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  Massime della sentenza

 

 

CORTE DI CASSAZIONE Sez. III Penale 14 maggio 2004 (Ud. 17/03/2004), Sentenza n. 22785

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


Corte di Cassazione Sez. III Penale 14 maggio 2004 (Ud. 17/03/2004), sentenza n.
22785
 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE



Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SAVIGNANO Giuseppe - Presidente
Dott. ZUMBO Antonio - Consigliere
Dott. SQUASSONI Claudia - Consigliere
Dott. PICCIALLI Luigi - Consigliere
Dott. GRILLO Carlo - Consigliere
ha pronunciato la seguente:

 

SENTENZA


sul ricorso proposto da:

1) BORDIGA FRANCO N. IL 16/01/1951;

avverso SENTENZA del 19/09/2001 TRIBUNALE di SALÒ;

visti gli atti, la sentenza ed il procedimento;

udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dr. SQUASSONI CLAUDIA;

udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Vittorio Meloni, che ha concluso per: rigetto del ricorso;

 


MOTIVI DELLA DECISIONE


Con sentenza 9.9.2001, il Tribunale di Brescia ha ritenuto Bordiga Franco responsabile del reato previsto dall'art. 30 c. 1^ lett. i) L. 157/1992 (per avere esercitato la caccia utilizzando un natante a motore nelle acque di un lago) e lo ha condannato alla pena di lire tre milioni di ammenda.


Per l'annullamento della sentenza, l'imputato ricorre in Cassazione deducendo difetto di motivazione e violazione di legge, in particolare, rilevando:


- che il natante non era in movimento ed i veicoli fermi, siano essi a motore o meno, sono semplici abitacoli per loro natura mobili e, come tali, sono equiparati agli appostamenti temporanei;


- che il reato si perfeziona con l'esercizio vero e proprio della attività venatoria, diretta allo abbattimento ed impossessamento di specie cacciabili, mentre l'imputato era solo in attitudine venatoria;


- che è carente la motivazione sulla quantificazione della pena. Il Collegio ritiene che le deduzioni non siano meritevoli di accoglimento per cui il ricorso deve essere rigettato con le conseguenze di legge.


Deve, innanzi tutto, precisarsi come non vi sia incertezza alcuna sulla ricostruzione storica dei fatti posti alla base del processo in quanto il Giudice ha avuto cura di evidenziare le fonti probatorie (le precise testimonianze degli Agenti provinciali di caccia e pesca) dalle quali ha tratto la conclusione che l'imputato a bordo di un natante, munito di fucile, sparasse alla selvaggina; la motivazione sul punto è congrua, completa, corretta e, pertanto insindacabile. Ora la previsione in esame non punisce chi dal natante (o autoveicolo o aeromobile) esercita una qualunque delle operazioni in cui si sostanzia l'attività di caccia (ad esempio spostamento sul luogo o recupero della preda), ma solo chi, dalle riferite appostazioni, compie l'atto centrale della caccia che è lo sparo contro la selvaggina; tale condotta è stata posta in essere nel caso concreto in quanto i testimoni hanno smentito la tesi dello imputato il quale sosteneva di essere stato colto solo in atteggiamento venatorio.

 

La circostanza segnalata dal ricorrente (che non trova ne' smentita nè conferma nella sentenza impugnata) che il natante fosse fermo al momento dell'accertamento è inconferente; in ogni caso, si è verificata quella facilità di appostamento e di raggiungimento della preda, anche in zone impervie, che è alla base della previsione.

 

Pure irrilevante è la mancata uccisione di animali perché questo evento non costituisce un elemento integrante la fattispecie di reato.

 

Per quanto concerne la residua deduzione, deve rilevarsi come il Tribunale (dopo avere fatto un non felice cenno alla ingiustificata opposizione al decreto penale di condanna) abbia sorretto l'esercizio del suo potere discrezionale sul quantum della sanzione da una motivazione sintetica in quanto si è riferito genericamente ai criteri dell'art. 133 c.p. Tale contratta argomentazione si può ritenere lacunosa solo nella parte in cui non giustifica l'opzione per la pena pecuniaria al posto di quella detentiva; per il resto, il dovere di motivazione sul tema può ritenersi assolto dal richiamo ai parametri di valutazione dell'art. l33 c.p..


P.Q.M.


La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.


Così deciso in Roma, il 17 marzo 2004.

Depositato in Cancelleria il 14 maggio 2004
 

M A S S I M E

Sentenza per esteso

Caccia - Esercizio - Limitazione all'esercizio - Atteggiamento venatorio - Divieto di sparare da autoveicoli, natanti e aeromobili - Contravvenzione - Attività di caccia - Nozione. Integra la contravvenzione prevista dall'art. 30 comma primo, lett. i) della legge 11 febbraio 1992, n. 157 - che punisce chi esercita la caccia sparando da autoveicoli, natanti a motore o aeromobili - non chi utilizza il mezzo di trasporto per lo spostamento nei luoghi di esercizio venatorio o per il recupero della preda, ma colui il quale, come nel caso di specie, compie dal natante l'atto tipico della caccia, rappresentato dallo sparo contro la selvaggina, in ciò agevolato dal mezzo di trasporto, sia per l'appostamento, sia per il raggiungimento della preda anche in zone impervie, essendo irrilevante l'uccisione di animali, in quanto l'abbattimento e l'impossessamento di specie cacciabili non costituiscono elementi costitutivi della fattispecie. Pres. Savignano G. Est. Squassoni C. Imputato: Bordiga. P.M. Meloni VD. (Conf.) (Rigetta, Trib.Sal, 19 settembre 2001). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. III del 14 maggio 2004 (Ud. 17/03/2004), Sentenza n. 22785

 

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