Legislazione Giurisprudenza Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso
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CORTE DI CASSAZIONE Sez. III del 27 aprile 2004, Sentenza n. 19505
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Corte di Cassazione Sez. III del 27 aprile 2004, sentenza n. 19505
Pres. Zumbo Est. Grassi A. Imputato: Ambrosi ed altro. P.M. Iacoviello F.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE III PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri
Magistrati:
Dott. ZUMBO Antonio - Presidente
Dott. RAIMONDI Raffaele - Consigliere
Dott. GRASSI Aldo - Consigliere
Dott. SQUASSONI Claudia - Consigliere
Dott. GRILLO Carlo - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
AMBROSI FEDERICO, nato ad Occhiobello il 27 Giugno 1959;
MOROTTI BRUNO, nato a Sassuolo il 17 Marzo 1943;
avverso la sentenza della Corte d'Appello di Brescia in data 9/7/01;
Letti gli atti, il provvedimento denunciato ed il ricorso;
Udita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Grassi;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del S. Procuratore Generale Dott. F. M.
Iacoviello, il quale ha chiesto dichiararsi inammissibili i ricorsi, perché
manifestamente infondati;
Udito l'Avv. P. Orecchia, difensore del Comune di Sermide, parte civile;
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Osserva:
Con sentenza della Pretura Circondariale di Mantova -sez. dist. di Revere- in
data 17/9/90, Arnaldo Cestaro e Bruno Moretti venivano condannati, previo
riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e -solo per il primo- con
i benefici di cui agli artt. 163 e 175 c.p., alla pena, ciascuno, di quattro
mesi di arresto e due milioni di lire d'ammenda, nonché, in solido, al
risarcimento dei danni, da liquidarsi in separata sede ed al pagamento, a titolo
di provvisionale immediatamente esecutiva, della somma di quattrocento milioni
di lire in favore del Comune di Sermide, costituitosi parte civile, in quanto
colpevoli del reato previsto dagli artt. 110 c.p. e 6 lett. d), 16 e 26 D.P.R.
10/9/82, n. 915, del quale erano chiamati a rispondere per avere, in concorso
fra loro, il primo quale titolare dell'omonima ditta corrente in Agugliaro, la
quale aveva acquistato dalla curatela fallimentare della "Sermide S.p.a." gli
impianti residui ed i macchinali dello Zuccherificio ed il secondo quale
amministratore unico della "Tutto di Tutto s.r.l." corrente in Sassuolo, la
quale aveva acquistato dall'altro i detti impianti e macchinali, effettuato,
senza la necessaria autorizzazione, lo stoccaggio provvisorio di rifiuti tossici
e nocivi derivati dallo smontaggio e dalla demolizione di parti metalliche di
essi, contenenti amianto, come accertato il 20/10/89.
Con la stessa sentenza Federico Ambrosi, rappresentante legale della "SIDIM
s.n.c", era assolto dallo stesso reato, per non averlo commesso e da quello di
cui all'art. 650 c.p., per insussistenza del fatto, mentre veniva dichiarato non
doversi procedere, a carico del medesimo, in ordine alle altre contravvenzioni
ascrittegli, perché estinte per amnistia.
Affermava, fra l'altro, il Pretore:
- che dagli atti era emerso come il Cestaro avesse acquistato, dalla curatela
del fallimento della "Sermide S.p.a.", gli impianti e macchinari dello
zuccherificio (residuati da precedenti numerose vendite ad altre ditte le quali
avevano provveduto, in proprio, al relativo smantellamento) che poi aveva
rivenduto al Moretti il quale aveva appaltato allo Ambrosi i lavori di
smontaggio e demolizione delle relative parti metalliche;
- che la natura tossica e nociva del materiale di coibentazione dei macchinari,
contenente amianto, era stata accertata dalla perizia tecnica disposta, la quale
aveva evidenziato il superamento, in detta sostanza, dei limiti di tollerabilità
previsti dalla legge;
- che lo Ambrosi, appaltatore dei lavori di smontaggio, avrebbe dovuto
rispondere del reato di trasporto e trattamento dei rifiuti in questione,
diverso da quello contestatogli e relativamente al quale il P.M., cui gli atti
venivano all'uopo rimessi, avrebbe potuto esercitare autonoma azione penale.
Contro la decisione di primo grado proponevano impugnazione gli imputati
condannati, nonché il Procuratore della Repubblica presso la menzionata Pretura
Circondariale ed il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte
d'Appello di Brescia, per chiedere:
- il Cestaro, l'assoluzione dalla contravvenzione della quale era stato
dichiarato colpevole, per non averla commessa, essendosi limitato ad acquistare
gli impianti e macchinali dalla curatela fallimentare ed a rivenderli, poco
dopo, al Morotti;
- quest'ultimo, l'assoluzione dallo stesso reato, per insussistenza del fatto,
sia perché aveva acquistato impianti e macchinali dello zuccherificio pagandoli
L. 400.000.000, e non rifiuti, sia perché nella peggiore delle ipotesi poteva
ipotizzarsi, a suo carico, l'abbandono di rifiuti in area privata, non punibile
penalmente; in subordine, invocava la riduzione della pena inflittagli, la
revoca della condanna al risarcimento dei danni ed al versamento di somma di
denaro a titolo di provvisionale o, almeno, una riduzione del relativo
ammontare;
- il P.G. ed il P.M., l'affermazione della responsabilità penale dell'Ambrosi,
in ordine ai reati ascrittigli, sia perché l'art. 26 D.P.R. 915/'82 concerneva
l'effettuazione delle diverse fasi di smaltimento dei rifiuti tossici e nocivi,
delle quali il trattamento ed il trasporto di essi erano parte integrante,
sicché non era ipotizzabile alcun mutamento sostanziale del fatto di reato
contestato all'imputato, sia perché dovevano considerarsi legittime le ordinanze
sindacali non ottemperate; inoltre, un aumento delle pene inflitte agli imputati
condannati, in quanto non adeguate all'entità e gravità dei fatti.
La Corte d'Appello di Brescia, con sentenza del 9/7/01, dichiarava non doversi
procedere a carico dell'Ambrosi, del Cestaro e del Morotti, in ordine alla
contravvenzione di cui agli artt. 16 e 26 D.P.R. 915/'82, perché estinta per
prescrizione, confermava le statuizioni civili della decisione impugnata e
condannava il Cestaro ed il Morotti a rifondere al Comune di Sermide, costituito
parte civile, le spese e compensi del secondo grado di giudizio, affermando e
statuendo, fra l'altro:
a) che proprio alla condotta dello Ambrosi era da attribuirsi l'ammasso di
amianto rilevato nella zona circostante lo stabilimento dello zuccherificio dove
lo stesso aveva effettuato, per averli avuti appaltati dal Morotti, i lavori di
smontaggio dei macchinali e del materiale ferroso che "in loco"erano stati
portati da quest'ultimo;
b) che non era condivisibile la tesi difensiva secondo cui l'Ambrosi avrebbe
acquistato solo i materiali ferrosi, dato che la curatela fallimentare aveva
venduto i beni residui dello zuccherificio "a cancello chiuso, nello stato di
fatto in cui si trovavano, con ogni costo, onere e responsabilità relativa allo
smontaggio, rottamazione e trasporto ad esclusivo carico del compratore";
c) che la responsabilità penale del Cestaro era stata correttamente affermata,
ed andava ribadita, in quanto egli aveva acquistato i macchinali di che
trattatasi, dalla curatela fallimentare, per il prezzo di L. 417.000.000 e li
aveva rivenduti al Morotti, dopo meno di un mese, per lo stesso prezzo, dal che
erano deducibili l'accordo ed il comune interesse di entrambi nell'acquisto di
che trattasi;
d) che nei fatti per i quali è processo era da ravvisarsi lo stoccaggio
provvisorio di rifiuti, non l'abbandono di essi in area privata, perché, stante
la particolare volatilità dei medesimi e le numerose brecce nel muro di
recinzione dell'area, essi potevano facilmente disperdersi, a causa della
pioggia, nelle zone circostanti di uso pubblico;
e) che andavano confermate le statuizioni civili della decisione impugnata, sia
perché v'era, in atti, la prova dell'esistenza di ingenti danni cagionati dalla
condotta di tutti gli imputati, sia perché non meritava accoglimento la
richiesta di riduzione della somma di denaro assegnata alla parte civile a
titolo di provvisionale in quanto "pur essendo pacifico che il disastro
ambientale provocato fosse addebitabile anche a numerose altre persone, la sua
entità, anche in fatto di costi prevedibili per lo smaltimento, era tale da fare
ritenere che la somma imposta fosse una parte infinitesimale del danno
provocato"; inoltre, perché la sola messa in sicurezza del sito aveva comportato
un esborso di circa tre miliardi di lire. Avverso la sentenza di secondo grado
l'Ambrosi ed il Morotti hanno proposto ricorso per Cassazione e ne chiedono
l'annullamento per violazione di legge e difetto di motivazione.
Deducono, in particolare, i ricorrenti:
1. che il reato di smaltimento di rifiuti tossici e nocivi senza autorizzazione,
loro contestato, sarebbe stato ritenuto esistente illegittimamente dal momento
che dalla curatela del fallimento dello zuccherificio erano stati acquistati
impianti e macchinari il cui smantellamento aveva comportato lo accumulo del
materiale di coibentazione delle relative strutture metalliche e, dunque,
l'abbandono di esso in area privata, non il relativo stoccaggio provvisorio;
2. che tale stoccaggio -da intendersi quale conferimento o ammasso in un unico
sito di rifiuti in funzione del loro smaltimento- aveva avuto ad oggetto le
strutture metalliche degli impianti acquistati, non qualificabili come rifiuti
tossici e nocivi;
3. che non vi sarebbe in atti prova alcuna di avvenuta dispersione dei rifiuti,
a causa della pioggia, in aree limitrofe destinate ad uso pubblico, ipotizzata
solo quale mera, astratta possibilità;
4. che la contravvenzione di cui all'art. 26 D.P.R. 915/'82 integrerebbe un
reato di pericolo, non di danno, dalla cui consumazione non potrebbe essere
derivato alcun danno risarcibile;
5. che, in ogni caso, il Comune di Sermide, costituitosi parte civile, avrebbe
diritto al risarcimento del danno ambientale, non quantificabile, ma non
potrebbe vantare alcuna pretesa risarcitoria in ordine al danno derivante dalle
spese per lo sgombero e la bonifica dell'area dello stabilimento dello
zuccherificio, dal momento che detti sgombero e bonifica incombono alla curatela
fallimentare, trattandosi di area privata, non pubblica;
6. che poiché all'atto dell'acquisto, da parte di esso Morotti, degli impianti e
macchinari dei quali si parla, l'asserito danno ambientale era già in atto, di
esso dovrebbero rispondere solo in minima parte, mentre la statuizione della
Corte di merito, non avendo individuato e quantificato quale sia il danno
riconducibile alla loro condotta, li esporrebbe ad un obbligo risarcitorio
integrale, in violazione del principio di responsabilità personale sancito
dall'art. 18 L. 8/7/86, n. 349.
MOTIVI DELLA DECISIONE
A mente dell'art. 2 D.P.R. 10/9/82, n. 915, applicabile alla fattispecie in
esame, per "rifiuto" deve intendersi qualsiasi sostanza od oggetto derivante da
attività umane o da cicli naturali, abbandonato o destinato all'abbandono.
In materia di smaltimento dei rifiuti, per stoccaggio provvisorio deve
intendersi -in virtù delle norme di cui al D.P.R. 10/9/82, n. 915- la raccolta e
l'immagazzinamento di essi, in attesa della loro eliminazione, sia nei luoghi di
produzione, che altrove, sicché solo nell'ipotesi in cui gli stessi siano stati
trattenuti in attesa del loro ritiro, periodico e frequente, da parte di ditte
specializzate, può essere esclusa la figura giuridica del loro stoccaggio
provvisorio che si distingue dall'accumulo temporaneo di essi perché questo
costituisce il risultato finale della produzione del rifiuto, precariamente
ammassato sotto il diretto controllo del produttore, in attesa di smaltimento,
mentre il primo si qualifica per il carattere non precario dello ammasso e per
la destinazione dei rifiuti alle ulteriori fasi di smaltimento contemplate
dall'art. 16 D.P.R. 915/'82 (v. conf. Cass. sez. 3^ pen., 7/11/95, Siriani e
27/6/96, Perette). L'art. 26 D.P.R. 915/82, attuativo delle direttive C.E.E.,
prevede l'obbligo della autorizzazione, senza eccezioni, in materia di
smaltimento di rifiuti tossici e nocivi e, dunque, anche per lo stoccaggio
provvisorio di essi, che del relativo smaltimento costituisce una fase (v. conf.
Corte Cost. 1/7/92, n. 307 e Cass. sez. 3^ pen., 19/02/99, Frascio).
L'accumulo non autorizzato, anche in area di propria pertinenza, di materiali
qualificabili come rifiuti tossici e nocivi, già qualificabile come reato ai
sensi dell'art. 26 dell'abrogato D.P.R. 915/82, vigente all'epoca del fatto,
rientra oggi -senza soluzioni di continuità- nella previsione dell'art. 51 co. 2
D Lgs. 5/02/'97, n. 22, in base al quale il detto accumulo può costituire reato
solo se "incontrollato" ed, affinché possa configurarsi l'ipotesi del deposito
"controllato" e temporaneo, ai sensi dell'art. 6 lett. m) D.Lgs. 22/'97, occorre
il rispetto delle condizioni dettate dal citato articolo ed, in particolare, il
raggruppamento dei rifiuti nel luogo di produzione e l'osservanza dei tempi di
giacenza, in relazione alla natura e qualità del rifiuto (v. conf. Cass. sez. 3^
pen., 30/9/98, Tiragallo ed 11/6/02, Brustia).
Premessi tali principi di diritto, l'esistenza -a carico di tutti gli imputati-
della contravvenzione di cui agli artt. 16 e 26 D.P.R. 915/'82 deve ritenersi
legittimamente ritenuta, in sede di merito, essendo stato accertato che il
Cestaro aveva acquistato, dalla curatela del fallimento della "Sermide S.p.a.",
il 27/02/89, gli impianti e macchinari dello zuccherificio residuati da
precedenti numerose vendite ad altre ditte, per rivenderli, meno di un mese
dopo, il 23/3/89, al Morotti il quale aveva poi appaltato allo Ambrosi i lavori
di smontaggio e demolizione delle relative parti metalliche, che nei relativi
materiali di coibentazione contenevano amianto.
Il concorso di tutti e tre gli imputati in detto reato è stato motivato in
maniera incensurabile, perché giuridicamente e logicamente corretta e l'ipotesi
del deposito temporaneo di rifiuti è stata esclusa legittimamente, non essendo i
macchinari e gli impianti, oggetto di compravendita per lo smaltimento,
scindibili dai rifiuti che contenevano nei relativi materiali di coibentazione.
In materia di danno ambientale, posto che questo non consiste solo in una
compromissione dell'ambiente ai sensi dell'art. 18 L. 8/7/86, n. 349, ma anche
in un'offesa alla persona umana nella propria dimensione individuale e sociale,
come ritenuto dalla Corte Costituzionale nelle sentenze nn. 210 e 641 del 1987,
ne deriva che tutti i soggetti coinvolti nel ciclo di produzione e smaltimento
di rifiuti tossici e nocivi sono responsabili, in solido fra loro, del
risarcimento dei danni cagionati (v. conf. Cass. sez. 1^ civ., 1/9/95, n. 9211).
Orbene, poiché occorre distinguere fra danno a singoli beni di proprietà
pubblica o privata ovvero a posizioni giuridiche soggettive individuali, che
trovano tutela nelle regole ordinarie e danno all'ambiente, considerato in senso
unitario, il cui profilo sanzionatorio comporta un accertamento che non è solo
quello del mero pregiudizio patrimoniale, ma anche quello della compromissione
dell'ambiente, vale a dire della lesione "in sè" del bene ambientale, la
condanna del Cestaro e del Morotti al risarcimento dei danni in favore del
Comune di Sermide, ente territoriale, deve essere ritenuta legittima in
relazione al danno ambientale cagionato, da quantificarsi nella competente sede
civile in rapporto alla loro condotta, come statuito in sede di merito.
Per ciò che concerne la somma di denaro assegnata al detto Comune, costituitosi
parte civile, a titolo di provvisionale, va rilevato che essa è stata
quantificata, dai Giudici di merito, in considerazione dei costi elevati
necessari per "la messa in sicurezza dell'intero stabilimento e la successiva
bonifica di esso e dell'area interessata dalla contaminazione".
Tale statuizione non appare legittima in quanto la messa in sicurezza e la
bonifica di uno stabilimento privato non è a carico del Comune, sul quale
incombe solo l'obbligo di risanamento dell'area pubblica circostante,
contaminata.
La circostanza che i rifiuti tossici e pericolosi di che trattasi abbiano
contaminato anche aree circostanti allo stabilimento dello zuccherificio della "Sermide
S.p.a." è stata ritenuta, in sede di merito, con motivazione incensurabile
fondata anche sul rilievo dell'esistenza di molteplici brecce nel muro di
recinzione dell'area di pertinenza del detto stabilimento e delle piogge che
avrebbero inevitabilmente disciolto o diluito le sostanze nocive contenute nei
materiali di coibentazione dei macchinar smantellati. Alla luce delle esposte
considerazioni, la decisione impugnata va confermata nel punto concernente la
statuizione civile relativa alla condanna del Cestaro e del Morotti, in solido,
al risarcimento del danno ambientale cagionato al Comune di Sermide, mentre va
annullata, senza rinvio, nei confronti del Morotti e, per l'effetto estensivo
dell'impugnazione, anche nei confronti del Cestaro, nel punto relativo alla
condanna degli stessi al versamento, alla parte civile costituita, di somma di
denaro a titolo di provvisionale.
PQM
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE annulla senza rinvio, nei confronti di Bruno
Morotti e, per l'effetto estensivo della impugnazione, anche nei confronti di
Arnaldo Cestaro, la sentenza della Corte d'Appello di Brescia in data 9/7/01,
nel solo punto concernente la condanna degli stessi al pagamento, al Comune di
Sermide, costituito parte civile, della somma di quattrocento milioni di lire a
titolo di provvisionale;
dichiara compensate fra le parti le spese sostenute dalla detta parte civile per
questo grado di giudizio;
rigetta, nel resto, il ricorso proposto dal Morotti, nonché quello presentato da
Federico Ambrosi avverso la menzionata sentenza e condanna quest'ultimo al
pagamento delle spese processuali del presente grado di giudizio.
Così deciso in Roma, il 16 marzo 2004.
Depositato in Cancelleria il 27 aprile 2004
1) Rifiuti - Danno ambientale -
Ciclo di produzione e smaltimento di rifiuti tossici e nocivi – Soggetti
coinvolti - Responsabilità in solido - Risarcimento dei danni cagionati - Art.
18 L. n. 349/86. In materia di danno ambientale, posto che questo non
consiste solo in una compromissione dell'ambiente ai sensi dell'art. 18 L.
8/7/86, n. 349, ma anche in un'offesa alla persona umana nella propria
dimensione individuale e sociale, come ritenuto dalla Corte Costituzionale nelle
sentenze nn. 210 e 641 del 1987, ne deriva che tutti i soggetti coinvolti nel
ciclo di produzione e smaltimento di rifiuti tossici e nocivi sono responsabili,
in solido fra loro, del risarcimento dei danni cagionati (v. conf. Cass. sez. 1^
civ., 1/9/95, n. 9211). Pres. Zumbo - Est. Grassi A. - Imp.: Ambrosi ed altro. -
P.M. Iacoviello F. (Parz. Diff.). CORTE DI CASSAZIONE Sez. III del 27 aprile
2004, (Ud. 16/03/2004), Sentenza n. 19505
2) Rifiuti - Smaltimento dei rifiuti - Danno ambientale - Ente comunale -
Diritto al risarcimento - Sussiste - Soggetti responsabili - Individuazione.
In tema di reati ambientali compete al Comune, quale ente territoriale, il
diritto al risarcimento del danno ambientale derivante dalla inosservanza delle
disposizioni in tema di gestione di rifiuti, atteso che questo non consiste
soltanto in una compromissione dell'ambiente, ma altresì in una offesa alla
personalità umana nella sua dimensione individuale e sociale; inoltre tale
risarcimento grava su tutti i soggetti coinvolti nel ciclo di produzione e
smaltimento dei rifiuti, responsabili in solido tra loro. Pres. Zumbo - Est.
Grassi A. - Imp.: Ambrosi ed altro. - P.M. Iacoviello F. (Parz. Diff.). CORTE
DI CASSAZIONE Sez. III del 27 aprile 2004, (Ud. 16/03/2004), Sentenza n. 19505
3) Rifiuti - Smaltimento dei rifiuti - Stoccaggio provvisorio - Accumulo
temporaneo - Distinzione - Smaltimento di rifiuti tossici e nocivi - Obbligo
della autorizzazione anche per lo stoccaggio provvisorio - D.P.R. 915/82. In
materia di smaltimento dei rifiuti, per stoccaggio provvisorio deve intendersi
-in virtù delle norme di cui al D.P.R. 10/9/82, n. 915- la raccolta e
l'immagazzinamento di essi, in attesa della loro eliminazione, sia nei luoghi di
produzione, che altrove, sicché solo nell'ipotesi in cui gli stessi siano stati
trattenuti in attesa del loro ritiro, periodico e frequente, da parte di ditte
specializzate, può essere esclusa la figura giuridica del loro stoccaggio
provvisorio che si distingue dall'accumulo temporaneo di essi perché questo
costituisce il risultato finale della produzione del rifiuto, precariamente
ammassato sotto il diretto controllo del produttore, in attesa di smaltimento,
mentre il primo si qualifica per il carattere non precario dello ammasso e per
la destinazione dei rifiuti alle ulteriori fasi di smaltimento contemplate
dall'art. 16 D.P.R. 915/'82 (v. conf. Cass. sez. 3^ pen., 7/11/95, Siriani e
27/6/96, Perette). L'art. 26 D.P.R. 915/82, attuativo delle direttive C.E.E.,
prevede l'obbligo della autorizzazione, senza eccezioni, in materia di
smaltimento di rifiuti tossici e nocivi e, dunque, anche per lo stoccaggio
provvisorio di essi, che del relativo smaltimento costituisce una fase (v. conf.
Corte Cost. 1/7/92, n. 307 e Cass. sez. 3^ pen., 19/02/99, Frascio). Pres. Zumbo
- Est. Grassi A. - Imp.: Ambrosi ed altro. - P.M. Iacoviello F. (Parz. Diff.).
CORTE DI CASSAZIONE Sez. III del 27 aprile 2004, (Ud. 16/03/2004), Sentenza
n. 19505
4) Rifiuti - Rifiuti tossici e nocivi - Accumulo non autorizzato - Art. 51
co. 2 D Lgs. 5/02/'97, n. 22 - Configurabilità - Deposito "controllato" e
temporaneo - Art. 6 lett. m) D.Lgs. 22/'97 - D.P.R. 915/82. L'accumulo non
autorizzato, anche in area di propria pertinenza, di materiali qualificabili
come rifiuti tossici e nocivi, già qualificabile come reato ai sensi dell'art.
26 dell'abrogato D.P.R. 915/82, rientra oggi -senza soluzioni di continuità-
nella previsione dell'art. 51 co. 2 D Lgs. 5/02/'97, n. 22, in base al quale il
detto accumulo può costituire reato solo se "incontrollato" ed, affinché possa
configurarsi l'ipotesi del deposito "controllato" e temporaneo, ai sensi
dell'art. 6 lett. m) D.Lgs. 22/'97, occorre il rispetto delle condizioni dettate
dal citato articolo ed, in particolare, il raggruppamento dei rifiuti nel luogo
di produzione e l'osservanza dei tempi di giacenza, in relazione alla natura e
qualità del rifiuto (v. conf. Cass. sez. 3^ pen., 30/9/98, Tiragallo ed 11/6/02,
Brustia). Pres. Zumbo - Est. Grassi A. - Imp.: Ambrosi ed altro. - P.M.
Iacoviello F. (Parz. Diff.). CORTE DI CASSAZIONE Sez. III del 27 aprile 2004,
(Ud. 16/03/2004), Sentenza n. 19505
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