Legislazione Giurisprudenza Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso
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CORTE DI CASSAZIONE Sez. III del 9 febbraio 2004, Sentenza n. 2424
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Corte di Cassazione Sez. III del 9
febbraio 2004, sentenza n. 2424
Pres. Preden R. - Est. Segreto A.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE
III
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Roberto PREDEN - Presidente
Dott. Luigi Francesco DI NANNI - Consigliere
Dott. Antonio SEGRETO - rel. Consigliere
Dott. Alberto TALEVI - Consigliere
Dott. Giacomo TRAVAGLINO - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
M. SPA, in persona del legale pro tempore sig.
Gianni Motorsi, elettivamente domiciliato in, ROMA VIALE DELLE MILIZIE 38,
presso lo studio dell'avvocato ANTONIO MONZINI, che lo difende, giusta delega in
atti;
- ricorrente -
contro
R. A. F., in persona del Presidente della Giunta regionale in carica, Dott. R.
A., elettivamente domiciliata in ROMA PIAZZA COLONNA 355, presso l'Ufficio di
rappresentanza della regione stessa, difesa dagli avvocati GINO MANZI, RENATO
FUSCO, giusta delega in atti;
- controricorrente -
avverso la sent. n. 100/00 della Corte d'Appello di TRIESTE, emessa il 19
novembre 1999, depositata il 14 marzo 2000; R.G. 446/98.
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24 ottobre 2003
dal Consigliere Dott. Antonio SEGRETO;
udito l'Avvocato ANTONIO MONZINI;
udito l'Avvocato GINO MARZI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SCARDACCIONE
Vittorio Eduardo che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione notificata il 14 ottobre 1998 la s.p.a. M. impugnava davanti alla Corte di appello di Trieste, la sentenza del tribunale di Trieste; depositata il 9 luglio 1998 all'esito di un procedimento per il ristoro dei danni da errate informazioni, instaurato da essa società contro la R. F., poiché nel 1985 l'Ufficio regionale competente, a seguito di richiesta della M. se per svolgere attività di riciclo di cascami lignei della lavorazione di mobilifici necessitasse l'autorizzazione prevista dal D.P.R. n. 915 del 1982, ebbe a dare risposta negativa, reiterando la risposta nel 1986, salvo mutare opinione nel 1988.
La M. assumeva che, per non interrompere l'attività produttiva dovette
richiedere l'autorizzazione al presidente della provincia di Pordenone, nelle
more divenuto competente, autorizzazione che poi le fu revocata dopo sei mesi;
che, per effetto delle informazioni inesatte, aveva effettuato ingenti
investimenti; che consequenzialmente, a seguito del diniego di autorizzazione,
essa aveva subiti ingenti danni.
La Corte di appello di Trieste, con sentenza depositata il 14 marzo 2000,
rigettava l'appello.
Riteneva la Corte di merito che l'errata informazione della regione sulla
necessità dell'autorizzazione era frutto di errore scusabile della stessa,
tenuto conto che all'epoca era prevalente l'orientamento giurisprudenziale
secondo cui era necessaria l'autorizzazione per lo smaltimento dei rifiuti solo
se si trattava di rifiuti tossici o nocivi e che era necessario, altresì,
l'abbandono di detti rifiuti e non il riutilizzo degli stessi; che era stato
comprensibile il comportamento della regione che si era adeguata a detta
interpretazione corrente all'epoca ed anche nel successivo anno; che in ogni
caso l'unica comunicazione effettuata dalla regione alla M. era del 1985, mentre
la nota del 1986 era diretta all'associazione industriali di Pordenone; che
conseguentemente andava esclusa la responsabilità della regione.
Riteneva, in ogni caso, la corte di appello che, anche a seguito del mutamento
di interpretazione, mai era stata interrotta l'attività di produzione della M.
di bricchetti da ardere, per cui, nonostante che la domanda di autorizzazione
fosse stata presentata nel 1988, la produzione durò fino al 1991, allorché
l'autorizzazione fu concessa dalla Provincia; che questa autorizzazione fu
revocata dopo sei mesi per mancanza dell'autorizzazione paesaggistica (da
ottenersi per ogni insediamento produttivo) e non per motivi propri alla
normativa sullo smaltimento dei rifiuti; che l'appellante non aveva richiesto
detta autorizzazione né aveva indicato i motivi di tale omissione; che quindi la
mancata produzione, successivamente alla revoca dell'autorizzazione, era
conseguente ad una scelta propria della M; che pertanto mancava il nesso di
causalità tra le inesatte informazioni e l'arresto della produzione a seguito
della revoca della concessa autorizzazione.
Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per Cassazione la s.p.a. M., che ha
presentato anche memoria.
Resiste la regione convenuta con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione di legge: art. 97 Cost. e art. 2043 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, in ordine alla scusabilità dell'errore.
Ritiene la ricorrente che, poiché il rilascio di informazioni inesatte da parte
della p.a. è da considerarsi come illecito, è errato ritenere che nella
fattispecie sussistesse un'ipotesi di errore scusabile. Secondo la ricorrente la
p.a., preposta allo specifico settore, costituiva un soggetto qualificato, a cui
era richiesto un grado di diligenza più alto rispetto a quella del pater
familias, per cui, essendo l'ente dotato di una struttura tecnico-legale, non
poteva effettuare un'interpretazione errata della normativa in tema di
autorizzazione al trattamento dei rifiuti, trincerandosi dietro orientamenti
pretori. Secondo la ricorrente, sotto questo profilo la colpa si substanzia non
solo in mancanza di diligenza da parte dell'organo qualificato, ma anche di
perizia ed inoltre, giusta la giurisprudenza di questa Corte, ai fini della
responsabilità della p.a., mentre in relazione ad attività materiale si richiede
l'elemento soggettivo della colpa, in relazione ad attività provvedimentale,
sfociata nell'emanazione di atti illegittimi, la colpa dell'amministrazione è di
per sé ravvisabile nella violazione della norma.
Ritiene, poi, la ricorrente che nella fattispecie non sussisteva oscurità
interpretativa degli artt. 1, 2 e 6 del D.P.R. n. 915 del 1982; che, se la
regione si fosse attenuta all'interpretazione letterale delle predette norme,
avrebbe dovuto concludere che la definizione di rifiuto riguardava anche lo
scarto della lavorazione industriale del legno e dell'arredamento, per cui anche
lo smaltimento di tali rifiuti, attraverso la trasformazione necessaria per il
riutilizzo o per il recupero, necessitava di autorizzazione.
Tanto emergeva anche dalla sentenza della Cass. civ. Sez. 3°, 19 novembre 1985,
che, se era posteriore alla prima comunicazione della Regione, era tuttavia
anteriore a quella del 1986, con cui essa ribadiva il proprio orientamento.
Ritiene quindi la ricorrente che la sentenza impugnata avrebbe dovuto tenere un
comportamento meno rischioso, fornendo un'interpretazione letterale della norma,
agendo nel rispetto dei principi di cui all'art. 97 Cost.
2.1. Ritiene questa Corte che il motivo sia infondato e che lo stesso vada
rigettato.
Va preliminarmente osservato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la
responsabilità della p.a. per illecito extracontrattuale - che può essere fatta
valere dal privato con azione di risarcimento del danno davanti al giudice
ordinario - è astrattamente configurabile anche nella diffusione di informazioni
inesatte (Cass. 22 novembre 1999, n. 12941).
Ciò è tanto più vero a seguito della mutata concezione della "ingiustizia del
danno" di cui all'art. 2043 c.c., per cui non è solo la lesione di un diritto
soggettivo, ma anche di una posizione considerata meritevole di tutela da parte
dell'ordinamento, che obbliga l'autore dell'atto illecito al risarcimento del
danno, in presenza degli altri elementi costitutivi della responsabilità
aquiliana (cfr. Cass. N. 500/1999).
Ne consegue che il rilascio di informazioni inesatte da parte della p.a. è da
considerarsi come fonte di responsabilità aquiliana perché lede la posizione
(meritevole di tutela) di affidamento che il soggetto in contatto con la p.a. ha
nella stessa, tenuto conto che questa deve ispirare la propria azione a regole
di correttezza, imparzialità e buon andamento (art. 97 Cost.).
2.2. È necessario, però, perché sussista una responsabilità extracontrattuale
della p.a. che la stessa abbia agito con dolo o colpa.
È noto che sulla questione relativa alla necessità o meno della colpa per
potersi affermare la responsabilità del P.A. in ordine ai danni prodotti da un
atto amministrativo illegittimo vi sono stati dissensi sia in dottrina che in
giurisprudenza. Si è infatti, affermato che, ai fini della sussistenza della
responsabilità della p.a., mentre in relazione all'attività materiale si
richiede l'elemento soggettivo dell'imputabilità per dolo o colpa, in relazione
all'attività provvedimentale, sfociata nell'emanazione di atti illegittimi, la
colpa dell'amministrazione è di per sé ravvisabile nella violazione della norma,
senza che l'amministrazione possa giovarsi dell'errore scusabile dei propri
funzionari (Cass. n. 3293/1994; Cass. N. 5883/91).
Altro orientamento, in senso esattamente contrario, ha ritenuto che l'errore
scusabile dei funzionari giovi anche alla p.a. (Cass. N. 12839/1992 e Cass. N.
3719/1975).
2.3. Deve ammettersi, ad avviso di questo Collegio, che non esiste nel sistema
alcun aggancio normativo idoneo a giustificare nella materia una
differenziazione tra la posizione della P.A. e quella di altri soggetti
dell'ordinamento.
Anche relativamente alla prima non è dato, pertanto, prescindere dal requisito
soggettivo della responsabilità.
Come questa Corte ha infatti statuito (S.U. n. 500/1999), perché un evento
dannoso sia imputabile a responsabilità della p.a., tale imputazione non potrà
avvenire sulla base del mero dato obiettivo della illegittimità del
provvedimento amministrativo, richiedendo, invece, una più penetrante indagine
in ordine alla valutazione della colpa, che, unitamente al dolo, costituisce
requisito essenziale della responsabilità aquiliana.
La sussistenza di tale elemento sarà riferita non al funzionario agente, ma alla
p.a. come apparato, e sarà configurabile qualora l'atto amministrativo sia stato
adottato ed eseguito in violazione delle regole di imparzialità, correttezza e
buona amministrazione alle quali deve ispirarsi l'esercizio della funzione
amministrativa, e che il giudice ordinario ha il potere di valutare, in quanto
limiti esterni alla discrezionalità amministrativa.
Sia pure con riferimento non al singolo funzionario, ma alla p.a. come apparato,
e quindi come unità (quanto meno nei singoli settori), va valutata la colpa, nei
termini sopradetti.
3.1. Non si può, dunque, in linea di principio, escludere la rilevanza
dell'errore scusabile commesso dalla P.A..
L'accento deve essere spostato sulla scusabilità dell'errore nei casi singoli.
E su questo versante non pare dubbio che l'errore nell'interpretazione della
legge possa essere considerato, eccezionalmente, scusabile solo se riconducibile
ad una oggettiva oscurità (attestata, eventualmente, da persistenti contrasti
interpretativi) della norma violata (Cass. N. 5361/1984) o altrimenti
inevitabile a stregua delle indicazioni fornite dalla Corte Costituzionale (Sent.
N. 364/1988 e altre), operando, in ogni altro caso, la regola della
inescusabilità dell'error iuris (Cass. N. 12839 del 1992; Cass. N. 2762/1978).
3.2. Elemento essenziale per la sussistenza dell'errore scusabile è, quindi,
l'inevitabilità dello stesso, determinata da cause oggettive, estranee
all'agente, che finisce per escludere la colpevolezza, intesa quale forma di
qualificazione dell'azione soggettiva nelle fattispecie di responsabilità.
L'errore scusabile rende, pertanto, inesigibile una diversa condotta, dando
rilievo sia pure nell'ambito del solo elemento psicologico, alla cosiddetta
inesigibilità, che pur avendo una natura oggettiva e non essendo prevista nel
nostro ordinamento, ma in quello tedesco, trova, nell'ambito della rilevanza
dell'elemento psicologico, un primo riconoscimento nella sent. n. 364 del 1988
della Corte Costituzionale in tema di errore inevitabile su legge penale.
3.3. Trattandosi di valutazione della scusabilità dell'errore, essa non può che
essere effettuata ex ante, cioè ponendosi nella stessa posizione in cui si
trovava il soggetto agente, allorché incorse in errore. L'accertamento
dell'esistenza dell'errore scusabile, costituendo un accertamento fattuale,
rientra nella competenza esclusiva del giudice di merito ed è incensurabile in
Cassazione, se adeguatamente motivato.
4.1. Nella fattispecie il giudice di appello ha fatto corretta applicazione dei
suddetti principi.
Infatti egli ha accertato che l'unica nota trasmessa dalla regione convenuta
all'attrice fu quella del 24 maggio 1985, mentre la nota del 1986 fu diretta
dalla regione all'associazione industriali di Pordenone; che effettivamente
l'interpretazione, data dalla regione agli artt. 1, 2 e 6 del D.P.R. n. 915 del
1982 di non considerare rifiuti i sottoprodotti né nocivi né tossici di
lavorazioni industriali del legno e quindi non necessitanti di autorizzazione
regionale, era un'interpretazione ben possibile, dovendosi il discrimine porsi
nel concetto di "abbandono" di detti rifiuti.
Rileva altresì il giudice di appello che era comprensibile che l'Ente pubblico
abbia fatto riferimento all'interpretazione che andava formandosi in sede
giudiziaria, individuando tre sentenze di pretori ed una di tribunale.
Il giudice di appello ha poi osservato che la sentenza della Cassazione civ. 19
novembre 1985, (unica citata da controparte, oltre ad una sentenza di un T.A.R.)
a parte il rilievo che era successiva alla nota del 24 maggio 1985, riguardava
l'attività di sfasciacarrozze, del tutto diversa dal riciclo di legno privo di
componenti nocivi o tossici.
4.2. Ritiene, quindi, questa Corte che non sussista alcuna violazione o falsa
applicazione dei principi di cui all'art. 97 Cost., non potendosi ritenere che
il giudice di appello avrebbe dovuto rilevare la violazione delle regole di
imparzialità, corretta e buon andamento dell'amministrazione, nel fatto che la
regione si sia adeguata all'interpretazione giurisprudenziale corrente e
dominante (secondo l'accertamento del giudice di merito) sulla normativa in
questione alla data del fatto, in luogo di prospettarne quell'altra (necessità
dell'autorizzazione amministrativa nella fattispecie de qua, che solo in seguito
sarebbe stata ritenuta esatta dalla giurisprudenza.
4.3. Né può farsi questione, come sostenuto dalla ricorrente, che la diligenza
che avrebbe dovuto tenere l'amministrazione, essendo relativa ad un soggetto
qualificato, avrebbe dovuta indurla ad un'interpretazione letterale della norma
diversa da quella dominante in sede giudiziaria nel momento in cui forniva le
informazioni sul contenuto della normativa, successivamente rilevatesi inesatte.
Infatti, ed ovviamente, poiché il nostro ordinamento assegna in ultima istanza -
sia pure con riferimento allo specifico caso concreto - proprio ai giudici
1'interpretazione e l'applicazione della legge, non può ritenersi che la p.a.
che si adegui all'interpretazione della norma, in quel momento dominante in sede
giurisprudenziale, violi uno dei principi di cui all'art. 97 Cost.
Da ciò consegue che correttamente nella fattispecie il giudice di appello ha
ritenuto scusabile l'errore e, quindi, poiché ciò comporta l'esclusione della
colpevolezza della convenuta, abbia rigettato l'appello. Il motivo va, pertanto
rigettato.
5.1. Il rigetto del primo motivo di ricorso comporta l'inammissibilità del
secondo e del terzo motivo, che sono relativi alla autonoma seconda ratio
decidendi (ritenuta interruzione del nesso di causalità, perché la revoca della
successiva autorizzazione venne disposta per mancanza della necessaria
autorizzazione paesaggistica).
Poiché la censura avverso la prima ratio decidendo, su cui si fonda
autonomamente l'impugnata sentenza per escludere la responsabilità
extracontrattuale della convenuta appellata, è infondata, le censure avverse la
seconda autonoma ratio decidendi sono inammissibili per carenza di interesse.
5.2. Infatti, quando la statuizione impugnata sia fondata su più ragioni,
distinte ed autonome, ciascuna delle quali sia giuridicamente e logicamente
idonea a sorreggere la pronuncia, l'infondatezza della censura avverso una di
tali ragioni rende inammissibile, per difetto d'interesse, il motivo di ricorso
per Cassazione relativo alle altre, in quanto la loro eventuale fondatezza non
potrebbe mai condurre all'annullamento della sentenza, essendo divenuta
definitiva, la motivazione autonoma (cfr. Cass. 9 dicembre 1994, n. 10555; Cass.
18 luglio 2000, n. 9449; Cass. 16 aprile 1998, n. 3951).
6. Con il quarto motivo di ricorso la ricorrente lamenta la contraddittorietà ed
illogicità della motivazione circa un punto decisivo della controversia, ai
sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 5.
Assume la ricorrente che "è del tutto falso" che successivamente al 1985 unica
referente della regione non fu la M. ma l'associazione industriali. Assume la
ricorrente che sarebbe bastata un'attenta lettura della documentazione allegata
nei precedenti gradi del giudizio per fare chiarezza sulla circostanza e per
rendersi conto che già nella comunicazione del 4 settembre 1986
dell'associazione industriale alla M. si faceva espresso riferimento ad un
quadro di rapporti in corso tra i predetti soggetti (in particolare tra la
regione e l'associazione).
7.1. Ritiene questa Corte che il motivo aia inammissibile. Anzitutto la censura,
così come proposta, si risolve in un travisamento del fatto da parte del giudice
di merito, che non può costituire motivo di ricorso per Cassazione, poiché,
costituendo un'inesatta percezione da parte del giudice di circostanze
presupposte come sicura base del suo ragionamento, in contrasto con quanto
risulta dagli atti del processo, costituisce un errore denunciabile con il mezzo
della revocazione ex art. 395 c.p.c., n. 4, (Cass. 15 maggio 1997,n. 4310; Casa.
2 maggio 1996, n. 4018).
7.2. In ogni caso va osservato che il motivo è anche inammissibile per mancanza
di autosufficienza.
Infatti, qualora con il ricorso per Cassazione venga dedotta l'omessa od
insufficiente motivazione della sentenza impugnata per l'asserita mancata
valutazione di risultanze processuali (un documento, deposizioni testimoniali,
dichiarazioni di parti, accertamenti del c.t., ecc.), è necessario, al fine di
consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività della
risultanza non valutata (o insufficientemente valutata), che il ricorrente
precisi - ove occorra, mediante integrale trascrizione della medesima nel
ricorso - la risultanza che egli asserisce decisiva e non valutata o
insufficientemente valutata, dato che, per il principio di autosufficienza del
ricorso per Cassazione, il controllo deve essere consentito alla Corte di
Cassazione sulla base delle deduzioni contenute nell'atto, alle cui lacune non è
possibile sopperire con indagini integrative (Cass. 1 febbraio 1995, n. 1161).
Nella fattispecie non risulta riportata nel ricorso la comunicazione del 4
settembre 1986 dell'associazione industriali, mentre la sentenza impugnata (p.
16) ha rilevato che in ogni caso anche nell'anno 1986 l'indirizzo
giurisprudenziale, cui si era adeguato la regione nelle informazioni fornite,
non risultava sovvertito.
Il ricorso va pertanto rigettato e la ricorrente va condannata al pagamento
delle spese del giudizio di Cassazione sostenute dalla resistente.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del
giudizio di Cassazione sostenute dalla resistente, liquidate in Euro
duemilacento, di cui 100,00 per spese, oltre spese generali ed accessori di
legge.
Così deciso in Roma, il 24 ottobre 2003.
Depositato in Cancelleria il 9 febbraio 2004
Rifiuti - Responsabilità della Pubblica Amministrazione per illecito extracontrattuale - Configurabilità nel caso di informazioni inesatte - Fattispecie. La responsabilità della P.A. per illecito extracontrattuale - che può essere fatta valere dal privato con azione di risarcimento del danno davanti al giudice ordinario - è astrattamente configurabile anche nella diffusione di informazioni inesatte (Cass. 22 novembre 1999, n. 12941). Fattispecie: procedimento per il ristoro dei danni da errate informazioni, instaurato da essa società contro la R. F., poiché nel 1985 l'Ufficio regionale competente, a seguito di richiesta della M. se per svolgere attività di riciclo di cascami lignei della lavorazione di mobilifici necessitasse l'autorizzazione prevista dal D.P.R. n. 915 del 1982, ebbe a dare risposta negativa, reiterando la risposta nel 1986, salvo mutare opinione nel 1988. - Soc. MAC 2 C. Regione aut. Friuli-Venezia Giulia. CORTE DI CASSAZIONE Civile, Sez. III, 9 febbraio 2004 (ud. 24 ottobre 2003), Sentenza n. 2424
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