zone non soggette a vincolo, configura il reato di cui all'art. 44 lett. a) d. P. R. n. 380 del 2001, sicché sussisterebbe, comunque, detta contravvenzione, peraltro punibile ai sensi della lettera c) poiché la costruzione è effettuata in zona paesaggisticamente vincolata.


Ed invero, poiché tutti gli interventi effettuati in immobili sottoposti a vincolo paesistico e ambientale sono considerati in variazione essenziale dalla normativa urbanistica (art. 8 ult. comma l. n. 47 del 1985 ed art. 32 ult. comma d. P.R. n. 380 del 2001), e l'art. 20 lett. c) l. cit. (art. 44 lett. c) d.P.R. n. 380 del 2001) punisce quelli effettuati in base a detta tipologia nelle zone predette, la sanzione applicabile è quest'ultima e non la più mite di cui alla lettera a) (cfr. Cass. sez. 3^ 3 marzo 2003 n. 9538, Pedrazzini ed altri rv. 223816 con massima che non coglie il concetto espresso e su riportato relativo alla contravvenzione urbanistica e non a quella paesaggistica).


Inoltre, per quel che concerne le demolizioni e le ricostruzioni degli annessi rustici, anche a volersi attenere alla descrizione del ricorrente, lo stesso ammette non solo l'esecuzione di aperture esterne difformi per numero e dimensione, ma anche la loro ricostruzione "con lieve spostamento", sicché non risultano costruite sulla stessa area di sedime.


Pertanto, nonostante l'assentibilità con d. i. a. della demolizione e ricostruzione, che non comportino modificazioni di volume e sagoma, in questo caso è necessario il permesso di costruire. Infatti, il d.l.vo n. 301 del 2002 nell'adeguare il T.U. cit. alle modificazioni introdotte successivamente (l. n. 443 del 2001) ha escluso la necessità della ricostruzione identica all'opera demolita quanto ad area di sedime e materiali, ritenendo sufficiente l'identità di sagoma e volumi ed ha anche eliminato il riferimento alla "successiva fedele ricostruzione".


Le soppressioni operate dal d. l. vo n. 301 del 2002, però, riguardano solo l'identità dei materiali dell'edificio ricostruito rispetto a quello preesistente, in quanto la necessità della costruzione dell'edificio demolito nell'area di sedime originaria è un requisito insito nella nozione di ristrutturazione edilizia, in quanto sarebbe veramente strano poter ristrutturare il fabbricato altrove.


Peraltro, uniforme giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato sez. 5^ 11 maggio 1998 n. 552 e T. a. r. Toscana sez. 3^ 17 gennaio 2000 n. 3) ed anche costituzionale (Corte Cost. 26 giugno 1991 n. 296 in Cons. Stato 1991, 11, 1043) ha ritenuto che costituisce ipotesi diversa dalla ristrutturazione edilizia la totale demolizione e successiva ricostruzione di un edificio in un suolo diverso, ancorché contiguo, in quanto conferisce alla costruzione elementi territoriali e costruttivi autonomi e differenziati, sicché deve prediligersi questa interpretazione, perché costituzionalmente orientata.


Inoltre, la nuova nozione di "ristrutturazione edilizia" tale da includere la demolizione e ricostruzione di un edificio nella stessa area di sedime, con la medesima volumetria e sagoma, in tempi brevi e quando esiste effettivamente una costruzione e non un rudere deve essere oggetto di un'interpretazione restrittiva, poiché costituisce un'eccezione al principio generale riaffermato dal T. U. ED. secondo cui ogni trasformazione urbanistica ed edilizi del territorio, che comporti una rilevante modifica del suo assetto, necessita di essere assentita con il permesso di costruire.


Pertanto, bisogna soffermarsi pure sulla nozione di sagoma, anche se l'edificazione in area diversa, pur se contigua, dei due annessi rustici, ne esclude l'assentibilità con d. i. a..


Orbene, secondo giurisprudenza costante (Cass. sez. 3^ 15 luglio 1994 n. 8081, Soprani rv. 200121 e Cass. sez. 3^ 27 marzo 1998 n. 3849 in Riv. pen. 1998, 693 e in maniera sintetica e poco chiara Cass. sez. 3^ 25 novembre 1987 n. 11864, Giannotti rv. 177109), per sagoma si intende la conformazione planovolumetrica della costruzione ed il suo perimetro considerato in senso verticale ed orizzontale, mentre il prospetto si riferisce alla relativa superficie, sicché solo le aperture che non prevedano superfici sporgenti non rientrano nella nozione di sagoma.


Perciò, nella fattispecie, vi sarebbe, persino, una modifica della sagoma sulla base delle stesse ammissioni del ricorrente. Rilevata la configurabilità pure delle contravvenzioni urbanistiche per quanto attiene al casale ed ai due annessi rustici, oltre quella paesaggistica, sicuramente sussistente per le ragioni già svolte, bisogna soffermarsi sulle altre opere, sfornite di permesso di costruire, per le quali il ricorrente sostiene la possibilità di assentirle con d. i. a. semplice e, quindi, l'irrilevanza penale. A tal proposito, è opportuno considerare i criteri ermeneutici, cui attenersi nell'interpretare il citato T.U.ED., accennando ai connotati peculiari, sotto il profilo formale e strutturale, del Testo unico (con tre testi: uno legislativo, l'altro regolamentare ed il terzo comprensivo di entrambe le normazioni e con le correlate problematiche sulla loro forza come fonti) e richiamando i limiti propri della delega (l'art. 7 primo comma della legge n. 50 del 1999, come modificato dall'art. 1 sesto comma lettere d) ed e) della legge n. 340 del 2000, si limita a prevedere il riordino normativo della materia "urbanistica ed espropriazione", anche se, poi, l'altro T.U., secondo unanime dottrina, ha un più spiccato profilo innovativo), sicché ne discende, secondo confermata giurisprudenza della Corte Costituzionale (Cfr. fra tante Corte Cost. sent. n. 472 del 2002 e n. 173 del 2002) l'obbligo del giudice di interpretare le norme delegate in modo conforme o, almeno, non confligente con quella delegante e con i principi espressi dalla legge - delega ed, in ogni caso, di un'esegesi adeguatrice. Pertanto, anche in ragione della natura eminentemente compilativa con funzioni di riordino e semplificazione del T.U.ED, deve sempre privilegiarsi un'analisi esegetica che lasci immutata la disciplina penale degli interventi edilizi, tanto più che l'elencazione degli interventi soggetti a permesso di costruire non è tassativa, ma esemplificativa, ed occorre sempre tener presenti i principi fondamentali della legislazione statale, ed il carattere "residuale" della d. i. a. non può prescindere dalla clausola generale, contenuta nella lettera e) prima parte dell'art. 3 T.U.ED. La possibile utilizzazione alternativa della d. i. a. per alcuni tipi di interventi edilizi, assentibili con permesso di costruire (art. 22 terzo comma T.U.ED), poi, non ne esclude la rilevanza penale, giacché, in questo caso, la facoltativa sottoposizione dell'intervento a d.i.a. ha natura procedimentale e non sostanziale. Infatti, l'elencazione contenuta nell'art. 3 lett. e) è esemplificativa e non tassativa, e tale carattere è ammesso da dottrina e giurisprudenza quasi massimi, essendo soltanto da alcuni desunto anche dalla possibilità delle Regioni di estendere o ridurre la necessità di detto titolo a soli fini procedurali senza incidere sulla disciplina penale, tranne pochi autori che si basano o sul carattere residuale, della definizione degli interventi soggetti a d. i. a. o sulla lunga elencazione degli interventi. Tuttavia, detta caratteristica della nozione di cui all'art. 22 T.U. cit. non esclude che gli interventi elencati nella lettera e) non abbiano carattere tassativo, giacché è la categoria della "nuova costruzione" ad essere contraddistinta da una clausola generale (la trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio) all'interno della quale possono essere reperiti altri interventi da ascrivere a detta nozione, giacché l'elencazione si è limitata a risolvere alcune problematiche esistenti, ma non ha inteso esaurire le ipotesi di nuova costruzione, sicché è la definizione degli interventi assoggettati a d. i. a. ad avere carattere residuale ed è la nozione di nuova costruzione insieme con quella di attività libera a delimitarla, ma non ne discende necessariamente la tassatività dell'elencazione delle ipotesi previste alla lettera e) dell'art. 3 T.U. cit..


La clausola generale, stabilita dalla prima parte della lettera e), secondo cui sono interventi di nuova costruzione quelli di trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio non rientranti nelle precedenti lettere, dimostra come la nozione è ricavata in via residuale e ripropone tutta la tematica della "trasformazione" del territorio, già considerata dalla dottrina e dalla giurisprudenza alla luce del dettato dell'art. 1 l. n. 10 del 1977.


Tale analisi esegetica è confortata dal dato testuale e dalla locuzione "sono comunque da considerarsi tali", con i quali sono introdotti gli interventi a carattere semplificativo ed esplicativo. Pertanto, affinché la nuova costruzione assuma rilevanza sotto il profilo giuridico è necessario che raggiunga una soglia di rilevanza edilizia o urbanistica, giacché, altrimenti, per l'esiguità delle dimensioni dell'opera, non si verifica quell'apprezzabile modificazione dello stato dei luoghi, potendosi rinvenire un parametro solo indicativo nella disciplina più specifica delle pertinenze quale risultante dall'art. 3 lett. e6) T.U.ED.. Peraltro, l'ambito generale del controllo edilizio e degli interventi soggetti a permesso di costruire è ampliato dal T.U. ED., in quanto nella nozione generale è escluso il riferimento all'"esecuzione di opere" con la possibilità di considerare sottoposti a questo regime rilevanti trasformazioni del territorio senza alcuna opera o con modesti impianti (vedi art. 3 lett. e7) T.U. cit.) e le aree destinate ad attività sportive senza creazione di volumetrie (ex. gr. i campi da golf), sicché, nella fattispecie, in detto tipo di interventi non rientra la "vasca" ritenuta "piscina" o le recinzioni ed i muri di contenimento a meno che non siano inquadrati fra le pertinenze con difficoltà evidenti per il limite volumetrico e sempre che comportino effettivamente un'apprezzabile trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio, recuperando la precedente giurisprudenza sulle recinzioni, i muri di cinta e quelli di contenimento in modo da non determinare una generalizzata penalizzazione, che comporterebbe dubbi di legittimità costituzionale sotto il profilo dell'eccesso di delega. L'elencazione contenuta nelle lettere da e1) ad e7) dell'art. 3 T.U. cit. assume rilievo con riferimento alle opere indicate nell'ordinanza impugnata con riguardo alla prima, in cui si conferma nell'ambito delle nuove costruzioni, necessitanti il permesso di costruire e penalmente rilevanti, i piani interrati, perché trasformano durevolmente l'area impegnata e determinano un aumento del e. d. carico urbanistico (Cons. Stato sez. 5^ 10 aprile 1991 n. 486 in Riv. giur. ed. 1991, 1, 637 e Cass. sez. 3^ 1 giugno 1994 n. 6367, Gargiulo in Mass. Cass. pen. fase. 5^, 136 cui adde id. 14 luglio 1997 n. 6875, Ciotti rv. 208433 e Cass. 27 settembre 1999 n. 11011, Bocellari rv. 214273 e con particolare riferimento alla problematica dell'edificazione delle piscine Cass. sez. 3^ 22 ottobre 1999 n. 12104, Iorio rv. 215521 cui adde Cass. 29 novembre 2000 n. 12288, Cimaglia rv. 21800 e sotto il visore del T.U.ED. Cass. sez. 3^ 18 giugno 2003 n. 26197, Agresti rv. 225388) ed il regime delle pertinenze. A tal ultimo proposito, il legislatore delegato ha fornito un criterio quantitativo nel senso di considerare nuova costruzione le pertinenze con un volume superiore al 20% rispetto a quello dell'edificio principale e quelle assoggettate dagli enti locali al provvedimento di approvazione esplicito in sede di pianificazione, individuate in relazione alla zonizzazione ed al pregio ambientale e paesaggistico delle aree.


Quest'ultima previsione potrebbe sottrarre un determinato intervento al permesso di costruire, sicché produrrebbe innegabili effetti penali e determinerebbe dubbi di legittimità costituzionale in considerazione del principio di riserva assoluta di legge in materia penale la cui competenza esclusiva è statale, sicché è necessario procedere ad un'interpretazione adeguatrice.


Infatti, nonostante la genericità dei parametri attraverso i quali i Comuni sono tenuti ad individuare gli interventi qualificabili come pertinenza ed assentibili con permesso di costruire ed il riferimento alle N. T. A. degli strumenti urbanistici comunali, i quali potrebbero collidere con il principio di determinatezza e tassatività della fattispecie penale, bisogna tener presente non solo il limite quantitativo già indicato ma anche che deve trattarsi di un intervento pertinenziale nel senso recepito dalla giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato sez. 6^ 8 marzo 2000 n. 174 in Riv. giur. c.d. 2000, 1^, 650, che qualifica la pertinenza urbanistica con i seguenti connotati: mancanza di un autonomo valore di mercato, modesta consistenza volumetrica, rapporto di strumentalità con la costruzione principale, assenza di un carico urbanistico) e penale (Cass. sez. 3^ 9 gennaio 2003 n. 239, Cipolla rv. 223036, in cui si richiede: il nesso oggettivo strumentale e funzionale con la cosa principale, l'assenza di una pluralità di destinazioni; un carattere durevole; la non utilizzabilità economica in modo diverso; una individualità fisica e strutturale propria cioè autonomia rispetto all'edificio principale; l'accessione ad un edificio preesistente edificato legittimamente, in quanto il bene accessorio, che ripete le sue caratteristiche dall'opera principale, a cui è intimamente connesso, risulta perciò anch'esso in contrasto con l'assetto urbanistico del territorio (Cass. sez. 3^ 6 aprile 2001 n. 13997, Capocchi ed altro rv. 218683); l'assenza di un autonomo valore di mercato ed una ridotta dimensione. Vedi anche tutte sotto il vigore per breve tempo del T.U.ED. Cass. sez. 3^ ud. 27 novembre 2002 dep. 21 gennaio 2003, Veronese Luciana, non massimata e Cass. sez. 3^ ud. 20 dicembre 2002 dep. 27 gennaio 2003, Perfetto Antonio, non massimata, in cui in virtù dell'art. 3 lett. e6) T.U. cit. è stata annullata senza rinvio una pronuncia di condanna per l'esecuzione di un vano adibito a bagno posto all'esterno del fabbricato in un cortile interno).


I numerosi caratteri differenziali rispetto alla pertinenza civilistica, su indicati, dimostrano che il campo di intervento della normazione comunale appare ulteriormente delimitato, anche se non può negarsi il pericolo di un'eccessiva frammentazione della disciplina controbilanciato, però, dall'interesse dei Comuni ad adeguare la disciplina delle pertinenze alle peculiarità locali, onde il dubbio di legittimità costituzionale è superato con riferimento al principio del bilanciamento degli interessi ed ai caratteri risultanti dal nuovo titolo 5^ della Costituzione ed in particolare dagli artt. 117 e 118 (cfr. Corte Cost. n. 303 e 307 del 2003 fra tante).


Alla luce dei principi su riferiti certamente la "piscina" con il marciapiede ed il muro da considerare globalmente necessita di permesso di costruire, giacché non è inquadrabile tra gli impianti sportivi senza volumetria, ne' tra le pertinenze, anche per la pluralità di usi, allo stato non individuabili, per la dimensione (sembrerebbe un autonomo impianto con rilevante volumetria, delimitata allo stato da un muro), per l'autonomo valore economico, per l'edificazione insieme con le altre costruzioni da valutare globalmente, e per l'aumento di carico urbanistico determinato dalla possibilità di fruizione da parte di un numero indeterminato di soggetti.


Tuttavia anche la realizzazione di una pista e di un piazzale deve essere assentita dal permesso di costruire, determinando una trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio, non qualificabile come pertinenza, mentre la costruzione delle scale esterne di collegamento tra i due annessi va esaminata globalmente con l'intervento cui accede e palesa ancor più l'impossibilità di inquadrare l'intervento nella demolizione - ricostruzione parificata alla ristrutturazione edilizia, di cui si è detto, in quanto è chiaramente modificata la sagoma dei due edifici.


Resta solo da considerare la recinzione di circa 400 metri, che, essendo stata realizzata insieme ai vari edifici e non prevista in alcuna concessione edilizia, determina una totale difformità per l'entità dell'opera, per la sua autonomia e funzionalità distinte dalle altre costruzioni e per l'impossibilità di ritenerla pertinenza sotto il profilo quantitativo e qualitativo.


 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.


Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 18 marzo 2004.

Depositato in Cancelleria il 23 aprile 2004


 

M A S S I M E

Sentenza per esteso

 

Urbanistica e edilizia - Costruzione edilizia - Ristrutturazione edilizia - Area di sedime originaria - Necessità - Fondamento. In tema di ristrutturazione edilizia, la necessità della costruzione dell'edificio demolito nell'area di sedime originaria è un requisito insito nella nozione stessa di ristrutturazione, atteso che tale nozione deve essere oggetto di interpretazione restrittiva poiché la sua disciplina costituisce un'eccezione al principio generale secondo il quale ogni trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio, che ne comporti una rilevante modifica nel suo assetto, necessita di essere assentita con il permesso di costruire. Al fine di ricomprendere nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione di un fabbricato con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente, per sagoma deve intendersi la conformazione planovolumetrica della costruzione ed il suo perimetro considerato in senso verticale ed orizzontale, così che solo le aperture che non prevedano superfici sporgenti vanno escluse dalla nozione stessa di sagoma. Gli interventi effettuati su immobili sottoposti a vincolo paesistico e ambientale vanno considerati in variazione essenziale dalla normativa urbanistica e vanno sanzionati ai sensi dell'art. 20 lett. c) della legge 28 febbraio 1985 n. 47 (ora sostituito dall'art. 44, comma primo, lett c), del d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, con riferimento all'art. 32 stesso testo). Pres. Zumbo A. -  Est. Novarese F. - P.M. Favalli M. (Conf.) - Imp. Calzoni. (Rigetta, Trib. Riesame Perugia, 30 luglio 2003). CORTE DI CASSAZIONE Penale, sez. III,  23 aprile 2004 (ud. 18.03.2004), Sentenza n. 19034

 

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