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 Massime della sentenza

 

 

CORTE DI CASSAZIONE sez. I Civile del 23 novembre 2004, Sentenza n. 22107

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


Corte di Cassazione sez. I Civile del 23 novembre 2004, sentenza n. 22107
Pres. R. De Musis - Est. V. Ragonesi - Ric. Falardo e Cuomo - Contric. Comune di Serino


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZ. I CIVILE


Omissis

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

 

Con sentenza n. 496 del 3-5/5/99, il Tribunale di Avellino accoglieva la domanda di pagamento di compensi professionali proposta con citazione notificata al Comune di Serino il 2/3/85 dall'archittetto Antonio Falardo e dall'ingegner Alfonso Cuamo, e condannava il Comune citato al pagamento della somma di lire 503.143.670, can interessi moratori nella misura indicata dall'art.9 della legge 143/49 dalla domanda e fino al soddisfo.

La decisione era fondata sul presupposto che la convenzione stipulata tra le parti il 3/9/82, dopo approvazione in data 1/9/82 da parte del Co.re.co di delibere in precedenza sospese, costituiva fonte di obbligazione contrattuale per il Comune, pur nella già avvenuta esecuzione della prestazione, e che la quantificazione del dovuto nella misura pretesa dai professionisti, aveva ricevuto l'avallo della consulenza tecnica d'ufficio.

Il Tribunale disattendeva quindi la tesi difensiva del Comune che protestava la mancanza di titolo contrattuale e che la prestazione era comunque di valore molto più modesto di quello preteso dai professionisti.

Avverso la sentenza del Tribunale proponeva appello il Comune di Serino chiedendo, in totale riforma della stessa, il rigetto di ogni domanda proposta dalle controparti.

In particolare, si doleva dell'erroneità della sentenza che aveva pronunziata condanna senza avere tenuto conto delle eccezioni relative alla validità del titolo formulate in primo grado, e neppure della domanda riconvenzionale di responsabilità dei professionisti per il mancato rispetto del termine del 30/10/82 previsto dalla convenzione del 3/9/82, e per aver eseguito una prestazione del tutta diversa da quella richiesta.

Deduceva che la lite da tempo avrebbe dovuto essere chiusa, poiché il Comune aveva dimostrata la volontà di sobbarcarsi il peso delle spese sostenute dai professionisti, e aveva pure fatto offerta reale della somma di lire 164.743.604, che riaveva ritenersi più che congrua per la liberazione dell'ente, considerato che i professionisti non avevano titolo per riscuotere il compenso.

Gli appellati si costituivano in giudizio resistendo all'appello.

Assumevano, in particolare, che la scelta da essi effettuata nell'espletamento dell'incarico trovava fondamento nella disposizione del co. 3 dell'art. 28 della legge 14/5/81 n. 219. Invocavano l'effetto di riconoscimento del diritto, che discendeva dall'offerta reale, e deducevano che lo slittamento dei termini di consegna di tutti gli elaborati aveva fondamento nell'art. 4 della convenzione. Proponevano anche appello incidentale deducendo che a norma di tariffa professionale era stato liquidato dal Tributale meno di quanto dovuto, né era stata liquidato il maggior danno, per il quale non occorreva prova specifica, e ancora non erano stati liquidati Iva, Cap, e rivalsa del 4%.

Con sentenza dell' 1.2.01 la Corte d'appello di Napoli accoglieva l'appello principale, dichiarando la nullità del contratto per prestazioni professionali, riteneva assorbito il ricorso incidentale e rigettava conseguentemente la domanda del Falardo e del Cuomo, compensando le spese di giudizio.

Questi ultimi ricorrono per cassazione avverso tale sentenza sulla base di cinque motivi cui resiste con controricorso il Comune di Serino.

Entrambe le parti hanno depositato memorie.
 

MOTIVI DELLA DECISIONE


I ricorrenti censurano con il primo motivo di ricorso la sentenza impugnata laddove questa ha ritenuto affetta da nullità assoluta la convenzione del 3.9.82 e tale pronuncia ,oltre che errata, costituirebbe altresì violazione del giudicato formatosi sulla validità del contratta.

Con il secondo motivo assumono che erroneamente ed in violazione dell'art. 1372 c.c. la corte territoriale ha ritenuto l'opera priva di giustificazione in quanto disposta con procedura illegittima.

Con il terzo motivo di ricorsa ribadiscono che erroneamente la corte d'appello ha ritenuto che l'attività sia stata svolta sulla base di un incarico inesistente ed a rischio dei professionisti.

Con il quarto motivo assumono che essendosi verificato il recesso da parte della committente si sarebbero dovuti corrispondere i compensi ai sensi dell'art. 2237 c.c.

Con il quinta motivo di ricorso si dolgono del fatto che la sentenza non ha tenuto conto del riconoscimento effettuato dal Comune delle spese anticipate da essi ricorrenti e della relativa offerta di pagamento.

Il primo motivo di ricorso eccepisce in primo luogo la violazione del giudicato formatosi in ordine alla ritenuta validità del contratto stipulato il 3.9.82 . Sostengono i ricorrenti che la predetta validità sarebbe stata accertata dalla sentenza di primo grado e sul punto non vi sarebbe stata impugnazione da parte del Comune di Serino ditalchè si sarebbe formato il giudicato con conseguente impossibilità per il giudice di secondo grado di dichiarare la nullità del contratto in esame.

L'eccezione è infondata.

Questa Corte, invero, ha già avuto occasione di precisare che, anche se la nullità del contratto può essere, ai sensi dell'art. 1421 c.c., rilevata d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio, tuttavia, tale principio va coordinato con le regole fondamentali del processo, tra le quali quella della preclusione derivante da giudicato interno, sicché il detto principio non può trovare applicazione nei casi in cui il giudice di merito si sia pronunciato sulla validità di un atto negoziale con statuizione non impugnata con specifico gravame. (Cass 13438/02; Cass 6050/95).

Quest'ultima circostanza non ricorre peraltro nel caso di specie.

Il Tribunale di Avellino, infatti, dopo avere rilevato che una prestazione effettuata prima sia dell'approvazione da parte dell'organo tutorio che della stipula della convenzione non può avere alcun significata contrattuale né essere riferibile alla fonte negoziale, ha successivamente osservato che tale prestazione era stata successivamente ratificata dalle delibere e dalle approvazioni successivamente intervenute che avevano convalidato "le obbligazioni contrattuali assunte dal comune con la convenzione".

Tale statuizione della sentenza risulta invero censurata dal Comune di Serino con l'atto di appello, laddove l'amministrazione ha dedotto che la sentenza di primo grado doveva essere riformata perché la delibera di incarico conferita ai due ricorrenti era stata annullata ed a seguito di ciò era stato conferito nuovo incarico ad altro professionista e che i detti provvedimenti non erano stati oggetto di impugnazione da parte degli interessati avanti al giudice amministrativo.

Tali deduzioni censurano comunque la validità della convenzione del 3.9.82, sia pure sotto profili non del tutto corrispondenti a quelli della motivazione della sentenza di primo grado, ma che tuttavia sono tali da far ritenere che la validità della convenzione in questione fosse ancora soggetta a contestazione con esclusione quindi di ogni giudicato sul punto.

Acclarato quanto sopra, il primo motivo di ricorso si rivela infondato anche nella parte in cui lamenta che erroneamente il giudice di appello ha ritenuto che la convenzione fosse affetta da nullità.

A tale proposito i ricorrenti elencano, censurandole, le diverse ragioni sulle quali il giudice di merito ha fondato siffatta pronuncia (convenzione stipulata a prestazione già avvenuta, mancanza di riferimento ad ogni volontà di sanatoria, assenza di nuova delibera comunale etc).

Osserva la Corte che assolutamente decisiva ai fini del decidere si presenta la statuizione in virtù della quale la sentenza impugnata ha ritenuto che la convenzione fosse nulla in quanto stipulata a prestazione già eseguita.

Non è infatti dubbio che siffatta circostanza determini una ipotesi di nullità del contratto per mancanza dell'oggetto dal momento che nessuna prestazione doveva essere effettuata dai ricorrenti in quanto la stessa era già stata sostanzialmente svolta, con la conseguenza che con la convenzione del 3.9.83 il Comune di Serino si è impegnato a retribuire una prestazione futura inesistente in quanto già realizzata.

A fronte di tale motivazione i ricorrenti deducono che la prestazione all'epoca non era ancora ultimata, tanto è vero che per il successiva ritardo il comune chiese la risoluzione per inadempimento e che gli elaborati vennero approvati soltanto con delibera del 18.10.82.

Tali censure si limitano invero a delle affermazioni puramente apodittiche prive di ogni ulteriore argomentazione che tendono a prospettare una diversa ricostruzione ed un diverso apprezzamento delle risultanze processuali e che in tal modo impongono nel merito della decisione, rivelandosi così per tale aspetto improponibili in sede di legittimità.

Le stesse, inoltre, laddove fanno riferimento ad atti acquisiti al processa, omettono di riportare ire modo analitico e specifico il contenuta di tali atti, violando così il principio di autosufficienza del ricorso ed impedendo a questa Corte, cui, come é noto, è inibito l'accesso alla visione degli atti processuali dei gradi di merito, di apprezzare il fondamento della doglianza.

La motivazione della Corte d'appello fonda la pronuncia di nullità della convenzione anche su un altro elemento che appare invero ultroneo rispetto alla motivazione dianzi esaminata, ma che costituisce, tuttavia, una seconda decisiva ratio decidendi consistente nella affermazione che, in ogni caso, sia la prestazione che il compenso risulterebbero privi di specificazione: in altri termini l'oggetto del contratto sarebbe comunque privo della determinatezza richiesta dall'art. 1346 c.c. ai fini della validità.

Tale seconda decisiva ratio decidendi risulta censurata in moda del tutto generico in base all'affermazione che la prestazione era invece individuata anche sotto il profilo dello sviluppo tecnico temporale e chi il compenso era determinato o determinabile in virtù della tariffa richiamata.

Siffatte affermazioni risultano apodittiche e in violazione del già citato principio di autosufficienza del ricorso.

I ricorrenti, infatti, avrebbero dovuto riportare in modo integrale le parti della convenzione ove veniva specificata la prestazione dei professionisti ed il relativo compensa al fine di permettere a questa Corte cui, come già asservito, non è consentito prendere visione della documentazione prodotta agli atti nella fase di merito di potere valutare la fondatezza della censura.

Anche la censura in esame si rivela pertanto inammissibile.

Altrettanto deve dirsi per le altre censure contenute nel primo motivo di ricorso.

Accertato, infatti, quanto sopra e risultando così confermata la pronuncia della sentenza impugnata relativa alla nullità della convenzione del 3.9.82 per mancanza dell'oggetto, le restanti censure si riferiscono a questioni non direttamente attinenti alla validità della convenzione e, come tali, si rivelano prive di rilevanza sollevando per lo più anch'esse questioni di fatta non proponibili in questa sede.

In particolare, laddove si afferma la non necessità di alcuna sanatoria per la esaminata convenzione si riafferma comunque implicitamente la validità della stessa che è stata invece dianzi esclusa.

Quanto poi a tutte le ulteriori deduzioni che trovano il loro fondamento sulla validità delle delibere assunte e delle approvazioni da parte del Co.re.co., basta osservare che i provvedimenti in esame costituiscono degli atti interni della pubblica amministrazione aventi rispettivamente carattere prodromico o successivo rispetto alla stipula del contratto con i soggetti privati incaricati della progettazione e della esecuzione di opere, e, in ogni caso, sono del tutto autonomi rispetto al contratto stesso ancorchè a quest'ultimo collegati, onde la loro assunta validità non è comunque in grado di sanare le nullità del contratto di conferimento di incarico.

Il secondo ed il terzo motivo di ricorso, tra loro strettamente connessi, possono essere esaminati congiuntamente e gli stessi si rivelano infondati e per alcuni versi inammissibili.

I detti motivi censurano quella parte della sentenza che ha affermato che tutta l'attività svolta dai ricorrenti prima della stipula della convenzione del 3.9.82 era stata posta in essere in base ad un titolo inesistente e pertanto totalmente a rischio dei professionisti e che alla fine era stato loro imputato dall'ente pubblico di avere presa iniziative debordanti rispetto allo scopo manifestato e perseguito dall'ente stesso.

La sentenza impugnata appare invero ineccepibile sul punto.

Questa Corte ha in ripetute occasioni affermato che il contratto col quale l'amministrazione pubblica conferisce un incarico professionale deve essere redatto, a pena di nullità, in forma scritta. Tale requisito formale deve riguardare il contratto, ossia le dichiarazioni dei contraenti (pur non essendo richiesta la contestualità di esse), onde é da escludersi che la sussistenza del requisito formale in esame possa essere ricavata "aliunde", ad esempio attraversa la produzione di altri documenti che non costituiscono il contratto, ma lo presuppongono. (Cass 8023/00). In particolare, é irrilevante l'esistenza di una deliberazione dell'organo collegiale di un ente pubblico che abbia autorizzato il conferimento dell'incarico al professionista, eventualmente anche richiamando ed approvando lo schema del disciplinare, ove tale deliberazione non risulti essersi tradotta in atto contrattuale, sottoscritto dal rappresentante esterno dell'ente stesso e dal professionista. Detta deliberazione, infatti, non costituisce una proposta contrattuale nei confronti del professionista, ma un atto con efficacia interna all'ente pubblico, avente per destinatario il diverso organo dell'ente legittimato ad esprimere la volontà all'esterno e carattere meramente autorizzatorio. (Cass 6182/94; Cass 1117/97; Cass 2772/98; Cass2619/00; Cass 8023/00).

A questi principi si è correttamente attenuta la Corte d'appello di Napoli che, una volta accertata la mancanza del contratto in riferimento alle prestazioni effettuate dai ricorrenti prima del 3.9.82 , ha correttamente escluso ogni fondamento della loro domanda di pagamento delle prestazioni effettuate .

Prive di decisività sono poi tutte le ulteriori argomentazioni contenute nella sentenza circa la non rispondenza delle prestazioni effettuate dai ricorrenti rispetti allo scopo prefissatosi dal comune di Serino, in quanto, in assenza di contratto, qualunque prestazione effettuata dal privato è comunque estranea all'amministrazione e non dà luogo ad alcun obbligo di controprestazione con la conseguenza che è del tutto irrilevante se la stessa sia conforme o meno alle finalità dell'amministrazione stessa.

Anche le censure avanzate dai ricorrenti sotto tale profilo sono pertanto prive di rilevanza.

Per quanto concerne invece la censura contenuta nel terza motivo ( che si ricollega a quanto anche adombrato nel primo motivo) circa l'intervenuta sanatoria da parte di successive delibere, rileva la Corte che tale censura è del tutto priva di autosufficienza in quanto i ricorrenti citano a tale proposito la delibera del 18.10.82 senza però riportarne in alcun modo il contenuto e non consentendo così a questa Corte di valutare il fondamento stesso della censura.

Il quarto ed il quinto motivo di ricorso sono inammissibili.

Con gli stessi, si deduce il mancato verificarsi del recesso da parte dell'amministrazione per l'asserito inadempimento di essi ricorrenti nonché il mancato riconoscimento del rimborso delle spese anticipate offerto dal comune.

Una volta accertata la nullità della convenzione la questione del successivo recesso da parte del comune non assume alcuna rilevanza ai fini del decidere dal momento che tale questione resta comunque assorbita dalla pronuncia di nullità.

Per quanto concerne poi il rimborso delle spese, tale questione risulta dedotta nell'atto di appello del comune di Serino in relazione alla domanda proposta in via subordinata di risoluzione del contratto e risulta anch'essa del tutto priva di rilevanza una volta che si sia accertata la nullità della più volte citata convenzione.

Il ricorso va pertanto respinto.

I ricorrenti vanno di conseguenza condannati in solido al pagamento delle spese processuali liquidate in euro 8.000,00 per onorari oltre euro 100,00 di esborsi ed oltre accessori e spese generali carne per legge.


PER QUESTI MOTIVI


Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese di giudizio liquidate in euro 8.000,00 per onorari euro 100,00 per esborsi ed oltre accessori e spese generali come per legge.
 

M A S S I M E

Sentenza per esteso

1) Pubblica amministrazione - Conferimento incarico professionale - Presupposti - Forma scritta - Pena di nullità - Sussiste - Requisito formale ricavato "aliunde" - Irrilevanza. Il contratto col quale l'amministrazione pubblica conferisce un incarico professionale deve essere redatto, a pena di nullità, in forma scritta. Tale requisito formale deve riguardare il contratto, ossia le dichiarazioni dei contraenti (pur non essendo richiesta la contestualità di esse), onde é da escludersi che la sussistenza del requisito formale in esame possa essere ricavata "aliunde", ad esempio attraversa la produzione di altri documenti che non costituiscono il contratto, ma lo presuppongono. (Cass. 8023/00). In particolare, é irrilevante l'esistenza di una deliberazione dell'organo collegiale di un ente pubblico che abbia autorizzato il conferimento dell'incarico al professionista, eventualmente anche richiamando ed approvando lo schema del disciplinare, ove tale deliberazione non risulti essersi tradotta in atto contrattuale, sottoscritto dal rappresentante esterno dell'ente stesso e dal professionista. Detta deliberazione, infatti, non costituisce una proposta contrattuale nei confronti del professionista, ma un atto con efficacia interna all'ente pubblico, avente per destinatario il diverso organo dell'ente legittimato ad esprimere la volontà all'esterno e carattere meramente autorizzatorio. (Cass 6182/94; Cass 1117/97; Cass 2772/98; Cass2619/00; Cass 8023/00). Pres. R. De Musis - Est. V. Ragonesi - Ric. Falardo e Cuomo - Contric. Comune di Serino. (Conferma Corte d'appello di Napoli). CORTE DI CASSAZIONE Civile, sez. I, 23 novembre 2004, Sentenza n. 22107

2) Pubblica amministrazione - Conferimento dell'incarico al professionista - Assenza di contratto o di firma - Nullità dell’accordo - Prestazione effettuata dal privato - Obbligo di controprestazione - Eslcusione - Forma scritta - Necessità. In assenza di contratto con la P.A., qualunque prestazione effettuata dal privato è comunque estranea all'amministrazione e non dà luogo ad alcun obbligo di controprestazione con la conseguenza che è del tutto irrilevante se la stessa sia conforme o meno alle finalità dell'amministrazione stessa. Nella specie, il professionista che abbia ricevuto un incarico deve firmare (a pena di nullità dell’accordo) un contratto in forma scritta. Pres. R. De Musis - Est. V. Ragonesi - Ric. Falardo e Cuomo - Contric. Comune di Serino. (Conferma Corte d'appello di Napoli). CORTE DI CASSAZIONE Civile, sez. I, 23 novembre 2004, Sentenza n. 22107

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